Riproduz. da archivio Durante RITRATTO GIOVANILE DI C. DARWIN

SOMMARIO
LA VITA DI CHARLES DARWIN
CARATTERI GENERALI DEL DARWINISMO
L'APPARIZIONE SPONTANEA DI VARIAZIONI
DARWIN E MALTHUS
LA LOTTA PER L'ESISTENZA
LA SELEZIONE NATURALE
IL GRADUALISMO DI DARWIN
LA STESURA DELL'ORIGINE
[Dall'articolo La teoria evoluzionistica di Darwin di Giulia Minghetti Paolo Perna Giulia Savorelli]











LA VITA DI CHARLES DARWIN
CHARLES ROBER DARWIN nacque a Shrewsbury, Shropshire nel 1809; nipote di Erasmus, medico-ricercatore, conosciuto per aver scritto due “trattatelli” di biologia, fu sicuramente influenzato dalla famiglia nella scelta dei suoi studi e nell’interesse per la scienza che mostrò sin da bambino.
I biografi, fra i quali primeggia suo figlio Francis, lo mostrano infatti come un bambino normale, forse un po’ irrequieto, dedito all’osservazione minuziosa degli esseri viventi che lo circondano; a scuola non era fra i migliori, tanto che lo stesso Darwin si considerava “inferiore alla media”.
A sedici anni il padre decise di iscriverlo alla facoltà di medicina di Edimburgo: medico il nonno, medico il padre, anche Charles doveva fare il medico.
Ma la frequenza ai corsi di medicina fu di breve durata (1825-1827), forse a causa dell’avversione di Darwin verso il sangue o verso il dolore altrui.
Così, Charles, convintosi che “il padre gli avrebbe lasciato una fortuna bastante a vivere con agiatezza”, chiese al genitore di toglierlo dalla facoltà di medicina; a malincuore Robert Waring acconsentì, ma volle che il figlio si iscrivesse al Christ’s College di Cambridge, per farne un reverendo o un missionario.
Anche questa fu un’esperienza senza conclusione poiché, pur non essendo contrario alla religione <../Etica/Problematiche.htm>, Charles non ne sentiva la passione; tuttavia i tre anni passati a Cambridge furono certamente decisivi per il futuro di Darwin, dal momento che intraprendendo durante i suoi studi discussioni con il reverendo Henslow, professore di botanica, aumentò sempre più il suo interesse per l’osservazione diretta della natura.
Nel novembre del 1831, dopo aver conseguito la laurea in scienze naturali (filosofia), gli si offrì l’opportunità di partecipare al “suo viaggio intorno al mondo”, senza il quale non avrebbe forse avuto la possibilità di formulare la sua teoria.
In quel periodo aveva infatti attraccato al porto di Londra la nave Beagle, al comando del venticinquenne Robert Fitz-Roy, reduce da un lungo viaggio nei mari dell’America meridionale. Dal momento che dalla nave il Fitz-Roy sbarcò quattro indigeni Fuegini, prelevati dalla Terra del Fuoco, non essendo per nulla a conoscenza della campagna contro lo schiavismo sviluppatasi in quel periodo in tutto lo Stato, fu costretto a riportarli nella terra d’origine.
Il governo inglese pensava con quell’atto di acquistare simpatia verso le altre nazioni; era inoltre il caso, per dare alla spedizione un maggiore risalto di farvi partecipare un naturalista ben preparato, con il compito di raccogliere la maggiore quantità possibile di materiale biologico: ecco quindi che venne proposto a Darwin di imbarcarsi sul Beagle.
Per Charles, ormai decisamente orientato alle scienze naturali, esperto di zoologia, botanica e geologia, eccitato dalle letture dei grandi esploratori dell’epoca non poteva, ovviamente, esservi occasione migliore.
Il Beagle partì da Devenport il 27 dicembre del 1831, in una nebbiosa e fredda mattina; teneva a bordo un capitano autoritario, una ciurma ben addestrata, tre spauriti indigeni e un naturalista.
Il viaggio, che durò quattro anni, ebbe come mete le coste orientali dell’America del Sud, la Nuova Zelanda, alcune zone costiere dell’Australia e numerose isole del Pacifico, fra cui le Galapagos.
