cultura barocca
Bernardo d'Aosta, santo più comunemente conosciuto come "Bernardo di Mentone" tra realtà ricostruibili e agiografie di lotte contro il male demoniaco e draghiforme Un aspetto iconografico legato ad una antica quanto durevole tradizione popolareggiante in merito a S. Bernardo da Mentone = il demone incatenato a guisa qui di drago simboleggiante il mai domo timore di ritorni dell'idolatria sotto qualsiasi forma = più estesamente la supposta magia tempestaria contro uomini, animali, colture ed i provvedimenti contro i parimenti ipotizzati malefici di stregoneria tempestaria = vedi i Santi preposti, da S. Bernardo di Mentone od Aosta, S. Martino, S, Marta ecc. per giungere a Santa Notburga di Eben nelle cui terre e alle cui reliquie andò in visita Angelico Aprosio "il Ventimiglia" ai tempi del suo soggiorno veneziano attesa la fama della Santa di preservare dai malefizi sia gli uomini che gli animali e le colture evitando il dramma della carestia causa di tanti drammi non esclusa la manifestazione di inarrestabili malattie e pandemie

San Bernardo di Mentone, noto anche come San Bernardo di Aosta (datato tra mille interrogativi per luogo e data di nascita e morte = Menthon-Saint-Bernard, 1020 – Novara, 1081), è stato un religioso italiano: sulla sua figura ed opera sarebbe quindi caduto un certo oblio per la comparsa e l'eccezionale culto in epoca posteriore di S. Bernardo di Chiaravalle come leggesi nel "Leggendario" di Jacopo da Varagine volgarizzato dal Manerbi (Manerbio): al punto che risultano confuse, come si è accennato, le stesse date di nascita e di morte quanto il luogo di nascita = alcuni studiosi lo farebbero infatti originario di Aosta ( dove avrebbe ricoperto le cariche di canonico e Arcidiacono della Cattedrale) e non di Mentone sul lago di Annecy in Alta Savoia.
La Chiesa cattolica considera Bernardo di Aosta santo alias Bernardo di Mentone qual santo e la memoria liturgica è il 15 giugno. La vita di questo santo non risulta, come appena evidenziato, ben accertata e il qui proposto Raffaele Volpini nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967) ne ha ampiamente trattato sottolineando anche come una impropria agiografia - fiorita ed enfatizzata e comunque assai recepita a livello popolare sì da alterne i connotati in campo fantasioso.
Testimone e difensore, per credenza popolre ma non solo, dai pericoli che riservavano i colli delle Alpi era ritenuto il santo che avrebbe cacciato i tanti demoni dalle Alpi di modo che la sua iconografia prese a raffigurare sempre un diavolo, non di rado effigiato in guisa di drago incatenato alla sua stola [ in chiave cultuale non si può ignorare Aurelio Garobbio, uno dei principali studiosi dell’universo immaginario dell’arco alpino, che, nell'opera Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni (Rocca San Casciano, Cappelli, 1969, pg. 148) emblematicamente sul tema ha scritto "draghi e serpi compaiono insieme all'uomo, stanno legati all'uomo come il male sta accanto al bene e l'amore all'odio": e del resto il drago come nel caso del Cenischia presso Novalesa ha sempre rappresentato le forze oscure del male in agguato contro uomini ma anche animali per rapirne anime e corpi = e chiaramente a prescindere dal timore dell'equazione "saraceni=demoni" la tradizione popolare trasse spunto - sulla scorta di una certa sublimazione predicatoriae religiosa - da queste arcane postulazioni per fare di Bernardo un difensore contro il male in generale e persino contro la rinascita di forze malefiche di matrice paganeggiante identificabili "Demoni, Larvae, Lemures, Manes e persino Matres e Fatae.

Per quanto tutto ciò abbia oggi dell'inverosimile tali credenze nelle forze malefiche e sui mostri sia naturali che esotici che -in alcuni casi- demoniaci non rimasero neppure estranee alle investigazioni (vedi immagine) dei naturalisti come l'Aldrovandi in qualche maniera legato anche alla figura di A. Aprosio e le cui vestigia, in simbolo ed auspicabilmente ma difficilmente in corpo reale, in guisa di coccodrilli, alligatori e specie caimani ma anche vampiri dopo la scoperta delle stranezze delle Americhe e del "Nuovo Mondo" divennero uno dei pregi basilari delle Wunderkammer come si vede qui in quella del napoletano Ferrante Imperato.
