cultura barocca

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L'Abati nel "Fascio Secondo" dei questa sua opera iniziando dalla fine della pagina qui proposta disserta della Satira per poi analizzare i Libelli Famosi e quindi i Cartelli svolgendo la sua indagine dall'antichità sino ai suoi tempi = con la digitalizzazione dell'ampia trattazione e degli esempi proposti, si propone qui tramite un indice le riflessioni dell'Abati, anche in rapporto ad Aprosio, avvalendosi di un'oculata edizione critica [tra parentesi quadre le osservazioni critiche ]
Le sue satire in terza rima (I ricordi, La guerra, La fame, Il corso, Il Pegasino, La Pazzia, Il Viaggio, La Corte) sono inserite, insieme con altri versi, in una prosa la quale riferisce le conversazioni di alcuni gentiluomini europei che tengono in Efeso, ove risiedono per varie necessità, una specie di accademia istitita nella ricca magione d'uno fra i principali d'essi a nome Stamperme cercando di confortarsi ed eludere con preziose discussioni i drammi dell'Asia in perpetua guerra (in effetti spunto iniziale e guardingo per parlare di molti aspetti della follia umana, spostando spessissimo se non principalmente il discorso sull'Europa). Il tutto è raccolto in tre fasci di Frascherie (1651).

INDICE

Qual sia più difficile nel nostro secolo, il saper far'una Satira,ò il non farla

Antiche origini della Satira

[Approfondimento sulla genesi della Satira]

[La Satira secondo il Lessico Ragionato di Federico Lubker]

Analizza qui le discussioni -per ragioni di prorità documentaria nella pubblicazione di sillogi su autori liguri a favore del Soprani e contro il Giustiniani caldeggiate dal mecenate di Aprosio il nobile genovese Cavana- che sorsero quando Aprosio, con il suo vero nome laico di Ludovico, accorpò un suo scritto ad una controversa opera di Gasparo/-e Massa sulla patria del satirico latino Aulo Persio Flacco definito nativo della Liguria e precisamente de Tigullio a fronte dei natali ufficiali a Volterra = è comunque da precisare che l'Abati in merito alla Satira pospone Persio a Giovenale e Orazio reputandolo oscuro alla stregua di quanto scrisse il Casaubon

Distinzione fra Satira e Libello Infamatorio

La Satira è nata più a ferire i vitij dell'Huomo, che l'Huomo ne' vitij; e però si gloria di palesar l'Arciero, non il bersaglio. Il Libello è fatto più per pungere l'Huomo ne' vitij, che i vitij dell'Huomo, e però ardisce di publicare il bersaglio, non l'Arciero

Legalità della Satira e sua funzione nel correggere i vizi degli uomini

Illegalità del Carme Infamatorio e sua funzione di dannificazione dell'infamato

Il Libello Famoso, anche detto Cartello, e la sua illegalità

[L' Abati in siffatta rassegna Delle Frascherie non nominò esplicitamente le "Lettere Anonime", anche esposte al pubblico con accuse infamanti ma non firmate (dette meglio Cieche od Orbe allora, per quanto tuttora esistenti, chiaramente assai più temibili di quanto accade nella nostra contemporaneità potendo comportare indagine, arresto, condanna, carcerazione tortura e pene corporali, oltre che nummarie, fino al giudizio estremo del patibolo = Aprosio invece ne parlò espressamente (vedi qui cosa ne scrive a pagina 307 nella sua Biblioteca Aprosiana "il Ventimiglia" dopo un personale elogio di tale autore che Angelico chiama Abbate delle Vivezze, e delle Argutezze compare la registrazione qui enfatizzata di un elogio poetico dell'imperatore Ferdinando III allo stesso Antonio Abati]= tuttavia è da rammentare che in merito alla costumanza del tempo "contro cui l'Abati scrisse questo sonetto" (recuperato integralmente da Angelico, però dalla I edizione del 1671 delle Poesie Postume dell'Abati) avverso Lettere anonime dette propriamente "orbe" o "cieche" con cui restando nell'anonimato si poteva suscitare odio fra persone e famiglie ma, cosa ancor più grave si poteva denunziare senza rischiare ritorsioni [inoltrando furtivamente in un' Urna Lignea (sistemata nelle Chiese) o in quella che variamente si chiamava "Bocca della Verità" o con esiti simili (in più esemplari disposta in luoghi specifici delle città)], denunziando, a Stato e Chiesa, tanto criminali quanto eretici, che ancora supposti maghi e streghe ( tenendo conto che erano segretamete denunziabili, e indubitamente inquisiti con rischi anche estremi, tanto i bestemmiatori quanto gli omosessuali come si legge qui nei cinquecenteschi Statuti Criminali di Genova, peraltro sostanzialmente convergenti con le altre forme di leggi criminali)].

