cultura barocca
INVASIONI BARBARICHE

INVASIONI BARBARICHE: GOTI, VISIGOTI, OSTROGOTI, ERULI, VANDALI, LONGOBARDI, FRANCHI
L'OPPOSIZIONE DI BISANZIO)
[L'ENIGMA DELLA CONQUISTA LONGOBARDA DI VAL NERVIA E VENTIMIGLIA: UN'INDAGINE TOPONOMASTICA PER UN CONTRIBUTO ALLA TOPOGRAFIA DELL'OCCUPAZIONE LONGOBARDA DI VII-VIII SEC.]

La CONQUISTA BARBARICA DELLA LIGURIA OCCIDENTALE resta un evento nebuloso, anche perché le fonti scritte sono poche e lacunose.
Sostanzialmente il crollo di Roma, per quanto storicamente motivato da oltre un secolo, per convenzione cronologica lo si data da Romolo Augustolo ultimo imperatore romano d'Occidente (475-476) che fu innalzato al trono dal padre il patrizio Oreste generale romano, già segretario di Attila verso il 448, poi nominato patrizio dall'Imperatore romano d'Occidente Giulio Nepote e posto a capo degli eserciti della Gallia.
Oreste riuscì ad insediare sul trono il proprio figlio propio ribellandosi a Giulio Nepote nel 475: il giovane imperatore (di appena 16 anni) dovette a sua volta patire l'anno dopo l'ammutinamento delle truppe, quasi tutte reclutate fra barbari che proclamarono re Odoacre il quale arrestò ed uccise Oreste a Pavia nel 476 a mentre confinò Romolo Augustolo in Campania.

A parte le devastazioni saltuarie di tempi diversi (come quelle sempre oggetto di discussione dei Vandali) non si può dimenticare che, prima delle grandi invasioni di cui di seguito si parla, son da menzionare alcuni importanti, seppur casuali ed episodici, sfondamenti di popolazioni germaniche presto ricacciate oltre i lontani confini imperiali.

Tra il 264/265 gli ALAMANNI distrussero molte città della Liguria, tra cui "Ventimiglia Romana", come risulta attestato anche dall'archeologia viste le tracce di incendi e crolli, con susseguenti restauri, individuati in parecchi importanti centri liguri anche costieri> L'intervento degli Alamanni dovette incidere notevolmente sull'economia ligure ed in particolare a parere di F.Pallarés (Alcune considerazioni sulle anfore del Battistero di Albenga in "Rivista di Studi Liguri", 1987, pp.280-281) il grave saccheggio avrebbe determinato, a giudizio non del tutto condiviso dell'autrice, l'arresto della COLTIVAZIONE DELL'OLIVO in Liguria con l'incentivazione dell'importazione (l'analisi delle anfore e di altri reperti, oltre che più generali considerazioni di storia economica, sembrerebbe avallare l'idea che fino a metà III secolo l'Italia avesse importato olio d'oliva dalla Spagna -dalla Boetica in particolare- e che invece dalla metà di quello stesso secolo in Italia ed in Liguria si prendesse ad importare il più economico e concorrenziale olio africano, specie quello delle grandi aziende della Tripolitania gestite da famiglie di rango senatorio).
L'indagine sul sito di Ventimiglia romana offre qualche dato: l'analisi dei reperti e la presenza in loco di rozzi restauri - son evidenti quelli bizantini e Longobardi in una Parodos del teatro - suggeriscono l' idea di un degrado, dell'alternarsi di saccheggi e dominazioni con un calo demografico e l'interruzione (per il timore di predoni e la distruzione di numerosi ponti) della via Julia Augusta.

Si sta altresì sviluppando l'ipotesi che, difronte ai pericoli delle invasioni barbariche, la popolazione costiera sia andata concentrandosi in siti riparati, come il Cavo di Ventimiglia (già sede di complessi romani imperiali, ove si rinvennero 8 tombe romane a cappuccina, altri tumuli medievali e resti murari di un edificio che han fatto pensare allo sviluppo di una villa rustica d'epoca imperiale se non di un sobborgo tardoromano: U.MARTINI, Nuovi ritrovamenti sul "Cavo" di Ventimiglia Alta in "R.S.L.", XI, 1945, nn. 1-3, pp. 31-36).
Peraltro nel sito di Ventimiglia alta, nel 1857, "Nel taglio della trincea che s'apriva sotto l'oratorio di S.Giovanni Battista per le costruzioni della nuova traversa... (G. ROSSI, Notizie degli Scavi, 1887, p. 289) si rinvenne un sigillo romano imperiale di ottima fattura, uno strumento (del II sec.d.C., di forma ellittica -cm.2x4- con impugnatura ad anello) utilizzato per vidimare sulla ceralacca, col nome del personaggio loro propietario, documenti pubblici o privati. Nel sigillo, su tre linee, si legge M(arci)/ Aemili(i)/ Bassi quasi unanimente identificato con uno dei più importanti cittadini romani di Ventimiglia Romana, appunto Marco Emilio Basso.
V'è peraltro da dire che l'oratorio di S. Giovanni Battista, un tempo intitolato a S. Chiara, sorgeva in un sito particolare della città alta, cioè prossimo al porto del Roia ed alla via imperiale sin a far pensare che vi potesse sorgere un qualche edificio pubblico, con funzioni doganali, amministrative o comunque di valenza sociale: tutte queste considerazioni hanno bisogno di ulteriori, non facili, verifiche archeologiche ma sembra ormai abbastanza certo che, a prescindere dalle ipotetiche dimensione urbane del sito, i residenti intemeli che, ai tempi delle lotte fra barbari e bizantini, presero a sistemarsi nel luogo riparato di Ventimiglia Alta, si spostassero non tanto su aree relativamente deserte ma su un sistema suburbano romano imperiale non privo di strutture e di complessi d'utilità pubblica e sociale evolutisi da tempo [la popolazione dei fondi dell' entroterra prese intanto a concentrarsi dal V sec. in nuclei di fondovalle sì da abbandonare quelle Villae, di singoli ceppi di famiglia, che sorgessero lontane, in luoghi anche ottimali, favorevoli e assolati su mezzacosta, ma isolati in rapporto alle nuove strategie(Guida di Dolceacqua...cit., cap. I-II)]