Prescindendo da queste riflessioni è da rammentare che sull'asse diavolo - drago - creature ostili ed oscure si vede l'evoluzione dei ricordi di un paganesimo e di un'idolatria già combattuti dal giudizio ecclesiastico ma recentemente riproposti dagli arabi del Frassineto per le contrade che dal mare portavano ai passi alpini e che in paricolare, pur giungendo a saccheggiare Novalesa (le parti evidenziate sulla carta antica sono attive), rimasero quali "demoni" nella consapevolezza generale soprattutto per la distruzione della celebre Abbazia di Pedona (tutta le voci evidenziate sono attive), prima che fossero dispersi dalla Chiesa e dalla Cristianità, con la conseguente consacrazione del tragitto Ventimiglia - Novalesa ad opera di un vescovo di Ventimiglia.
Cose che, pur diversamente, si recuperarono molto dopo, in ben altro contesto, per effigiare, il Mostro draghiforme dei Riformati simboleggiante l'Eresia avverso i Riformati ed addrittura riprese ancora, per altre ragioni nuovamente, dalla cronaca settecentesca come nel caso di questa narrazione una creatura mostruosa e parimenti draghiforme nata in Valacchia son da apportare ulteriori, seppur vaghe notizie su questo Santo.

Bernardo, stando a distinte relazioni, avrebbe fatto edificare nel 1050 sui valichi dei due più alti collegamenti montani gli ospizi del colle del Gran San Bernardo, tra la valle d'Aosta e il Vallese, e del colle del Piccolo San Bernardo, tra la Valle d'Aosta e la Terrasanta.
Questi ospizi secondo la strutturazione ben nota avrebbero svolto una funzione assistenziale a pro dei viaggiatori e pellegrini che attraversavano le Alpi.
Bernardo nei due ospizi avrebbe organizzato l'opera di canonici regolari che seguivano la regola di sant'Agostino venendo quindi a costituire l'origine della congregazione ospedaliera dei Canonici del Gran san Bernardo, aiutati nelle loro ricerche da cani addestrati appositamente o cani di san Bernardo, una razza particolarmente ben adattata alla montagna.
San Bernardo sarebbe morto a Novara nel 1081 durante un viaggio venendo ivi sepolto anche se parte delle sue ossa si custodirebbero nel Duomo di Novara all'interno di due reliquiari e di un busto del santo.
[Ma per approfondire quanto qui redatto vedi l'articolo sapiente di R. Volpini qui proposto]


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Nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967) Raffaele Volpini abbandona questa linea agiografica -destinata però ad influenzare profondamente la fede nel Santo- delineando sulla base dei documenti da lui studiati una visione più terrena e meno fantastica scrivendo : "Bernardo d'Aosta, santo più comunemente conosciuto come "B. di Mentone" per le origini nobiliari falsamente attribuitegli dalla tarda leggenda, è invece nelle fonti liturgiche (secc. XIIIXIV) indicato come "Bernardus Montis Iovis", con riferimento alla località, oggi legata al suo nome, in cui sorse il celebre ospizio (Gran San Bernardo), od anche, più tardi, "B. di Novara", dalla città che, per avere conservato il suo sepolcro, si è trovata al centro del culto del santo. Le testimonianze più antiche, tuttavia, offrono unicamente la menzione dell'ufficio ecclesiastico, da lui ricoperto, di arcidiacono di Aosta.