I quattro elementi, secondo il Mazzone, che concorrono perchè un prodotto letterario sia un Libello Famoso

Un quinto elemento non citato dal Mazzone, che concorre perchè un prodotto letterario sia un Libello Famoso = "fare il nome del destinatario"

Come il non fare "fare il nome del destinatario o infamato" derubrichi la caratteristica di Libello Famoso

Come un Libello Famoso, specie se esposto contro un potente od un Tiranno, prenda anche il nome di Cartello

Esempi di Cartelli, rivolti a chiunque, che siano non perseguibili e costituiscano solo Satirici Componimenti non facendo il nome della persona contro cui siano scritti

[ L'autore non parla di Lettere o Cartelli di sfida a duello per quanto, benché vietata e perseguita, tale costumanza, piuttosto usuale, era condannata, al pari dei Duelli o Monomachie, dalla legge degli Stati]

Contra una attempata, e deforme Dama, la quale, per comparir più vaga, soleva ogni mattina impiastrarsi di Rossetto il viso (pagina 95 in fine)

[ entro il Capitolo XXIV dello Scudo di Rinaldo intitolato Dell'imbellettarsi. Quanto disdica Angelico Aprosio da pagina 252, terza riga dal basso riporta il brano poetico del Salomoni La brutta Vecchia che imbellettandosi cerca invano di parer più giovane ]

Sopra un'Amico, che soleva tingersi di nero la canuta barba per apparir più giovane (pagina 98 in fine)

[ Come qui si può leggere l'argomento sulla cosmesi era diffusissimo ed Aprosio lo aveva già sviluppato nella I parte dello Scudo di Rinaldo edito nel 1646 e qui digitalizzato di cui curiosamente compare una ristampa del 1654 (sarà casualle ma dopo l'uscita delle Frascherie dell'Abati, I edizione del 1651). "Il Ventimiglia" affrontò sul tema molti argomenti sul tema come si evince dai collegamenti qui proposti: Nei primi anni del XVII secolo gli uomini alla moda portavano lunghe e fluenti ciocche, spesso arricciati, folti e cosparsi di profumo. Erano in voga anche baffi corti e ben tenuti e barba a punta. Le donne invece, sfidando spesso l'avversione dei tradizionalisti, portavano la frangia sulla fronte e lunghi riccioli ai lati, sottolineandone i pregi con l'uso arguto di belletti e cosmesi. La moda del tempo, che si confrontava soprattutto in linea erudita, dissertava preferibilmente su quale fosse il più raffinato colore dei capelli ma le donne, sfidando gli strali dei benpensanti, non esitavano a tingersi i capelli e a far ricorso all'uso non apprezzato dai moralisti di capelli finti (posticci) intrecciati con nastri e perle. I capelli di dietro erano arrotolati sulla testa. Nel tardo XVII secolo gli uomini cominciarono ad usare grandi parrucche arricciate sopra il lobo delle orecchie, una moda introdotta da Luigi XIII di Francia per nascondere la sua calvizie e continuata da Luigi XIV che portava una parrucca a forma di torre per farsi sembrare più alto. Poco prima della fine del secolo, queste alte parrucche da uomo furono accompagnate anche da ornamenti femminili quali lacci, perle, gioielli = ma quasi a prolusione del costume delle parrucche imbiancate l'autore cita l'uso dei giovani del seicento di cospargersi i propri veri capelli di cipria per incanutirsi ed aver miglior giuoco nelle conquiste Nel XVIII secolo, le parrucche da uomo (adesso più piccole) erano secondo gli usi del tempo imbiancate con talco e legate dietro con un laccio nero]

Un'Amico rimprovera facetamente all'altro la frequente verbosità delle Lettere, e de' Carmi, che inviar solevali (pagina 99 in fine)

Ad una Giovanetta di Caria, che adduceva per argomento della sua pudicitia l'età troppo tenera (pagina 100)

Una publica Femina risponde agramente ad uno Astrologo di lei invaghito, che le haveva fatta la Genitura (pagina 100 in fine)

Contra certa Donnicciuola, che ricercato haveva l'Amante d'una veste di velluto, e soleva spesso rapirgli qualche anello, che gli addocchiava in dito (pagina 104 )