Questa sosta alle isole Galapagos, site a poca distanza dalle coste dell’Equador, quasi sull’equatore, costituì forse una fra le più importanti esperienze per Darwin e per lo sviluppo della sua teoria.
Se infatti le osservazioni fatte in precedenza avevano convinto Darwin sulla possibilità della successione delle forme animali e vegetali nel tempo, l’importanza dell’ambiente, come elemento atto a delineare e a isolare le specie, gli appare, alle Galapagos, ben chiara.
Il 2 ottobre 1836, a cinque anni dalla partenza, il Beagle ormeggiava finalmente in acque inglesi, e precisamente a Falmouth. Le stive erano piene di casse di materiale raccolto dal ricercatore; cospicuo era stato anche il materiale inviato man mano alla vecchia casa di Maer, ove biologi e geologi lo avevano già catalogato, almeno in parte.
"Vostro figlio" commentò al dottor Darwin sir Sedgwich, professore di geologia a Cambridge, osservando il materiale inviato con vari mezzi da Charles "prenderà posto fra i maggiori scienziati del mondo".
In seguito alla crociera sul Beagle Darwin pubblicò nel 1859 il suo libro più importante che aveva meditato fin dal 1837: L’origine delle specie.
Darwin morì nel 1882 a Down, Kent.




CARATTERI GENERALI DEL DARWINISMO
La teoria di Darwin sulle modalità dell’evoluzione può essere sintetizzata in questo modo:
a) esistono negli aspetti morfologici degli individui viventi possibilità di variazioni, la cui origine è tuttavia sconosciuta;
b) è dimostrata la tendenza degli organismi ad accrescersi numericamente secondo una proporzione geometrica;
c) tuttavia lo sviluppo delle varie specie risulta limitato;
d) vi è quindi una lotta-selezione per l’esistenza;
e) in questa lotta l’ambiente, pur incapace di produrre variazioni ereditarie isola, per selezione naturale, gli individui con varianti idonee, determinando, pertanto, con il succedersi delle generazioni, l’origine di una nuova specie;
f) la specie si forma in maniera graduale.




L’APPARIZIONE SPONTANEA DI VARIAZIONI
Darwin, durante il viaggio del Beagle, rimase profondamente impressionato dalla scoperta, avvenuta nella Pampa, di grandi animali fossili, ricoperti di corazze simili a quelle degli armadilli attuali; in secondo luogo dalla maniera in cui gli animali strettamente analoghi si sostituivano l’uno all’altro via via che si procedeva nell’interno verso sud; in terzo luogo, dal carattere sud-americano della maggior parte delle specie dell’arcipelago Galapagos, e, più particolarmente, dal fatto che esse presentavano leggere differenze in ciascuna isola del gruppo, mentre nessuna isola sembrava molto antica in senso geologico.
La deduzione di Darwin in merito a questi fatti fu che una spiegazione è possibile "solo supponendo che le specie si vadano modificando un poco per volta".
Ma come si realizza tale mutamento? Secondo quali modalità?
"Era evidente" scrive Darwin "che né l’azione dell’ambiente né la volontà degli organismi potevano spiegare i casi di adattamento all’ambiente".
Darwin si documentò quindi il più possibile sulle variazioni dei caratteri che erano, verosimilmente alla base della modificazione della specie.
Questa documentazione, oltre ad essere fatta con la lettura di libri o articoli relativi all’argomento, venne portata a termine nella fattoria di Darwin, dove per anni brulicarono piccioni, galli, cani, conigli, e le serre si riempirono di piante di varie specie; fu su questo eterogeneo materiale che Darwin diede corpo alla prima parte della sua teoria, studiando, con molta accuratezza il fenomeno della variazione.
Allora non si faceva distinzione fra variazioni non ereditarie o somazioni o fluttuazioni e variazioni ereditarie o mutazioni.
Si sapeva solo che in una popolazione i caratteri variano secondo leggi indeterminate e alcune di queste variazioni possono essere trasmesse ai discendenti.
