cultura barocca
CLICCA E VOLTA PAGINA "Aveva veduto le grotte, il teatro, l'antico Melos; aveva in mano la statua della Venere; i miei doveri, la mia curiosità erano stati soddisfatti" [scrive Marie-Jean-Louis-Charles-André di Martine Tyrac (1795-1861) Visconte di Marcellus in questo libro qui digitalizzato (ed. Giachetti di Prato, curato dal Marchetti) ove tra tante altre cose parla del suo tormentato acquisto per la Francia di Luigi XVIII della scoperta della leggendaria Venere di Milo (Milo fin al XIX secolo non particolarmente celebrata fra le tante isole del vasto arcipelago che integra il territorio continentale della Grecia) con un resoconto assai più esteso ma che vale l'impegno di analizzare intieramente [ la scoperta data del 20 febbraio 1820 ad opera di un contadino di Melo tale Yorgos Kentrotas = quindi l' alfiere di vascello Dumont d'Urville -ragguagliato da un subalterno ufficiale Olivier Voutier che ne riconobbe il pregio- imbarcato sulla "gabarra" la Chevrette, con altre navi francesi da guerra, ancorata nel porto di Milo "all'epoca di questi scavi" e agli ordini del capitano di vascello Gauthier rimase colpito dell'evento sì da impegnarsi presso l'agente consolare francese Brest che "teoricamente" pensò di esser riuscito nell'impresa d'acquistarla (dopo averne chiesta l'autorizzazione con lettera del 12 aprile) per conto del marchese de Rivière ambasciatore a Costantinopoli, il quale intendeva donarla al re di Francia Luigi XVIII. il visconte Marcellus, segretario dell' ambasciata francese, appreso del rinvenimento si entusiasmò specie dopo averne visualizzato uno schizzo che il d'Urville aveva fatto della statua di maniera che ottenne di recarsi a Milo per assimilare a pro della Francia quanto rinvenuto pur imbattendosi subito in grosse difficoltà con grave disappunto espresse dal Brest, come scritto già convinto del buon esito dell' acquisizione ma al momento disilluso da imprevisti eventi (stante anche il fatto che dei reperti si era impadronito un monaco greco peraltro convocato sulla questione dal dragomanno dell'arsenale di Costantinopoli cui con tale dono antiquario intendeva liberarsi dell'accusa di irregolarità) sì da doversi impegnare in molte avventure prima di riuscire ad acquistare il tutto dalla riunita comunità dei primati di Milo aggiungendo altro denaro alla somma pattuita per la precedente vendita pattuita dal monaco greco con il dragomanno dell'arsenale di Costantinopoli e poter finalmente ammirare dal vivo quanto avrebbe trasportato giungendo ad esprimere la frase rimasta famosa "....Io non sapeva saziarmi di contemplare quella bellezza sovrumana...." = altre vicende riguardarono il trasporto ed anche insorte questioni burocratiche come in particolare problemi anche drammatici in cui incorsero i primi cittadini di Milo al modo che qui si legge di seguito da pagina 301 a pagina 302 = infatti se la vendita per nulla turbò i Turchi che non apprezzavano tali antichi reperti antichi specie se come la Venere mutilati -della braccia pag. 297- giunse invece estremamente sgradita al citato dragomanno dell'arsenale che -ignorando la corrispondenza col Marcellus- fece arrestare e condurre a Sifanto i Primati di Milo, obbligandoli a inginocchiarsi, facendoli poi frustare innanzi ai deputati delle altre isole e condannandoli quindi all'ammenda di 7000 piastre per tale vendita (vedi qui dalla Carta dei Lidi Ellenici in questo stesso volume del Marcellus, curato dal Marmocchi, prossima a Milo (36-22) l'isola di Sifanto) anche se subito, sollecitato dal Marcellus, l'ambasciatore francese ottenne dalla Sublime Porta una celere punizione del dragomanno, con la restituzione del maltolto agli abitanti di Milo e il categorico ordine a tenere per il futuro ben altro atteggiamento verso l'amica Francia: ma questò non bastò al Marcellus cresciuto con tal signore greco, Nicolaki Morusi, figlio terzogenito