[In queste Satire dedicate a donne di discussa reputazione l'Abati non usa l'espressione, come altri (vedi Biblioteca Aprosiana, p. 78), di puttana o meretrice o giumenta o d'altro ancora (per esempio Aprosio in merito a una donna di malaffare a p. 100 della stessa Bibl. Apros. pag. 100, riga 15 dal basso usa le espressioni meretricola e giumenta) ma la forma meno provocante di pubblica femmina o donna di sospetta fama come si legge nei titoli o nelle introduzioni]

Un liberal Francese, che, cento anni fà, invaghitosi delle bellezze d'una Romana, spendeva profusamente in essa(pagina 105 )

Contra un Zerbino, in cui fu versato da una finestra un vaso d'acqua (pagina 106 )

[ Ambrogio Balbi nella sua opera Versi Scelti de' Poeti Liguri viventi nell'anno 1789 cita il poeta genovese Lorenzo Canepa - che riprendendo temi, certo con altri, sviluppati dall'Abati a dimostrazione di un perdurare di immagini coinvolgenti buffi personaggi innamorati contro le ragioni dell'età e dell'aspetto, parla di uno Zerbino scrivendo il sonetto Per un deforme Zerbino caduto in una fogna. Come si legge nel vocabolario on line Treccani zerbino (caduto in disuso con questa accezione a differenza di altre rimaste vive come quella di tappetino innanzi all'ingresso di casa) deriva dal nome di un personaggio dell’Orlando Furioso, Zerbino, il giovane ed elegante principe di Scozia innamorato della saracena Isabella. In senso, scherz. o spreg. il termine ha finito per indicare un "Giovane galante, curato nella persona ed elegante ma in modo eccessivo e ostentato, che rivela scarsa signorilità e mancanza di buongusto: sapeva distinguere tra un vero amico ed un cascante zerbino = Bettinelli - Accr. zerbinòtto. Il termine non ha da confondersi -a prescindere da alcune convergenze- con quello di Cicisbeo = Cicisbeo, o cavalier servente, era il gentiluomo che nel Settecento accompagnava una nobildonna sposata in occasioni mondane, feste, ricevimenti, teatri e l'assisteva nelle incombenze personali, quali toeletta, corrispondenza, compere, visite, giochi. Passava con lei gran parte della giornata e doveva elogiarla, sedersi accanto a lei nei pranzi e nelle cene, nelle passeggiate o nei giri in carrozza. La signora veniva definita "cicisbea" del cavaliere. L'etimologia della parola sembra essere connessa in modo parzialmente onomatopeico al bearsi nella conversazione, al cicaleccio, cinguettio, chiacchiericcio che costituivano la principale delizia dei cicisbei.]

"Maomarte parla di un Re in Etolia che rendeva cornuti molti uomini possedendo le loro donne = e che contro di lui si sparse un componimento per cui a sua volta era reso Cornuto dalla moglie".

"I giudici non presero però provvedimenti contro il compositore dello scritto e forse il Re si dolse poco delle Corna che gli metteva la moglie. "

"Ancora Maomarte cita Agrippina che fece filare il debole marito Claudio occupandosi lei degli affari di Roma e dell'Impero. "

[Trattandosi poco prima della lascivia, sia maschile che femminile, ci sarebbe aspettato che l'Abati parlasse qui di Messalina la prima e sensuale moglie di Claudio eletta da Aprosio qual icona simbolo della donna adultera: peraltro proposta in questo passo edito recentemente e costituente un "Grillo" censurato della Grillaia del 1668 = Antonio Abati passa invece a trattare le donne amanti del potere e del governo e quindi parla della seconda moglie di Claudio vale a dire Agrippina nel settecento trattata, con altre sovrane, nel qui digitalizzato lavoro di Jaques Roegers de Serviez (traduzione italiana) Le Imperatrici Romane ovvero la Storia della Vita e de' Maneggi Segreti delle Mogli de' Dodici Cesari, di quelle degl'Imperadori di Roma, e delle Principesse del loro sangue... (3 volumi - con indici moderni) ]

"Viene poi ripreso lo scritto di un poeta sulle debolezze di Claudio a fronte della Moglie. "

"Ancora Maomarte cita Agrippina che fece filare il debole marito Claudio occupandosi lei degli affari di Roma e dell'Impero = composizione da non reputarsi libello famoso in quanto noto a tutti compreso Tacito. "

"...e la la lirica si conclude con l'affermazione che le donne non son atte a governare = spettando a loro i piaceri della notte da concedere al marito destinato a governare o curare gli affari durante il giorno. "