Perciò secondo Darwin, la base del meccanismo evolutivo consiste nell’apparizione, in gruppi di individui di piccole variazioni, nella loro possibilità di sommarsi ed essere trasmesse ai discendenti; circa le cause di tali variazioni Darwin non si pronuncia.




DARWIN E MALTHUS
"Nell’Ottobre 1838, quindici mesi dopo che avevo iniziato la mia ricerca sistematica, mi successe di leggere per diletto il saggio di MALTHUS sulla popolazione, ed essendo ben pronto ad apprezzare la lotta per l’esistenza che va avanti da molto tempo, con continue osservazioni sugli animali e sulle piante, mi stupì molto che in certe circostanze le variazioni favorevoli tendessero ad essere mantenute e le sfavorevoli ad essere eliminate. Il risultato di questo era una nuova specie. Allora ebbi una teoria sulla quale lavorare". (Charles Darwin, dalla sua autobiografia, 1876).
Questo passaggio rivela il contributo che Malthus diede a Darwin nel formulare la sua teoria sulla selezione naturale.
Quello che colpì Darwin nel Saggio sul principio della popolazione (1798) era l’osservazione che in natura le piante e gli animali producono più discendenza di quella che può sopravvivere e che anche l’uomo è capace di produrne troppa se lasciato incontrollato.
Malthus concluse che a meno che la dimensione delle famiglie non fosse stata regolata, la miseria provocata dalle carestie sarebbe diventata enorme ed eventualmente avrebbe distrutto l’uomo.
L’affermazione di Malthus che la povertà e le carestie fossero il risultato naturale della crescita della popolazione e delle risorse non era ben accettata tra i riformatori sociali che credevano di potere eliminare tutte le malattie dell’uomo con strutture sociali adeguate.
Anche se Malthus considerava che le carestie e la povertà fossero dovute agli eventi naturali, la causa prima di questi risultati era un’istituzione divina.
Credeva infatti che entrambi i problemi fossero un modo di Dio per evitare la pigrizia umana.
Sia Darwin che Wallace indipendentemente arrivarono a teorie simili sulla selezione naturale dopo avere letto Malthus.
Al contrario di quest’ultimo, esprimevano i loro principi in termini esclusivamente naturali sia per i risultati che per la causa prima.
Facendo ciò estendevano la teoria di Malthus al di là di quanto potesse farlo lui.
Capirono che produrre più discendenza di quanta ne può sopravvivere crea una competizione tra individui strettamente imparentati e che inoltre la variazione tra questi ne produrrà necessariamente alcuni con più possibilità di sopravvivenza.
Malthus era un economista che si interessò di ciò che chiamò "il declino delle condizioni di vita nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo".
Giustificava questo declino in base a tre elementi: la sovrapproduzione di giovani; l’insufficienza delle risorse in relazione alla popolazione umana in crescita; l’irresponsabilità della classe sociale bassa.
Per combattere questo Malthus suggerì che la grandezza di una famiglia della classe bassa dovesse essere regolata in modo che le famiglie povere non avessero più figli di quanti non ne potessero mantenere.
Darwin fu influenzato da questo pensiero di Malthus tanto che ne fece uno dei punti più importanti della sua teoria.
Darwin però non sapeva quale amara satira facesse sugli uomini, e in particolare sui suoi compatrioti quando dimostrava che la libera concorrenza, la lotta per l’esistenza, che gli economisti esaltano come il più alto prodotto storico, sono lo stato normale del regno animale.
Nel 1862 Marx scrisse a Engels: "Darwin, che ho riletto, mi diverte quando dice di applicare la teoria maltusiana anche alle piante e agli animali, come se i limiti del signor Malthus fossero rintracciabili nel fatto che egli non applica la sua teoria a piante o animali, ma solo a esseri umani".
Anche Engels rifiutava la rozza descrizione e il gergo di Darwin e commentava: "...l’errore di Darwin consiste nel fatto che egli nella selezione naturale o sopravvivenza del più adatto, mescola due cose assolutamente diverse:
1. Selezione per la pressione della sovrappopolazione, nel qual caso forse sopravvivono in primo luogo i più forti; tuttavia anche quelli che sotto certi aspetti sono più deboli possono farlo.
