cultura barocca
GUERRAMONDIALE

PRIMA GUERRA MONDIALE

Cause filosofiche e politiche del primo conflitto mondiale
1914: Assassinio di Francesco Ferdinando d'Asburgo
1914: Inizia la Grande Guerra
1915: L'Italia entra in guerra
1915: L'intervento politico inglese
1916: La battaglia di Verdun e della Somme
1916: Atteggiamento del presidente statunitense Wilson
1917: L'intervento americano e il ritiro russo
1917: Il fronte italiano: il disastro di Caporetto
[ L'uso delle armi di sterminio di massa = vedi anche i gas asfissianti]
1917: La guerra sottomarina
1918: La sconfitta della Germania
1918: Il fronte italiano: la vittoria finale (Vittorio Veneto : armistizio di Villa Giusti)
1918: I fronti minori dello scacchiere mondiale
1918: La fine del conflitto
1917/1918/1919: La trasformazione della retorica di guerra - l'aspettativa della Conferenza di pace - preoccupazioni dell'opinione pubblica italiana (testi rari digitalizzati)
I trattati di pace e le problematiche collegate
La Questione di Fiume causa di attrito tra Italia e nuovo stato yugoslavo
La Società delle Nazioni
[ postulazioni di diritto umanitario: un difficile percorso verso il bando delle armi di sterminio - la Convenzione di Ginevra ed i suoi protocolli aggiuntivi]



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Causa occasionale della guerra fu l'assassinio dell'arciduca ereditario
d'Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e della consorte, avvenuto a Sarajevo il 28 giugno 1914.
L'Austria, d'accordo con la Germania, attribuendo al governo serbo la responsabilità dell'eccidio, indirizzò a Belgrado il 23 luglio un ultimatum con richieste inaccettabili. Le dichiarazioni di guerra. La risposta serba all'ultimatum (25 luglio), conciliante ma accompagnata dalla mobilitazione generale, non accontentò l'Austria che dichiarò guerra alla Serbia (28 luglio) prima che fosse accolta una proposta di mediazione presentata dall'Inghilterra (26 luglio).
Nei giorni seguenti, il meccanismo degli accordi internazionali portò a una rapida generalizzazione del conflitto. La tesi tedesca, secondo la quale bisognava localizzare la guerra tra Austria e Serbia, era evidentemente troppo favorevole all'Austria per essere accettata dalle altre potenze, e vari tentativi di mediazione rimasero infruttuosi.
Dopo le mobilitazioni russa e austriaca, la Germania dichiarò guerra alla Russia (1º agosto alle ore 19,10) e alla Francia (3 agosto alle ore 18,45).
A sua volta la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo da parte delle truppe tedesche, vincendo le ultime esitazioni inglesi, provocò la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Germania (4 agosto). I belligeranti del 1914 compresero dunque: da una parte, la Germania e l'Austria-Ungheria; dall'altra, la Serbia, il Montenegro, la Russia, la Francia, il Belgio e l'Inghilterra, cui si aggiunsero il Giappone (23 agosto), alleato dell'Inghilterra e che sperava di impadronirsi delle posizioni tedesche in Estremo Oriente.
Dichiararono invece la loro neutralità, deludendo gli Imperi centrali, l'Italia (3 agosto) e la Romania.
In particolare l'Italia, legata alla Germania e all'Austria-Ungheria dalla Triplice alleanza, giustificò il suo atteggiamento con la mancata consultazione da parte degli Alleati e con il carattere aggressivo della guerra.
La Germania riuscì però a ottenere l'alleanza della Turchia: già il 10 agosto due incrociatori tedeschi, il Goeben e il Breslau, che si trovavano nel Mediterraneo, furono accolti nelle acque territo riali ottomane, ma la guerra fu dichiarata dagli Alleati alla Turchia soltanto il 5 novembre. La situazione internazionale.
Negli ultimi mesi del 1914, i belligeranti si preoccuparono soprattutto di sviluppare uno sforzo economico adeguato alle esigenze del logoramento di materiali emerse dalle prime battaglie, a detrimento, talora, dell'azione diplomatica e della ricerca di nuove alleanze.
Alcuni paesi, d'altra parte, si trovavano alle prese con difficili problemi interni, resi ancora più complicati dalla guerra: l'Inghilterra con l'applicazione dell'Home Rule in Irlanda, e l'Impero turco con l'agitazione delle sue province arabe.
Così pure l'inizio della guerra non permise all'opinione pubblica di misurare l'importanza di fatti rilevanti come l'apertura del canale di Panama (agosto) e l'elezione di papa Benedetto XV, successore di Pio X (settembre).
A Londra, Francia, Inghilterra e Russia firmarono il 5 settembre un trattato di mutua assistenza.
Nel corso dell'anno entrarono in guerra l'Italia a fianco degli Alleati e la Bulgaria a fianco degli Imperi centrali.
L'orientamento dell'opinione pubblica italiana verso la guerra contro l'Austria indusse questa, nel gennaio 1915, a intavolare nuove trattative che non condussero a positivi risultati per l'esiguità dei compensi territoriali offerti.
L'Italia iniziò a metà febbraio trattative segrete con le potenze dell'Intesa, che si conclusero con la firma del patto di Londra (26 aprile), e di fronte all'evidente interesse dell'Austria di dilazionare i negoziati, denunciò il trattato della Triplice alleanza (3 maggio).
Nonostante la presenza nel paese di un forte schieramento neutralista, che andava da Giolitti ai cattolici, l'Italia il 23 maggio (con effetto dal 24) dichiarò guerra all'Austria-Ungheria (ma non alla Germania; la dichiarazione di guerra alla Germania si ebbe soltanto il 27 agosto 1916).
L'alleanza della Bulgaria con gli Imperi centrali (decisa nel settembre e divenuta effettiva il 5 ottobre con la dichiarazione di guerra alla Serbia) compromise la situazione degli Alleati nei Balcani; negli ultimi mesi dell'anno si ebbe così il crollo della Serbia, attaccata da due lati dai Bulgari e dagli Imperi centrali (ottobre- novembre).
I due avvenimenti si inquadravano nell'insieme dei problemi della strategia mediterranea.
Alcuni uomini politici inglesi (tra cui Churchill) speravano infatti che si potessero ottenere risultati decisivi nel Mediterraneo.
Ma la spedizione dei Dardanelli si risolse in uno scacco.
A loro volta i Turchi non riuscirono però a minacciare il canale di Suez (febbraio).
Nonostante la presenza (dall'ottobre) di un corpo di spedizione anglo-francese inviato a Salonicco per alleggerire la pressione sulla Serbia, la Grecia restò divisa, poiché, mentre Venizelos e i suoi seguaci erano pronti ad aiutare gli Alleati, il re Costantino, cognato dell'imperatore Guglielmo II, simpatizzava per la Germania e rifiutava d'intervenire.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l'affondamento del transatlantico Lusitania per opera d'un sommergibile tedesco (7 maggio), in cui perirono anche 140 cittadini americani, suscitò una grande emozione, ma non modificò per il momento la politica degli Stati Uniti.
Anche per quanto riguarda i prestiti accordati agli Alleati, le particolari condizioni di favore fatte dagli Americani a partire dal settembre furono dovute soprattutto alla preoccupazione americana di conservare larghe possibilità di esportazione ai propri prodotti.
Imperi centrali: Un nuovo paese belligerante, la Romania, scese in campo a fianco degli Alleati (27 agosto), mentre l'Italia dichiarava guerra alla Germania.
L'intervento romeno che avrebbe dovuto fare da contrappeso alla Bulgaria e aiutare l'esercito russo, si risolse però in un insuccesso, e l'invasione del territorio romeno procurò ai Tedeschi, alla fine dell'anno, apprezzabili risorse di grano e di petrolio.
La posizione tedesca nell'Europa centrale si rafforzò così notevolmente, e sembrò permettere al Reich vasti progetti per l'avvenire, tra cui figuravano anche le promesse d'indipendenza fatte ai Polacchi il 4 dicembre.
Tuttavia agli Imperi centrali non mancarono le preoccupazioni economiche immediate, non soltanto per quanto riguardava gli approvvigionamenti, ma anche per la deficienza della manodopera (che portò all'introduzione del lavoro forzato nel Belgio, 3 ottobre).
Gli Alleati, a loro volta, presero misure destinate ad avere decisiva influenza a lunga scadenza: inasprimento del blocco navale per mezzo del contingentamento delle merci destinate a paesi neutrali (marzo), progressiva estensione, in Gran Bretagna, della coscrizione, che divenne obbligatoria in dicembre.
Nei Balcani l'esercito serbo, ricostituito nell'isola di Corfù, andò a rafforzare le truppe alleate che tenevano il fronte macedone di Salonicco.
Restò ancora confusa la situazione politica della Grecia, dove la Corona era sempre favorevole agli Imperi centrali, mentre il forte partito liberale di Venizelos voleva l'intervento a fianco dell'Intesa.
Notevoli conseguenze ebbe la rivolta araba (Husayn ibn Ali e la sua famiglia) contro l'Impero ottomano (marzo), che aprì un nuovo fronte contro le truppe turco-tedesche in Arabia, mentre la Francia e l'Inghilterra cercavano di definire le loro future zone d'influenza nel Vicino Oriente (accordo Sykes-Picot, 16 maggio).
Negli Stati Uniti, Wilson fu rieletto presidente (7 novembre) e chiese nel dicembre ai belligeranti di precisare i rispettivi scopi di guerra, passo che obbligava i governi a definire la loro politica, ma che poteva anche rendere palesi le divergenze tra alleati all'interno dei due campi.
1917: L'intervento americano e il ritiro russo
Il 1917 fu caratterizzato da due avvenimenti decisivi: l'intervento americano e la Rivoluzione russa.
La guerra sottomarina, scatenata senza restrizioni dai Tedeschi a partire dal 1º febbraio, spinse gli Stati Uniti a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio); seguì poi, il 7 aprile, la dichiarazione di guerra del governo di Washington.
L'intervento americano assunse un aspetto particolare; la guerra fu infatti estesa all'Austria-Ungheria soltanto il 7 dicembre, e non vi fu mai stato di belligeranza con la Turchia e la Bulgaria; gli Stati Uniti intendevano in sostanza mantenere la loro libertà d'azione, e non sottoscrissero mai il trattato di Londra del 5 settembre 1914, non entrarono nell'alleanza propriamente detta, e restarono quindi una potenza "associata" agli avversari della Germania.
La Rivoluzione russa ebbe invece un effetto opposto, in quanto, provocando la defezione della Russia dalla lotta, controbilanciò, in una certa misura, gli effetti dell'intervento americano.
La crisi rivoluzionaria che si aprì in Russia all'inizio del 1917 e che portò all'abdicazione dello zar Nicola II (15 marzo) diede dapprima agli Alleati la speranza di una più attiva cooperazione alla guerra da parte dei governi L'vov (marzo) e Kerenskij (luglio).
Ma gli sviluppi della situazione interna del paese si rivelarono ben presto incompatibili con gli impegni presi dai suoi governanti; il partito bolscevico di Lenin, dopo aver conquistato il potere con la Rivoluzione d'ottobre, avviò ben presto trattative d'armistizio con i Tedeschi, a Brest-Litovsk, a partire dal 20 dicembre, trattative che si conclusero il 3 marzo 1918 con la pace di Brest-Litovsk, che dava, fra l'altro, ai Tedeschi l'intera Ucraina.
Lo stesso anno 1917 fu caratterizzato da vari tentativi di avviare negoziati di pace generale.
Tra molti altri, due insuccessi misero in evidenza la difficoltà dell'impresa.
1. Il tentativo austriaco di arrivare a una pace separata, avviato per iniziativa dell'imperatore Carlo I (succeduto a Francesco Giuseppe nel novembre 1916) con un passo del principe Sisto di Borbone, cognato dell'imperatore, presso il presidente francese Poincaré, fu frustrato dall'opposizione dei Tedeschi, informati dal ministro austriaco Czernin, e dall'opposizione del governo italiano, informato delle trattative nel corso della conferenza di San Giovanni di Moriana (aprile).
2. Anche l'appello di pace lanciato il 1º agosto 1917 dal pontefice Benedetto XV fu accolto sfavorevolmente dai due campi.
Da una parte la speranza degli Alleati di migliorare sensibilmente la loro posizione, dall'altra quella dei Tedeschi di sfruttare i vantaggi di una "carta di guerra", che per il momento era loro molto favorevole, non rendevano infatti né gli uni né gli altri disposti a sacrifici per porre fine al conflitto.
L'inquietudine dei paesi belligeranti, logorati dalla durata del conflitto, si manifestò nelle crisi di governo: mentre in Germania, a partire dalle dimissioni di Bethmann-Hollweg (luglio), iniziava un periodo di instabilità, in Francia, invece, dopo una fase agitata e complicata, andava al potere Clemenceau, fermamente deciso a superare tutti gli ostacoli.
Per quel che riguarda l'Oriente, il fatto diplomatico più importante fu la dichiarazione Balfour (novembre), la quale indicava che l'Inghilterra avrebbe visto favorevolmente la formazione di un focolare nazionale israelita in Palestina.
1918: La fine del conflitto
L'8 gennaio il presidente Wilson enumerò i quattordici punti ai quali si sarebbe ispirata la sua azione nella futura conferenza per la pace.
Essi contenevano a un tempo princìpi generali di diritto internazionale e indicazioni sull'assetto politico, da stabilirsi a guerra conclusa (precise soprattutto per quanto riguardava il Belgio e la restituzione dell'Alsazia e della Lorena alla Francia).
Ma i primi mesi del 1918 parvero rafforzare la posizione della Germania, che era fiduciosa nei risultati della sua offensiva sul fronte occidentale e che aveva allargato notevolmente i territori occupati a oriente: pace di Brest-Litovsk con la Russia bolscevica (3 marzo), di Bucarest con i Romeni (7 maggio), organizzazione dell'Ucraina sotto controllo tedesco (marzo).
I rovesci subiti dalla Germania nell'estate del 1918, che resero inefficaci i suoi piani relativi all'Europa orientale, ebbero effetti decisivi nell'Europa centrale.
Il 5 ottobre il nuovo cancelliere del Reich, principe Massimiliano (Max) di Baden, chiese la mediazione americana per una pace fondata sui quattordici punti; ma già prima della firma dell'armistizio, la rivoluzione scoppiata a Kiel (4 novembre), e poi a Monaco e Berlino, provocò la fine delle monarchie tedesche e la fuga di Guglielmo II (9 novembre).
Divenne così cancelliere il socialista Ebert.
Quanto all'Impero austro- ungarico, la guerra terminò col suo completo disfacimento; le varie nazionalità che lo componevano proclamarono la loro indipendenza.
Il 28 ottobre fu così proclamata a Praga la Repubblica Cecoslovacca.
Nello stesso ottobre un Consiglio nazionale decise a Zagabria l'unione dei Serbi, Croati e Sloveni dell'Impero austro-ungarico, e il 24 novembre proclamò la loro unione alla Serbia, che aveva a sua volta assorbito il Montenegro.
Il distacco delle province riunite alla Romania e alla Polonia lasciò sussistere soltanto due Stati distinti e di dimensioni ridotte: l'Austria e l'Ungheria.
Mentre, con la conclusione della PRIMA GUERRA MONDIALE venivano poste le basi per il nuovo assetto d'Europa, che sanciva la fine dell'antico Impero Austriaco (poi austroungarico) e la Polonia, in via di ricostituzione, rompeva le relazioni con la Germania, l'armistizio dovette essere prolungato, e la conferenza della Pace non poté riunirsi a Parigi che nel gennaio 1919.
In questo periodo in Italia, mentre seppur lentamente sfumavano le enfatizzazioni della retorica di guerra e semmai si cercava internamente la soluzione di PROBLEMI ANNOSI e spesso dolorosi ch'avevano contrapposto le genti come quello della QUESTIONE ROMANA: CIOE' DEI RAPPORTI TRA LO STATO ITALIANO E LA CHIESA, si andava creando un clima di attese anche preoccupate onde vedere realizzate tutte le aspettative sancite dal patto di Londra: ed è interessante seguire la portata di siffatti eventi scorrendoli sulle pagine dei numeri del 1919 del il PICCOLISSIMO, uno dei tanti "periodici propagandistici di guerra", la cui peculiarità consiste però nel parlare ad un pubblico minimo, di scolari e giovanissimi studenti (era infatti edito dal Comitato laziale dell'Unione Insegnanti).
Dopo i clamorosi accenti patriottici dei NUMERI DEL 1918 culminati nell'anche giusta e giustificata retorica d'amor patrio del NUMERO DELLA VITTORIA (Anno II, n.23, del 15 novembre 1918) dal 1919, nell'ansiosa aspettativa della Conferenza di pace e difronte a voci più o meno attendibili di qualche penalizzazione italiana, i nuovi NUMERI (Anno III, 1 , 2, 3, 4) andarono a soffermarsi piuttosto sulle grandi calamità della guerra, sull'Europa e sull'Italia prostrate, sul ritorno dei reduci, per lo più agricoltori, e la loro vitale esigenza non solo di esser compensati in linea con le promesse a monte dell'intervento bellico ma quantomeno sulla loro possibilità di un costruttivo reinserimento nel mondo del lavoro
L'umanità aveva conosciuto una delle sue pagine più sconvolgente, milioni di morti ai fronti avrebbero dovuto allertare contro i pericoli delle nuove tecniche militari destinate a portare ai cataclismi di un CONFLITTO TOTALE: sulla scia di antiche esperimentazioni come il FUOCO GRECO la "tecnologia della morte" aveva assunto proporzioni terrificanti con il perfezionamento di vere e proprie ARMI DI STERMINIO DI MASSA il cui culmine si sarebbe raggiunto con le ARMI NUCLEARI utilizzate nella II GUERRA MONDIALE: in cui tuttavia la deflagrante potena di ARMI CONVENZIONALI E DELLA LORO SINERGIA CON LE NUOVE EFFICIENTI ARMI DELL'AREONAUTICA causò comunque danni terrificanti sì da alterare il tessuto demico ma anche geologico, come solo a titolo d'esempio, si propongono qui immagini che devastarono il sito e l'area di un parimonio dell'umanità cone la MILLENARIA ABBAZIA BENEDETTINA DI MONTECASSINO.