dell'antico principe di Moldavia e da cui avrebbe voluto una spiegazione de visu cosa che però non avvenne in quanto, nei fermenti del 1821 ormai esistenti tra la Grecia, avida di indipendenza, e la Turchia, il fratello maggiore di costui, principe Costaki Morusi recatosi in Costantinopoli dal Gran Visir più non tornò, verosimilmente ucciso, di modo che il fratello minore ne morì di dolore. Relativamente più quieto, seppur non senza problemi, fu il destino della "Venere" che il 24 ottobre imbarcata a Costantinopoli sulla gabarra a Lionne raggiunse la Francia condottavi dallo stesso ambasciatore che ne fece dono a Luigi XVIII il I marzo 1821 anche se a lungo rimase nei laboratori del Louvre dovendosi decidere se restaurarla -addirittura proponendosi di utilizzare delle braccia, nei pressi, ritrovate ma per il Marcellus incompatibili con il capolavoro e frutto di un rozzo restauro cristiano per una "Panagia"- od ancora cosa poi, saggiamente, imposta dal Sovrano di lasciarla tale e quale sì da poter esser esposta nel Museo e divenire un'attrattiva per tutta Europa suscitando altrui ambizioni e presunti diritti altrui di possesso tra cui spicca il caso, qui documentato ma presto confutato, del Sovrano di Baviera]. Siffatta relazione del Marcellus è comunque, nella sostanza, molto simile sotto il lato scientifico a quanto, più sinteticamente, risulta redatto nell' Enciclopedia Treccani dell'Arte Antica: tuttavia nel resoconto di colui che fu con ragione nominato il "Winckelmann francese" compaiono anche aggiunte estranee alla moderna scientificità, e che sono in bilico tra archeologia, arte, romanticismo, sentimenti, nostalgia e segreti, ma che valgono la pena di essere lette e meditate = "...un capriccio, vò pur confessarlo, mi trattenne alcune ore di più a Castro. Mi rammentava delle belle sembianze d'una giovinetta di Milo della quale il signor Ender pittore tedesco, aveva arricchito il suo portafoglio. Questo bravo artista aveva ottenuto da un pilota imbarcato con lui il permesso di fare il ritratto di sua figlia, celebrata di già per rara bellezza: ma il vecchio greco, per paura dei Turchi e del serraglio" [ove, se ne si fosse vista la grazia estrema, avrebbe potuto esser costretta ad entrare a far parte del Serraglio del Gran Signore] " aveva voluto fare un patto, che quelle sembianze non si dovessero mostrare ad altri che ad Europei..." = così, continuando nella narrazione, il Marcellus precisa che il pittore, onde salvaguardare la fanciulla, l'aveva effigiata contestualmente ai genitori sorprendentemente di sgradevole aspetto. La fanciulla a nome Maritza compare finalmente innanzi al Marcellus rimanendo per un certo tempo in sua compagnia: ed ai suoi occhi risulta davvero davvero splendida. L'esploratore e politico francese ne resta affascinato ed è colpito quando Maritza, per nulla vanitosa, "gli presenta, come di lei ancor più bella, una sua cugina che per quanto affascinante non gli pare però (pag. 310) al livello estetico di colei che ormai chiama la bella di Milo: il tempo tiranno, dopo i convenevoli di rito (che tuttora attestano con quanta malinconia il Marcellus si sia staccato da tal meravigliosa creatura) riporta il visconte francese sulla sua nave di maniera che delle due fanciulle nulla oggi d'altro sapremmo se una casualità non ne avesse propiziato il ricordo in modo più concreto che le parole, per quanto alate possano essere. Alla nota 2 sempre di pagina 310 il Marcellus ricorda infatti di aver contemplato altro quadro segretamente fatto dal pittore Ender e sempre nella stessa pagina, ma alla nota 3, gli editori ammettono, che, per curiosità dei lettori si son fatti premura di far realizzare a loro spese una copia perfetta di quel quadro in cui si vedono, a coronamento del libro e come sopra compare, sia la Maritza che la cugina

INF. BARTOLOMEO DURANTE PER "CULTURA-BAROCCA" - ORIGINALE IN BIBLIOTECA PRIVATA