2. Selezione per la maggior capacità d’adattamento a circostanze modificate, nel qual caso i sopravviventi sono più adatti a queste circostanze, ma tale adattamento da un punto di vista complessivo, può rappresentare tanto un progresso quanto un regresso
.
Chiaramente esiste in natura una lotta per la sopravvivenza laddove esista scarsità o pericolo per i membri di una specie da parte dei predatori.
Per quanto grosso possa essere il granchio preso da Darwin nell’accettare ingenuamente , senza averla esaminata, la dottrina di Malthus, ognuno percepisce a prima vista la lotta per l’esistenza nella natura, la contraddizione cioè tra l’innumerevole quantità di germi che la natura produce a profusione e il ristretto numero di essi che in generale può arrivare a maturità, afferma Engels, una contraddizione che si risolve in effetti, per la massima parte, in una lotta, a volte straordinariamente crudele, per l’esistenza.
Molte specie producono un gran numero di semi o uova per moltiplicare le loro possibilità di sopravvivenza particolarmente nei primi anni di vita.
D’altra parte, la specie umana è sopravvissuta ricorrendo ad un altro metodo; il suo sviluppo è molto lento e una grande quantità di energia e di sforzi viene profusa per crescere un numero ristretto di figli, che impiegano lunghi anni per raggiungere la piena maturità.




LA LOTTA PER L’ESISTENZA
Dal momento che in condizioni favorevoli tutti gli esseri viventi tendono a moltiplicarsi in modo estremamente rapido secondo il principio dell’aumento in progressione geometrica, per evitare che nascano più individui di quanti ne possano realmente sopravvivere, ci deve essere necessariamente un qualcosa che svolge un’azione frenante di fronte ad una tale e diffusa tendenza: Malthus prima di tutti identificò questo "qualcosa" con la "lotta per l’esistenza" che si può osservare tra gli individui della stessa specie, tra quelli di specie diverse e tra gli individui e le condizioni di vita.
Esposta da Malthus, questa teoria venne poi approfondita, verificata e appoggiata dallo stesso Darwin in seguito a diverse osservazioni compiute all’interno sia del regno animale che di quello vegetale.
Sebbene fossero ancora oscure, Darwin cercò ad esempio di individuare le cause che ostacolano la tendenza naturale di ciascuna specie all’aumento: tra queste vi è innanzitutto la quantità di nutrimento che determina per ogni specie il limite massimo del suo sviluppo.
Solitamente però non è tanto la difficoltà di trovare il cibo ciò che determina il numero medio di individui di una specie, ma più che altro il fatto di essere preda di altri animali: a questo scopo Darwin fece notare che se per alcuni anni non fossero stati uccisi né alcun capo di selvaggina né i suoi predatori, probabilmente la selvaggina sarebbe diventata ancora più rara di quanto non lo fosse stata già ai suoi tempi.
Un’altra causa che, come la quantità di cibo e l’essere preda degli altri animali esercita un forte influsso sulla determinazione del numero medio degli individui di una specie è il clima, e in particolare la ricorrenza periodica di stagioni o molto fredde o molto secche.
Sebbene l’azione del clima possa sembrare indipendente dalla lotta per l’esistenza, in realtà questi due fattori sono in stretta correlazione: se ad esempio si verifica una brusca variazione di temperatura che causa un’immediata distruzione di cibo, ci sarà allora una lotta accanita tra i diversi individui che si nutrono di quegli stessi alimenti.
Un altro fattore che limita la crescita smisurata di una specie è l'esistenza di "nemici" con i quali ogni singolo individuo deve continuamente lottare: come Darwin verificò, infatti, se ad esempio si lascia crescere l’erba in un prato si vedrà che gradualmente le piante più vigorose distruggono le più deboli, anche se queste sono pienamente sviluppate.
Darwin capì allora che per la conservazione di una specie è fondamentale che essa sia costituita da un numero di individui maggiore di quello dei suoi nemici.
Per ultimo, il manifestarsi di epidemie quando una specie, grazie a circostanze favorevoli, si moltiplica in modo eccessivo in una zona ristretta, è un ulteriore fattore limitativo indipendente però dalla lotta per l’esistenza.
