cultura barocca
Collari di identificazione di animali, anche da esibizione e evoluzione della tradizione circense itinerante, individuale ed organizzata ma non cruenta Interazioni tra forme di Folklore pagano e cristiano = nel dettaglio Giocolieri da strada e tradizione circense da Nundinae, Fiere e Mercati da Roma al Barocco = vedi qui da Roma antica al '600/'700 le cautelative di legge per gli ammaestratori di animali (serpenti, orsi, animali esotici) per tutela e sicurezza del pubblico = vedi poi i cinque/seicenteschi schiavi precolombiani "giocolieri della palla", eredi dei giocatori sacri votati alla religione del sangue, usi esibirsi nei grandi sferisteri degli Imperi mesoamericani [Informat. a c. di B. E. D.]

Il collezionismo antiquario del '600 fece indubbiamente incetta dei prodotti e dellle figurazioni artistiche appartenenti alla più svariata oggettistica, anche con propositi artistico-estetici, riguardante il variegato mondo romano degli spettacoli, per esempio si vede in questa lampada, non è detto nel testo antiquario se sepolcrale o no, riprodotta da Fortunio Liceti nella sua opera De Lucernis.... e realizzata in terracotta (evidentemente avvalendosi delle terre idonee a questo genere di realizzazioni artistiche (vedi indice) oculatamente distinte dalle terre tipologicamente diverse e variamente utilizzate per altri scopi (vedi indice): tutte quante con scrupolo e meticolosità descritte dallo scienziato napoletano Ferrante Imperato nella sua celebre Historia naturale).
A proposito della Lucerna qui sotto, in corsivo e color verde, si riproduce tradotta la digitalizzata relazione latina del Liceti con opportuni utili collegamenti precisando che per sua ammissione del Liceti fu da lui ricevuto a Padova in riproduzione spedita da Roma ad opera di Cassiano Del Pozzo mentre all' epoca apparteneva al Museo personale di quello che il Liceti definisce Monsieur Menesticer Gallus (in effetti l'antiquario francese Claude-François Ménestrier).
"A proposito della Lucerna effigiante un Ludione / Alla vista giocosa e piacevole risulta, nel'immagine qui sotto proposta, la lucerna di terracotta trasmessami a Padova da Roma ad opera dell'Illustrissimo Signor V. Cassiano Del Pozzo. Vi è raffigurato un istrione che se ne sta seduto ed alla cui destra si nota, del pari assisa, una scimmia. Alla sinistra del personaggio si vede una scala portatile di legno per cui va arrampicandosi un cane verosimilmente avvezzo all'arte del giuoco per diletto degli spettatori e che oramai ha quasi completata l'ascesa. Tra la testa del cane, come detto pressoché giunto al vertice della scala, ed il collo dell'istrione, ludione od anche solo ciarlatano ed esibizionista, sono inseriti due anelli, di diversa dimensione, uno più grande dell'altro, il cui uso è connesso a giuochi d'abilità e/o illusionismo. Tra un piede della scala e la parte sinistra del ludione si nota un vaso tipico dei ciarlatani ed ambulanti di cui son anche soliti servirsi per i loro consueti giochi illusionistici. Di questa Lucerna attualmente ne ha possesso il francese Signor Menesticer ".
Come facilmente si intende qui, come ed ancor più da altre descrizioni del De Lucernis..... è fuor di dubbio che il Liceti sa descrivere bene i reperti ma è altrettanto palese che , data anche l'epoca, talora si scontra con alcune forme interpretative: la sua appartenenza al Mondo della Controriforma ed al suo formidabile quanto spesso discutibile processo di moralizzazione lo induce talora a seguire direttive quasi scontate tra cui al primo posto -prescindendo dalla dannazione religiosa e sociale del paganesimo- risiede la sostanziale condanna del Teatro e delle sue molteplici forme con peculiare accanimento avverso tutto quanto sappia di lubrico ed abbia a che fare specie con mimi, comici ed ancor più con l'aspetto maggiormente riprovato quello della morale contaminata e specialmente di una morale ritenuta aggredita specie da attrici, comiche, mime mediamente associate alla fgura di donne di malaffare dal dominante epocale misoginismo, un aspetto che, per quanto osteggiato con fervore e coraggio da figure di spicco come A. Tarabotti, Suor Juana Ramirez de la Cruz e addirittura Maria Cristina ex regina di Svezia e fautrice del Teatro di Tordinona a Roma, sarebbe a lungo ritornato per varie postazioni sia ecclesiastiche che laicali, fra cui a titolo esemplare può primeggiare il giudizio del poeta sei-settecentesco Alessandro Adimari ferocemente riassunto nell'espressione "...Pudica esser non può Donna vagante,/ La cantatrice è tal, dunque è puttana...".
Così per il Liceti il rinvenimento di una Lucerna con una simile raffigurazione, specie rapportato ad altri da lui esaminati - comportanti soprattutto
pantomimi, mimi, moriones, sanniones, gibbosi, gibbi ed anche sanniones gibbi -come quelli del Museo del Casali- rimandanti a ridanciane volgarità interagenti con i miti di Atene/Flauto/Marsia e di Apollo/Flauto/Cetra/Marsia ed un frequente accompagnamento di donne spesso "scollacciate" e discinte,
donne peraltro a giudizio di una morale cristiana di cui si è parlato e che, dopo qualche concessione, si è aggravata per l'urto fra Riforma e Controriforma specie
a scapito del mondo delle donne spettacolarizzate, nel mito o nella realtà, come emule degli uomini ma capaci di sfruttare anche la loro sensualità pur di aver successo quali Amazzoni e Gladiatrici,
induce Fortunio Liceti ad innestare il personaggio della Lucerna in questione entro il mondo teatrale senza ipotizzare che il personaggio in questione, pur essendo sicuramente destinato ad esibirsi in qualche modo, non sia stato un qualche artista esibentesi nei giorni di mercato (la scimmia ed il cane palesemente ammaestrati fanno meditare) anche magari per vendere qualche suo intruglio od attirare il pubblico su qualche suo "compare" destinato alla vendita (cosa che il Liceti fa trapelare ma non osa approfondire) su una linea circense antichissima di cui si son conservate tracce etnologicamente importante nel contesto del girovago e circense mondo dei Birbanti e degli Orsanti antichissimi artisti di strada esistenti nella romanità come qui si vede e si può approfondire in forza delle normative che li riguardavano ma il cui numero era consistente anche ai tempi del Liceti e la cui attività a lungo sarebbe continuata: non a caso ancora nel XVIII secolo il diritto dello Stato come si vede nel testo criminologico di questo illustre giurista e precisamente nella parte II replicava a riguardo di siffatti artisti girovaghi normative del diritto romano per esempio in merito all'esibizione di animali esotici e non ammaestrati, con tutte le considerazioni sui danni che sfuggiti al dovuto controllo potevano arrecare al pubblico, od ancora in relazione a saltimbanchi, mimi, operatori circensi ecc. .