Le notizie biografiche, già estremamente scarse, sono state poi rese più confuse dalle complicazioni di una sprovveduta ma anche fortunata falsificazione agiografica. Il compilatore, che visse agli inizi del sec. XV, si attribuisce il nome di Riccardo di Valdisère e si dichiara compagno e poi successore di B. nell'arcidiaconato di Aosta e, pertanto, testimone dei fatti che narra. Approfittando del vuoto di notizie storiche, pressoché completo, poté ricostruire ex novo la biografia del santo, non solo accogliendo ed amplificando gli svolgimenti di una già ricca tradizione popolare, ma piegando anche quelle risultanze a uno scoperto intento encomiastico nei confronti di alcune nobili famiglie della Savoia, a cui venivano assicurate lontane ascendenze carolinge. Ne derivano, in un contesto di bizzarre divagazioni mitologiche, che si riallacciano alla preistoria pagana del Gran San Bernardo, tutti i dati fino al principio di questo secolo pacificamente acquisiti al profilo biografico di B. e, in particolare, con l'assegnazione del santo alla famiglia baronale di Mentone, le delimitazioni cronologiche della Vita (anno 923 per la nascita e 1008 per la morte). Una traccia della fortuna recente di questa falsificazione è riscontrabile nelle correzioni apportate proprio nell'ultima revisione del Martirologio romano, nel 1922, al lemma relativo a B., spostato dal 15 giugno al 29 maggio, in conformità della leggenda pseudoriccardiana (Martyrologium Romanum…, iuxta primam a typica editionem anno MDCCCCXXII a Benedicto XV adoprobatam, in Civitate Vaticana 1956, p. 129; ma, per questa revisione, cfr. H. Quentin, La correction du Martyrologe romain, in Analecta Bollandiana, XLII [1924], pp. 387-406).
Ed alla fortuna dello "pseudo-Riccardo" è imputabile l'oblio per l'unica fonte utile, edita solo nel 1903.
Costantemente accolta nei libri liturgici in tutto l'ambito del culto di B., fino alla comparsa della leggenda riccardiana, la Vita beati Bernardi ,che pure appare compilata non molto dopo la morte del santo ed è certamente da attribuirsi ad un chierico di Novara, forse un monaco della chiesa stessa di S. Lorenzo, dove B. fu sepolto, risulta estremamente povera di riferimenti storici.
Questo riscontro e il tono discorsivo dei racconto hanno suggerito agli storici recenti di B. (Donnet, Quaglia) l'ipotesi, peraltro insostenibile, che si tratti di un sermone pronunciato in uno dei primi anniversari. Ma la motivazione della povertà storica del presunto panegirico, che procede oltretutto in perfetta aderenza allo schema agiografico medievale, ripetuto casomai anche troppo convenzionalmente (per la destinazione scritta, v. tra l'altro le dichiarazioni del prologo, in Vita beati Bernardi, a c. di A. Donnet, 2 ed., p. 169), deve essere ricercata piuttosto nella origine novarese del testo, che rende conto della scarsa informazione del biografo e spiega la sua attenzione esclusiva per il momento novarese di B., limitato a poche settimane, le ultime della sua vita. Nel prologo, anzi, l'autore dichiara espressamente il proprio proposito di limitare il racconto agli ultimi avvenimenti, ma rinvia per le altre vicende ad una Vita che il fratello stesso di B., Azzolino, avrebbe dovuto redigere (ibid., pp.169 s.). Se realmente questo secondo testo fu composto, certo non c'è giunto. Anche nell'ambito più naturale per la diffusìone del testo di Azzolino, la zona d'Aosta e del Gran San Bernardo, è stata invece accolta unicamente la Vita del chierico di Novara. I dati storici della Vita si riducono a poche notizie: l'arcidiaconato di B. ad Aosta; la sua attività missionaria nella montagna, ridotta dal biografo agli episodi di predicazione nella montagna novarese: "quod ex eo mihi datum est noscere" (Vita,c. III ,p. 171); ed infine - certo il dato più interessante - la notizia del suo incontro con Enrico IV a Pavia, che rappresenta anche l'unico riferimento cronologico della vita di Bernardo. Non sono mancate le ipotesi combinatorie nel tentativo di una concordanza tra gli accenni della Vita e i dati noti della storia valdostana.