Si può affermare quindi che per ogni specie, a impedirne una crescita eccessiva, entrano in gioco molte cause, che possono agire in diversi periodi della vita, in diverse stagioni, o addirittura nel corso degli anni; alcune di queste cause si rivelano più efficaci di altre, ma in ogni modo tutte concorrono a determinare il numero medio degli individui di una specie e persino l’esistenza della specie stessa.
Nella lotta per l’esistenza possono essere collegati tra loro da una rete di rapporti complessi anche piante e animali lontanissimi gli uni dagli altri nella scala della natura.
Un esempio è fornito dai bombi: se tutto il genere di questi insetti -dice Darwin- dovesse estinguersi o diventare molto raro in Inghilterra, anche la viola del pensiero e il trifoglio violetto probabilmente sparirebbero completamente in quanto i bombi sono gli unici insetti che si fermano su questi fiori e che poi quindi ne trasportano il polline.
Come vi è una stretta relazione tra i bombi e questi due tipi di piante, così c’è una correlazione anche tra il numero di bombi e il numero dei topi che ne distruggono i nidi e venne notato, a tale proposito, che i nidi dei bombi erano più numerosi nei pressi delle città, dove i gatti erano più numerosi e quindi i topi avevano meno possibilità di sopravvivere.
E’ incredibile quindi come la presenza di un gran numero di felini in una determinata regione possa determinare la frequenza di piante, mediante l’intervento prima dei topi e poi dei bombi.
Ma poiché le specie che appartengono allo stesso genere hanno generalmente abitudini e organizzazioni molto simili e presentano sempre somiglianze strutturali, la lotta sarà comunque più aspra tra loro, quando si trovano in competizione l’una con l’altra, piuttosto che tra specie di genere distinti.




LA SELEZIONE NATURALE
"In quale modo agisce sulla variazione, la lotta per l’esistenza?" Così si apre il IV capitolo dell’Origine delle specie, con una domanda a cui Darwin si sforzò di rispondere nel modo migliore possibile, dimostrando una grande superiorità rispetto ai suoi precursori, che pur avendo avuto alcune brillanti intuizioni non ebbero il suo stesso merito, cioè quello di aver posto le basi della teoria dell’evoluzione per selezione naturale.
Dopo essere approdato alle conclusioni, precedentemente trattate, sulla lotta per l’esistenza, Darwin si pose alcuni importanti interrogativi: in che modo, ad esempio può avvenire che alcuni individui soccombano ed altri no? Perché alcune specie scompaiono mentre altre continuano ad esistere? Non si può rispondere a queste domande se non alla luce della selezione naturale, che rappresenta il nucleo, la grande evoluzione della teoria darwiniana.
E per dare una "definizione" di selezione naturale o di "sopravvivenza del più adatto", così anche viene chiamata, è forse meglio riportare ciò che scrive lo stesso Darwin nel III capitolo:
"Le variazioni, per lievi che esse siano e da qualsiasi causa provengano, purché siano utili in qualche modo agli individui di una specie nei loro rapporti infinitamente complessi con gli altri organismi e con le condizioni fisiche della vita, tendono alla conservazione di questi individui, e a trasmettersi ai loro discendenti. Anche questi ultimi avranno così maggiori probabilità di sopravvivere, perché, fra i molti individui che nascono periodicamente da ogni specie, soltanto un piccolo numero può sopravvivere.
Questo principio per il quale ogni lieve variazione, se utile, si mantiene, è stato da me denominato selezione naturale, per indicare la sua analogia con la selezione operata dall’uomo.
Ma l’espressione sopravvivenza del più adatto, spesso usata da Herbert Spencer, è più idonea, e talvolta ugualmente conveniente
".
E subito dopo Darwin ci invita a considerare la selezione come un processo non che produce variabilità, ma che "comporta soltanto la conservazione delle variazioni non appena compaiano e siano vantaggiose all’individuo nelle sue particolari condizioni di vita".