[L'Abati, anche per la delicatezza del tema non cita la veneziana suora femminista ante litteram Arcangela Tarabotti che ebbe anche con Aprosio una disputa letteraria su femminismo e antifemminismo tra altre cose a favore delle donne scrivendo = Ne giovi per diffesa à gl' huomini il ramentar le Semiramidi le Cleopatre , le Lesbie, e le Messaline alle quali però non mancarono qualità degne di memorie nell'interpretazione femminista della Semplicità Ingannata di Arcangela Tarabotti per cui anche donne potenti e dannate da storia e pubblicistica -se davvero studiate- dimostrano di aver avuto qualità non da meno di uomini potenti e glorificati]

"Sostenendo poi Teodete che le donne non son atte alle scienze ed al governo e concludendo costui la sua esternazione con l'espressione = "...Perchè se chiedete a loro [le donne]: Appresso Ovidio chi è Vacca? Tutte vi risponderanno: Io".

[Aprosio in un altro Grillo censurato intitolato Del Nome Becco, e cornuto, che si suole attribuire a coloro che hanno le mogli adultere, e del rimedio per non esserlo fra tanta erudizione afferma che in Italia le mogli adultere son dette Vacche son dette Vacche aggiungendo Hor se la moglie è VACCA, è mera implicanza, che sia BECCO il marito]

Difficoltà nello scrivere una Satira (pagina 121, riga 10 dall'alto)

Difficoltà nello scrivere una Satira nel secolo dell'Abati e dell'Aprosio (pagina 122, riga 15 dall'alto)

Grandezza della Satira romana: Giovenale, Orazio e Persio (pagina 123, riga 3 dal basso)

Grandezza della Satira romana: Giovenale e Orazio

Aulo Persio Flacco e sua oscurità

Giovenale posto al primo posto nella stesura delle Satire

Un giudizio dell'Abati sulla Satira italiana (pagina 127, riga 17 dall'alto)

Dalla casa di Stamperne i convitati possono assistere ad una festa in Efeso, guardando la folla passeggiare sul Corso, argomento che innesca la Satira di seguito proposta

IL CORSO / SATIRA / Frà Ticleve , e Momarte (pagina 130 )

Tra a folla Egideargo vede un Goloso traendone occasione per una satirica osservazione

...che Rorazalfe prontamente recupera per biasimare satiricamente la colpa della gola

[Aprosio non parlò esplicitamente di gola e golosi in quanto l'esternazione su di lui quale poeta nel senso di stravagante era connessa al giudizio di esser amante di una vita da opsofago amante con i piaceri del locus amoenus cercato anche in Ventimiglia e dei piaceri della tavola alla stregua dei Depnosofisti di Ateneo: l'amore per il buon cibo ed i buoni vini (il Moscatello di Ventimiglia e di Taggia in particolare) che gli causò non pochi attacchi da parte di Arcangela Tarabotti sin ad esser nominato da lei, nel contesto di una celebre polemica fra i due su femminismo e antifemminismo, " predicatore delle glorie del vino, confessore dei bugiardi e mecenate degli ubriachi...." = a prescindere dalle considerazioni della Tarabotti è comuque da precisare che, nell'ambito aristocratico ed oligarchico, tra XVI e XVIII secolo erano una costante mondana la frequenza grandi banchetti e feste più sfarzose possibile specie in particolari occasioni]

Considerazioni satiriche avverso gli Storici della Ionia

...cosa che offre il destro per la consuetudine degli storici, anche non asiatici ma europei, di redigere imprese storiche senza avervi partecipato se non addirittura su fonti assai lacunose

[quest'ultimo concetto assai simile a quello riportato da Aprosio ne La Grillaia del 16608 in relazione al Grillo XXXII (a Gio. Girolamo Canevari): Se per iscrivere Historie, sia bene, che l'Historico vada alla guerra ]

Stamperne prende ora a parlare dei Romanzieri dell'Asia

Critiche, con esemplificazioni, degli autori moderni italiani che scrivono romanzi secondo lo stile Asiano

IL PEGASINO /SATIRA (pagina 163 )

Come si legge sotto la voce dell'autore del "Dizionario [ Biografico Treccani" la satira di Salvator Rosa Rosa La poesia riprende spunti e motivi del Pegasino]

LA PAZZIA / SATIRA (pagina 167 )

GIUNTA ALLA SATIRA PREGRESSA

LA PAZZIA DI CASTRARE I FANCIULLI (pagina 183)

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