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Nel 364 a.C., durante i Ludi Romani fu introdotta per la prima volta nel programma della festa una forma di teatro originale, costituita da una successione di scenette farsesche, contrasti, parodie, canti e danze, chiamati fescennina licentia. Durante i fescennini si svolgevano canti travestimenti e danze buffonesche. Il genere, di derivazione etrusca, non ebbe mai una vera e propria evoluzione teatrale, ma contribuì alla nascita di una drammaturgia latina. Tito Livio, in Ab Urbe condita, VII, 2, 4 (il solo autore ad usare la forma ludio per indicare il mimo e il saltimbanco da collegare ai Ludi o giuochi = Cicerone usa come altri la forma ludius comunque di analogo significato per questi personaggi) racconta come in quell'anno i Romani, non riuscendo a debellare una pestilenza, decisero di inserire, per placare l'ira divina, anche Ludi Scenici, per i quali fecero venire appositamente dei ludiones (cioè artisti e danzatori), dall'Etruria. Queste manifestazioni, per lo più considerate come bassi divertimenti popolari, subirono la severità dei legislatori dell'epoca: il carattere licenzioso e gli attacchi a personalità di spicco dell'epoca incorsero nello sfavore delle autorità, che misero dei limiti a queste rappresentazioni, con leggi austere a difesa dei costumi romani e persino la proibizione di posti a sedere nei teatri (a questo proposito una chiosa risulta opportuna = può oggi sembrare strano ma nel contesto delle varie forme di spettacolo dell'antica Roma il Teatro sarebbe divenuto ad opera del Cristianesimo originario oggetto di riprovazione inferiore solo ai giochi gladiatori quasi a recuperare per casualità più che per scelta questo vetero-giudizio romano però superato con l'evoluzione delle rappresentazioni sceniche sì che mentre le corse dei carri erano sarebbero risultate quantomeno tollerate e comunque praticate a riguardo delle manifestazioni sceniche sarebbero divenute oggetto di estrema riprovazione e celere soppressione soprattutto quelle meno impegnate dai mimi ai pantomimi, in pratica l'avanspattacolo del tempo, in cui accanto agli attori agivano personaggi bizzari se non mostruosi, ma atti a suscitare riso e non paura, e soprattutto le donne che, spesso discinte, sarebbero state giudicate sin dal Cristianesimo delle origini provocatrici di libidine al segno di far definire il Teatro "Sentina di Impurità".
Ritornando a Tito Livio egli scrisse in merito: " ...si dice che tra i tanti tentativi fatti per placare l'ira dei celesti vennero anche istituiti degli spettacoli teatrali, fatto del tutto nuovo per un popolo di guerrieri i cui unici intrattenimenti erano stati fino ad allora i giochi del circo. Ma a dir la verità si trattò anche di una cosa modesta, come per lo più accade all'inizio di ogni attività, e per giunta importata dall'esterno. Senza parti in poesia, senza gesti che riproducessero i canti, degli istrioni fatti venire dall'Etruria danzavano al ritmo del flauto, con movenze non scomposte e caratteristiche del mondo etrusco. In séguito i giovani cominciarono a imitarli, lanciandosi nel contempo delle battute reciproche con versi rozzi e muovendosi in accordo con le parole. Quel divertimento entrò così nell'uso, e fu praticato sempre più frequentemente. Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da ister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri, eseguendo melodie scritte ora per l'accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati.
(Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 2)

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