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CONQUISTA GOTICA DI ALARICO NEL V SEC.>

Secondo il Formentini (Genova nel Basso Impero e nell' Alto Medioevo in Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, Milano, 1941, I , p. 68) il re ALARICO I nel 400, a capo dei VISIGOTI o GOTI VALOROSI, distrutta Aquileia e cercato invano di occupare Milano, avrebbe devastata l'Italia fino alla terra dei Tusci. Poi, minacciato dal condottiero imperiale Stilicone, si sarebbe mosso verso le Gallie, passando per la Liguria di cui sarebbero state distrutte vie e città, sin alla sconfitta patita a Pollenzo per opera dello stesso Stilicone nel 402.
A parere del Barocelli, ALARICO avrebbe invece posto a sacco le città liguri e del Basso Piemonte, poi durante la II invasione, del 408-410 (quella che portò alla presa ed al sacco di Roma da parte dello stesso Alarico), una seconda armata di VISIGOTI, guidati da ATAULFO, alla ricerca di un'uscita verso le Gallie, avrebbe devastato il municipio di Albintimilium (il poeta latino Claudiano, nel De sexto cons. Honor. Aug. pp. 440-4, scrisse che Alarico aveva mosso le armate profittando dell' inverno contro le trepidanti città liguri).
Tale esercito visigotico dovette seguire la via imperiale di costa, sul cui percorso esistevano nuclei insediativi senza difese, ove era semplice far saccheggi e rifornire l'armata: il caso più celebre fu quello di Albenga, ormai divenuta centro paleocristiano, che pei gravi danni subiti venne riedificata fra 414 e 417 dall'imperatore Costanzo III.
Lo spostamento dei Visigoti si sviluppò tuttavia su un fronte assai ampio, fra costa ligure e Piemonte cispadano, perché, seguendo con probabilità i tragitti e le diramazioni delle vie Postumia e Iulia Augusta, vennero investiti molti centri del Piemonte centro-meridionale ed in particolare le città di Libarna, Industria, Pollenzo anche Alba Pompeja ed Hasta senza escludere il nodo viario di Acqui od Aquae Statiellae (vedi la carta ipertestualizzata) donde era possibile per via dei sopra menzionati grandi percorsi pubblici scendere al mar ligure e fondersi, presso Vado (Vada Sabatia) con la litoranea, che proveniva da Luni e Genova, e integrarla quale strada di commercio verso la Provenza (E.COLLA, Gli Statuti Comunali Acquesi, Cavallermaggiore, 1987, Appendice di ritrovamenti archeologici: si potrebbe ritenere, sulla base di riscontri di onomastica gotica, che il grosso delle forze di Ataulfo fosse avanzato su 2 direttrici, di cui quella costiera conduceva ai siti portuali di Albenga, Capo Don di Taggia e Ventimiglia mentre la "piemontese" arrivava a Pedo).Al centro di questa "tenaglia barbarica" fu gravemente colpita la città di COEBA (oggi Ceva) già insediamento degli Ingauni e quindi colonia romana e forse anche municipio: secondo l'interpretazione di alcuni storici, oltre che dalle invasioni barbariche, la città, di cui si sa purtroppo poco, sarebbe stata cancellata -prima di risorgere nel Medioevo ed essere eretta in Marchesato da Bonifacio del Vasto in favore del figlio Anselmo- dai predoni saraceni.

CONQUISTA DEGLI OSTROGOTI>Ai Visigoti successero per poco (476) gli ERULI (antico popolo germanico) che, appoggiando Odoacre, gli consentì di incorporare la Liguria nel suo regno barbarico (i VANDALI, per quanto citati dalla storia, procedettero più a saccheggi della Liguria con la loro flotta, nel V sec. operando dalla base di Cartagine specie all'epoca del vigoroso re Genserico). Sempre nel V sec. giunsero poi gli OSTROGOTI di Teodorico che, distrutti i nemici, impose un ordinamento germanico alle contrade italiche e, essendo di fede ariana, in contrapposizione alla Chiesa di Roma, che in molte pubbliche funzioni aveva ormai surrogato lo Stato, procedette ad una distribuzione di terre, anche ecclesiastiche, ai suoi militi congedati od Arimanni, sistemandoli in zone strategiche come la val Nervia e contrapponendo le chiese ariane a quelle cattolico-romane attorno a cui gli italici andavano recuperando una guida unitaria ( ENNOD., Vita Epiph., 130,138,132: L. CRACCO RUGGINI, Esperienze economiche e sociali nel mondo romano in Nuove questioni di storia antica, Milano, 1969, p. 787).