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Già di rimpetto alla tragedia del I CONFLITTO MONDIALE lo sgomento sembrò prevalere e la buona volontà parve non mancare con l'istituzione della SOCIETA' DELLE NAZIONI, le postulazioni del DIRITTO UMANITARIO, la messa al bando delle ARMI DI STERMINIO DI MASSA CULMINATE ALL'EPOCA NEI TERRIBILI"GAS ASFISSIANTI" ma tutto verteva ambiguamnte sulla sostanziale debolezza della stessa SOCIETA' DELLE NAZIONI tenendo altresì conto della voglia di rivincita delle NAZIONI SCONFITTE E GIUDICATESI INIQUAMENTE TRATTATE DAGLI ACCORDI DI PACE COME ANCHE QUELLE NAZIONI VINCITRICI QUALI L'ITALIA CHE NON VIDERO RISPETTATI GLI ACCORDI PATTUITI di maniera che i nazionalismi presero a germogliare, sempre più agguerriti, divenendo presto forme di DITTATURA COME NELLA STESSA ITALIA e soprattutto nella GERMANIA HITLERIANA con FORME DI PERSECUZIONE RAZZIALE CHE RAGGIUNSERO L'ACME IN GERMANIA ma senza dimenticare quelle che si proposero anche nell'ITALIA FASCISTA e che fecero parte di una delle massime pagine tragiche della SECONDA GUERRA MONDIALE (pur senza dimenticare i fenomeni altrettanto sanguinosi di persecuzione razziale che avrebbero tormentato drammaticamente una delle MASSIME POTENZE VINCITRICI DEL II CONFLITTO MONDIALE VALE A DIRE L'UNIONE SOVIETICA SOGGETTA ALL'AUTORITARISMO STALINISTA).
La buona volontà parve non mancare con l'istituzione della SOCIETA' DELLE NAZIONI che patrocinò la messa al bando delle ARMI DI STERMINIO DI MASSA CULMINATE ALL'EPOCA NEI TERRIBILI"GAS ASFISSIANTI" ma tutto verteva sulla sostanziale debolezza della stessa SOCIETA' DELLE NAZIONI tenendo altresì conto della voglia di rivincita delle NAZIONI SCONFITTE E GIUDICATESI INIQUAMENTE TRATTATE DAGLI ACCORDI DI PACE COME ANCHE QUELLE NAZIONI VINCITRICI QUALI L'ITALIA CHE NON VIDERO RISPETTATI GLI ACCORDI PATTUITI di maniera che i nazionalismi presero a germogliare, sempre più agguerriti, divenendo presto forme di DITTATURA COME NELLA STESSA ITALIA e soprattutto nella GERMANIA HITLERIANA con FORME DI PERSECUZIONE RAZZIALE CHE RAGGIUNSERO L'ACME IN GERMANIA ma senza dimenticare quelle che si proposero presto anche nell'ITALIA FASCISTA e che fecero parte di una delle massime pagine tragice della SECONDA GUERRA MONDIALE (pur senza dimenticare i fenomeni altrettanto sanguinosi di persecuzione razziale che avrebbero tormentato drammaticamente una delle MASSIME POTENZE VINCITRICI DEL II CONFLITTO MONDIALE VALE A DIRE L'UNIONE SOVIETICA SOGGETTA ALL'AUTORITARISMO STALINISTA) = fatti estremi cui si cercò di porgere un argine attraverso ,le postulazioni del DIRITTO UMANITARIO nella forma in particolare della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949 e quindi i suoi molto più recenti Protocolli Aggiuntivi (Processo verbale del 16/03/2000 - Edizione provvisoria) ma che putroppo, anche se si auspica sempre il contrario, non cessarono sotto forma di meno note quanto terribili guerre spesso fratricide che tuttora si combattono specie in aree depresse del Mondo, peraltro condizionate da un elevato tasso di mortalità anche per cause puramente igienico-sanitarie e di carenza sia alimentare che di risorse.
















I TRATTATI DI PACE
Tra il 18 gennaio 1919 e il 10 agosto 1920 si riunirono nella Conferenza di pace di Parigi i delegati degli stati vincitori , cioè Lloyd George per l'Inghilterra , Clemenceau per la Francia , Wilson per gli Stato Uniti .
L'Italia fu rappresentata dal primo ministro Orlando e dal ministro degli esteri Sonnino , i quali tuttavia svolsero un ruolo secondario e abbandonarono temporaneamente la conferenza di pace ( 24 aprile 1919 ) per protesta contro il Manifesto al popolo italiano , nel quale il presidente americano Wilson aveva criticato come imperialistiche le rivendicazioni di Roma sulla Dalmazia e nei Balcani .
La conferenza di Parigi fissò i criteri fondamentali dei trattati di pace e stabilì la costituzione di una grande SOCIETA' DELLE NAZIONI ( con sede a Ginevra ) , la quale avrebbe dovuto garantire la libertà e la sicurezza dei popoli senza ricorrere alle armi .
Di questa società fecero parte inizialmente solo gli stati vincitori ed i paesi neutrali ( la Germania vi sarà ammessa nel 1926 e l'Unione Sovietica nel 1934 ) ; tuttavia nel 1919 , a seguito della vittoria dei repubblicani nelle presidenziali americane , gli Stati Uniti optarono per una politica isolazionista ed uscirono dalla
Società delle Nazioni.
TRATTATO DI VERSAILLES CON LA GERMANIA
Il trattato di Versailles ( 28 giugno 1919 ) fissò le condizioni di pace con la Germania , che fu costretta a cedere : l'Alsazia -Lorena alla Francia , lo Schleswig settendrionale alla Danimarca , i distretti di Eupen e Malmèdy al Belgio , la Posnania e l'Alta Slesia alla Polonia .
I TRATTATI DI PACE CON AUSTRIA E UNGHERIA
I trattati di saint-Germain -en-Laye ( 10 settembre 1919 ) e del Trianon ( 4 giugno 1920 ), fissarono rispettivamente le condizioni di pace con l'Austria e l'Ungheria , sancendo il definitivo smembramento dell'impero asburgico .
L'Austria fu ridotta ad un piccolo Stato repubblicano di soli 6 milioni di abitanti ,privo di sbocchi sul mare ; l'Italia ottenne Trento , il Tirolo meridionale , Trieste e l'Istria .
Il territorio dell'Ungheria venne ridotto ad un terzo di quello del periodo imperiale , con consistenti cessioni di territorio a Romania , Cecoslovacchia e Iugoslavia.
TRATTATO DI NEUILLY ( 27 NOVEMBRE 1919 )
La Bulgaria cedette parte della Macedonia alla Jugoslavia e la Tracia occidentale alla Grecia , e venne così privata dell'accesso al mare Egeo .
IL TRATTATO DI SEVRES ( 10 AGOSTO 1920 )
Con la Turchia sancì lo smembramento definitivo dell'Impero Ottomano e l'internazionalizzazione degli Stretti .
La Turchia europea venne ridotta alla regione di Istambul , mentre in Anatolia si formarono zone di influenza delle potenze vincitrici ( Francia, Grecia , Italia ) , che verranno abbandonate solo dopola guerra di librazione turca del 1920-22.
Dodecanneso e Rodi , passarono all' Italia .
In Medio Oriente la Turchia perse la sovranità su Siria e Libano ( affidati in mandato alla Francia ), Iraq, Arabia e Palestina ( in mandato all'Inghilterra ) .















QUESTIONE DI FIUME

Questione fiumana - questione di Fiume: contesa territoriale sorta al termine della prima guerra mondiale.
Fiume fu assegnata dal patto di Londra alla Croazia il 26 aprile 1915, per volontà della Russia che si era opposta alle richieste italiane.
Si aggravò così il problema della nazionalità della città.
La battaglia diplomatica per la città quarnerina, sostenuta dalla delegazione italiana con a capo Vittorio Emanuele Orlando e S. Sonnino, fu aspra e agitata. Già il 15 ottobre 1918, il deputato fiumano Andrea Ossoinack al parlamento di Budapest dichiarò: "Ritengo mio dovere di protestare qui alla camera, in faccia al mondo, contro chiunque volesse assegnare Fiume ai croati, perchè Fiume non soltanto non fu mai croata ma anzi fu italiana nel passato e tale rimarrà nell'avvenire".
Il 29 ottobre gli ungheresi abbandonarono la città e tutto il popolo si riversò per le strade invocando l'Italia.
Il presidente americano Wilson proponeva la spartizione dell'Istria, lungo la linea Monte Maggiore - Arsa e la costituzione di Fiume in città libera ma trovò la durissima opposizione del Consiglio Nazionale (che, presieduto da Antonio Grossich, aveva già proclamato: "Fiume unita alla sua madrepatria Italia") che respingeva qualsiasi altra soluzione diversa da quella dell'annessione al Regno d'Italia.
In seguito ai gravi incidenti scoppiati nel luglio del 1919 tra le truppe del corpo di occupazione interalleato e i fiumani (che provocarono alcuni morti) la conferenza di Parigi decise lo scioglimento del Consiglio Nazionale e della Legione dei volontari fiumani.
Ma il 12 settembre 1919 Gabriele D'Annunzio e i suoi legionari entrarono in Fiume al grido "O Fiume o morte!" e crearono la cosiddetta "Reggenza Italiana del Carnaro".
L' occupazione di Fiume da parte di D'Annunzio e dei legionari (circa 9000) durò oltre un anno.
Il 12 novembre 1920 si costituiva Fiume in stato libero e indipendente, dopo trattative fra i governi italiano e jugoslavo, mentre pochi mesi più tardi D' Annunzio e i legionari sgombrarono la città, affidando i poteri a un governo provvisorio presieduto dal filo-italiano Grossich il quale preparò libere elezioni vinte poi dagli autonomisti di Zanella.
Il risultato fu aspramente contestato.
Fiume passò all'Italia dopo il patto di Roma del 27 gennaio 1924.
Oltre alla città, divenne italiana anche l' isola di Cherso.
Fiume, Cherso e la già italiane isole di Lussino e Unie andarono a formare il Quarnero italiano.
Nel corso della seconda guerra mondiale la città fu occupata dai tedeschi nel 1943 e poi dagli jugoslavi nel 1945.
Quest' ultimi si resero protagonisti di gravi violenze nei confronti degli italiani.
Il trattato di pace di Parigi (febbraio del 1947), che assegnava alla Jugoslavia la città e la pulizia etnica (assassinio di tantissimi italiani) provocarono l'abbandono di gran parte della popolazione di lingua italiana.
Nel 1991, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, si tenne a Fiume una manifestazione di italianità e nel 1998 Zagabria negò il ripristino della bandiera della città perchè usata da un' organizzazione filo-italiana, il "Libero Comune di Fiume in esilio".

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1914: Inizia la Grande Guerra
I piani. L'iniziativa strategica fu presa dal comando militare tedesco che in pratica controllava quello di Vienna, mentre nell'altro campo non esistevano né direzione di guerra comune né, tanto meno, comando unico.
Il piano che il generale von Moltke (capo di SM tedesco e nipote del vincitore delle guerre del 1866 e del 1870) aveva ereditato dal suo predecessore von Schlieffen affidava alle deboli forze al comando di von Prittwitz nella Prussia Orientale e agli Austro-Ungarici l'incarico di contenere i Russi, mentre lo sforzo principale sarebbe stato operato immediatamente verso la Francia.
Il piano Schlieffen, peraltro, era stato modificato da Moltke e, mentre all'origine prevedeva una gigantesca manovra aggirante basata soprattutto sulla forza dell'ala destra (in proporzione di 7 a 1 con l'ala sinistra), il Moltke aveva ridotto tale proporzione (3 a 1). Il piano francese (il diciassettesimo elaborato a partire dal 1871 e chiamato perciò "piano XVII") prevedeva un'offensiva generale in Lorena, partendo dai due lati delle fortificazioni di Metz. Una variante, applicata dal 2 agosto, prescriveva soltanto, in caso di attacco tedesco al Belgio, l'estensione del dispositivo fino alla Mosa da Givet a Namur; il generale Joffre, autore del piano XVII, aveva il comando in capo dell'esercito francese.
Nei riguardi dei Russi alleati, vi era soltanto un accordo di massima per il quale essi avrebbero attaccato non appena possibile nella Prussia Orientale con il massimo dei mezzi per alleggerire la pressione tedesca sul fronte francese: il piano russo (affidato nell'esecuzione al granduca Nicola) era quindi subordinato a quello francese.
Il piano austro-ungarico, elaborato dal Conrad, prevedeva l'eliminazione rapida della Serbia e un attacco alla Russia dalla Galizia.
Le operazioni.
OVEST.
Se, nel corso della battaglia delle frontiere, l'ala destra tedesca formata dalle due armate dei generali von Kluck e von Bülow riuscì a prendere Liegi (16 agosto) e a respingere i Belgi su Anversa (20 agosto), dovette però lasciare fino a ottobre due corpi intorno a questa città per espugnarla. Le operazioni principali furono condotte in Lorena, dove i Francesi dovettero rinunciare a espugnare Morhange, ma resistettero davanti a Nancy e a Charmes, mentre nelle Ardenne si ebbero combattimenti dall'esito incerto.
Ma il 23 agosto il generale de Lanrezac, attaccato e battuto da von Bülow a sud della Sambre, avendo appreso la presenza dell'armata von Kluck, estrema ala aggirante tedesca, davanti agli Inglesi a Mons, dovette rompere il contatto.
Egli provocò così la ritirata generale delle truppe francesi (25 agosto - 6 settembre), che cercò di rallentare a Guisa.
Moltke credeva di avere ormai in pugno la decisione quando il generale Joffre, dando prova di grandi capacità, riuscì a riprendere progressivamente l'iniziativa, bloccando l'avanzata tedesca sulla Marna e respingendo i Tedeschi sull'Aisne e la Vesle (6-13 settembre).
La vittoria della Marna salvò Parigi gravemente minacciata (lo stesso governo francese aveva deciso di trasferirsi a Bordeaux) e segnò una svolta nella condotta della guerra.
Dopo lo scacco della Marna il generale Falkenhayn, che il 14 settembre aveva sostituito il Moltke alla testa dell'esercito tedesco, decise dapprima di continuare il suo sforzo principale all'ovest.
I due comandi cercarono allora di aggirare ciascuno l'ala nord dello schieramento avversario; ma queste manovre parallele non ebbero successo, e portarono alla cosiddetta "Corsa al mare", per raggiungere lo stretto di Calais.
Dopo la sanguinosa battaglia della Fiandra , in cui il generale Foch fu chiamato a coordinare l'azione dei Francesi, degli Inglesi e dei Belgi che ripiegavano da Anversa, le operazioni si stabilizzarono così su un fronte di 750 km che andava ormai dalle coste del mare del Nord alla Svizzera (ottobre-novembre, battaglia dell'Yser e di Ypres).
EST.
Se lo sforzo russo fu ostacolato da un'offensiva austriaca in Galizia, l'azione dei generali russi Samsonov e Rennenkampf, nella Prussia Orientale, costrinse Prittwitz alla ritirata, e obbligò lo SM tedesco a richiamare dal Belgio due corpi d'armata (25 agosto) per rafforzare il fronte.
Ma questo spostamento di truppe, prezioso per i Francesi impegnati nella battaglia della Marna, si rivelò inutile per i Tedeschi, perché il generale von Hindenburg, succeduto a Prittwitz dal 22 agosto, annientò l'armata Samsonov a Tannenberg (26-29), e, con la battaglia dei laghi Masuri (settembre), respinse Rennenkampf dalla Prussia Orientale con gravi perdite.
L'offensiva austriaca in Galizia, invece, venne arrestata dai Russi, i quali iniziarono qui una vigorosa controffensiva obbligando il nemico ad abbandonare Leopoli (3 settembre), ripiegando sui Carpazi.
Nonostante il contrattacco del generale tedesco Mackensen, da Toruacuton su barrata Lódacutoz (novembre-dicembre), il fronte si stabilizzò sulla linea Memel- Gorlice, a occidente di Varsavia.
Sul fronte navale il primo scontro fra navi tedesche e inglesi si ebbe presso Helgoland il 28 agosto, e la battaglia si risolse a favore dell'ammiraglio inglese Beatty.
Nel Pacifico occidentale la squadra tedesca di crociera di von Spee inflisse una dura sconfitta al largo di Coronel (1º novembre) alla squadra inglese di Cradock, ma fu poi annientata alle Falkland (8 dicembre).
Risultati.
Alla fine del 1914, anche se il piano di Moltke non aveva potuto essere realizzato, il territorio tedesco era stato tuttavia preservato dalla temuta invasione russa, anzi le truppe germaniche occupavano a occidente parte del Nord della Francia.
Quanto all'Austria, il suo esercito non riuscì a venire a capo della resistenza della Serbia, che anzi, dopo le vittorie del Cer, in Bosnia, e di Rudnik, liberò il suo territorio e riprese Belgrado (13 dicembre).
I Tedeschi persero a opera dei Giapponesi i possedimenti del Pacifico (caduta di Chiao-chou, 17 novembre).
La Francia aveva fermato l'invasione tedesca, ma la perdita di una parte essenziale del suo territorio aveva diminuito il suo potenziale umano ed economico all'inizio di una guerra di cui non si intravedeva la fine e che avrebbe richiesto sforzi senza precedenti.