Tra queste le ingegnose, ma del tutto arbitrarie, ricostruzioni genealogiche di C. E. Patrucco, Aosta dalle invasioni barbariche alla signoria sabauda, in "Miscellanea valdostana", Pinerolo 1903, pp. LXXXII s., riprese e sviluppate anche recentemente (Quaglia), che avvicinando la constatazione del ripetersi del nome di Bernardo nella discendenza della famiglia dei visconti di Aosta nel sec. XI al "nobili prosapia genitus" della Vita - rispondenteoltretutto unicamente ad un luogo obbligato dell'agiografia medievale - ne concludono appunto l'appartenenza di B. alla famiglia bosonica e ne deducono motivazioni e circostanze per la fondazione del Gran San Bernardo. Più consistenti le congetture cronologiche derivate dal riferimento offerto dall'incontro a Pavia con Enrico IV, che B. tenta di dissuadere dal suo viaggio armato contro Gregorio VII, predicendogli anche il fallimento dell'impresa (Vita, c. VIII, pp. 173 s.). Sul brano relativo all'incontro con Enrico IV si basano gli studiosi recenti per fissare senz'altro la morte di B. all'anno 1081, che è appunto quello che meglio corrisponde alle circostanze dell'incontro. Ma a parte le lacune delle nostre conoscenze relative agli itinerari italiani di Enrico IV (anche per il semplice incontro coll'imperatore la data dell'aprile 1081 rimane pertanto solo una proposta, seppure estremamente probabile), è certamente concedere troppo alla fonte derivare dall'indefinito "Papia paululum commoratus" la deduzione del ritorno immediato di B. da Pavia a Novara e porre, quindi, nello stesso anno quel 29 aprile, "profestum natalis beati Laurentii sacerdotis et martiris ", che il biografo segnala come giorno del suo arrivo in città e dell'inizio della malattia che lo condurrà alla morte. Del resto proprio per la data della morte di B., ma ad un anno diverso dal 1081, non manca una certa documentazione. Una notizia presentata da uno strumento notarile rogato a Novara il 15 giugno 1424, in occasione della traslazione del capo del santo, e ripresa, forse indipendentemente., da altre fonti, peraltro sempre tarde, assegna alla morte di B. l'anno 1086. Prescindendo senz'altro da una tale documentazione, troppo recente per meritare una qualche considerazione, resta comunque che il suggerimento cronologico della Vita per l'anno 1081 non può avere che il valore di un terminus post quem e che ignoriamo pertanto l'anno preciso della morte di Bernardo. Persino per il giorno della morte, l'elemento cronologico, invece costantemente raccolto dalle fonti agiografiche, rimane incerta la formulazione della Vita. Dopo avere infatti affermato che B. morì a più di sei settimane dal suo arrivo a Novara e che egli fu sepolto tre giorni dopo la morte, il biografo si limita ad aggiungere: "populis anniversarium eius diem recolentibus XVII kalendas iulii" (Vita, c. IX, p. 176), lasciando aperta tanto la possibilità dell'interpretazione del 15 giugno come anniversario della morte - e sembra la più ovvia, tenuto conto della normale prassi liturgica - od anche quella del 15 giugno come anniversario della sepoltura (la morte sarebbe pertanto avvenuta il 12-13 giugno), come preferiscono alcuni, suggestionati dalla posizione dell'inciso, che è avvicinato appunto alla menzione delle esequie. La formulazione del testo, tuttavia, non impone alcuna delle due interpretazioni; né appare particolarmente significativo il fatto che la commemorazione di B. al 15 giugno venga segnalata in alcuni martirologi, come "depositio", essendo normale in tali fonti l'uso del termine anche per registrare il giorno della morte (cfr. C. Molinier, Les obituaires français au Moyen Âge, Paris 1890, pp. 60 s.). Ma altre sono le lacune della Vita, che ignora proprio gli aspetti maggiormente celebri dell'attività dell'arcidiacono di Aosta, la fondazione cioè degli ospizi alpini che oggi portano il suo nome. Il silenzio non sorprende, tenuto conto della sistematica omissione di ogni riferimento agli antecedenti di B., prima del suo arrivo a Novara. Peraltro nella stessa Vita l'allusione all'opera missionaria del santo è inserita in un contesto di predicazione "in montana", anche se gli episodi riferiti sono solo quelli novaresi, come gli unici direttamente noti al biografo. Per giungere a più espliciti accenni bisognerà attendere i testi liturgici non novaresi, ormai tardi. I breviari, per es., a cominciare dal sec. XIII (il più antico, il Breviarium Agaunense, conservato a Roma nella Bibl. Angelica, ms. D 440, 5-9, proveniente da St.