Al pari dei Visigoti, e come avrebbero fatto molti invasori compreso i Saraceni, anche gli OSTROGOTI erano scesi al mare intemelio dal territorio di Borgo S.Dalmazzo e come i predecessori si erano trovati nella necessità di seguire il percorso mare-monti del periodo classico, quello che portava a Tenda e quindi a Briga, Saorgio, Passo Muratone al tragitto imperiale di val Nervia ( Marcora, Veonegi, " Portu") giungendo a Dolceacqua e Camporosso (area di S.Andrea - S.Pietro).
La toponomastica prova che i GOTI raggiunsero un buon controllo del territorio e dei suoi nodi viari. Discreta importanza fu riconosciuta al quadrivio di Marcora. Dal sito i germani sarebbero penetrati nel vecchio fondo romano di Oggia o sistemarsi come coloni nel pignasco, nei piccoli insediamenti tardo-romani di Argeleu e del Marburgu (sul vallone che limita a Sud la spianata della chiesa di San Tommaso), del vicino Marbuscu o bosco cattivo e della supposta area sacrale di Lago Pigo.
Grazie ai rami viari i Barbari non avrebbero trovato ostacoli a raggiungere l' area di Apricale (tragitto Val Nervia - Isolabona - Apricale - Summus Vicus \ Semoigo); da lì sarebbero potuti arrivare in VALLE ARGENTINA (direttrice di Apricale-Baiardo-S.Romolo).
L'importanza di questa II valle, crocevia di scambi sin al tardo Impero, anche per l'approdo portuale di Costa Beleni \ Balena in Riva Ligure-Arma di Taggia, induce però a credere che i Goti vi siano piuttosto giunti in modo autonomo rispetto alla val Nervia.
Procedendo da Pedona sin a Briga era una trasversale, da " Madonna delle Fontane" al Colle Ardente fino a Triora, donde era facile raggiungere i latifondi tra Sanremo e valle Argentina.
Il castello di Campomarzio/ S.Giorgio, ove son riconoscibili costruzioni bizantine su resti di un avamposto romano a sua volta eretto sul cuspidale di un castelliere ligure, restò per secoli a guardia del percorso vallivo dell' Argentina.
Dai primi del 1800 una serie di scavi archeologici ha fatto individuare come la stazione stradale romana di Costa Beleni, si sia evoluta in un nucleo urbano e portuale del medio Impero e poi in un insediamento paleocristiano, ove si son individuate 2 basiliche primigenie ed una necropoli.
Documenti di varia antichità si son reperiti per questo territorio né mancano tracce di distruzioni e restauri, con qualche scoperta riguardante sia il periodo gotico del V sec. che della riconquista bizantina del VI (N.CALVINI-A.SARCHI, Il Principato di Villaregia, Sanremo, 1977, Introduzione storica di Aldo Sarchi).

VII - VIII secolo: LA CONQUISTA AD OPERA DEI LONGOBARDA E L'AVVENTO DEI FRANCHI

Il re longobardo ROTARI (il cui popolo -al quale avrebbe anche data poi una LEGISLAZIONE nota appunto come EDITTO DI ROTARI- era ormai padrone di gran parte d'Italia e stava dando spallate formidabili contro le superstiti basi e territori bizantini), prima di occupare il territorio ligure, si era procurato appoggi presso il Pontefice Teodoro ed l'abate di Bobbio, in contrasto coi governatori imperiali.
Sfruttando l'avversione italica pei Greci il Re longobardo, di fede ariana, evitò scontri ideologici coi cattolici.
A differenza dei Bizantini, con diplomatica tolleranza religiosa si conquistò varie simpatie.

Mentre le forze dell'Esarcato opposero strenua resistenza, le scarne truppe greche di Liguria, dato che l'Impero non attribuiva ormai alcuna importanza alla regione in prospettiva di una improbabile riconquista d'Italia, vennero disperse dagli invasori che percorsero l'arco costiero sin a Ventimiglia.

L' OPPOSIZIONE DI BISANZIO AI LONGOBARDI:
In Liguria e nell'estremo Ponente ligure, ad integrazione del SISTEMA STRATEGICO DI PRIMA LINEA
viste le pressioni di popoli barbari e di Goti e Visigoti in particolare prima dell'avvento dei Longobardi una fra le principali strutture difensive venne già realizzato dal generalissimo di Onorio vale a dire
FLAVIO COSTANZO poi brevemente co-imperatore con lo stesso Onorio quale COSTANZO III: variegata struttura difensiva cui venne attribuito il nome di LIMES
[espressione di una POTENZA MILITARE destinata ad evolversi sin al perfezionamento di quell'arma straordinaria che fu il "FUOCO SACRO E/O FUOCO GRECO"]
Nel Ponente di Liguria nel contesto del LIMES un ruolo assai importante spettava CASTELLO DI CAMPOMARZIO (destinato ad accogliere i NUMERI, contingenti militari composti da UFFICIALI GRECI ma, perlopiù, da soldati reclutati fra le popolazioni semi-selvagge dei confini dell'Impero orientale) in contatto sia coll' agro di NERVIA (dove secondo Romeo Pavoni il CENTRO DI VENTIMIGLIA avrebbe costituito, assieme al suo territorio, un nodo strategico per tutto il sistema militare dell'Impero orientale) che col DISTRETTO GRECO DI TAGGIA che, naturalmente, con il variegato complesso di PORTO MAURIZIO (ONEGLIA) cui faceva da contraltare il sito strategico di PIEVE DI TECO sulla VIA MARENCA DEL NAVA.
GIORGIO CIPRIO (VI sec.) aveva redatta, nella sua Descriptio Orbis Romani, una relazione sul sistema amministrativo dell'ITALIA BIZANTINA per cui dalla PROVINCIA URBICARIA, in definitiva da ROMA, sarebbero dipese le città liguri come Ventimiglia, mentre dalla PROVINCIA ANNONARIA, cioè dal castello militare di Ravenna, avrebbero preso direttive, secondo un'INTERPRETAZIONE OGGI MOLTO CONTROVERSA E COMUNQUE QUI DA RIESAMINARE PER CORRETTEZZA SCIENTIFICA, i castelli e le città fortificate, come TAGGIA (o come più precisamente si diceva il KASTRON TABIA).
Accettando come valida tale interpretazione, sulla base di una tradizione storica che fa capo al Lamboglia (pp. 102. 107 s.), lo sforzo militare longobardo dovette quindi volgersi in primo luogo contro la direttrice Campomarzio-Taggia per disperdervi la guarnigione greca: tuttavia pur disconoscendo, come oggi si sostiene, la presenza del KASTRON TABIA la distruzione della base marittima di Costa Beleni restaurata dai Greci (come evidenziarono le indagini archeologiche del Lotti, sec. XIX, e del Molon, sec. XX) sarebbe stata la conseguenza della necessità di uno sforzo bellico longobardo contro strutture militari bizantine abbastanza forti da rappresentare un pericolo concreto.