Si può forse comprendere meglio questo fenomeno prendendo in considerazione il caso di una regione che subisca un cambiamento di clima: poiché abbiamo già visto come sono stretti e complessi i legami che esistono tra tutti gli abitanti di una determinata zona, ogni cambiamento nelle proporzioni numeriche dei suoi abitanti, influisce seriamente sulla maggior parte degli altri.
Se questa regione fosse aperta nei suoi confini, l’immigrazione di nuove forme turberebbe ulteriormente le relazioni degli abitanti originari del luogo.
Ma se al contrario fosse isolata, come nel caso di un paese in parte circondato da barriere, vi sarebbero dei nuovi posti che potrebbero essere occupati se alcuni tra gli abitanti originari fossero lievemente modificati (e che nel caso di una regione aperta sarebbero occupati da abitanti estranei).
Così facendo, ogni lieve modificazione favorevole all’individuo, tende a conservarsi per meglio adattarlo alle sue diverse condizioni di vita e la selezione naturale "ha libero campo per la sua opera di perfezionamento.
Alla variazione, che per Darwin sorge spontanea, subentra l’azione dell’ambiente, un’azione di selezione che agisce sulle varianti, formatesi occasionalmente, isolando i gruppi di individui con varianti utili e facendo scomparire quelli che ne sono privi.
L’isolamento geografico, in questo caso, è molto importante perché dà alle nuove varietà il tempo di migliorarsi con un ritmo abbastanza lento.
Se tuttavia l’aria isolata è piccola e quindi il numero totale dei suoi abitanti è limitato, diminuendo la probabilità che compaiano variazioni favorevoli, diminuisce anche la produzione di nuove specie mediante la selezione naturale.
Sebbene Darwin riconoscesse la grande importanza dell’isolamento nella produzione di nuove specie, egli sosteneva che ancora più importante a questo scopo fosse l’ampiezza di una regione: un’area estesa, infatti, oltre a fornire maggiori possibilità di variazioni favorevoli grazie al gran numero di individui che vi abitano, offre anche condizioni di vita più complesse per via delle varie e numerose specie che via hanno luogo e se una di queste specie col tempo si migliora, allora anche le altre devono migliorare per non essere distrutte.
Infatti se le forme favorite aumentano di numero, generalmente, quelle meno favorite diminuiscono diventando più rare: ma se una specie è rara vuol dire che può modificarsi e migliorare non rapidamente e che quindi sarà sconfitta nella lotta per la vita dai discendenti a loro volta modificati e migliorati dalla selezione naturale.
Darwin parla anche di divergenza dei caratteri sostenendo che "quanto più i discendenti di una qualsiasi specie si differenziano per struttura, costituzione e abitudini, tanto meglio saranno in grado di occupare nell’economia della natura numerosi posti molto diversi, e così saranno in grado di aumentare di numero".
In questo modo le piccole differenze che distinguono le varietà della stessa specie tendono ad aumentare e quando le varietà stesse sono diventate ben distinte l’una dall’altra, possono assumere la nuova denominazione di "specie".
In molti animali la selezione naturale è stata "aiutata", secondo Darwin dalla selezione sessuale, un particolare tipo di selezione che dipende non dalla lotta per l’esistenza contro altri esseri viventi, ma dalla lotta degli individui di un sesso per il possesso dell’altro.
In questa lotta la vittoria è legata sia al vigore del maschio, sia al fatto di possedere alcune "armi speciali", come le corna per il cervo; la selezione sessuale assicura ai maschi più vigorosi e più adatti al posto che è stato assegnato loro nella scala della natura un maggior numero di discendenti.
Se maschi e femmine, simili per abitudini di vita, presentano delle differenze nel colore, negli ornamenti, etc. si può allora presumere che tali differenze siano dovute principalmente alla selezione sessuale, che ha favorito quei maschi che presentavano un qualche vantaggio sugli altri maschi, trasmettendo ai lori discendenti di sesso maschile le "armi vincenti.
Per concludere.
"La selezione naturale agisce esclusivamente per mezzo della conservazione ed accumulazione delle variazioni che sono utili nelle condizioni organiche e inorganiche alle quali ciascuna creatura è esposta in tutti i periodi della vita.