-Maurice, ma scritto per il Gran San Bernardo, è della fine del sec. XIII), che, pur riprendendo per le lezioni l'unica Vita a disposizione, introducono un completamento del racconto per la fondazione dell'ospizio di Monte Giove, utilizzando allo scopo i responsori che accompagnano le lezioni. Riassume anzi l'opera di B. nella fondazione dell'ospizio il "Martirologio della cattedrale di Aosta" (prima metà del sec. XIII), per lo meno nella sua redazione più recente. Allo scarno lemma iniziale ("Novarie depositio sancti Bernardi confessoris") una mano più tarda (sec. XIV?) aggiunge infatti la precisazione dei rapporti di B. con Aosta, ("Auguste archidiaconi") e la notitia delle fondazioni alpine ("qui domum montis Iovis edificavit et alibi alias in cacuminibus montium necessarias"). Si tratta, tuttavia, di testimonianze troppo tardive, che non meriterebbero certo attenzione se non ottenessero in qualche misura una conferma nei suggerimenti delle fonti documentarie. A cominciare dalla prima metà del sec. XII compare nei documenti la menzione, al passo del Monte Giove, di una "ecclesia sancti Nicolai", accanto a cui sorge una "hospitalis domus", attorno alla metà del secolo denominata senz'altro "sancti Bemardi", destinata "ad opus pauperum" ed al cui servizio sono addetti alcuni "religiosi fratres". La documentazione, del tutto assente per il sec. XI ed estremamente frammentaria per la prima metà del sec. XII, non permette di precisare l'epoca di fondazione della chiesa ed annesso ospizio, né di chiarire i rapporti dell'istituzione con Bernardo.
Un documento che porta la data del 1087,e in cui compare la menzione della "domus sancti Bernardi Montis Iovis" (Pivano, p. 82, n. 1), è invece sicuramente del 1287. Di altre donazioni all'ospizio agli inizi del sec. XII (1100 e 1115) ci sono giunti solo tardi regesti, inutilizzabili. Gli atti più antichi rimastici - alcune donazioni di Amedeo III di Savoia, una prima non datata, ma attribuibile agli anni 1109-1124 (Mélanges, II, p. 44, n. 16), e un'altra dei primi mesi del 1125 (Pivano, p. 135, n. 45, 48, e p. 85, n. 6) - documentano già l'esistenza dell'ospizio, la presenza dei "fratres", la dedicazione della chiesa a s. Nicola. Verso la metà del secolo l'"hospitale Montis Iovis" è tra i più celebri della cristianità (Liber sancti Iacobi, a cura di J. Viellard, Mâcon 1938, p.10, dove però "Montis Iovis" è congettura dell'editore da "Montis Iocci") e un pellegrino islandese, Nicola Saemundarson, lo segnala senz'altro come "Bernhardi hospitium" (K. Kaalund, En islandsk vejviser for pilgrimme fra 12 Aarhundrede, in "Aarboeger for Nordisk oldkyndighed", III, Raekke 1913, pp. 55-56). Dalla metà del sec. XII la documentazione si infittisce ed il nome di B. sostituisce senz'altro, almeno nei documenti privati, quello dell'antico titolare della chiesa (il documento datato più antico è una donazione di Berta, contessa di Loritello, nella Capitanata, dell'aprile 1149), mentre s. Nicola continua a comparire nei documenti ufficiali, ma insieme con Bernardo. Il dato comunque più interessante in tutta questa documentazione, pur così frammentaria, sembra costituito non tanto dalla stessa dedicazione a B. - indizio di un culto speciale, peraltro già significativo in zona tanto remota - ma dal fatto che la denominazione sembra inizialmente accompagnarsi non tanto alla chiesa quanto direttamente all'ospizio, e non suggerisce pertanto solo l'immagine di un titolare di chiesa, quanto piuttosto quella, in un certo qual modo, del fondatore dell'istituzione. Quale concretamente sia stato l'apporto diretto di B. a questa non è possibile dire. Sappiamo che fu arcidiacono di Aosta in un momento in cui nella canonica della cattedrale si praticava la vita comune. Quando poi per la "domus s. Bernardi" la documentazione inizia, i "religiosi fratres" appaiono appunto canonici regolari. Ma le costituzioni del Gran San Bernardo sono solo della seconda metà del sec. XII e denotano, per la presenza del testo pseudoagostiniano noto