VENTIMIGLIA DI NERVIA, nel VII sec., era una città (una città invero ormai estremamente impoverita) che doveva svolgere comunque un ruolo importante nel SISTEMA DIFENSIVO BIZANTINO contro le invasioni barbariche: il CASTRUM BINTIMILIUM qualche volta citato potrebbe identificarsi col complesso riparato della futura "Ventimiglia medievale" anche se non vi sono individuate le tracce militari che potrebbero far pensare ad un grosso insediamento militare.
Probabilmente era qui di stanza qualche contingente bizantino a guardia del porto antico e delle vie, magari vi operarono truppe di genieri come si evince da TRACCE DI RESTAURI nella città romana.
A questo punto, per una lettura più esauriente del periodo bizantino di Ventimiglia e della reale portata militare di quest'area, sarebbe davvero interessante approfondire definitivamente l'interrogativo se nella "matrice genetica" del CASTELLO DI DOLCEACQUA (quindi di una struttura localizzata in una fondamentale POSIZIONE STRATEGICO-MILITARE a protezione della città costiera e a guardia dell'oltregiogo) non sia effettivamente da ravvedersi, come alcuni studiosi hanno ipotizzato con prove architettoniche ed archeologiche, la presenza di un NUCLEO FORTIFICATO BIZANTINO CONNESSO AL LIMES DI COSTANZO E AL FORTE GRECO DI CAMPOMARZIO IN VALLE ARGENTINA (B.DURANTE-M.DE APOLLONIA, Pompeiana nella storia, Pinerolo, 1986, pp. 30-41)
Quest'ultima riflessione, col procedere delle riflessioni storiche e topografiche su tutto l'estremo Ponente ligure, si va rafforzando anche per il principio che BISANZIO allo scopo di difendere la LIGURIA COSTIERA doveva principalmente difendere le VIE STORICHE DI COLLEGAMENTO FRA PIEMONTE E MAR LIGURE.
Assieme alla VIA ROMEA DEL NERVIA ed a quella della VALLE ARGENTINA una VIA STORICA MARE-MONTI era quella, nell'attuale territorio imperiese, detta DEL NAVA.
L'analisi storica, topografica e toponomastica di questa ampia zona di passaggio ha indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che PIEVE DI TECO costituisse una IMPORTANTE POSTAZIONE MILITARE BIZANTINA a guardia della VIA PIEMONTESE e che una serie di strutture militari o demiche procedessero sin al suo TERRITORIO procedendo da POSTAZIONI SIGNIFICATIVE di cui SITI FONDAMENTALI potevano essere il CASTELVECCHIO DI ONEGLIA, l'APPRODO DI PORTO MAURIZIO, il suo immediato retroterra (l'INSEDIAMENTO DI TORRAZZA ed oltre ancora il complesso, parzialmente ancora da studiare, del centro di ARMO).
E' pur sostenibile che i Bizantini, per una di quelle alleanze che andavano ratificando coi FRANCHI, avessero finito col ritenere sicure le terre e vie prossime al territorio di questo popolo e con la loro abilità diplomatica si fossero in qualche modo "serviti" di questi ultimi contro l'espansionismo dei Longobardi: al riguardo si rammentano alcuni cenni dello storico longobardo Paolo Diacono.
Il fatto che i Franchi avessero condotto due spedizioni punitive in Val d'Aosta ed in Val di Susa (575) contro i LONGOBARDI, responsabili d'aver occupato valichi di confine, potrebbe provare che lo stremato Impero bizantino affidasse per via diplomatica ai potenti Franchi, che per un patto vantaggioso eran in Europa "alleati-vassalli" dei Greci, il controllo e i diritti su zone dei confini italici.
Nel Libro III,45 della sua celebre Storia dei Longobardi lo storico PAOLO DIACONO attribuì a ROTARI la conquista dell'intiera Liguria marittima ma Fredegario, che redasse l'elenco delle città cadute in mano dei Longobardi, non citò VENTIMIGLIA né lo scalo del Nervia: benché questo storico non sia estensore preciso, tal mancata citazione potrebbe non essere casuale (FREDEG., Chron. = I,71).

Dal VI sec. VENTIMIGLIA avrebbe potuto quindi risultare "scissa" in due tronconi urbani, divisi dal Roia, e quello strutturato sul "Cavo" andava sostituendo, in tutti i valori giurisdizionali ed amministrativi, la languente e indifendibile Ventimiglia di Nervia. L'antemurale del Roia non era facile a superarsi, sotto i colpi di un'organica difesa, ad opera dei Longobardi, usi a muoversi in modesti contingenti, e per essi era forse rischioso sfruttare altri tragitti, gelosamente custoditi dai Franchi che non mascheravano i loro interessi sull'Italia: é interessante ricordare che ai tempi della guerra di successione al trono austriaco (metà '700) fu il Roia il vero antemurale contro gli Austro-Sardi, così che il territorio intemelio restò resecato in due aree distinte (di modo che per attaccare le forze Franco-Ispane di Ventimiglia medievale il Barone Leutrum era stato costretto a spostarsi per le vie di crinale sin alle sperone detto delle "Maure-Maule" dove, in ogni epoca, gli assedianti della città avevano sistemati i loro avamposti).