Il risultato ultimo è che ciascuna creatura tende a divenire sempre più migliorata in relazione alle sue condizioni.
Questo miglioramento inevitabilmente conduce ad un graduale progresso delle organizzazione del più grande numero di esseri viventi nel mondo
".
Ci si può chiedere a questo punto come mai esista ancora un’ampia gamma di forme inferiori meno sviluppate di altre, se tutti gli esseri viventi tendono a "elevarsi" nella scala naturale.
Darwin risponde a questo quesito di nuovo con la sua teoria:
"La selezione naturale non include necessariamente uno sviluppo progressivo, essa unicamente si avvantaggia delle variazioni che sorgono e che sono utili a ciascuna creatura nelle sue complesse relazioni di vita".
Perciò, se esistono ancora molte forme di bassa organizzazione, questo può dipendere da cause diverse: può essere ad esempio che non siano sorte variazioni favorevoli e che quindi la selezione naturale non abbia avuto modo di agire per accumularle; o magari non c’è stato tempo sufficiente per realizzare il massimo sviluppo.
Va sottolineato però che la causa principale sta nel fatto che in condizioni molto semplici di vita, un’organizzazione complessa non sarebbe di nessuna utilità, ma anzi sarebbe probabilmente svantaggiosa perché di natura più soggetta ad essere danneggiata.



IL GRADUALISMO DI DARWIN
Gli evoluzionisti moderni vogliono dimostrare che non si verificano salti in natura, come non si verificano nella storia.
La dialettica invece sa molto bene che in natura e anche nel pensiero umano e nella storia i salti sono inevitabili.
Ma allo stesso tempo essa non trascura il fatto innegabile che lo stesso processo ininterrotto è all’opera in tutte le fasi del cambiamento; la dialettica cerca solo di chiarire le condizioni determinate in cui un cambiamento graduale deve necessariamente portare ad un balzo.
Darwin concepiva l’andamento dell’evoluzione come un processo graduale di fasi ordinate, che procedeva a ritmo costante.
Egli aveva fatto proprio il motto di Linneo: Natura non facit saltus ("la natura non fa balzi").
Questa concezione trovava riscontro altrove nel mondo scientifico e Darwin era così vincolato al gradualismo che costruì la sua teoria interamente in base ad esso.
"Le testimonianze geologiche sono estremamente incomplete dichiarò Darwin "e questo fatto spiega in gran parte perché non troviamo varietà infinite che colleghino insieme tutte le forme di vita estinte ed esistenti, fino al più piccolo dettaglio.
Chi rifiuta questo punto di vista sulla natura delle testimonianze geologiche giustamente rifiuterà tutta la mia teoria
".
Per tutta la vita Darwin si impegnò a ricostruire un’evoluzione graduale di fenomeni che a prima vista sembravano chiaramente il prodotto di origini improvvise.
Il gradualismo di Darwin traeva origine dalla visione filosofica posta alla base della società vittoriana.
Da questa particolare concezione di "evoluzione" sono eliminati tutti i balzi, i bruschi cambiamenti e le trasformazioni rivoluzionarie; si tratta di una prospettiva antidialettica che ha esercitato la sua nefasta influenza sulle scienze fino ai giorni nostri.
"Un influsso profondamente radicato nel pensiero occidentale ci predispone a ricercare la continuità e il cambiamento graduale" dice Gould.
Ad ogni modo, queste idee hanno dato origine a un’animata controversia.
Il quadro attuale delle testimonianze fossili conosciute è pieno di spazi vuoti: da un lato i reperti fossili ci rivelano l’esistenza di tendenze di lungo periodo, ma allo stesso tempo mostrano anche notevoli discontinuità.
Darwin credeva che questi sbalzi fossero dovuti all’incompletezza dei dati; non appena fossero stati scoperti i pezzi mancanti, essi avrebbero rivelato un’evoluzione del mondo naturale tranquilla e graduale.
Ma Gould ed Eldrege hanno elaborato la teoria dell’equilibrio punteggiato per sostenere i salti che la natura è in grado di fare al contrario delle idee sostenute da Darwin.