1915: L'intervento politico inglese
La strategia tedesca.
Anche nel 1915 l'iniziativa delle operazioni rimase sostanzialmente alla Germania.
Dopo alcune esitazioni il Falkenhayn, confidando nella solidità del fronte occidentale (confermata dagli scarsi risultati degli attacchi francesi alle posizioni di Notre-Dame-de-Lorette), decise di portare un colpo decisivo sul fronte orientale, anche per rispondere alla pressione russa su Stanislawów e Przemysl, caduta nel marzo 1915, pressione che aveva posto gli Austriaci in difficile situazione, portando gli eserciti russi fino sui passi dei Carpazi.
Dal maggio all'agosto (battaglia di Gorlice-Tarnów) le forze di Hindenbur g (con il suo capo di SM Ludendorff) e di Mackensen, appoggiate a sud da quelle austro- ungariche, con una potente azione di sfondamento costrinsero i Russi a evacuare Leopoli, Lublino e l'intera Polonia(Varsavia cadde il 5 agosto), stabilizzando così il fronte sulla linea Riga-Pinsk-Czernowitz.
I Tedeschi, la cui situazione rimase qui praticamente inalterata fino al 1917, allontanarono così ogni pericolo sul loro fronte orientale.
L'offensiva contro i Russi dovette essere interrotta (25 settembre) per fronteggiare gli attacchi francesi nell'Artois e nella Champagne; ma il Falkenhayn, che già dal gennaio aveva messo in allarme gli Inglesi con un attacco contro Suez condotto da truppe turche, approfittò dell'alleanza con la Bulgaria per liquidare e occupare la Serbia (ottobre-novembre), per collegarsi direttamente con i Turchi e per unificare gli obiettivi delle operazioni negli Stretti e nei Balcani.
La dispersione degli sforzi alleati.
Il 1915 fu l'anno dell'intervento politico inglese nella direzione della condotta di guerra degli Alleati; dopo aver creato, soprattutto per impulso del Kitchener, quasi dal nulla, valide forze armate, la Gran Bretagna non volle nonostante le richieste di Joffre esaurirle sul fronte francese, ma cercò invece di colpire la Germania manovrando per linee esterne sui punti deboli del suo dispositivo.
Per attaccare la Turchia e rafforzare le loro posizioni nel Medio Oriente, gli Inglesi, sbarcati nel Golfo Persico (novembre 1914), avanzarono nella Mesopotamia puntando su Bagdad, e nel febbraio, appoggiati tiepidamente dalla Francia, intrapresero la già ricordata spedizione dei Dardanelli, che dopo lo scacco navale di Çanakkale (18 marzo), e le durissime lotte nella penisola di Gallipoli, fu resa inutile, fra l'altro, dal sopravvenuto crollo della Serbia: s'impose così l'evacuazione della penisola di Gallipoli (dicembre 1915 - 8 gennaio 1916), ma le truppe impiegate nei Dardanelli vennero fatte sbarcare a Salonicco, preparando così l'apertura di un nuovo fronte.
Nel luglio, intanto, le forze inglesi occuparono le colonie tedesche dell'Africa del Sud- Ovest, pur senza essere riuscite a debellare la resistenza germanica nell'Africa orientale.
Da parte francese, tutti gli sforzi furono tesi alla liberazione del territorio nazionale, da conseguire mediante uno sfondamento del fronte nemico e la ripresa della guerra manovrata.
Joffre fece così eseguire, dal febbraio all'ottobre, una serie di violente quanto vane offensive nell'Artois, nella Champagne nelle Argonne e nei Vosgi, il cui unico risultato fu di salvare l'esercito russo, duramente battuto a Gorlice, obbligando il comando tedesco a impegnare le sue riserve a ovest.
Il fronte italiano.
Nel 1915 l'Italia, in base al patto di Londra, s'impegnò a prendere risolutamente l'offensiva contro l'Austria; ciò costrinse il capo di SM, generale Cadorna, a dare alle operazioni un'impostazione strategica fino ad allora imprevista.
In questa situazione il piano di Cadorna consistette nell'offensiva limitata al settore orientale, quello delle Alpi Giulie e dell'Isonzo, con obiettivi Trieste e Lubiana; mentre sul fronte trentino era prevista solo una difensiva strategica sussidiata dalla conquista di Dobbiaco, un attacco in Carnia verso Tarvisio avrebbe dovuto garantire il fianco della puntata offensiva.
Il comando supremo austriaco, dal canto suo, fin dall'autunno 1914 aveva ordinato la costituzione di un'organizzazione difensiva continua sul confine per logorare le truppe italiane con il minimo delle forze: per il momento non erano previste azioni d'attacco verso l'Italia.
Le operazioni iniziarono con la presa di contatto dei due eserciti (24 maggio - 16 giugno) e proseguirono con le prime quattro battaglie dell'Isonzo (23 giugno - 2 dicembre).
Nessuno degli obiettivi che il comando supremo italiano si era prefisso venne raggiunto, però l'intervento italiano e l'atteggiamento offensivo subito assunto apportarono alla causa alleata un notevole contributo salvando l'esercito russo in ritirata nella Polonia da una schiacciante sconfitta e favorendo l'azione difensiva francese.
Risultati.
Le operazioni condotte dagli Alleati risultarono in complesso deludenti, ma il loro potenziale militare migliorò in modo netto; lo sforzo per incrementare qualitativamente e quantitativamente l'armamento, reso possibile dalla libertà dei mari, permise alle industrie belliche di attrezzarsi e agli eserciti di trasformare la loro struttura e di fare l'esperienza di nuovi metodi di combattimento. La necessità di una maggiore cooperazione militare alleata apparve chiara alla conferenza di Chantilly (dicembre), in cui si decisero i piani di guerra per il 1916 e si stabilì di dare un aiuto materiale alla Russia, le cui truppe avevano subito perdite molto gravi. D'altra parte l'obiettivo tedesco di eliminare totalmente i Russi dal conflitto fallì, perché il rifiuto delle offerte di pace del Kaiser (giugno) e l'offensiva del generale Ivanov in Bucovina (dicembre) dimostrarono che la Russia era ancora in grado di combattere.
Il Falkenhayn, danneggiato dagli effetti del blocco, si decise anche se dapprima timidamente a causa delle reazioni americane a impiegare l'arma sottomarina il cui uso a oltranza era propugnato dall'ammiraglio von Tirpitz.
Nell'uno e nell'altro campo si affermò la preminenza del fronte francese.
1916: La battaglia di Verdun
Verdun e la battaglia della Somme.
I piani elaborati da ambedue le parti per il 1916 puntavano al raggiungimento di risultati decisivi per mezzo di un'offensiva di logoramento degli effettivi e del materiale sul fronte francese.
Il generale Joffre decise di portare una serie di attacchi potenti e metodici sulla Somme, che avrebbero dovuto essere appoggiati da un'offensiva russa in Galizia.
Ma fu preceduto dal Falkenhayn il quale, ritenendo che la Francia fosse al limite delle sue risorse umane, decise di colpire prima che scendessero in campo nuove truppe britanniche; egli scelse come obiettivo Verdun che attaccò il 21 febbraio nella presunzione che la sua caduta, dopo l'esaurimento di tutti i mezzi difensivi francesi, avrebbe deciso della guerra.
Ma, se la battaglia di Verdun (febbraio-dicembre) logorò l'esercito francese in proporzioni maggiori di quello tedesco, essa si risolse tuttavia in un insuccesso strategico tedesco, perché Joffre, anche se con ritardo sui piani iniziali, poté lanciare (1º luglio), alimentandola per quattro mesi, la sua offensiva sulla Somme, che impedì ai Tedeschi di impegnare a Verdun tutti i mezzi inizialmente previsti.
Il fronte italiano.
Il comando supremo austriaco, non più preoccupato dell'esercito russo, decise di attuare una grande offensiva contro l'Italia secondo un progetto già studiato fin dal tempo di pace dal generale Conrad. L'esercito austriaco, sostenuto da unità germaniche, avrebbe dovuto irrompere dal saliente trentino nella pianura veneta tagliando le comunicazioni alle armate italiane schierate a oriente.
Il Falkenhayn sconsigliò l'operazione, e il Conrad decise allora di agire con le sole forze austriache.
L'offensiva, che gli Austriaci denominarono Strafexpedition e gli Italiani "battaglia degli Altipiani" (15 maggio - 24 luglio), si svolse su un fronte di 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana.
Dopo un'iniziale ritirata il rapido spostamento di truppe di riserva dal fronte giulio consentì a Cadorna di fronteggiare la pericolosa situazione impedendo agli Austriaci di conseguire il successo.
Il 16 giugno il comando supremo italiano lanciò una controffensiva con le ali dello schieramento migliorando la situazione del fronte.
Agli inizi dell'anno Cadorna, secondo gli accordi di Chantilly (dicembre 1915), aveva predisposto un'offensiva sul fronte dell'Isonzo persistendo nel concetto operativo di avanzare verso Trieste e Lubiana e preparando una potente offensiva contro il saliente di Gorizia.
Questa fu realizzata con un'abile manovra strategica che consentì di spostare rapidamente la 5ª armata, che era stata impegnata in minima parte nella lotta sugli Altipiani.
Il conseguimento della sorpresa consentì la conquista di Gorizia (6ª battaglia dell'Isonzo, 9 agosto), le cui posizioni fortificate erano ritenute dagli Austriaci imprendibili.
Nell'autunno (settembre- novembre) si ebbero sul Carso triestino tre sanguinose offensive (7ª, 8ª, 9ª dell'Isonzo) che si risolsero in battaglie di logoramento da entrambe le parti.
Gli altri fronti.
In seguito agli avvenimenti dell'anno precedente, che avevano costretto i Russi a un generale ripiegamento, con la perdita di vasti territori (Polonia, Lituania, ecc.), il granduca Nicola era stato esonerato dal comando in capo dell'esercito, che venne assunto personalmente dallo zar: la situazione generale non migliorò ma i Russi poterono riprendere in Galizia la spinta attaccante con un'offensiva (offensiva Brusilov) che nell'estate 1916 pose in critiche condizioni l'esercito austro-ungarico.
Nell'autunno, però, le capacità combattive russe parvero ormai esaurite.
Russi e Turchi furono nel 1916 abbastanza attivi sui fronti secondari: offensiva russa del granduca Nicola in Armenia (presa di Erzurum e di Trebisonda, febbraio-aprile); attacchi turchi in Mesopotamia (ideati dal generale tedesco von der Goltz), che costrinsero gli Inglesi a ritirarsi dalla zona di Bagdad e a capitolare a Kut al-Amara (28 aprile), sul canale di Suez, peraltro falliti (4 agosto), e in Palestina, dove non riuscirono a fermare i progressi inglesi su Al-Arish (presa nel dicembre) e Gaza.
In Africa, il Camerun venne occupato dai Franco-Inglesi nel gennaio.
Balcani. In Macedonia, le forze del generale francese Sarrail, in risposta a un attacco bulgaro, presero l'offensiva il 14 settembre e conquistarono Monastir (novembre), ma non poterono impedire a Falkenhayn passato, dopo le sue dimissioni da capo di SM, al comando della 9ª armata di schiacciare le armate romene che si erano spinte in Transilvania e di entrare a Bucarest (ottobre- dicembre), mentre il Mackensen cooperava efficacemente da sud alla clamorosa vittoria.
Risultati.
La conquista della Romania non poteva controbilanciare, per gli Imperi centrali, lo scacco subito dal comando tedesco a Verdun, che segnò, per sua stessa ammissione, la "svolta della guerra".
Sul piano militare, nel complesso dei fronti le iniziative si equilibrarono, e l'usura delle forze nemiche, che i due avversari cercavano di conseguire, colpì ugualmente gli eserciti contrapposti, ripercuotendosi a livello degli alti comandi: così, nell'agosto Falkenhayn cedette il posto a Hindenburg e al suo capo di SM Ludendorff, e nel dicembre Joffre fu sostituito da Nivelle, fautore dell'offensiva a ogni costo.
Gli Austro-Tedeschi, nell'intento di rafforzare la condotta della guerra, affidarono in settembre il comando unico a Hindenburg, ma essi dovevano ormai fronteggiare un nemico la cui potenza militare si rafforzava continuamente, e il cui dominio dei mari, nonostante l'esito indeciso della battaglia dello Jutland (31 maggio), rimaneva incontrastato.
1917: La guerra sottomarina
Il fronte occidentale.
Poiché la guerra di logoramento non aveva portato alla decisione definitiva, questa dovette essere ricercata in altra direzione, ma i piani elaborati a tal fine dalle due parti furono sconvolti dalle conseguenze militari della Rivoluzione russa e dell'intervento americano.
Hindenburg si vide costretto per la prima volta, dalla scarsità dei suoi mezzi, a opporre alle azioni alleate un atteggiamento puramente difensivo, ripiegando le sue unità (febbraio-maggio) in previsione dell'offensiva generale alleata su un fronte più arretrato preventivamente fortificato (San Quintino-La Fère), al quale chiedeva semplicemente di "tenere"; egli si aspettava infatti la decisione del conflitto dalla guerra sottomarina a oltranza, anche a rischio dell'intervento americano, che a suo parere sarebbe stato tardivo.
Se il comandante tedesco non poté più imporre il ritmo delle operazioni, seppe però approfittare in pieno degli avvenimenti che gli erano favorevoli: lo scacco dell'offensiva francese sull'Aisne rafforzò la sua fiducia, e la progressiva eliminazione del fronte russo (Riga cadde in settembre), sanzionata dall'armistizio e poi dalla pace di Brest-Litovsk, giocò in modo insperato in favore della Germania. In particolare, Hindenburg poté così aiutare in misura determinante l'Austria nell'offensiva che portò a Caporetto.
Il generale Nivelle, trasformando i piani di Joffre, si era proposto di ottenere la vittoria con la rottura rapida su un largo fronte, e il suo sfruttamento pronto e audace.
Preceduta da un attacco inglese nell'Artois (9 aprile), la sua grande offensiva fu scatenata il 16 aprile sullo Chemin des Dames ma si risolse con un insuccesso totale, che portò alla sostituzione del Nivelle con Pétain (15 maggio).
Dispersione degli sforzi alleati.
La resistenza tedesca fu facilitata dalla mancanza di unità fra gli Alleati. Gli Inglesi dedicarono infatti mezzi sempre più ingenti alla guerra contro i Turchi, che essi consideravano come una questione di loro esclusiva spettanza; l'11 marzo gli Inglesi entrarono a Bagdad; il 31 ottobre Allenby attaccò in Palestina, ed entrò a Gerusalemme (18 dicembre).
Sul fronte occidentale, gli Inglesi lanciarono una grande offensiva nella Fiandra (giugno-novembre) per allontanare i Tedeschi dalle coste del Belgio e raggiungere le basi dei sottomarini.
Sul fronte di Salonicco, dove il Sarrail fu sostituito dal Guillaumat, non si svolse nessuna operazione di rilievo.
La guerra sottomarina toccò invece il suo apice: nell'aprile i Tedeschi affondarono naviglio mercantile alleato per 1 milione circa di t, ma l'adozione del sistema dei convogli e il perfezionamento delle difese alleate portarono a una graduale riduzione delle perdite (550.000 t in luglio, 288.000 in novembre).
Il fronte italiano.
Nel convegno di Roma (6-8 gennaio), al quale parteciparono tra gli altri Lloyd George e Nivelle, il Cadorna propose un'azione decisiva interalleata contro l'Austria, ritenuto il più debole degli Imperi centrali.
L'opposizione di Nivelle, che preparava una propria offensiva, fece cadere la proposta, a cui Lloyd George era favorevole. L'Austria, stremata dalle operazioni del 1916, aveva deciso di tenere un atteggiamento difensivo in attesa degli eventi politici in Russia.
L'Italia, in base agli accordi della conferenza di Chantilly, aveva iniziato la preparazione di una nuova offensiva contro le difese orientali di Gorizia.
Il timore di una nuova offensiva dal Trentino fece sospendere l'azione che fu poi attuata in maggio (10ª battaglia dell'Isonzo) e ripetuta in agosto (11ª battaglia dell'Isonzo) sulla Bainsizza, per infliggere all'esercito austriaco un duro colpo prima che potesse spostare notevoli forze dal fronte russo.
Sugli Altipiani, per migliorare la situazione del fronte, furono iniziate delle operazioni che diedero luogo alla battaglia dell'Ortigara (10-29 giugno) che comportò gravissime perdite e nessun risultato.
La critica situazione austriaca dopo la battaglia della Bainsizza spinse la Germania a venire in aiuto dell'alleata approfittando del fatto che l'esercito russo era in dissolvimento e che quello francese già da tempo stava sulla difensiva.
Fu deciso di attaccare sull'alto Isonzo nel settore Plezzo-Tolmino dove la sistemazione difensiva italiana si presentava piuttosto debole.
La rottura del fronte doveva avvenire con il metodo di attacco ideato da Hindenburg e Ludendorff e che aveva dato brillanti risultati già alla presa di Riga, attuata dal generale Hutier (1-3 settembre).
La realizzazione della sorpresa, affidata al generale tedesco von Below, la rispondenza dei procedimenti d'attacco allo scopo da conseguire, deficienze nell'organizzazione difensiva italiana e nell'azione di comando, consentirono la rottura del fronte e la penetrazione profonda delle truppe austro-tedesche nello schieramento italiano (Caporetto, 24-26 ottobre).
Di fronte alla gravità di tale situazione Cadorna emanò alle due del 27 ottobre l'ordine di ripiegare sul Tagliamento.
Ma il complesso delle forze che il 1º novembre si trovavano a occidente del fiume era insufficiente alla difesa, per cui Cadorna ordinò un ulteriore ripiegamento sulla linea Asiago-Grappa-Piave che presentava una minore ampiezza di fronte.