Paolo Diacono, alludendo ad una conquista longobarda "fino al confine dei Franchi", potrebbe essersi riferito ad un'occupazione del territorio intemelio sino alla riva est del Roia (senza accordi diplomatici non sarebbe stato possibile, sotto il timore di una ritorsione, occupare la città sul Cavo se sottoposta ad un protettorato Franco) mentre Fredegario può non aver tralasciato alcunché: proprio in epoca longobarda prese peraltro a disperdersi l'onomastica ufficiale del sito romano di Nervia per essere surrogata da quella medievale (Vigintimilio) che indicava il centro sul Cavo.

La maggior parte dei riscontri onomastici e toponomastici di derivazione greca o germanica è comunque rilevabile nella val Nervia, con una quantità di esiti destinata a decrescere proseguendo dall'alta alla media e bassa valle verso il mare: ed è segnale non trascurabile in quanto la datazione linguistica documenta la presenza di questo popolo germanico nell'alta valle sin dal VII sec. mentre dalla media valle alla linea di costa i toponimi e le tracce di onomastica longobarda son databili dall'epoca di LIUTPRANDO (si veda la cosmogr. - IV, 25 - dell' Anonimo Ravennate)

Nell'alta val Nervia ove, per quanto può oggi dirci l'indagine archeo-linguistica, la presenza bizantina fu rada se non nulla (salva restando l'ipotesi avanzata su una presunta GENESI BIZANTINA DEL CASTELLO DI DOLCEACQUA).
Oltre il limite di Costanzo fino al territorio pignasco crescono i riscontri di toponomastica come il Marbuscu, l'altura rocciosa detta Ciaberta, il Cian Bardan (dal probabile longobardo Bardo), il sito Brignengu (dal personale Bruningus) ed il bosco di castagni Aimìn (da un personale Haimo).
La conquista franca ha impedito una ancora più larga diffusione della toponomastica longobarda: comunque si ricordi ancora il toponimo Ansermu con cui si indicavano campi gerbidi e vasti castagneti), il Cian de Foxe (Cian de fuxis o "piano delle fosse").
E' pure significativo il toponimo Porta Bertrara (un passaggio artificiale fra rocce, percorso dalla mulattiera per CIMA MARTA che sembrerebbe da connettersi con un qualche sfondamento Longobardo in val Nervia del VII secolo: dal settentrione padano, per la via Pigna-Saorgio, al passo Muratone.
Sulla base dei toponimi si può ricostruire il tragitto MURATUN, Vergeira (dove era una strata vurgaira o "che gira"), Restu-a (la prossimità a tal strada di ruderi di una grande casa ha fatto pensare che vi stesse un luogo di sosta simile al quasi omonimo hospitale Restae in Val Polcevera, presso il Passo della Bocchetta), Baussun (ponte dell' omonimo vallone), Mirabèr ("poggio bello" che si protende sulla sottostante valletta), Passosciu, Lagu Pigu.
Emblematico per una topografia toponomastica valliva risulta quindi il nome di luogo dialettale Braia che proviene dal longobardo *braida e che ha finito per indicare molte zone agricole (v. anche poder): pare significativa la zona di terreni sulla sponda orientale del Nervia in prossimità della costa, che come braida nel medioevo e Braia-braie in tempi più recenti indicò una zona di insediamenti rustici confinanti con la prebenda episcopale di S.Vincenzo.
Questo polmone rurale del suburbio levantino di Albintimilium potrebbe essere connesso alla sopravvivenza di un pagus tardoromano, poi occupato dai Longobardi verso il tardo VII sec., sviluppatosi in rapporto ad una arcaica chiesetta, realizzata in sovrapposizione su un complesso romano, e che si evolse in quella romanica di S.Vincenzo( Vallecrosia cit., pp. 58-67, ma si veda anche N.LAMBOGLIA, Toponomastica intemelia , Bordighera, 1946, passim).