come regula prima,una influenza di s. Rufo o, indirettamente, di Marbach (Ch. Dereine, Coutumiers et ordinaires de chanoines réguliers (Addenda), in Scriptorium, XIII [1959], p. 244). A quel tempo le donazioni dei pellegrini che hanno esperimentato l'assistenza dei "fratres" del Gran San Bernardo, mentre hanno moltiplicato i possedimenti dell'ospizio, hanno determinato il rapido sviluppo di una vera congregazione canonicale, le cui dipendenze si estendono per tutta la lunga fascia interessata al passo, dalla Basilicata all'Inghilterra. Una settantina ne elenca già il privilegio di Alessandro III del 3 giugno 1177 (Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta Pontificum Romanorum, Lipsiae 1888, n. 12872). Diverse tra queste, quando la chiesa precedente non imponga già un titolo, assumono senz'altro la denominazione di "domus s. Bernardi" (così a Vercelli [1152], a Troyes [1154], a Torino [1176]).
Non rientra invece nell'ambito della vasta Congregazione la fondazione minore, l'ospizio della "Colunina Iovis", oggi Piccolo San Bernardo, che fin dalla prima documentazione appare collegato alla vicina canonica regolare di S. Egidio di Verrès, tra le cui pertinenze è posto nel privilegio di Eugenio III del 2 apr. 1145 per S. Egidio (Jaffè-Loewenfeld, 8730): "in Tarentasiensi episcopatu… ecclesiam sancti Nicolai in monte cum hospitali domo sancti Bernardi". Ma il ripetersi, fin da quella prima attestazione - persino in leggera priorità cronologica nei confronti della maggiore fondazione - dell'identica dedicazione, a s. Nicola per la chiesa ed a s. Bernardo per l'ospizio, giustifica l'ipotesi di una medesima origine. Nei due casi poi la dedicazione stessa al vescovo di Mira sembra fornire anche un utile riferimento cronologico, perché ci orienta verso la grande diffusione del culto del santo in occidente, a partire dalla metà del sec. XI (K. Meisen, Nikolauskult und Nikolausbrauch im Abendlande, Düsseldorf 1931, p. 506). Una suggestiva conferma è offerta, per la Casa del Gran San Bernardo, dagli scavi archeologici, che hanno portato alla luce i resti della primitiva, costruzione, consentendone la datazione alla seconda metà del Sec. XI. Le fondazioni bernardine con la loro dedicazione all'arcidiacono d'Aosta, che si affianca prima e poi senz'altro sostituisce la primitiva dedicazione a s. Nicola, testimoniano già della vicenda del culto di Bernardo. Questo, documentato a Novara dalla Vita per un'epoca immediatatamente seguente alla morte ed accolto ormai nei libri liturgici lungo il sec. XII, come attestano per la prima metà del secolo il "calendario di un Passionario di Intra" (G. Cavigioli, Della chiesa di S. Maurizio della Costa, in Verbania, III [1911], pp. 269-271) e più tardi il Messale della cattedrale di Vercelli (1194), ebbe presto larga difflisione oltre che in tutto il Piemonte anche al di là dei versanti svizzeri e francesi delle Alpi nordoccidentali. Nel capitolo generale del 1481 la festa di B. venne anche accolta dalla congregazione dei canonici regolari del SS. Salvatore di Bologna (G. C. Trombelli, Memorie istoriche concernenti le due canoniche di S. Maria del Reno e di S. Salvatore, Bologna 1752, p. 190). Secondo lo stesso rogito del 1424 a cui si deve l'indicazione dell'anno 1086 per la morte di B., egli sarebbe stato canonizzato nel 1123 dal vescovo di Novara Riccardo. Nonostante lo scarso credito della fonte, che risulta in errore almeno per il riferimento cronologico (il 10 apr. 1122 era vescovo di Novara Litifredo, mentre Riccardo morì al più tardi il 25 luglio 112 E cfr. G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig-Berlin 1913, p. 126), la notizia merita attenzione come testimonianza di una "elevatio" vescovile, rito ad ogni modo richiesto dalla rapida ed estesa diffusione del culto, a cui si è accennato. Non avvenne, invece, una canonizzazione papale, da taluni assegnata al 1681. In quell'anno, dietro richiesta dei canonici del Gran San Bernardo, fu solo introdotta nel Martirologio romano la commemorazione di B., che era stata omessa dal Baronio. Le reliquie del santo conservate nella chiesa di S. Lorenzo a Novara, dove era stato sepolto, furono poi nel 1552 trasferite nella cattedrale della città. La sua festa ricorre il 15 giugno.