Nella notte dal 2 al 3 novembre gli Austro-Tedeschi forzarono il Tagliamento a sud di Osoppo.
Lo schieramento venne portato dietro la Livenza; dal 5 al 7 novembre la 2ª e la 3ª armata protessero il ripiegamento del grosso sul Piave che risultava completato entro il 9 novembre.
In tale data Cadorna fu sostituito da Diaz nella carica di capo di SM dell'esercito.
Giunti sul Piave gli Austro-Tedeschi, ritenendo di avere di fronte un esercito ormai disfatto, dopo essersi riordinati ripresero gli attacchi sull'altopiano di Asiago (10 novembre), sul Piave (12 novembre), sul Grappa (15 novembre) che rinnovarono di fronte all'accanita resistenza italiana, senza però conseguire alcun successo decisivo.
La crisi italiana provocata da Caporetto dimostrò la necessità di una più stretta cooperazione militare alleata; pertanto nell'incontro di Rapallo (7 novembre 1917) i primi ministri e i capi di SM della Francia, dell'Inghilterra e dell'Italia decisero la creazione di un Consiglio superiore di guerra interalleato, formato dai rappresentanti militari permanenti delle potenze alleate, primo passo sulla via del comando unico.
1918: La sconfitta della Germania
L'estremo sforzo tedesco, reso possibile dalla fine delle operazioni militari sul fronte orientale, permise di far affluire a occidente 700.000 uomini, e fu per gli Alleati un colpo tanto più duro in quanto i Franco-Inglesi erano alle prese con una grave crisi di effettivi, anche perché le unità americane non potevano intervenire prima del luglio; il comando alleato fu così costretto a un atteggiamento difensivo (direttiva Pétain del 24 gennaio).
Hindenburg e Ludendorff, invece, si trovavano di fronte alla necessità imperiosa di ottenere lo scontro risolutivo prima dell'intervento americano e dell'usura completa degli alleati austriaci, bulgari e turchi, ormai all'estremo delle loro risorse.
Essi dedicarono pertanto tutte le loro energie alla preparazione delle forze tedesche, per realizzare a ogni costo, con la sorpresa e la violenza degli attacchi, la rottura del fronte francese.
Gli attacchi tedeschi durarono senza interruzione dal 21 marzo al 15 luglio.
Nella speranza di separare i Francesi dagli Inglesi, costringendo i primi a coprire Parigi e i secondi le loro basi della Manica, Hindenburg e Ludendorff attaccarono il 21 marzo in Piccardia, ma non poterono raggiungere i loro obiettivi per la risoluta resistenza degli Alleati che a Doullens, alla fine di marzo, realizzarono finalmente il comando unico, affidato al Foch, nominato comandante in capo il 14 aprile.
Dopo l'insuccesso di una seconda offensiva in Fiandra (9-25 aprile ), Ludendorff, attribuendo questi scacchi all'intervento delle riserve francesi, decise di impegnarle sull'Aisne, prima di liquidare gli Inglesi nella Fiandra.
Egli quindi attaccò di nuovo il 27 maggio, raggiungendo Château-Thierry e minacciando da vicino Parigi per la seconda volta, dopo l'agosto-settembre 1914.
Per allargare la sua offensiva, frenata da Foch nella foresta di Villers-Cotterets e nelle alture della Champagne, egli attaccò poi all'ovest, il 9 giugno, sul Matz, e all'est, il 15 luglio, su Reims.
Quest'ultima offensiva segnò il punto culminante dell'avanzata tedesca: il 18 il Foch lanciò una controffensiva vittoriosa sul suo fianco destro, in direzione di Soissons, e il 3 agosto la sacca di Château-Thierry fu riassorbita.
La controffensiva di Foch.
Fin dal 24 luglio, il piano di Foch prescriveva un ritorno definitivo all'offensiva, con l'obiettivo principale di disimpegnare le strade strategiche Parigi-Amiens e Parigi-Châlons-Nancy mediante la riduzione delle sacche di Château- Thierry (in corso), di Montdidier (battaglia dell'8 agosto) e di Saint-Mihie* (battaglia del 12 settembre).
Il 3 settembre Foch, deciso a non lasciare respiro all'avversario, ordinò l'offensiva generale e la continuò con tutte le sue forze, dalla Mosa al mare, in direzione di Mézières.
La manovra concentrica si sviluppò, a partire dal 26 settembre, con tre grandi operazioni condotte da Francesi, Inglesi e Belgi nella Fiandra, in direzione di Gand, da Francesi e Inglesi contro la linea Hindenburg, in direzione di Cambrai e di San Quintino, da Francesi e Americani nelle Argonne, in direzione di Sedan.
Il 10 e il 20 ottobre Foch ordinò lo sfondamento delle ultime posizioni difensive tedesche (linee Hermann e Hunding), e previde l'estensione della battaglia a est della Mosa.
Ma l'attacco concentrico delle dodici armate alleate costrinse i Tedeschi a confessarsi vinti: il 4 novembre essi decisero la ritirata generale sul Reno; il 7, loro plenipotenziari chiesero l'armistizio, che ottennero a Rethondes, l'11 novembre, rendendo superflua l'offensiva di Lorena prevista per il 14.
Il fronte italiano.
L'estremo tentativo offensivo austriaco ebbe qui inizio il 15 giugno (battaglia del Solstizio): sugli Altipiani e sul Grappa conseguì vantaggi locali ma con perdite così gravi che in quei settori le operazioni furono subito sospese; lungo il Piave gli Austriaci riuscirono ad avanzare sul Montello e a costituire alcune teste di ponte.
Il comando supremo austriaco difettava però di riserve, mentre quello italiano poté far affluire le proprie lanciando una controffensiva che determinò il ripiegamento del nemico, ormai esausto, al di là del fiume.
Gravi questioni politiche cominciavano intanto a turbare la compagine degli Imperi centrali, mentre i popoli dell'Impero austro-ungarico intensificavano i moti d'indipendenza.
Di fronte a questa situazione il 25 settembre il generale Diaz decise di agire cercando di dividere le forze schierate in piano da quelle del settore montano, forzando il Piave di fronte al Montello e puntando su Conegliano e Vittorio Veneto.
L'offensiva ebbe pieno successo e il 29 ottobre l'esercito austriaco iniziò il ripiegamento in pianura e nella notte fra il 30 e il 31 abbandonò il Grappa.
Il giorno 31 iniziò l'inseguimento per precedere le truppe in ritirata sui punti d'obbligato passaggio delle colonne.
L'armistizio venne firmato a villa Giusti e le operazioni terminarono alle ore 15 del 4 novembre, una settimana prima della conclusione generale della guerra sul fronte occidentale (11 novembre), come si legge nel giustamente orgoglioso Proclama di vittoria del Marasciallo Diaz.
La vittoria italiana diede peraltro un contributo notevole, per la minaccia di agire da sud contro la Germania.
Gli altri fronti.
Accanto all'azione sul fronte francese e italiano la strategia alleata lanciò altre offensive che contribuirono in modo decisivo alla vittoria.
In Macedonia, il generale francese Franchet d'Esperey lanciò il 15 settembre un attacco generale mirante alla rottura del fronte bulgaro: l'obiettivo fu raggiunto con la battaglia di Dobro Polje, che costrinse i Bulgari a deporre le armi il 29 settembre.
Sfruttando questo successo, Franchet d'Esperey si spinse su Üsküb (Skoplje), varcò il Danubio, liberò la Serbia e la Romania (ottobre) e minacciò l'Austria e la Germania del sud.
In Palestina, le forze inglesi (Allenby) passarono all'offensiva il 19 settembre, batterono le truppe turco-germaniche ed entrarono a Damasco (30 settembre), Beirut (7 ottobre), Aleppo (26 ottobre).
Nella notte fra il 30 e il 31 ottobre la Turchia, minacciata anche dall'avanzata alleata su Costantinopoli, dovette firmare l'armistizio di Mudhros.
Continuò a resistere, nell'Africa Orientale tedesca, la colonna del colonnello von Lettow-Vorbeck, che depose le armi solo l'11 novembre.


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Per quanto possa sembrare strano il problema delle ARMI PROIBITE (più specificatamente poi determinate e delimitate sotto la tipologia di ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA - ARMI DI STERMINIO e/o ARMI TOTALI) è stato dibattuto in vari momenti storici: volendo intrecciare una riflessione di archeoletteratura si potrebbe addirittura identificare la prima, vera e propria, ARMA TOTALE nell'antico FUOCO GRECO (FUOCO SACRO) la cui efficienza rese a lungo invitte contro gli invasori Arabi le ARMATE DELL'IMPERO ROMANO D'ORIENTE = il concetto di ARMA TOTALE dato al FUOCO GRECO deve però esser dimensionata rispetto all'uso delle PRIME E VERE PROPRIE ARMI CHIMICHE DESTINATE AD UN PROCESSO DI DISTRUZIONE DI MASSA = "La guerra si deve combattere con le armi, non coi veleni" (Armis bella non venenis geri debere) scrisse Valerio Massimo nel III libro al capitolo 4 dei suoi Factorum et dictorum memorabilium libri IX: eppure esistono testi cinesi risalenti al IV secolo a.C. che descrivono l'uso di soffietti per pompare fumo da fuochi accesi con vegetali tossici (alcune varietà di senape, ed altri), nei tunnel scavati dagli assedianti. Scritti cinesi ancora più antichi, circa del 1000 a.C., contengono centinaia di ricette per la produzione di gas velenosi od irritanti da usare in guerra ed in altre occasioni. Tramite questi reperti siamo venuti a conoscenza delle "nebbie cacciatrici di uomini" che contenevano arsenico, e dell'uso di calce finemente triturata, dispersa nell'aria per sedare una rivolta popolare nell'anno 178. La testimonianza più antica dell'uso di gas velenosi in guerra risale al V secolo a.C., durante la guerra del Peloponneso, fra ateniesi e spartani. Le forze di Sparta allestirono durante un assedio una miscela incendiara di legno, resina e zolfo sperando che il fumo velenoso incapacitasse gli ateniesi, in modo da renderli indifesi nell'attacco che sarebbe seguito. Sparta non era però unica depositaria di questa tecnologia: si narra che Solone usò radici di elleboro per avvelenare le acque della città di Cirrha durante un assedio nel 590 a.C. I persiani ricorsero all'uso di veleni per opporsi all'avanzata di Alessandro Magno (334 - 331 a.C.), i Romani contro i Sassanidi tra il 247 ed il 363 d.C., i bizantini li utilizzarono contro gli arabi tra il 636 ed il 711. È noto anche l'uso di armi chimiche nella Cina medievale.
Il cronista polacco Jan Dlugosz narra l'impiego di gas velenosi da parte degli eserciti mongoli nella battaglia di Legnica nel 1241.

Non sorse mai, per quanto è noto, alcun dibattito sulle caratteristiche e sulle potenzialità offensive, mai discriminanti tra nemici od amici come tra combattenti o civili, del FUOCO GRECO: fu peraltro un'ambizione araba (quindi recepita dai Turchi) quella di coglierne i segreti e rivolgerne la terrifica potenza contro i nemici cristiani pur se, od onor del vero, l'Islam, assai prima dell'Occidente, maturò un giudizio eminentemente difensivo della guerra in cui, stando a Maometto, avrebbero sempre dovuto interagire da parte dei belligeranti sensi di riguardo per donne, bambini, vecchi e comunque civili.
Fuori dai grandi eventi dell'età di mezzo e nel contesto dei secoli succedenti al XV ogni dibattito sulla liceità o meno di particolari armi sostanzialmente fu sempre impostato sulle basi di una questione giuridica o di una qualche esigenza di pubblica sicurezza mirante ad inibire l'uso di strumenti d'offesa, come le pistole corte, che si potessero nascondere, sì da aggredire passeggeri e viandanti (il caso dei banditi manticularii che sorprendevano per via le persone celate le armi sotto il mantello) od all'opposto quali le "armi da fuoco lunghe" cioè di precisione come certi archibugi che permettevano, soprattutto a prezzolati sicari e scavezzi (equivalenti nel genovesato dei bravi di manzoniana memoria), di colpire le loro vittime agendo indisturbati nell'ombra di qualche riparo od anfratto.
Anche se questo scottante argomento ha sostanzialmente solide ma moderne radici e lo stesso DIRITTO UMANITARIO data da un'epoca relativamente a noi vicina, occorre comunque dire che lo jus intermedio occidentale, seppur in modo embrionale, si era comunque posto il problema sulla salvaguardia delle persone alla stregua di quello sull'accontonamento di particolari generi di armamenti di ordine individuale.
Per quanto, ad esempio, ancora concerne il caso emblematico del DOMINIO DELLA REPUBBLICA DI GENOVA alcune integrazioni del 1587, degli STATUTI CRIMINALI, rese necessarie dall'espandersi della VIOLENZA ORGANIZZATA, sancirono con oculatezza la tipologia delle armi illegali.
Con l'evolversi di una superiore, preilluministica attenzione alla salvaguardia delle persone, da fine '600 e soprattutto dai primi decenni del '700 gli Stati cominciarono poi a sancire e pubblicare rinnovati REGOLAMENTI MILITARI tra i cui capitoli cominciavano a comparire norme atte a vigilare seriamente sul comportamento dei MILITARI impegnati in CAMPAGNE DI GUERRA od anche solo DI STANZA IN PIAZZEFORTI, al fine che non tormentassero le popolazioni civili e non ne saccheggiassero beni o proprietà:
All'uopo soccorre anche in questa circostanza la NORMATIVA GENOVESE DEL XVIII SECOLO.
Il colonnello LORENZO MARIA ZIGNAGO redigendo i nuovi STATUTI MILITARI DI GENOVA(1722) dimostrò cura, in varie parti del testo, nella REPRESSIONE DI AZIONI SOLDATESCHE A DANNO DI CIVILI ed in particolare editò un ARTICOLO (il 35, del regolamento delle Pene) estremamente importante per l'epoca, ARTICOLO da cui era punito, contro pregresse scelte guerresche atte a vari ordini di soluzioni punitive, non specificatamente lo STUPRO ETNICO ma direttamente il, prima "tollerato", crimine di STUPRO in quanto tale:"Chi leverà l'onore a viva forza a figlie, donne maritate o vedove sarà condannato di morte e chi la bacerà o le farà atti disonesti parimenti per forza e con violenza sarà condannato due anni di galera...".
Si trattava solo di un inzio per la complessa definizione del DIRITTO UMANITARIO e contestualmente per una più estesa condanna di ARMI ESTREMAMENTE INVALIDANTI O DI STERMINIO: fu comunque un passo significativo, contestualmente fatto, agli albori dell'illuminismo, in molti altri Stati europei.
Ma restava moltissimo da fare e, tutto sommato, la riproposizione della questione si pose ben più profondamente in DUE ALTRI MOMENTI.
Mentre UNO di questi risultò collegato alle specifiche angosce esistenziali di un GRANDE SCIENZIATO COME ALFREDO NOBEL resosi consapevole d'aver offerto all'umanità la potenzialità per realizzare ARMI DI STERMINIO vere e proprie, il SECONDO MOMENTO fu invece, diacronicamente, caratterizzato da una successione di conferenze, accordi, convenzioni (mai semplici in verità) che presero il via, come qui di seguito si legge, dalla fine del tormentato XIX secolo.
A fine di questo lo Zar NICOLA II aveva infatti promossa all'Aja una CONFERENZA INTERNAZIONALE (nota del 24 agosto 1898) delle varie potenze nella quale allo scopo di discutere la RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI.
Con una seconda nota del 30 dicembre dello stesso anno, lo Zar aveva modificato il programma della conferenza, in cui fra le altre cose, le potenze dovevano cercare di accordarsi per una sospensione negli armamenti.
La conferenza si riunì dal 18 maggio al 29 luglio del 1899 e vi parteciparono l'Austria-Ungheria, il Belgio, la Cina, la Danimarca, la Francia, il Giappone, la Grecia, la Germania, l'Inghilterra, l'Italia, il Lussemburgo, l'Olanda, il Montenegro, il Messico, la Norvegia, la Persia, il Portogallo, la Romania, la Russia, la Serbia, la Spagna, gli Stati Uniti, il Siam e la Svezia.
Rappresentanti dell'Italia furono COSTANTINO NIGRA, il conte ZANINI, l'on. GUIDO POMPILI, il generale ZUCCARI e il capitano di vascello BIANCO.
I risultati della conferenza, che erroneamente fu chiamata "della pace", non furono quelli che si speravano. Difatti, riguardo alla riduzione degli armamenti, la Conferenza si limitò a dichiarare che essa era "grandemente desiderabile per il benessere materiale e morale dell'umanità", e non si riuscì a stabilire l'obbligatorietà dell'arbitrato.
Fu istituita invece all'Aja una corte permanente con lo scopo di facilitare le soluzioni pacifiche dei conflitti internazionali e, a proposito delle leggi e degli usi di guerra, furono adottati i seguenti provvedimenti:
a) divieto dei proiettili contenenti gas asfissianti o deleteri, dell'uso delle pallottole dum-dum e del lancio di materia esplosiva dai palloni;
b) estensione alla guerra marittima della Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864, riguardante l'inviolabilità del personale sanitario e degli ospedali;
c) codificazione delle leggi e degli usi della guerra continentale, stabiliti dalla Conferenza di Bruxelles del 1874 e riflettenti le norme delle ostilità, la situazione dei belligeranti e dei prigionieri di guerra, la sorte delle spie, i diritti e i doveri dei parlamentari, l'armistizio e la condotta delle truppe nei paesi nemici.
Ancora ai giorni nostri però, nonostante i progressi del DIRITTO UMANITARIO sancito in primis dalla CONVENZIONE DI GINEVRA DEL 1949 e dai suoi PROTOCOLLI AGGIUNTIVI DEL 1977, rimane aperto il dibattito sulle ARMI: e, a prescindere da vari argomenti, sopravvive quello assai impegnativo sulle ARMI PER IL CONTROLLO DI MASSA.