L'esistenza del bizantino CASTELLO DI CAMPOMARZIO e l'assonanza del toponimo "Taggia" (come scrive il Coccoluto p.159, specie per un pur incompleto riscontro bibliografico) "possono aver indotto molti studiosi" tra cui il Lamboglia ad ipotizzare in questa area la presenza di un KASTRON BIZANTINO (resta comunque interessante in questa zona la persistenza di un'antichissima onomastica greco-bizantina e le arcaiche testimonianze di fenomeno "balmitico" nel contesto del Cristianesimo delle Origini) che altri hanno identificato nella
chiesa di Santa Maria di Castello presso Tabiano nell'Appennino emiliano
(P. M. Conti, L'Italia bizantina nella "Descriptio Orbis romani" di Giorgio Ciprio in "Memorie dell'Accademia Lunigiense G. Cappellini", n.s., XL, 1979, pp. 115, 625 Castrum Tabiani).
Le relazioni del centro logistico e strategico di TAGGIA tanto col CASTELLO DI CAMPOMARZIO, quanto col LIMES DI COSTANZO (come a suo tempo disquisì Teofilo Ossian de Negri) quanto ancora con la STAZIONE MARITTIMA DI PORTO MAURIZIO oltre che con il COMPLESSO DI VENTIMIGLIA, confortano però il giudizio che tutto il Ponente ligustico rientrasse comunque saldamente nelle scelte strategiche bizantine per la difesa dei loro superstiti domini italici
Si può concordare col Pavoni (p.113 e note) quando afferma che, data la caduta di fronte all'espansionismo longobardo della LINEA AVANZATA DEI BALUARDI GRECI, i bizantini si trovarono nella necessità di rafforzare il sistema difensivo della Liguria marittima di Nord-Ovest creando i FINES TABIENSES, preposti, quali distretto castrense bizantino arroccato intorno al Castello di S.Giorgio di Campomarzio, a bloccare qualsiasi penetrazione per la valle Argentina.
Sempre il Pavoni si sofferma di seguito a menzionare l'erezione di un successivo distretto castrense bizantino da identificare coi FINES MATUTIANENSES preposto alla difesa di un ampio settore costiero.
Lo studioso ha verisimilmente ragione a decodificare questo sistema difensivo bizantino in funzione della caduta del primo schermo difensivo bizantino e del pericolo rappresentato dal sito di BAIARDO donde i Longobardi avrebbero potuto accedere nell'agro di Taggia attraverso la via antiqua quae pergit ad predictam collam de Gumbegno menzionata in una giunta ai documenti del 979 - 980 del Vescovo genovese Teodolfo in cui per la prima volta vennero citati sia i Fines Tabienses che i Fines Maututianenses.
Sempre il Pavoni, in contraddizione col Lamboglia che pose i limiti dei Fines Matutianenses all'Armea (N. Lamboglia, Esplorazioni archeologiche e storico-topografiche sui monti di Sanremo in "Rivista Ingauna e Intemelia", N.S., X, n.1, pp. 1-10), ne delinea una diversa topografia e ne identifica il confine orientale con "l'Armea per un certo tratto della foce, il Giogo (il Monte Bignone), lo spartiacque tra il torrente di San Romolo e quelli di Apricale, Vallecrosia e Seborga fino al Capo Pino".
L'autore approfonditamente e magistralmente analizza la questione studiando documenti del X secolo, a questo punto sarebbe assai utile anche un'ulteriore indagine sull'ampio territorio ad est dell'ipotetico limite del distretto castrense matuziano: atteso che siffatta protezione nulla avrebbe potuto contro altre linee di penetrazione verso il mare quali, per prima, la VIA DEL NERVIA e quindi la meno praticabile VIA DEL ROIA.
In particolare sarebbe interessantissimo e probabilmente non privo di frutti affidarsi ad un'indagine sul territorio e delineare il complesso viario dell'alta valle del Nervia (specialmente in rapporto a siti viari funzionali da tempi remoti come per esempio quelli di PASSO MURATONE, di CIMA MARTA o della FASCIA SACRA) e, cercare di delineare con rilevazioni archeologiche e topografiche la plausibilità di un terzo e fondamentale distretto bizantino (diciamo pure dei FINES BINTIMILIENSES) gravitante attorno al COMPLESSO STRATEGICO DI MEDIA VALLE DEL NERVIA (molto prossimo tipologicamente a quello di Campomarzio) costituito dal CASTELLO DI DOLCEACQUA.