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Fonti e Bibl.: L'unica fonte utile, la Vita beati Bernardi, è stata edita solo in epoca relativamente recente da A. Colombo, La "Vita beati Bernardi" dell'anonimo novarese, in "Miscell. valdostana", Pinerolo 1903, pp. 303-312, ma da un codice (sec. XII-XIII e non X-XI come vorrebbe l'editore) privo dell'interessante prologo. Anche la susseguente edizione di A. Donnet, Le panegyrique de S. Bernard,in Saint Bernard…, pp. 145-160, ripresentata ora con qualche miglioramento in A. P. Frutaz, Le fonti per la storia della Valle d'Aosta, Roma 1966, pp. 169-177 (a questa ultima edizione si riferiscono le citazioni), è stata ugualmente condotta suun unico codice, anche se completo del prologo, e non è esente da mende. La tarda falsificazione attribuita a Riccardo di Valdisère è stata invece accolta in Acta Sanctorum iunii, II, Antverpiae 1698, pp. 74-78, dove il Papebroch ne tenta un impossibile recupero storico relegando in nota, come interpolazioni, i brani più assurdi. Anche gli altri testi ivi pubblicati, e per cui cfr. Bibliotheca hagiogr. Latina, I, Bruxelles 1898-99, p. 186, nn. 1243-1245, non presentano interesse alcuno, come recensioni contaminate della Vita di Novara o insignificanti e tardi compendi. Sul dramma sacro del sec. XV, cfr. Le mystère de s. Bernard de Menthon, a cura di A. Lecoy de la Marche, Paris 1888; J. Fourmann, Ueber die Sprache des Mystère de s. Bernard de Menthon mit einer Einleitung über seine Ueberlieferung,in "Romanische Forschungen", XXXII(1913). pp. 625-747; P. Aebischer, Une oeuvre littéraire valdôtaine? Le "Mystère de s. Bernard de Menthon,in "Augusta Praetoria", VII (1925), nn. 4-5-6, pp. 49-61; S. Duparc-Quioc, Saint-Bernard des Alpes,in Recueil de travaux offerts à M. Clovis Brunel, I,Paris 1955, pp. 401-408. Per le fonti docum.: S. Pivano, Le carte del Grande e del Piccolo S. Bernardo esistenti nell'Arch. dell'Ordine Mauriziano,in "Misc. valdostana", Pinerolo 1903, pp. 58-238; G. Battaglino, Le carte dell'Arch. dell'osped. mauriziano di Aosta fino al 1300, ibid., pp.239-290; A. Brackmann, Germania Pontificia, II, 2, Berolini 1927, pp. 131-135; W. Holtzmann, Eine Papsturkunde für das Hospiz auf dem Grossen St. Bernard, in Zeitschrift für schweizerische Geschichte,XXX (1950), pp. 263-264; Mélanges historiques et hagiographiques Valdôtains, II,[Aosta 1953], pp. 40 s., 44; A. Donnet, Note sur les archives de l'hospice du Grand St.Bernard, in "Mélanges offerts à Paul-E. Martin" ,Genève 1961, pp. 213-221; A. P. Frutaz, Le fonti per la storia della Valle d'Aosta, cit., pp. 46, 50, 80, 82, 132 s., 155 s., 228-34, 239-42, 279. Per la bibliografia, ci si limita a segnalare, tra i contributi meno recenti, gli studi dedicati alla polemica sulle "Vite" ed ai connessi problemi cronologici: A. Lütolf, Ueber das wahre Zeitalter des hl. Bernhard von Menthon und die bezüglichen Quellen, in "Theolog. Quartalschrift", LXI (1879), pp. 179-207; C. Ducis, L'époque de s. Bernard de Menthon, Annecy 1890; J.