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Venti anni fa, quando un gruppo di scienziati, mise in guardia sul pericolo delle nuove tecnologie di controllo politico, furono irrisi come allarmisti e sovversivi.
Le tecnologie che la BSSRS (Società Britannica per le Responsabilità Sociali degli Scienziati) vide svilupparsi oscillavano dall'intenzione di monitorare il dissenso interno ai mezzi di controllo delle dimostrazioni, dalle nuove tecniche di interrogatorio, ai metodi di controllo dei prigionieri.
Le 34 armi anti sommossa descritte nel 1972 dal rapporto americano della Fondazione Nazionale delle Scienze, e che erano per lo più in fase di sviluppo, ora, gli sviluppi di queste, sono tutte in uso.
Esse includono armi chimiche e cinetiche; getti di acqua elettrificata; luci stroboscopiche combinate ad armi a impulso sonoro; armi a infrasuoni; balestre che sparano frecce-siringhe narcotizzanti; recipienti che emettono odori ripugnanti; taser che sparano due piccoli contatti elettrici scaricando 50.000 volt sul bersaglio; e "effetto istantaneo buccia di banana", che fa le strade così scivolose da diventare insuperabili.
In aggiunta a questo arsenale c'è al vertice una sofisticata fila di tecnologie di sorveglianza computerizzata con una capacità globale di tracciare la voce e trasmettere i dati.
Queste tecnologie della repressione, ha scritto il BSSRS sono il prodotto dell'applicazione della scienza e della tecnologia al problema di neutralizzare i nemici interni dello Stato.
Sono principalmente dirette alla popolazione civile, e non hanno lo scopo di uccidere (e solo raramente lo fanno) e sono indirizzate sia al cuore alla mente e al corpo,e sono usate sia nelle guerre esterne, che nei conflitti civili interni, le rivolte etc.
Il BSSRS ha riconosciuto che le armi e i sistemi sviluppati e testati dagli USA in Vietnam, dall'Inghilterra nelle sue ex-colonie e nell'Irlanda del Nord, stanno rientrando in madre patria [per qui essere utilizzate].
Il complesso militare-industriale, ha modificato rapidamente il suo sistema militare per la sicurezza interna.
Propagandate come "non-letali" le nuove tecnologie della repressione offrono una tecnica per controllare le agitazioni sociali: reprimere il dissenso, mascherando il livello di violenza dispiegata.
LA GUERRA A CASA
Ora, in ogni parte del mondo queste tecnologie e il concetto di armamento non letale, è stato normalizzato.
Il risultato è che i compiti dell'esercito e della polizia stanno diventando sempre più confusi: forze di sicurezza paramilitare, polizia militarizzata e esercito utilizzato per gestione dell'ordine pubblico.
Le grandi compagnie [di armi] hanno esacerbato questo processo con la vendita aggressiva del nuovo arsenale ad entrambi i mercati: quello civile e quello militare.
Oggi questo "nuovo tipo di armamenti" ha rivoluzionato lo scopo, l'efficienza e la crescita del potere repressivo della polizia molto diversificato da nazione a nazione a seconda del livello di responsabilità democratica con cui viene usato.
E' diventato un radicamento così profondo nelle funzioni di polizia interna, che due decenni dopo il rapporto del BSSRS, la commissione STOA del Parlamento Europeo,(Scientific Tecnological Options Assessment) [Commissione per la Valutazione delle Opzioni Scientifiche e Tecnologiche] fu sufficientemente allarmato da ordinare uno studio per conto della Commissione libertà civili e affari Interni dell'Unione Europea.
Questo rapporto del 1998 "Una valutazione delle tecnologie di controllo politico" ha confermato i primi interessi da parte degli scienziati, provocando titoli di prima pagina in tutta Europa, ma scarsa notizia in America.
Scritto dalla Britannica "Fondazione Omega", ha determinato le tendenze e gli sviluppi, esaminato lo stato di abilità repressiva, e suggerito strategie di regolamentazione per la gestione e il futuro controllo democratico di queste tecnologie .
Il rapporto STOA ha disegnato un agghiacciante quadro delle innovazioni repressive - il Vaso di Pandora dei nuovi armamenti - progettati per apparire sicuri piuttosto che esserlo realmente.
Continuando le opzioni sono le seguenti: Sistemi semi-intelligenti della zona di rifiuto Questi sistemi di guardia automatizzati adottano reti neurali capaci di utilizzare modelli di riconoscimento ed "imparare" così che possano pattugliare zone sensibili e utilizzare a seconda dell'opportunità armi letali o sub-letali.
Sistema di sorveglianza globale Il software di riconoscimento vocale può intercettare e rintracciare individui e gruppi, mentre supercomputer classificano automaticamente la maggior parte delle chiamate telefoniche, fax, e-mail.
Sistemi di "Data veglianza” tracciano immigrati e attivisti politici così come potenziali terroristi o altri obiettivi, attraverso l'uso delle tecniche biometriche per identificare le persone tramite il riconoscimento del DNA, la retina, o le impronte digitali (così come il progetto Europeo Eurodac).
Profilo dei dati (data profiler) Le polizie di stato sono state in grado di usare la sorveglianza dei dati computerizzati per compilare "mappe di amicizia” o legami, attraverso l'analisi di chi telefona o spedisce posta elettronica e di chi la riceve.
Il Guatemala ha usato il sistema Tadiran localizzato nel palazzo nazionale per creare liste di gente da assassinare.
“Sub-letale” o armi inabilitanti Pepper spray (spray al pepe OC spray), CS gas, e schiuma chimica, possono essere usati sia nelle prigioni, che nel controllo di massa, così come nelle operazioni di conflitti sotterranei diversi dalle guerre ( o come si usa chiamarli ora "Conflitti a bassa intensità”).
E mentre il "pepper gas", un impianto tossico, è stato bandito nel 1972 dalla Convenzione delle Armi Biologiche per l'uso in guerra, è invece permesso nell'uso per la sicurezza interna.
“La schiuma adesiva” un'incredibile adesivo chimico, può essere usato per "incollare" dimostranti su varie superfici, o l'uno con l'altro.
La schiuma può anche essere usata per formare barriere che bloccano tutte le vie di fuga e facilitano gli arresti di massa.
Munizioni dalla punta morbida.
Con il pretesto di proteggere civili innocenti, i proiettili soft point sono venduti come più sicuri delle regolari munizioni con rivestimento in acciaio, che potrebbero passare attraverso i muri, e colpire civili aldilà del campo di vista.
Sebbene queste inumane munizioni ad espansione "Dum-dum" siano bandite dalla Convenzione di Ginevra, sul campo di battaglia esse sono sempre più usate da SWAT (reparti paramilitari) e forze speciali delle polizie.
Veicoli d'ordinanza mimetizzati Progettati per dissimulare, soprattutto per la televisione, questi veicoli delle forze di sicurezza mimetizzati spesso come ambulanze, possono dispiegare una formidabile quantità di armamenti e sono stati usati per dare una prova di forza in paesi come la Turchia, o per spruzzare sostanze chimiche opprimenti o tinture sui protestanti, come hanno fatto recentemente le forze di sicurezza in Indonesia.
Sebbene questo marcamento con vernice, può apparire non pericoloso, questo altresì, consente di contrassegnare i dimostranti, per più di una settimana, così che le forze repressive possono arrestarli più tardi, lontano dagli sguardi dei media.
Gli arrestati poi hanno il privilegio di beneficiare delle tecniche di repressione più tradizionali: interrogatori, torture e esecuzioni.
ARMI DI CONTROLLO DI MASSA
Queste nuove tecnologie di repressione stanno diventando più sofisticate, più potenti, e più diffuse in particolare tra le guardie pretoriane di stati torturatori come la Cina e il Guatemala.
A causa del mercato aggressivo fatto da produttori e fornitori, che riforniscono sia il "mercato civile" che quello militare, queste nuove tecnologie di controllo si stanno rapidamente espandendo non solo negli eserciti, ma praticamente dentro tutte le polizie di stato, paramilitari e negli arsenali delle agenzie per la sicurezza interna.
Produttori come la "Alliant Tech System” (USA) , “Civil Defend Supply” (UK) o “STUN TECH” (USA) promuovono le nuove tecnologie affermando che queste sono più sicure e meno letali delle alternative tradizionali.
Ma invece di rimpiazzare le armi letali, le alternative "non letali" stanno aumentando il ricorso alla violenza mortale sia nelle guerre che nelle "operazioni non di guerra” dove i principali obiettivi sono i civili.
Pubblicità per un veicolo antisommossa (Made in Israel) e la sua applicazione contro dei dimostranti in Cile.
Il rapporto EU valuta criticamente la sicurezza di queste presunte armi “inoffensive”.
Una delle più comuni è il proiettili di plastica (plastic bullet) - più mortale del "rubber bullet" (proiettile di gomma) che lo ha preceduto - e altre "armi cinetiche".
Utilizzando i precedenti dati militari americani il rapporto EU ha scoperto che la maggior parte delle ricerche biomediche che legittimano queste armi sono gravemente sbagliate o comunque di parte.
Molto usati nelle rivolte o per il controllo di massa (un comune eufemismo per parlare di proteste e opposizione politica), i proiettili di plastica sono stati frequentemente causa di cecità, oltre che di serie ferite mortali sia dei dimostranti che dei passanti.
Tutti i proiettili di plastica comunemente disponibili usati in Europa vanno molto al di fuori dei parametri di danno da armamenti ad energia cinetica stabiliti nel 1975 dagli scienziati militari USA.
Sebbene l'Inghilterra abbia ritirato più di 100.000 proiettili di plastica lo scorso anno, i loro sostituti meno potenti, sono stati giudicati eccessivamente dannosi secondo gli stessi criteri.
Il prezzo della protesta non dovrebbe essere la morte, questi armi invece sono ancora frequentemente usate a distanza ravvicinata.
Il rapporto STOA richiede un bando totale di queste armi.
Lo stesso rapporto per l’Unione Europea richiede una interruzione all'uso di pepper-gas (oleoresin capsicum o OC) in Europa finchè i suoi effetti biomedici possano essere indipendentemente studiati e valutati.
Il suo uso sta aumentando rapidamente nonostante uno studio dell'esercito USA, che nota possibili "effetti mutageni, effetti cancerogeni, ipertensione, tossicità vascolare e polmonare, neurotossicità, così come possono causare la morte".
Negli Stati Uniti il pepper gas è diventato un attrezzo di routine per la polizia dal 1987 anno di adozione da parte dell'FBI.
Nel 1996, l'agente speciale Thomas Ward, il capo dell'FBI sostenitore dell'OC, fu condannato per aver preso tangenti di 57.000 dollari da un produttore del "pepper gas".
Inoltre un rapporto dell'Associazione Internazionale dei capi di Polizia, ha documentato almeno 113 "morti accidentali" collegate al "pepper gas" in USA principalmente causate da asfissia posizionale.
Oltre al pericolo proveniente dall'uso “consentito”, del pepper spray ne è stato fatto un grande abuso.
In California, membri della polizia, tenendo ferme le teste dei manifestanti, hanno aperto loro le palpebre e depositato il liquido urticante direttamente sui loro bulbi oculari.
Amnesty International ha definito questo impiego contro attivisti ecologisti pacifici, "equivalente alla tortura".
In alcuni casi, le tecnologie, usate sotto regolari circostanze in un paese, o testate con una particolare energia, cambiano quando vengono esportate.
Per esempio, i CS spray autorizzati dalla polizia inglese sin dal 1996 sono 5 volte più concentrati dei simili MACE prodotti in America e hanno una velocità di dispersione 5 volte più grande.
Questi spray effettivamente hanno un effetto 25 volte più irritante sulla faccia di quelli prodotti in USA e nelle pubblicazioni che riguardano la sicurezza sono classificati come se fossero gli stessi.
Allo stesso modo la maggior parte delle forze di polizia in Inghilterra ha adottato gli spray prima che la scoperta della loro presunta sicurezza fosse divulgata.
Con questa potenza il CS può causare danni permanenti.
Un ex-allievo istruttore della polizia di Londra, Peter Hodgkinson, fu sottoposto ad un addestramento al Northamptonshire Constabulary, e ha perduto il 40-50% della sua cornea dopo essersi prestato volontariamente a testare lo spray.
Nessuno della polizia o della home office ha visitato l'ispettore reso parzialmente cieco.
GUERRA NON LETALE
Le altre principali applicazioni delle nuove tecnologie repressive, sono in guerra.
Gli eserciti intorno al globo sono impazienti di imbracciare la nuova dottrina ossimorica della guerra non letale.
Il concetto emerse in America nel 1990, fra l'incredulità dei ricercatori più seri.
I suoi difensori erano prevalentemente scrittori futuristi così come Alvin e Heidi Toffler (10) e scrittori della fantascenza come Janet e Chris Morris, i quali trovarono uno spunto nei laboratori di armi nucleari Los Alamas, Oak Ridge e Laurence Livermore.
I cinici fecero notare immediatamente che le iniziative erano usate per continuare a tenere in piedi i laboratori di armi al termine della guerra fredda.
Questa disonesta dottrina trovò un campione nel Coll. Jhon Alexander, che è diventato famoso per il programma Phoenix nella guerra del Vietnam (e più tardi diventando un proponente della guerra psichica).
Il Pentagono e il Dipartimento di Giustizia chiamati a raccolta intorno alla dottrina speravano di trovare un "proiettile magico" che potesse neutralizzare il “fattore CNN” e che in qualche modo permettesse ai poteri del bene di prevalere senza pubblico spargimento di sangue. La polizia vacillò dopo il pestaggio di Rodney King a Los Angeles, l'ATF e l’FBI sentirono l’odio popolare dopo i massacri di Waco e Ruby Ridge; e all’esercito bruciava l’umiliazione subita in Somalia da parte di folle indocili e "signori della guerra" poco collaborativi.
Tutti cercavano una “soluzione tecnica” come nel vecchio americano.
Gli USA ora hanno un gruppo di lavoro integrato composto da: i Marines, l’Air Force, il Comando per le Operazioni Speciali, l’Esercito, la Marina, la Giunta dei Capi Unificati di Stato Maggiore (Joint Chiefs of Staff), e i dipartimenti del Trasporto, della Giustizia e dell’Energia.
Uno dei suoi ruoli è stabilire collegamenti con governi stranieri amici.
A questo scopo lo scorso novembre, il gruppo ha sponsorizzato una speciale conferenza a Londra sul "Futuro delle armi non-letali" Hildy Libby, capo dei sistemi della US Army del programma di materiale non-letale, offrì un assaggio di ciò che veniva presentato.
Lei descrisse zelantemente l'M203, un veicolo corrazzato che scaglia sui rivoltosi un grande numero di palle di gomma pungenti.
Il team USA pubblicizzava anche: Armi acustiche che usano il suono di “generatori di onde a pressione meccanica” per fornire ai combattenti di guerra una arma capace di dare effetti inabilitanti da letali o non letali.
Le mine non letali Claymore le quali disperdono proiettili non-penetranti, una versione per ilcontrollo di massa delle più letale M18A1; Congegni per bloccare veicoli terrestri; L’M139 Volcano dispensatore di mine che proietta una rete dell’ampiezza di un campo di calcio cosparsa di lame di rasoio o altri "effetti immobilizzanti" adesivi o urticanti; fucili che sparano una schiuma viscosa, nonché barriere per immobilizzazione di individui; Armi a vortice spirale: un dispositivo ad alta tecnologia per combinare getti di gas turbinanti con flash accecanti, traumi e la possibilità di passare velocemente fra effetti letali e non-letali; Sistema di lancio tattico per aerei: essenzialmente un M16 in grado di sparare sia pallottole, sostanze chimiche inabilitanti, munizioni cinetiche che tintura marcante.
A un passo dalle esecuzioni in mezzo alla strada “Paradossalmente,” evidenzia il rapporto STOA “mentre queste armi servono a fornire agli stati una nuova serie di risposte flessibili, il loro ultimo effetto è stato di programmare i propri bersagli nelle tradizionali attività e pratiche sovversive.
In altre parole la loro caratteristica più odiosa potrebbe essere quelle di indebolire la non-violenza come mezzo di protesta pubblica”.
Infliggendo punizioni gratuite, la violenza ufficiale gratuita può indurre i dimostranti a reagire.
I regimi possono anche usare armi non letali per provocare deliberatamente una rivolta e creare in tal modo un pretesto per arrestare i manifestanti “violenti”.
E dato che alcune di queste armi possa essere cambiata istantaneamente dal produrre un forza che immobilizzi le persone ad una che le uccida, la flessibilità letale/non letale mette la polizia ad un click di interruttore dal decidere esecuzioni in strada.
L’organizzazione Pugwash, vincitrice del premio Nobel per la Pace ha concluso che il termine non-letale dovrebbe essere abbandonato, non solo perchè copre una varietà di armi molto diverse, ma anche perchè può essere pericolosamente ingannevole.
“In condizioni di combattimento, le armi sub-letali sono probabilmente usate in coordinatamente con altre armi e potrebbero aumentare complessivamente la mortalità.
Le armi generate per convenzioni militari o usate per mantenere la pace sono anche probabilmente usate in guerre civili o per oppressioni da parte dei governi assassini.
Le armi designate per rimpiazzare la forza letale, sono usate invece per aumentarla.
Lo sviluppo delle armi per uso poliziesco, potrebbe incoraggiare la militarizzazione delle forze di polizia o essere usate per le torture.
Se un termine generico è necessario "less lethal" o "pre-lethal" armi “meno che letali” o “pre-letali”, potrebbero essere preferibile.
Questo tipo di perplessità sono certamente generate dai recenti sviluppi.