Gould afferma comunque che la teoria dell’equilibrio punteggiato non è in contraddizione con il principio fondamentale della teoria Darwin, la selezione naturale, ma al contrario arricchisce e rafforza il darwinismo.
Richard Dawkins vede poche differenze tra il vero gradualismo darwiniano e l’equilibrio punteggiato.
Dichiara: "...la teoria dell’equilibrio punteggiato è una teoria gradualista anche se evidenzia lunghi periodi di stasi intercalati da esplosioni relativamente brevi di evoluzione gradualistica. Gould è stato sviato dalla propria enfasi retorica" e conclude che, "in realtà tutti sono gradualisti".
Dawkins critica i sostenitori dell’equilibrio punteggiato per aver, a torto, attaccato e travisato Darwin.
Egli dice che è necessario considerare il gradualismo di Darwin nel suo contesto: come un attacco al creazionismo.
"I sostenitori dell’equilibrio punteggiato, allora sono gradualisti allo stesso modo di Darwin e di ogni altro darwinista; si limitano ad inserire lunghi periodi di stasi tra scatti di evoluzione graduale".
Ma questa appunto, non è una differenza secondaria, è il nocciolo della questione.
Criticare la debolezza del darwinismo non significa necessariamente sminuire il suo impareggiabile contributo, ma piuttosto fonderlo con una comprensione del cambiamento reale.
Solo in base a ciò il contributo storico di Darwin può essere dispiegato in tutte le sue potenzialità, come spiegazione dell’evoluzione naturale.
Come afferma Gould: " La moderna teoria dell’evoluzione non richiede cambiamenti graduali. Infatti, l’operazione dei processi darwiniani dovrebbe rendere ciò che vediamo nei reperti fossili. È il gradualismo che dobbiamo rifiutare, non il darwinismo".




LA STESURA DELL’ORIGINE
L’Origine delle specie fu pubblicata nel 1859, anche se la visione completa della teoria era stata acquisita da Darwin molto prima.
Questo libro ebbe sin dall’inizio un grande successo, cosa difficile da credere essendo, soprattutto nella seconda metà, un libro di non facile lettura; l’origine di tale successo va trovata innanzi tutto nella popolarità del nome di Darwin, già conosciuto per il Viaggio intorno al mondo e all’ambiente culturale dell’Inghilterra vittoriana, alquanto maturo per accettare teorie "progressiste".
Tuttavia, come sospettava Darwin, si accese intorno all’Origine delle specie una vivace polemica , poiché la scienza ufficiale era ancor ancorata al più duro fissismo.
Accettare l’evoluzione significava, infatti, giungere direttamente al più grosso e al più importante de punti interrogativi: e la specie Homo sapiens da dove deriva? Veniva da sé pensare alle specie più evolute di primati vicini all’uomo, e quindi alle scimmie antropomorfe.
Come conciliare questa possibilità di interpretare la presenza dell’uomo sulla Terra con la certezza della sua origine divina, per atto creativo, così come asseriva la Bibbia? Su ciò Darwin aveva scritto una sola frase: "Si farà luce anche sull’origine dell’uomo e della sua storia".
Egli aveva trattato dell’origine della specie senza riferirsi ad alcuna specie in particolare; infatti non avrebbe potuto dire di più perché solo da poco era stato scoperto il primo resto fossile umano, cioè la calotta di Neandertal.
Tuttavia si accesero diverse discussioni sul suo lavoro, alla quali Darwin non partecipò mai, intento a revisionare la sua opera e a raccogliere materiale per altre pubblicazioni scientifiche.
BIBLIOGRAFIA DI CARLO DATRWIN
· L’origine delle specie, Charles Darwin, Torino, Boringhieri, 1967
· Storia dell’evoluzione biologica, Paolo Tofini, Milano, Edizioni Avanti!, 1960
· Darwin, Marcel Prenant, Torino, Artigrafic, 1949
· Darwin e la Beagle, Alan Moorehead, Milano, Ed.Rizzoli, 1972
· Il modello biologico, Ernst Mayr, Milano, McGray-Hill, 1998" [La teoria evoluzionistica di Darwin di Giulia Minghetti Paolo Perna Giulia Savorelli]