-A. Duc, A quelle date est mort s. Bernard de Menthon?, in "Miscell. di storia ital.", XXXI, Torino 1894, pp. 343-388; W. Wattenbach, Deutschlands Geschichtsquellen im Mittelalter, II, Berlin 1894, p. 241; U. Chevalier, La date histor. de la mort de s. Bernard de Menthon (1086), in "Quatorzième Congrès des Sociétés savantes de Savoie (1896)", Evian-les-Bains 1897, pp. 119-132; J. F. Gonthier, Aquelle date est mort s. Bernard de Menthon?, in "Mémoires et docum. publiès par l'Académie Salesienne", XX, Annecy 1897, pp. 239-246; Id., La Vie de s. Bernard de Menthon par Richard de Valdisère,in Revue Savoisienne, XXXVIII (1897), pp. 181-246; [E. Plaisance], Les Vies de s. Bernard de Menthon, ibid.,pp. 101-111; J.-A. Duc, Saint-Bernard de Menthon et une charte de 1087, Aosta 1901; A. De Regibus, Dell'anno della morte e della nascita di s. Bernardo di Mentone, in "Boll. stor. di Novara", XVIII (1924), pp. 166-171; Martyr. Romanum… scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta sanctorum decembris, Bruxellis 1940, pp. 238-239; A. Donnet, S. Bernard et les origines de l'hospice du Montjoux (Grand St.-Bernard), St.-Maurice 1942; L. Quaglia, S. Bernard de Montjou d'après les documents liturgiques, in "Zeitschrift für schweizerische Kirchengeschichte", XXXVIII (1944), pp. 1-32; J. Siegen, St. Bernhard von Aosta, in "Blätter für Walliser Gesch.", XIII(1961), pp. 13-35. Per le fondazioni bernardine. in particolare: A. Schulte, Gesch. des mittelalterichen Handels und Verkers zwischen Westdeutschland und Italien, I, Leipzig 1900, pp. 54-56, 80-81; R. Reinhard, Pässe und Strasser in den Schweizer Alpen ,Luzern 1903, pp. 50-68; F. Gex, Le Petit-St-Bernard, Chambéry 1924; L. Blondel, L'église et le prieuré de Bourg-St-Pierre, in "Valleia",I (1946), pp. 2141; Id., L'hospice du Grand-St-Bernard. Etude archéologique, ibid., II(1947), pp. 19-44; A. Donnet, Le Grand-St-Bernard, Neuchâtel 1950; L. Quaglia, La maison du Grand-Saint-Bernard des origines aux temps actuels, Aosta 1955; E. Cognasso, La casa del Gran San Bernardo nelle ricerche recenti, in "Boll. stor. bibl. subalpino" , LV (1957), pp. 164-168; O. Aureggi, Gli ospizi dei Monte Giove nell'ordinamento giuridico medioevale, in "Scritti di storia ospedaliera piemontese in onore di G. Donna d'Oldenico", [Cirié] 1958, pp. 41-57; B. Bligny, L'Eglise et les ordres religieux dans le royaume de Bourgogne aux XIe et XIIe siècles, Grenoble 1960, pp. 444-445; L. Quazlia, Les hospices du Grand et du Petit Saint-Bernard du Xe au XIIe siècle, in "Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (secc. X-XIV)", Torino 1966, pp. 427-441; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll. 690-696 (ancora polemica ed acritica ripetizione del profilo tradizionale); Encicl. Catt., II, coll. 1417-1421; Lexicon für Theologie und Kirche, II, col. 237; Bibliotheca Sanctorum, II, coll. 1325-1332".
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