L'esperto americano William Arkin(14) ha avvertito che la nuova generazione delle armi acustiche, le quali possono essere semplicemente fastidiose, può essere portata a produrre onde d'urto di 170 decibel e rotture di organi, creazione di cavità in tessuti umani, e causare traumi potenzialmente letali.
Pugwash ha considerato che ad "ogni tecnologia di armamento di emergenza non-letale, sia richiesto un esame urgente e che il loro sviluppo o adozione, dovrebbe essere soggetta al controllo pubblico.
Questa visione è condivisa anche dal rapporto EU il quale raccomanda al Parlamento Europeo di:
Stabilire criteri indipendenti dalle ricerche commerciali o governative, per accertare gli effetti biomedici delle cosidette armi non letali.
Fare un rapporto sull'esistenza degli accordi US-EU per la seconda generazione delle armi non-letali.
Proibire il dispiegamento, da parte della polizia militare e le forze speciali paramilitari, di tutti i prodotti autorizzati in USA, cinetico, acustico, laser, irritanti chimici, frequenze elettromagnetiche, catture, iniezioni o disabilitanti elettrici o armi paralizzanti, fin quando almeno questa ricerca indipendente non sia stata completata.
Pubblicare ricerche sulla presunta sicurezza delle armi di controllo esistenti e di tutte le future innovazioni proposte, prima di qualsiasi decisione di sviluppo.
PROLIFERAZIONE REGOLATA Qui la chiave del problema è il controllo politico di queste tecnologie, che non sta solamente diventando più potente (proliferazione verticale), ma che si sta anche diffondendo rapidamente in molti paesi, nelle forze di sicurezza di molti stati (proliferazione orizzontale).
Mentre molti rapporti STOA raccolgono polvere in librerie ufficiali questo ha acceso il dibattito nel parlamento in Olanda, Norvegia e Italia.
Ed i media cominciano a volerne sapere di più.
La Fondazione Omega ha suggerito all'EU che il genio della tecnologia di controllo politico potrebbe non tornare dentro la sua lampada e che c'è ancora tempo per le nazioni di sviluppare consistenti e appropriate strutture di responsabilità.
Il processo dovrebbe essere trasparente, adattabile e aperto ad appropriati scrutini pubblici.
Ogni classe di tecnologia, che si dimostri eccessivamente pericolosa, crudele, inumana o indiscriminata, dovrebbe essere proibita o soggetta a stretti e democratici controlli.
In questo 50° anniversario della firma della dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, la minaccia che questa tecnologia solleva alla legislazione internazionale dei diritti umani , è particolarmente intenso.
Non tutto e' perduto per i fornitori del commercio della repressione: i fabbricanti servono regimi tirannici e cercano nuovi mercati.
Se i legislatori non vogliono che queste tecnologie vengano usate per violare i diritti umani essi dovranno adottare severe codici di condotta e meccanismi di rafforzamento.
Molte ONG in Inghilterra come la Oxfam, British-American Security Information Council (Basic), Amnesty International, e Saferworld, richiedono che queste precauzioni vengano tradotte in legge.
Un giorno potremmo trovarci un equivalente per le multinazionali della legge "tre infrazioni e sei fuori gioco" (cioè sei in galera per sempre) che potrebbe essere applicata agli spacciatori di tecnologia repressiva.
Ma nel frattempo non ci dovrebbero essere illusioni... gli obiettivi di queste tecnologie di controllo politico siamo noi" [Le Tecnologie del Controllo Politico, di Robin Ballantyne, tratto da Covert Action Quarterly on WEB, 64 (primavera 1998) tradotto da Tactical Media Crew].








"Le guerre locali degli ultimi decenni del novecento hanno riproposto uno dei volti più drammatici delle operazioni militari: l'impiego su larga scala delle armi chimiche e batteriologiche (anche se, occorre dirlo, altrettanto rilevante ed urgente si va facendo da tempo la discussione sulle armi di controllo di massa e di prevenzione dei tumulti).
Le armi chimiche sono sostanze, spesso ottenibili a basso prezzo e con strutture industriali abbastanza rudimentali, che sono state e sono causa di forme orribili di morte, di dolori indescrivibili.
L'uso di agenti chimici per mettere fuori combattimento gli avversari è iniziato durante la prima guerra mondiale come sottoprodotto del successo dell'industria chimica.
Nella seconda metà del 1800 erano già note numerose sostanze dotate di proprietà irritanti, asfissianti e velenose.
Gà' nel 1812 si era scoperto che, dalla reazione del cloro con l'ossido di carbonio, si forma fosgene, un liquido volatile molto irritante e tossico.
L'industria chimica alla fine del secolo scorso produceva già industrialmente su larga scala il cloro, un gas soffocante.
Ugualmente noto e prodotto industrialmente era il solfuro di dicloroetile, destinato ad una drammatica notorietà col nome di Yprite, dal nome della città belga in cui è stato usato per la prima volta in guerra.
Nonostante la voglia di guerra che ha attraversato l'Europa per tutto il milleottocento, lo spettro della guerra chimica ha spaventato sempre le grandi potenze, al punto da indurle a riunirsi all'Aja, nel luglio 1899, e a firmare un accordo che le impegnava "a non usare proiettili il cui unico scopo è quello di spandere gas asfissianti o deleteri".
L'accordo vietava in particolare l'impiego di "veleni o armi avvelenate" e di "armi, proiettili o sostanze capaci di provocare dolori superflui".
Nonostante questo solenne impegno, le navi giapponesi lanciarono contro le navi russe delle granate contenenti gas asfissianti durante la battaglia di Tsushima, nel 1905; il fatto spinse le grandi potenze a riunirsi di nuovo e a firmare, il 18 ottobre 1907, una seconda convenzione dell'Aja nella quale si mettevano nuovamente al bando le armi chimiche (per inciso la convenzione vietava anche l'impiego dell'aeroplano in guerra); la convenzione però non fu firmata da cinque delle potenze che si sarebbero affrontate pochi anni dopo sui campi d'Europa.
Nonostante questi solenni impegni, la seconda guerra mondiale fu, fin dai primi mesi, il vero banco di prova della guerra chimica.
Nell'ottobre del 1914 i francesi avevano fatto un limitato impiego di gas lacrimogeni, adducendo che non si trattata di sostanze "soffocanti o tossiche" e che quindi il loro uso non violava il trattato dell'Aja.
Come ritorsione il 22 aprile 1915 nella regione di Ypres in Belgio, i francesi, sottoposti da alcune ore ad un violento bombardamento, videro avanzare una nube di gas giallo-verdastro, il terribile cloro, che precedette l'avanzata dei fanti tedeschi.
Due giorni dopo, sempre nella stessa zona, il cloro fu lanciato dai tedeschi contro le truppe canadesi: questo primo saggio di guerra chimica costò la vita a diecimila soldati.
Da allora si ebbe un uso sempre più frequente e intenso di armi chimiche; l'industria chimica offrì agli eserciti sostanze sempre più tossiche capaci di provocare lacrimazioni, di togliere il respiro, di uccidere quasi istantaneamente.
Nello stesso tempo furono cercati e inventati dei sistemi di protezione, a cominciare dalle "maschere antigas", vere e proprie maschere nelle quali l'aria esterna contaminata passava attraverso adatti filtri prima di arrivare ai polmoni.
Se si guardano le illustrazioni della prima guerra mondiale e le immagini che ci vengono dalle esercitazioni antigas nel deserto arabico durante la guerra del Golfo del 1990 si vede che non sono stati fatti grandi progressi.
Vivere, muoversi e combattere con le maschere antigas è una sofferenza grandissima; si fa fatica a respirare ed è difficile disporre di filtri capaci di filtrare tutti i diversi agenti chimici di guerra, tanto più che sono decine e che non si sa quale sarà usato da un nemico.
Se ne accorsero i combattenti della prima guerra mondiale che dovettero affrontare, da entrambe le parti, attacchi, oltre che con cloro, con bromuro e cloruro di cianogeno, con acido cianidrico (usato dai francesi nel 1916), con fosgene --- che provoca dapprima tosse, poi cianosi e infine, nel corso di poche ore, asfissia --- e infine con yprite, usata per la prima volta dai tedeschi a Ypres nel 1917.
Il solfuro di dicloroetile, o gas mostarda --- l'yprite appunto --- - ebbe effetti devastanti perché provoca irritazione e cecità e, ad alta concentrazione, anche la morte.
Molti combattenti sul fronte francese, anche se sono sopravvissuti, hanno portato per tutta la vita i segni dell’esposizione alla terribile sostanza.
Sempre durante la prima guerra mondiale fu impiegato come agente asfissiante la lewisite, un prodotto arsenicale irritante.
Complessivamente il peso dei gas di guerra impiegati durante la prima guerra mondiale ammontò a 13 milioni di kilogrammi.
Chi rilegge a tanti decenni di distanza le cronache di tale guerra, su tutti i fronti, ha una chiara idea dell'impressione lasciata dagli attacchi con armi chimiche; tutti i paesi avrebbero dovuto, a rigore, unirsi per mettere al bando tali armi, per distruggere gli arsenali esistenti.
Effettivamente un tentativo di nuovo accordo si ebbe con la conferenza di Ginevra del 1925; il 17 giugno fu firmato un trattato che, pur con certe ambiguità, proibiva l'uso in guerra di "gas asfissianti, tossici e simili e di tutti i liquidi, materiali e dispositivi analoghi", stabilendo che il divieto era esteso anche a tutti i tipi di guerra batteriologica.
Gli Stati Uniti non firmarono l'accordo del 1925.
La
Società delle Nazioni indisse qualche anno dopo una nuova conferenza.
Il 15 gennaio 1931 vari paesi (Regno Unito, Romania, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Giappone, Spagna, Unione Sovietica, Cina, Italia, Canada e Turchia) dichiararono che, secondo loro, l'accordo del 1925 doveva comprendere il divieto dell'uso in guerra di gas lacrimogeni e di altri prodotti chimici irritanti.
Nonostante le dichiarazioni della diplomazia, nel dicembre 1935 il generale Graziani ordinò l'uso dell'yprite contro le truppe etiopiche durante la conquista dell'Africa orientale e i giapponesi usarono gas asfissianti nella campagna contro la Cina fra il 1937 e il 1943.
Del resto nei venti anni fra le due guerre, più o meno segretamente, sono state sviluppate e potenziate molte nuove sostanze adatte per la guerra chimica; nei corsi universitari italiani di chimica c'era addirittura un insegnamento di "Chimica di guerra".
Nel 1940 certamente tutti i paesi avevano delle grandi riserve di potenti armi chimiche.
Fortunatamente, e in maniera abbastanza sorprendente, però, durante la seconda guerra mondiale nessuna delle potenze in lotta volle farvi ricorso.
Anzi nel giugno 1943 il presidente americano Roosevelt condannò l'uso delle armi "inumane" e dichiarò che gli Stati Uniti --- che pure non avevano firmato la convenzione di Ginevra del 1925 --- non le avrebbero mai usate per primi.
Anche se non in guerra, negli anni cinquanta e sessanta agenti di guerra chimica sono stati impiegati dalle truppe britanniche per sedare le rivolte a Cipro, nella Guiana ex-britannica e altrove; armi chimiche sono state impiegate nella guerra civile dello Yemen e poi nella guerra Iran-Iraq.
A rigore sono agenti di guerra chimica anche gli erbicidi, ben noti e di diffuso impiego in agricoltura, lanciati su larga scala dagli Stati Uniti nel Vietnam per distruggere vaste zone di foresta tropicale nella quale si rifugiavano i partigiani vietcong, con l’effetto di distruggere anche molte coltivazioni di riso che rappresentava l’unico alimento disponibile alla popolazione civile.
Alla fine degli anni sessanta la notizia sollevò un grande scandalo tanto più che gli erbicidi usati in guerra erano materiali greggi e poco costosi ed erano contaminati da diossina (un sottoprodotto della loro fabbricazione); questa diossina ha provocato morti e malattie sia fra la popolazione civile sia fra i combattenti, per cui una associazione di reduci per decenni ha fatto causa al governo americano per le ferite riportate a causa dei defolianti usati nel Vietnam.
Il 5 dicembre 1966 l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova risoluzione nella quale sono state condannate le azioni contrarie allo spirito dell'accordo di Ginevra del 1925.
Mentre l'interesse per il problema delle armi chimiche stava di nuovo crescendo, è scoppiato, nell'aprile 1968, lo scandalo delle pecore dello Utah: in una valle di questo stato degli Stati Uniti, vasto e poco abitato, improvvisamente oltre seimila pecore sono morte in modo misterioso.
Le forze armate americane hanno dovuto ammettere, dopo molte reticenze, che l'incidente era dipeso dal fatto che agenti paralizzanti di guerra erano fuoriusciti accidentalmente, a 50 kilometri di distanza, dal campo sperimentale di Dungway, dove venivano provate.
Improvvisamente l'opinione pubblica mondiale si è resa conto di quali progressi la guerra chimica aveva fatto e nuove terribili sigle sono entrate nel vocabolario della morte chimica.
L'arma chimica che aveva ucciso le pecore nello Utah divenne nota come agente VX, un composto di una nuova classe di agenti chimici di guerra, portanti la sigla G o la sigla V.
Si tratta di sostanze appartenenti alla classe degli esteri fosforici, sviluppati principalmente e apertamente come insetticidi, ma le cui proprietà militari sono subito apparse evidenti: del resto molti insetticidi sintetici manifestano la loro azione tossica sull'uomo con lo stesso meccanismo con cui uccidono i parassiti.
Gli esteri fosforici, per esempio, agiscono sul sistema nervoso inibendo, in grado maggiore o minore, l'azione dell'enzima colinesterasi che presiede alla trasmissione degli impulsi nervosi.
In generale gli esteri fosforici possono anche non essere letali, ma provocano disturbi alla respirazione, oppressione, cefalea, sudore, nausea, vomito, effetti paralizzanti.
Nel nuovo vocabolario di morte si incontra il GA, o "tabun", inventato dai tedeschi intorno al 1937: un liquido incolore che viene spruzzato come aerosol; il GB, o "sarin", inventato anch'esso dai tedeschi nel 1938, un liquido incolore e inodore, molto volatile, quattro volte più tossico del fosgene.
Va incontro alla morte chi respira per un minuto aria contenente più di 5 milligrammi per metro cubo di sarin.
Il GD, o "soman", inventato dai tedeschi intorno al 1940, è un liquido con leggero odore di frutta e viene spruzzato come aerosol.
Gli esteri fosforici della seria V comprendono il VE, un liquido, e il VX, una delle sostanze più tossiche.
E' stato calcolato che ucciderebbe il 30 % dei soldati se venisse sparso su un campo di battaglia alla concentrazione di 300 kilogrammi per kilometro quadrato.
Le ricerche di chimica di guerra hanno messo a disposizione degli eserciti altri agenti, questa volta dotati di proprietà irritanti: essi provocano tosse, lacrimazione, malessere per un tempo più o meno lungo.
Si tratta di sostanze solide o liquide, molto volatili, che agiscono generalmente allo stato di vapore, donde il nome di "gas" con cui spesso sono indicati.
L'agente CN, o omega-cloroacetofenone, è una polvere bianca studiata come agente di guerra fin dagli anni trenta; provoca forte irritazione alla pelle e lacrimazione ed è usato talvolta insieme ad un altro "gas", la cloropicrina.
L'agente DM, o adamsite, è un derivato arsenicale che provoca cefalee, tosse, dolore al petto, nausea, vomito.
Il CS (nome usato in Inghilterra; il nome francese e' CB), e' una sostanza denominata orto-cloro-benzalmalonitrile ed è stata inventata nel laboratorio segreto militare inglese di Porton come agente lacrimogeno da usare per domare le rivolte.
E' dotato di proprietà irritanti maggiori di quelle del CN, ma presenta tossicità inferiore al DM.
Il CS colpisce dapprima gli occhi provocando una immediata e grave congiuntivite, accompagnata da sensazione di bruciore e dolore che durano per almeno cinque minuti, dopo che l'esposizione al gas è terminata.
Questi effetti sono accompagnati da difficoltà nella respirazione, tosse, oppressione; gli individui colpiti sono presi dalla paura di non riuscire a respirare e diventano incapaci di difendersi.
E' questo il gas usato contro i dimostranti.
L'elenco delle sostanze di guerra chimica è molto più lungo; è stato proposto l'uso di allucinogeni come il BZ, un derivato dell'acido glicolico, o l'LSD, la dietilamide dell'acido lisergico, usata anche come droga.
Va detto che alcune di queste sostanze potrebbero essere sciolte nell'acqua dei pozzi e potrebbero gettare nel panico un'intera città.
La diminuzione delle possibilità di difesa dei combattenti o delle popolazioni civili potrebbe essere ottenuta mediante sostanze o microrganismi che interferiscono in maniera grave sui meccanismi di sviluppo della vita, provocando malattie o la morte.
Le armi biologiche potrebbero avere effetti ancora più devastanti delle armi chimiche.
Certamente molti paesi possiedono delle riserve di armi biologiche, costituite per lo più da microrganismi patogeni o loro tossine che possono diffondere malattie, epidemie o intossicazioni.
Per avere un’idea della potenziale "efficacia" di tali armi basta pensare come una semplice epidemia influenzale benigna possa rallentare le attività economiche di un paese; o al numero di morti provocate, dopo la seconda guerra mondiale, dalla epidemia influenzale di "spagnola".
Il pericolo è tanto più grave in quanto le reazioni biologiche dei vari individui alle malattie sono molto variabili e dipendono dallo stato di nutrizione e da molti altri fattori.
Oggi la ricerca scientifica al servizio della morte ha messo a punto numerose armi biologiche con effetti terribili; anche in questo caso le notizie disponibili sono quelle filtrate attraverso le cortine del segreto militare o che appaiono occasionalmente nelle riviste e nei libri scientifici.