Sebbene l'area nervina continuasse a fruire di insediamenti abitata sino al IX-X secolo, la sede principale della città di Ventimiglia fu istituita sull'altura a occidente del Roia, che, come dimostreranno gli assedi genovesi, era più idonea alle nuove esigenze militari romano-bizantina difronte alle crescenti incursioni dei barbari . Stando alla cartografia di di Giorgio Ciprio si nota che il nuovo complesso demico, peraltro probabilissima base di un insediamento imperiale suburbano, coniò non solo la valenza amministrativa del centro della piana ma ne riprese pure il toponimo che, nell'evoluzione linguistica, divenne BINTIMILIO.
Come abilmente ha scritto il Pavoni (pp. 111 e sgg.) , qui ripreso in modo ampio seppur con qualche lieve ma necessario aggiustamento concettuale, il significato strategico del territorio ventimigliese nella strutturazione difensiva eretta dai bizantini risentiva di distinte finalità.
In primo luogo siffatta postazione difensiva disegnava in maniera tangibile il confine marittimo dell'Italia marittima di nord ovest.
In seconda istanza la località, e tutto il territorio a lei soggetto, rappresentavano le retroguardia delle stazioni difensive di prima linea costituite dai centri di AURIATE e di BREDULO.
Verso il biennio 569-71 i Longobardi si valevano della Valle della Stura per spingersi a far saccheggi nelle Gallie: Una momentanea battuta d'arresto a questo loro espansionismo fu determinata dalla sconfitta che patirono a MUSTIAE CALMES alla confluenza dell'Ubayette nell'Ubaye.
Nel 571 i Longobardi avevano superato il Colle della Maddalena, seguendo cioè un tracciato viario analogo a quello di cui nel 572 si valsero i Sassoni
Sassoni per giungere a Estoublon donde si spinsero a saccheggiare Riez ed ulteriori centri. Questo percorso si individua analizzando sì la conformazione geografica della zona ma altresì analizzando quanto sancito da Gregorio di Tours (573) per agevolare il ritorno di queste genti alla sede di provenienza passando attraverso le Gallie,: “Fecerunt ex se duos, ut aiunt, cunios, et unus quidem per Niceam urbem, alius vero per Ebredunensim venit, illam re vera tenentes viam, quam anno superiore tenuerant; coniunctique sunt in Avennico terreturio”. Essi procedettero con probabilità su due colonne ed una di queste risalì il corso della Stura, presso Pratolungo, e, per la Valle di Sant'Anna, il Colle della Lombarda e la Tinea Varo, raggiungendo Nizza.
A tale centro pervennero anche, con le loro forze, vari duchi longobardi il cui arrivo è conosciuto in forza dell’episodio di Sant'Ospizio.
Precisare la data dell’evento non è sicuro la data, ma dovette verificarsi tra il 569-571 visto che Mario di Avenches scrisse che nel 569 i Longobardi in finitima loca Galliarum ingredi praesumpserunt, ubi multitudo captivorum gentis ipsius venundati sunt": lo stesso autore tramandò anche, più o meno direttamente, la notizia della morte del patrizio Celso annotando che Amato, “qui nuper Celsi successor extiterat”, venne ucciso quando a capo delle sue forze aveva cercato di ricacciare i Longobardi invasori.
Il fatto d’armi è verisimilmente da collocare al 570 dato che nel 571 i Burgundi, a servizio militare del nuovo patrizio Mammolo, ottennero sui Longobardi proprio la significativa vittoria di Mustiae Calmes.
Dopo che nel 572 e nel 573 si ebbe un’ulteriore incursione barbarica, dei Sassoni, ancora nel 574 tre duchi longobardi avanzarono decisamente per queste contrade in profondità ed Amo attraversando il territorio Embrun, raggiunse addirittura la villa di Macha sita nell’agro avignonese.
Egli saccheggiò con decisione anche il territorio di Aries fissando quindi una taglia di 22 libbre d'argento alla città di Aix.
L’altro duca Zaban attraverso Die piombò Valence sottoponendo la località ad un pesante assedio.
Il terzo duca longobardo Rodano pose il campo contro Grenoble che accerchiò in assedio, tuttavia ebbe sorte meno favorevole dei "colleghi" subendo una decisiva sconfitta sull'Isere ad opera del patrizio Mummolo sì che, gravemente ferito per via di un colpo di lancia, lasciò il luogo di battagli con poco più di 500 superstiti e si rifugiò presso Zaban, a Valence.
Dopo il ristabilimento di Rodano, i due duchi, con le forze congiunte, si mossero alla volta di Embrun, ma qui furono gravemente sconfitti da Mammolo, che invano avevano cercato di sfuggire, e dovettero ricoverarsi in Italia.
Esistono solo delle ipotesi sulla via della ritirata seguita dai longobardi.
Circa le vie seguite in questa circostanza sono possibili solo ipotesi e nemmeno del tutto confortate da osservazioni assolutamente serie: l’unica certezza è forse costituita dal fatto che la ritirata del duca Amo dovette procedere per il Colle della Lombarda visto che la Valle dell'Ubaye era quasi certamente bloccata dalle forze di Mummolo.
Dalla registrazione di queste invasioni, pressoché annualmente ripetute, si evince che i Longobardi, nonostante la sconfitta di Mustiae Calmes, godevano oramai del controllo del Colle della Maddalena se non del Monginevro e del Gran San Bernardo: la disfatta di Mustiae Calmes aveva quindi rappresentato un episodio, per quanto disastroso, ma non aveva potuto alterare né le strategie né le dinamiche di questi barbari.
Secondo quanto scrive il Pavoni la dislocazione arretrata dello difensive franco-burgunde, solo parzialmente sarebbe da collegare all'opportunità militare di mantenere compatta la massa delle loro forze onde spingerle, volta per volta, contro la principale direttrice d'attacco dei Longobardi.
L’anno 574 l'armata agli ordini di Mummolo era dislocata oltre l'Isere, superata non senza problemi nelle vicinanze di Grenoble posta sotto assedio: peraltro nel medesimo anno i duchi longobardi Taloardo e Nuccio raggiunsero il Vallese, risalendo fino a Bex, ove patirono una sconfitta rilevante.
Non è detto che in funzione di tutto ciò si sia verificata la caduta del castrum di Auriate: in maniera analoga a quanto avvenuto per Susa il centro, di rilevante peso strategico, poteva essere rimasto sotto controllo bizantino.
Senza dubbio i pochi soldati greci ivi di stanza non sarebbero stati in grado di bloccare il passaggio delle forze longobarde, però il fatto che a Susa si sia avuto un abboccamento fra il magister militum Sisinnio e il duca Zaban, davanti ai quali venne introdotto un falso messaggero di Mummolo, pare essere una testimonianza degli accordi che non raramente intercorrevano fra Bizantini e Longobardi.
Sisinnio non cercò affatto di interdire militarmente la marcia Longobardi in ritirata: piuttosto al fine di agevolare la loro dispersione si valse del ben orchestrato stratagemma del falso messaggero.
All’Impero non sconvenivano per nulla le incursioni longobarde nelle Gallie: da un lato infatti esse tenevano impegnati altrove i Longobardi stornando la loro pressioni dal sistema difensivo dei bizantini, sempre più logorato, dall’altro lato mantenevano viva l'ostilità fra Franchi e Longobardi.
A nessun diplomatico greco sfuggiva infatti che un’eventuale accordo tra questi due gruppi di barbari avrebbe costituito un evento calamitoso per l’Impero cui era già arduo mantenere le proprie posizioni a fronte dei soli Longobardi: alla politica imperiale semmai convenivano accordi coi Franchi al fine di valersi di questo forte popolo quale deterrente contro i nemici naturali di Ravenna, appunto i Longobardi ed in simile contesto sembra davvero sia stato un evento grave per l’Impero quella sanzione di pace intercorsa tra Franchi e Longobardi che determinò il passaggio a re Guntramo di Agusta et Siusio civitates cum integro illorum territurio et populo .
E’ plausibile che un mutamento di politica, susseguente a questa pace, abbia determinato la caduta del castrum di Auriate, cioè di una POSTAZIONE AVANZATA CONTRO I LONGOBARDI, nelle mani dei Longobardi .
Tale evento influì probabilmente sulla politica militare dei Bizantini che, difronte a siffatta situazione, dovettero rivistare l’ organizzazione del loro sistema strategico: non a caso il distretto di Bredulo, fra Gesso, Stura e Tanaro, risulta appoggiato sulla destra ai rilievi delle Langhe sì da indurre a credere che sia stato pensato e quindi portato a compimento quale un ulteriore sbarramento delle vie marittime dopo la crisi del castrum di Auriate: e tale fatto induce a pensare che la resistenza greca si dovesse concretare, da questa data, prioritariamente sulla destra della Stura.