Fra i batteri si può ricordare quello responsabile del carbonchio, o antrace, una infezione polmonare con effetti mortali.
Nel 1941 questi batteri sono stati sparsi per esperimento nell'isola di Gruinard, nel nord-ovest della Scozia; le spore sono state assorbite dal terreno e l'isola è ancora contaminata e pare lo sarà ancora per un secolo.
Altri batteri presenti negli arsenali militari sono quelli responsabili della dissenteria, della peste, della tularemia, della febbre maltese; quest'ultima malattia è caratterizzata da cefalee, perdita di appetito, perdita di peso; dura mesi e anche anni e provoca un grave indebolimento.
Fra le armi biologiche vi sono agenti che permettono la diffusione di malattie da virus, come encefalite, febbre gialla, poliomielite, vaiolo; gli agenti responsabili della febbre Q, caratterizzata da dolori muscolari, delirio, convulsioni; oppure tossine.
Contro le armi biologiche è difficile predisporre dei sistemi di difesa: per molti agenti patogeni esistono dei vaccini e degli agenti immunitari, ma tali difese sono inefficaci quando un attacco è già stato sferrato.
Queste poche considerazioni sulle armi chimiche e biologiche forniscono una pallida idea del pericolo costituito non solo dal possibile uso di tali armi, ma anche dal solo fatto che ne esistano delle rilevanti scorte.
Quanto si è visto nelle --- fortunatamente poche --- occasioni in cui si è fatto uso di tali armi o quando si sono avute delle perdite e degli inquinamenti accidentali, indica chiaramente che l'uso su larga scala di tali armi costituirebbe un vero suicidio per l'umanità, forse ancora più grave di quello atomico.
Se venissero usate in battaglia, le sostanze attive e tossiche si disperderebbero facilmente nelle acque e nell'aria colpendo, a breve e a lungo termine, nemici, alleati e neutrali, in una tragica carneficina.
E' stato calcolato che la dispersione di appena dieci tonnellate di armi biologiche contaminerebbero un'area grande come un terzo dell'Italia.
Il pericolo deriva dal fatto che, a differenza delle armi atomiche, le armi chimiche e biologiche possono essere fabbricate con mezzi tecnici relativamente rudimentali, addirittura a fianco di altre sostanze per usi civili, come gli antiparassitari agricoli, usando le stesse materie prime e gli stessi impianti.
E' quindi corretto denunciare tali armi come "le atomiche dei poveri".
Del resto una volta che si è aperto il vaso mortale della conoscenza delle armi chimiche e biologiche, si è messa in moto una reazione a catena perché, anche se si decidesse di smantellare gli arsenali esistenti, non si conoscono dei mezzi ecologicamente accettabili con cui sbarazzarsene.
La prima idea sarebbe quella di buttarle in mare; dopo la seconda guerra mondiale gli inglesi hanno disperso almeno centomila tonnellate di armi chimiche in disuso al largo delle coste dell'Irlanda; addirittura non si conosce neanche più il posto esatto dell'affondamento dei relativi fusti.
Fusti contenenti armi chimiche dell’esercito americano sono state gettate, negli anni quaranta e cinquanta del 1900, nell’Adriatico e vengono raccolte, a decenni di distanza, talvolta nelle reti dei pescatori.
Anche le scorte di armi chimiche tedesche, dopo la guerra, sono finite nel mare: decine di migliaia di fusti dell'agente "tabun" sono stati gettati in fondo al Mar Baltico.
Il fatto che finora non sembra si siano verificati avvelenamenti su larga scala del mare o degli organismi marini --- o che non se ne sia venuti a conoscenza --- non esclude la follia di questo modo di procedere.
Ma anche altri sistemi --- interramento, incenerimento --- sono altrettanto insoddisfacenti, come dimostrano i numerosi tentativi fatti negli anni passati.
La situazione si aggrava continuamente a mano a mano che aumentano le scorte o che vengono inventate nuove sostanze" [da Le cose dell'altronovecento - on Web vedi questo significativo articolo: Le armi chimiche di Giorgio Nebbia ].







Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949
I sottoscritti, Plenipotenziari dei Governi rappresentati alla Conferenza diplomatica riunitasi a Ginevra dal 21 aprile al 12 agosto 1949, allo scopo di elaborare una Convenzione per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, hanno convenuto quanto segue:
TITOLO I
Disposizioni generali
Articolo 1.
Le Alte Parti contraenti s'impegnano a rispettare ed a far rispettare la presente Convenzione in ogni circostanza.
Articolo 2.
Oltre alle disposizioni che devono entrare in vigore fin dal tempo di pace, la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse.
La Convenzione si applicherà parimenti in tutti i casi di occupazione totale o parziale del territorio di un'Alta Parte contraente, anche se questa occupazione non incontrasse resistenza alcuna militare.
Se una delle Potenze in conflitto non è Parte della presente Convenzione, le Potenze che fossero Parte rimarranno cionondimeno vincolate dalla stessa nei loro rapporti reciproci.
Esse saranno inoltre vincolate dalla Convenzione nei confronti di detta Potenza, se questa ne accetti e ne applichi le disposizioni.
Articolo 3.
Nel caso in cui un conflitto armato che non presenti carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti in conflitto sarà tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti: 1.
Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri di Forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole basata sulla razza, il colore, la religione o la credenza, il sesso, la nascita o il censo, o altro criterio analogo.
A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate: a) le violenze contro la vita e l'integrità corporale, specialmente l'assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; b) la cattura di ostaggi; c) gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti; d) le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito che offra le ga- ranzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili.
2.
I feriti e i malati saranno raccolti e curati.
Un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, potrà offrire i suoi servigi alle Parti in conflitto.
Le parti in conflitto si sforzeranno, d'altro lato, di mettere in vigore, mediante accordi speciali, tutte o parte delle altre disposizioni della presente Convenzione.
L'applicazione delle disposizioni che precedono non avrà effetto sullo statuto giuridico delle Parti in conflitto.
Articolo 4.
Sono protette dalla Convenzione le persone che, in un momento o in modo qualsiasi si trovino, in caso di conflitto o di occupazione, in potere di una Parte in conflitto o di una Potenza occupante, di cui essi non siano cittadini.
I cittadini di uno Stato, che non sia vincolato dalla Convenzione, non sono protetti dalla stessa.
I cittadini di uno Stato neutrale, che si trovano sul territorio di uno Stato belligerante, e i cittadini di uno Stato cobelligerante non saranno considerati come persone protette finché lo Stato, di cui sono cittadini, avrà una rappresentanza diplomatica normale presso lo Stato in potere del quale essi si trovano.
Le disposizioni del Titolo II hanno tuttavia un campo di applicazione più esteso, precisato nell'Articolo 13.
Le persone protette dalla Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna, o da quella di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate di mare, oppure da quella di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, non saranno considerate come persone protette nel senso della presente Convenzione.
Articolo 5.
Se, sul territorio di una Parte in conflitto, questa avesse serie ragioni di ritenere che una persona protetta dalla presente convenzione fosse giustamente sospettata di svolgere una attività dannosa per la sicurezza dello Stato o fosse accertato che essa svolge effettivamente una siffatta attività, detta persona non potrà avvalersi dei diritti e privilegi conferiti dalla presente Convenzione, diritti e privilegi che se fossero applicati in suo favore, potrebbero nuocere alla sicurezza dello Stato.
Se, in un territorio occupato, una persona protetta dalla Convenzione è arrestata come spia o per atti di sabotaggio, oppure perché giustamente sospettata di svolgere un'attività dannosa per la sicurezza della Potenza occupante, detta persona potrà, se la sicurezza militare lo esige in modo assoluto, essere privata dei diritti di comunicazione previsti dalla presente convenzione.
In ciascuno di questi casi, le persone, cui si applicano i capoversi precedenti, saranno comunque trattate con umanità e, in caso di procedimento giudiziario, non saranno private del loro diritto ad un processo equo e regolare, come è previsto dalla presente Convenzione.
Esse recupereranno altresì il beneficio di tutti i diritti e privilegi che la presente Convenzione conferisce alla persona protetta, non appena cià sia compatibile con la sicurezza, dello Stato e della Potenza occupante, secondo il caso.
Articolo 6.
La presente Convenzione si applicherà sin dall'inizio di qualsiasi conflitto od occupazione menzionati nell'art 2.
Sul territorio delle Parti in conflitto l'applicazione della Convenzione cesserà con la fine generale delle operazioni militari.
In territorio occupato l'applicazione della presente Convenzione cesserà un anno dopo la fine generale delle operazioni militari; la Potenza occupante sarà non di meno vincolata per la durata dell'occupazione ´ sempreché questa Potenza eserciti le funzioni di governo sul territorio di cui si tratta ´ dalle disposizioni degli articoli seguenti della presente Convenzione: dall'1 al 12, 27, dal 29 al 34, 49, 51, 52, 53, 59, dal 61 al 77 e 143.
Alle persone protette, la cui liberazione, il cui rimpatrio o il cui stabilimento abbiano luogo dopo questi termini, continuerà ad applicarsi nell'intervallo, la Convenzione presente.
Articolo 7.
Oltre agli accordi esplicitamente previsti dagli articoli 11, 14, 15, 17, 36, 108, 109, 132, 133 e 149, le Alte Parti contraenti potranno conchiudere altri accordi speciali su qualsiasi questione che sembrasse loro opportuno di regolare particolarmente.
Nessun'intesa speciale potrà pregiudicare la situazione delle persone protette, come è regolata dalla presente Convenzione, nè limitare i diritti che questa conferisce loro.
Le persone protette continueranno a godere i benefici di questi accordi fino a tanto che la Convenzione sarà loro applicabile, salvo stipulazioni contrarie contenute esplicitamente nei suddetti accordi o in accordi ulteriori, oppure anche salvo misure più favorevoli prese nei loro confronti dall'una o dall'altra delle Parti in conflitto.
Articolo 8.
Le persone protette non potranno in nessun caso rinunciare parzialmente o interamente ai diritti loro assicurati dalla presente Convenzione e, eventualmente, dagli accordi speciali contemplati nell'articolo precedente.
Articolo 9.
La presente Convenzione sarà applicata con il concorso e sotto il controllo delle Potenze protettrici incaricate di tutelare gli interessi delle Parti in conflitto.
A tale scopo, le Potenze protettrici potranno designare, oltre al loro personale diplomatico o consolare, dei delegati fra i loro cittadini o fra quelli di altre Potenze neutrali.
Per questi delegati dovrà essere chiesto il gradimento della Potenza presso la quale svolgeranno la loro missione.
Le Parti in conflitto faciliteranno, nella più larga misura possibile, il compito dei rappresentanti o delegati delle Potenze protettrici.
I rappresentanti o delegati delle Potenze protettrici non dovranno in nessun caso oltrepassare i limiti della loro missione, come essa risulta dalla presente Convenzione; in particolare, essi dovranno tener conto delle imperiose necessità di sicurezza dello Stato presso il quale esercitano le loro funzioni.
Articolo 10.
Le disposizioni della presente Convenzione non sono di ostacolo alle attività umanitarie che il Comitato internazionale della Croce Rossa, o qualsiasi altro ente umanitario imparziale, svolgerà per la protezione delle persone civili e per prestar soccorso, con il consenso delle Parti in conflitto interessate.
Articolo 11.
Gli Stati contraenti potranno, in ogni tempo, intendersi per affidare ad un ente che offra tutte le garanzie di imparzialità e di efficacia i compiti che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici.
Se delle persone protette non fruiscono o non fruiscono più, qualunque ne sia il motivo dell'attività di una Potenza protettrice o di un ente designato in conformità del primo comma, la Potenza detentrice dovrà chiedere sia ad uno stato neutrale, sia a tale ente, di assumere le funzioni che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici designate dalle Parti in conflitto.
Se la protezione non puà in tal modo essere assicurata, la Potenza detentrice dovrà chiedere ad un ente umanitario, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, di assumere i compiti umanitari che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici, o dovrà accettare, sotto riserva delle disposizioni del presente articolo, l'offerta di servigi di tale ente.
Ogni Potenza neutrale oppure ogni ente invitato dalla Potenza interessata o che offra la sua opera per gli scopi sopra indicati dovrà, nella sua attività, rimaner consapevole della sua responsabilità verso la Parte in conflitto dalla quale dipendono le persone protette dalla presente Convenzione, e dovrà offrire sufficienti garanzie di capacità per assumere le funzioni di cui si tratta ed adempierle con imparzialità.
Non potrà essere derogato alle disposizioni che precedono mediante accordo speciale tra Potenze, una delle quali si trovasse, anche solo temporaneamente, limitata nella sua libertà di negoziare, di fronte all'altra Potenza o agli alleati della stessa, in seguito agli avvenimenti militari segnatamente nel caso di occupazione dell'intero suo territorio o di una parte importante di esso.
Ogni qualvolta è fatta menzione nella presente Convenzione della Potenza protettrice questa menzione designa parimenti gli enti che la sostituiscono ai sensi del presente articolo.
Le disposizioni del presente articolo si estenderanno e saranno applicate ai cittadini di uno Stato neutrale che si trovassero su un territorio occupato o sul territorio di uno Stato belligerante presso il quale lo Stato di cui sono cittadini non dispone di una rappresentanza diplomatica normale.
Articolo 12.
In tutti i casi in cui lo ritenessero utile nell'interesse delle persone protette, specie nel caso di disaccordo tra le Parti in conflitto sull'applicazione o l'interpretazione delle disposizioni della presente Convenzione, le Potenze protettrici presteranno i loro buoni uffici per comporre la divergenza.
A questo scopo ognuna delle Potenze protettrici potrà su invito di una Parte o spontaneamente, proporre alle Parti in conflitto una riunione dei loro rappresentanti e, in particolare, delle autorità incaricate della sorte delle persone protette eventualmente su territorio neutrale convenientemente scelto.
Le Parti in conflitto saranno tenute a dar seguito alle proposte loro fatte in questo senso.
Le Potenze protettrici potranno, eventualmente, proporre al gradimento delle Parti in conflitto una personalità appartenente ad una Potenza neutrale, o una personalità delegata dal Comitato internazionale della Croce Rossa, che sarà invitata a partecipare a questa riunione.
TITOLO II
Protezione generale delle popolazioni contro taluni effetti della guerra
Articolo 13.
Le disposizioni del presente titolo concernono l'insieme delle popolazioni dei paesi in conflitto senza alcuna distinzione sfavorevole che si riferisca specialmente alla razza, alla nazionalità, alla religione o alle opinioni politiche, e tendono a mitigare le sofferenze cagionate dalla guerra.
Articolo 14.
Le Alte Parti contraenti, già in tempo di pace, e le Parti in conflitto, dopo l'inizio delle ostilità, potranno costituire sul loro rispettivo territorio e, se necessario, sui territori occupati, delle zone e località sanitarie e di sicurezza organizzate in modo da proteggere dagli effetti della guerra i feriti e i malati, gli infermi, le persone attempate, i fanciulli d'età inferiore ai quindici anni, le donne incinte e le madri di bambini d'età inferiore ai sette anni.
Sin dall'inizio di un conflitto e durante lo stesso, le Parti interessate potranno conchiudere tra di loro degli accordi relativi al riconoscimento delle zone e località da esse costituite.
Esse potranno, a questo scopo, attuare le disposizioni previste nel disegno di accordo allegato alla presente Convenzione, apportandovi eventualmente le modificazioni che ritenessero necessarie.
Le Potenze protettrici e il Comitato internazionale della Croce Rossa sono invitati a prestare i loro buoni uffici per facilitare la costituzione ed il riconoscimento di siffatte zone e località sanitarie e di sicurezza.
Articolo 15.
Ognuna delle Parti in conflitto potrà, sia direttamente, sia per il tramite di uno Stato neutrale o di un ente umanitario, proporre alla Parte avversaria la costituzione nelle regioni dove si svolgono combattimenti, di zone neutralizzate destinate a porre al riparo dai pericoli dei combattimenti, senza distinzione alcuna, le persone seguenti: a) i feriti e i malati, combattenti, o non combattenti; b) le persone civili che non partecipano alle ostilità e che non compiono alcun lavoro di carattere militare durante il loro soggiorno in dette zone.
Non appena le Parti in conflitto si saranno intese su l'ubicazione geografica, l'amministrazione, il vettovagliamento e il controllo della zona neutralizzata prevista, sarà stabilito per iscritto e firmato dai rappresentanti delle Parti in conflitto un accordo, che fisserà l'inizio e la durata della neutralizzazione della zona.
Articolo 16.
I feriti e i malati, come pure gli infermi e le donne incinte fruiranno di una protezione e di un rispetto particolari.
Per quanto le esigenze militari lo consentano, ognuna delle Parti in conflitto favorirà i provvedimenti presi per ricercare i morti o i feriti, per soccorrere i naufraghi e altre persone esposte ad un grave pericolo e proteggerle contro il saccheggio e i cattivi trattamenti.
Articolo 17.
Le Parti in conflitto si sforzeranno di conchiudere accordi locali per lo sgombero, da una zona assediata o accerchiata, dei feriti, dei malati, degli infermi, dei vecchi, dei fanciulli e delle puerpere, come pure per il passaggio dei ministri di qualsiasi religione, del personale e del materiale sanitario destinato in questa zona.
Articolo 18.
Gli ospedali civili organizzati per prestare cure ai feriti, ai malati, agli infermi e alle puerpere non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno ad attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle Parti in conflitto.
Gli Stati partecipanti ad un conflitto dovranno rilasciare a tutti gli ospedali civili un documento che attesti il loro carattere di ospedale civile e precisi che gli edifici da essi occupati non sono utilizzati a scopi che, nel senso dell'articolo 19, potessero privarli della protezione.