Di Nino Lamboglia vedi in merito i contributi: Per la topografia di Albintimilium, in "Rivista di Studi Liguri", XI, 1945, pp.37-42; Un frammento di pluteo 'longobardo' nella zona di Albintimilium, in "Rivista Ingauna e Intemelia", XXVII, 1 -4,1972, pp.98-100.

Assieme a Susa, il centro di Ventimiglia costituiva il complesso urbano piu occidentale occupato dai Bizantini come scrive P.M. Conti nel suo lavoro L'ltalia bizantina nella "Descriptio orbis romani" di Giorgio Ciprio in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini, Scienze storiche e morali, XL, 1970, pp. 1-138. Un altro testo cartografico coevo, quello redatto dall'Anonimo Ravennate rappresenta quindi una Provincia Maritima Italorum, quae dicitur Lunensis et Vigintimilii et ceterarum civitatum (Ravennatis anonymi cosmographia et Guidonis geographica a c. di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860, ristampa anastatica, Aalen, 1962, p. 249).

Come scrive il documentato Pavoni "Il Comitato di Auriate (Valloriate, Roccavione o Caraglio) occupava il territorio compreso tra il Po, le Alpi, lo spartiacque Stura-Gesso, la Stura, il Tanaro fino a Pollenzo incluso e una linea che da qui tornava al Po, passando a sud di Savigliano, appartenente al Comitato di Torino".

Il Comitato di Bredulo (Breo o Breolungi) si estendeva a sud-est del primo, tra le Alpi, il Tanaro oppure il Tanaro-Corsaglia-Casotto e la Stura. Al pari del Comitato di Auriate anche questo reava la sua origine da organismi castrensi del tardo impero, se non già bizantini, che sin erano sovrapposti alle realtà amministrative dei decaduti municipi di Forum Germa[nici], di Pollentia, di Pedo e Augusta Bagiennorum. Sul territorio era peraltro ancora funzionale il percorso della via moneta che da Caburrum (Cavour) raggiungeva Pedo, passando per Barge, Envie, Busca e San Lorenzo di Caraglio donde una seconda si dirigeva verso Pollentia, passando per Centallo, Levaldigi, Genola, Savigliano, Marene e Roreto, oppure, secondo l'ipotesi del Coccoluto, per Centallo e Pilone Santa Lucia; più a nord un itinerario secondario metteva poi in relazione Pollentia con la via moneta Caburrum-Pedo, attraversando Savigliano e forse Saluzzo;.
Come scrive sempre il Pavoni "da Pedo, risalendo la Stura, si andava nelle Gallie; Pedo e la Valle Vermenagna erano collegate al Tanaro, a Carru, per la cascina Colombaro (presso Spinetta), Fulcheri e Morozzo; in questa via si innestavano gli itinerari alpini e quelli provenienti dai guadi della Stura, a Ronchi, Sant'Albano, Sarmatorium (Salmour) e Cervere; un'altra via scendeva a Pollentia lungo la riva sinistra del Tanaro, in corrispondenza dei guadi di Carrù, Piozzo, Lequio, Narzole e Manzano. Già nel V secolo sono attestati dalla Notitia Dignitatum contingenti di Sarmati al servizio dell'Impero, a Pollentia e a Sarmatorium. Fortificazioni tardo-antiche o bizantine sono state individuate a Morozzo. Di probabile origine bizantina è pure il toponimo Mombasiglio, al confine fra i Comitati di Bredulo e di Alba, lungo una via diretta al mare: G. Coccoluto, Il castello di Morozzo. Ipotesi sulle difese tardo romane nel Piemonte sud-occidentale, in "Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici cd Artistici della Provincia di Cuneo", 78, 1978, pp. 61-72

Sulle incursioni longobarde e sassoni nelle Gallie si veda l'ampia bibliografia prodotta dal Pavoni: M. G. H., Chronica minora soec. IV. V. Vl. Vll., II, Marii episcopi Aventicensis chronica a. CCCCLV-DLXXXI., Berlino 1894, pp. 238-239. Scriptores rerum Merovingicarum, tomi I pars 1. Gregorii episcopi Turonensis libri historiarum X, Hannover 1951, pp. 175-180, 272 e 273. Scriptorum rerum Merovingicarum tomus II, Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici libri IV. cum Continuationi1bus,, Hannover 1888, p. 111. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Pauli historia Langobardorum, Hannover 1878, pp. 93-97.

Mustiae Calmes secondo quanto scrive G. Barruol ( Les peuples pré-romains du Sud-Est de la Gaule. Etude de ge'ographie historique, Parigi 1975, pp. 350-352) potrebbe essere identificabile col centro di Eychalps presso Gleysolles.

R. Cesst, Studi sulle fonti dell'eta gotica e longobarda - II. "Prosperi continuatio Hauniensis", in Archivio Muratoriano, 22, 1922, pp. 585-641 (pp. 618 e 639).

Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici libri IV, p. 143.

H. Buttner, Die Alpenpolitik der Franken. im 6. und 7. Jahrhundert, in Historisches Jahrfouch, 79, 1960, pp. 62-88 ( pp. 7 1 -72).