Gli ospedali civili saranno contrassegnati, sempreché vi siano autorizzati dallo Stato, mediante l'emblema previsto dall'articolo 38 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna.
Le Parti in conflitto, in quanto le esigenze militari lo consentano, prenderanno le misure atte a rendere nettamente visibili alle forze nemiche, terrestri, aeree e marittime, gli emblemi distintivi che segnalano gli ospedali civili, allo scopo di scongiurare la possibilità di qualunque azione aggressiva.
In considerazione dei pericoli che la prossimità di obiettivi militari puà costituire per gli ospedali, si dovrà vigilare affinché tali obiettivi ne siano possibilmente lontani.
Articolo 19.
La protezione dovuta agli ospedali civili potrà cessare soltanto qualora ne fosse fatto uso per commettere, all'infuori dei doveri umanitari, atti dannosi al nemico.
Tuttavia, la protezione cesserà soltanto dopo che un'intimazione con la quade è fissato, in tutti i casi opportuni, un termine ragionevole, sia rimasta senza effetto.
Non sarà considerato come atto dannoso il fatto che in questi ospedali siano curati dei militari feriti o malati o che vi si trovino armi portatili e munizioni ritirate a questi militari e non ancora consegnate al servizio competente.
Articolo 20.
Il personale regolarmente ed unicamente adibito al funzionamento o all'amministrazione degli ospedali civili, compreso quello incaricato della ricerca, della raccolta, del trasporto e della cura dei feriti e malati civili, degli infermi e delle puerpere, sarà rispettato e protetto.
Nei territori occupati e nelle zone di operazioni militari questo personale si farà riconoscere mediante una carta di identità attestante la qualità del titolare, munita della sua fotografia e del bollo a secco dell'autorità responsabile, nonché quando si trova in servizio, mediante un bracciale bollato, resistente all'umidità e portato al braccio sinistro.
Questo bracciale sarà fornito dallo Stato e munito dell'emblema previsto dall'Articolo 38 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna.
Qualunque altro personale, adibito al funzionamento o all'amministrazione degli ospedali civili, sarà rispettato e protetto e avrà diritto, durante l'esercizio delle sue funzioni, di portare il bracciale, come sopra previsto e alle condizioni prescritte dal presente articolo.
La carta d'identità indicherà i compiti che gli sono assegnati.
La direzione di ogni ospedale civile terrà costantemente a disposizione delle autorità competenti, nazionali ed occupanti, l'elenco aggiornato del suo personale.
Articolo 21.
I trasporti di feriti e malati civili, di infermi e di puerpere, eseguiti su terra a mezzo di convogli di veicoli e di treni-ospedali, o per mare, a mezzo di navi destinate a tali trasporti, saranno rispettati e protetti come gli ospedali previsti dall'Articolo 18 e si segnaleranno inalberando con l'autorizzazione dello Stato, l'emblema distintivo previsto dall'articolo 38 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna.
Articolo 22.
Gli aeromobili utilizzati esclusivamente per il trasporto dei feriti e malati civili, degli infermi e delle puerpere, oppure per il trasporto del personale e del materiale sanitario, non saranno attaccati, ma saranno rispettati quando volino a quote, a ore e su rotte specialmente convenute di comune accordo tra le Parti in conflitto interessate.
Essi potranno essere contrassegnati con l'emblema distintivo previsto dall'Articolo 38 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti e malati nelle forze armate in campagna.
Salvo accordo contrario, è vietato sorvolare il territorio nemico o i territori occupati dal nemico.
Questi aeromobili obbediranno a qualunque ordine di atterraggio.
In caso di atterraggio imposto in tal modo, l'aeromobile ed i suoi occupanti potranno proseguire il loro volo dopo eventuale visita.
Articolo 23.
Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile di un'altra Pane contraente, anche se nemica.
Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d'età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere.
L'obbligo, per una Parte contraente, di concedere il libero passaggio degli invii indicati nel capoverso precedente è subordinato alla condizione che questa Parte sia sicura di non aver alcun serio motivo di temere che: a) gli invii possano essere sottratti alla loro destinazione, oppure b) che il controllo possa non essere efficace, o c) che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia, sostituendo con questi invii delle merci che avrebbe altrimenti dovuto fornire o produrre, oppure liberando delle materie, dei prodotti o dei servizi che avrebbe altrimenti dovuto destinare alla produzione di tali merci.
La Potenza che permette il passaggio degli invii indicati nel primo capoverso del presente articolo, puà porre come condizione per la sua autorizzazione che la distribuzione ai beneficiari avvenga sotto il controllo, eseguito sul posto, delle Potenze protettrici.
Detti invii dovranno essere avviati il più rapidamente possibile e lo Stato che ne permette il libero passaggio avrà diritto di fissare le condizioni tecniche alle quali sarà autorizzato.
Articolo 24.
Le Parti in conflitto prenderanno le misure necessarie affinché i fanciulli d'età inferiore ai quindici anni, divenuti orfani o separati dalla loro famiglia a cagione della guerra, non siano abbandonati a se stessi e siano facilitati, in ogni circostanza, il loro sostentamento, l'esercizio della loro religione e la loro educazione.
Quest'ultima sarà, se possibile, affidata a persone della medesima tradizione culturale.
Le Parti in conflitto favoriranno l'ammissione di questi fanciulli in un paese neutrale per la durata della guerra, con il consenso della Potenza protettrice, se ve ne è una, e se esse hanno la garanzia che siano rispettati i principi indicati nel primo capoverso.
Esse si sforzeranno inoltre di prendere le misure necessarie affinché tutti i fanciulli d'età inferiore ai dodici anni possano essere identificati, mediante una targhetta di identità o con qualsiasi altro documento.
Articolo 25.
Ogni persona, che si trovi sul territorio di una Parte in conflitto o in un territorio da essa occupato, potrà dare ai membri della sua famiglia, ovunque si trovino, notizie di carattere strettamente familiare e riceverne.
Questa corrispondenza sarà avviata rapidamente e senza ritardo ingiustificato.
Se, a cagione delle circostanze, lo scambio della corrispondenza familiare per via postale ordinaria fosse difficile o impossibile, le Parti in conflitto interessate si rivolgeranno ad un intermediario neutrale, come l'Agenzia centrale prevista dall'Articolo 140, per stabilire di comune accordo i mezzi per assicurare l'esecuzione dei loro obblighi nelle condizioni migliori possibili, specialmente con il concorso delle società nazionali della Croce Rossa (della Mezzaluna Rossa, del Leone e Sole Rossi).
Qualora le Parti in conflitto ritenessero necessario di sottoporre la corrispondenza familiare a restrizioni, esse potranno imporre tutt'al più l'uso di moduli-tipo contenenti venticinque parole liberamente scelte e limitarne l'invio ad uno solo per mese.
Articolo 26.
Ciascuna Parte in conflitto faciliterà le ricerche intraprese dai membri delle famiglie disperse dalla guerra per riprendere contatto gli uni con gli altri e, se possibile, ritrovarsi insieme.
In particolare, essa favorirà l'opera degli enti che si dedicano a questo compito, a condizione che essa abbia dato loro il suo gradimento, e che si conformino alle misure di sicurezza da essa prese.
TITOLO III
Statuto e trattamento delle persone protette
SEZIONE I.
- DISPOSIZIONI COMUNI PER I TERRITORI DELLE PARTI IN CONFLITTO E I TERRITORI OCCUPATI
Articolo 27.
Le persone protette hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro persona, del loro onore, dei loro diritti familiari, delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi.
Esse saranno trattate sempre con umanità e protette, in particolare, contro qualsiasi atto di violenza o d'intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità.
Le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore.
Tenuto conto delle disposizioni concernenti le condizioni di salute, l'età e il sesso, le persone protette saranno trattate tutte dalla Parte in conflitto nel cui potere si trovano con gli stessi riguardi, senza alcuna distinzione sfavorevole, segnatamente di razza, di religione o di opinioni politiche.
Le Parti in conflitto potranno tuttavia prendere nei confronti delle persone protette, le misure di controllo o di sicurezza imposte dalla guerra.
Articolo 28.
Nessuna persona protetta potrà essere utilizzata per mettere, con la sua presenza, determinati punti o determinate regioni al sicuro dalle operazioni militari.
Articolo 29.
La Parte in conflitto, in cui potere si trovano delle persone protette, è responsabile del trattamento loro applicato dai suoi agenti, senza pregiudizio delle responsabilità individuali nelle quali fosse possibile incorrere.
Articolo 30.
Le persone protette avranno tutte le facilitazioni per rivolgersi alle Potenze protettrici, al Comitato internazionale della Croce Rossa, alla Società nazionale della Croce Rossa (della Mezzaluna Rossa, del Leone e Sole Rossi) del paese dove si trovano, come pure a qualsiasi organizzazione che potesse soccorrerli.
Questi diversi enti riceveranno, a tal fine, da parte delle autorità, ogni facilitazione nei limiti ammessi dalle necessità militari o di sicurezza.
Oltre alle visite dei delegati delle Potenze protettrici e del Comitato internazionale della Croce Rossa previste dall'Articolo 143, le Potenze detentrici od occupanti faciliteranno in quanto possibile, le visite che desiderassero fare alle persone protette i rappresentanti di altre istituzioni aventi lo scopo di recare a queste persone un aiuto spirituale o materiale.
Articolo 31.
Nessuna coercizione di carattere fisico o morale potrà essere esercitata sulle persone protette, specialmente per ottenere da esse, oppure da terzi, delle informazioni.
Articolo 32.
Le Alte Parti contraenti considerano esplicitamente come proibita qualsiasi misura atta a cagionare sia sofferenze fisiche, sia lo sterminio delle persone protette in loro potere.
Questo divieto concerne non solo l'assassinio, la tortura, le pene corporali, le mutilazioni e gli esperimenti medici o scientifici non richiesti dalla cura medica di una persona protetta, ma anche qualsiasi altra brutalità, sia essa compiuta da agenti civili o da agenti militari.
Articolo 33.
Nessuna persona protetta puà essere punita per un'infrazione che non ha commesso personalmente.
Le pene collettive, come pure qualsiasi misura d'intimazione o di terrorismo, sono vietate.
E' proibito il saccheggio.
Sono proibite le misure di rappresaglia nei confronti delle persone protette e dei loro beni.
Articolo 34.
La cattura di ostaggi è vietata.
SEZIONE II.
- STRANIERI SUL TERRITORIO Dl UNA PARTE IN CONFLITTO
Articolo 35.
Qualunque persona protetta che desiderasse lasciare il territorio all'inizio o nel corso di un conflitto, avrà il diritto di farlo, a meno che la sua partenza non sia contraria agli interessi nazionali dello Stato.
La domanda di lasciare il territorio sarà esaminata secondo una procedura regolare, e la decisione dovrà essere presa il più rapidamente possibile.
La persona autorizzata a lasciare il territorio potrà munirsi del denaro necessario per il suo viaggio e portar seco un quantitativo di effetti e di oggetti d'uso personale.
Le persone alle quali è rifiutato il permesso di lasciare il territorio, avranno il diritto di ottenere che un tribunale o un collegio amministrativo competente, istituito a questo scopo dalla Potenza detentrice, riesamini questo rifiuto entro il più breve termine possibile.
Se ne è fatta richiesta, dei rappresentanti della Potenza protettrice potranno, a meno che vi si oppongano motivi di sicurezza o che gli interessati sollevino obiezioni, ottenere di essere informati del rifiuto opposto alle persone che avevano chiesto il permesso di lasciare il territorio e, il più rapidamente possibile, dei nomi di tutte le persone che si trovino in questo caso.
Articolo 36.
Le partenze autorizzate in virtù del precedente articolo avranno luogo in condizioni soddisfacenti di sicurezza, di igiene, di salubrità e di alimentazione.
Tutte le spese che ne risultano, a contare dall'uscita del territorio della Potenza detentrice, saranno a carico del Paese di destinazione o, in caso di soggiorno in Paese neutro, a carico della Potenza della quale i beneficiari sono cittadini.
Le modalità pratiche di questi trasferimenti saranno, se necessario, fissate mediante accordi speciali tra le Potenze interessate.
Si fa riserva per gli accordi speciali che le Parti in conflitto possono aver conchiuso sullo scambio e il rimpatrio dei loro cittadini caduti in potere del nemico.
Articolo 37.
Le persone protette che si trovano in detenzione preventiva o che subiscono una pena privativa della libertà personale, saranno durante la loro detenzione, trattate con umanità.
Esse potranno, non appena liberate, domandare di lasciare il territorio, in conformità degli articoli precedenti.
Articolo 38.
Fatta eccezione dei provvedimenti speciali che possono essere presi in virtù della presente Convenzione, specie degli articoli 27 e 41, la situazione delle persone protette rimarrà, di massima, regolata dalle disposizioni relative al trattamento degli stranieri in tempo di pace.
In ogni caso, saranno loro accordati i seguenti diritti: 1) esse potranno ricevere i soccorsi individuali o collettivi che fossero loro inviati; 2) esse riceveranno, se il loro stato di salute lo esige, assistenza medica e cure cliniche nella stessa misura che i cittadini dello Stato interessato; 3) esse potranno praticare la loro religione e ricevere l'assistenza spirituale dei ministri del loro culto; 4) se risiedono in una regione particolarmente esposta ai pericoli della guerra, esse saranno autorizzate a trasferirsi altrove, nella stessa misura che i cittadini dello Stato interessato; 5) i fanciulli d'età inferiore a quindici anni, le donne incinte e le madri dei bambini d'età inferiore a sette anni fruiranno, nella stessa misura che i cittadini dello Stato interessato, di qualsiasi trattamento preferenziale.
Articolo 39.
Le persone protette, che, in seguito al conflitto, avessero perso la loro attività remunerata, saranno messe in grado di trovare un lavoro retribuito e fruiranno, a questo fine (con riserva delle considerazioni di sicurezza e delle disposizioni dell'Articolo 40), degli stessi vantaggi dei cittadini della Potenza sul cui territorio si trovano.
Se una Parte in conflitto sottopone una persona protetta a misure di controllo che le impediscano di provvedere al proprio sostentamento, specialmente quando questa persona non puà, per ragioni di sicurezza, trovare un lavoro retribuito a condizioni ragionevoli, detta Parte in conflitto sopperirà ai bisogni della stessa e delle persone a suo carico.
Le persone protette potranno, in ogni caso, ricevere sussidi dal loro paese d'origine, dalla Potenza protettrice o dalle società di beneficenza menzionate nell'Articolo 30.
Articolo 40.
Le persone protette possono essere obbligate al lavoro soltanto nella stessa misura che i cittadini della Parte in conflitto sul territorio della quale esse si trovano.
Se le persone protette sono di nazionalità nemica, esse potranno essere obbligate soltanto ai lavori che sono normalmente necessari per assicurare il vitto, l'alloggio, l'abbigliamento, il trasporto e la salute di esseri umani e che non sono in rapporto diretto con la condotta delle operazioni militari.
Nei casi indicati nei precedenti capoversi, le persone protette obbligate al lavoro fruiranno di condizioni di lavoro e di misure di protezione identiche a quelle previste per i lavoratori nazionali, specialmente per quanto concerne il salario, la durata del lavoro, l'equipaggiamento, la formazione preparatoria e il risarcimento degli infortuni del lavoro e delle malattie professionali.
In caso di violazione delle prescrizioni sopra indicate, le persone protette saranno autorizzate ad esercitare il loro diritto di reclamo, conformemente all'Articolo 30.
Articolo 41.
Se la Potenza, nel cui potere si trovano le persone protette, non ritenga sufficienti le altre misure di controllo indicate nella presente Convenzione, le più severe misure di controllo alle quali essa potrà ricorrere saranno l'assegnazione di una residenza forzata o l'internamento, conformemente alle disposizioni degli articoli 42 e 43.
Applicando le disposizioni del secondo comma dell'articolo 39 al caso delle persone costrette a lasciare la loro residenza consueta in virtù di una decisione che assegna loro una residenza forzata in altro luogo, la Potenza detentrice si conformerà, il più esattamente possibile, alle norme che regolano il trattamento degli internati (sezione IV, titolo III della presente Convenzione).
Articolo 42.
L'internamento o l'assegnazione di una residenza forzata potranno essere ordinati, nei confronti delle persone protette, soltanto se la sicurezza della Potenza, in cui potere queste persone si trovano, lo rende assolutamente necessario.
Se una persona domanda, per il tramite dei rappresentanti della Potenza protettrice, il proprio internamento volontario e se la sua situazione lo rende necessario, la Potenza in cui potere essa si trova procederà a questo internamento.
Articolo 43.
Ogni persona protetta che sia stata internata o alla quale sia stata assegnata una residenza forzata, avrà il diritto di ottenere che un tribunale o un collegio amministrativo competente, istituito a questo scopo dalla Potenza protettrice, riesamini entro il più breve termine possibile la decisione presa nei suoi confronti.
Se l'internamento o la residenza forzata sono mantenuti, il tribunale o il collegio amministrativo procederà periodicamente, e almeno due volte l'anno, ad un esame del caso di questa persona al fine di correggere in suo favore la decisione iniziale, qualora le circostanze lo permettano.
Salvo che le persone protette interessate vi si oppongano, la Potenza detentrice comunicherà, il più rapidamente possibile, alla Potenza protettrice i nomi delle persone protette che sono state internate o alle quali è stata assegnata una residenza forzata, come pure i nomi di quelle che sono state liberate dall'internamento o dalla residenza forzata.
Con la stessa riserva, le decisioni dei tribunali o collegi indicati nel primo comma del presente articolo saranno pure notificate il più rapidamente possibile alla Potenza protettrice.
Articolo 44.
Prendendo le misure di controllo previste dalla presente Convenzione, la Potenza detentrice non tratterà come stranieri nemici, esclusivamente in base alla loro appartenenza giuridica ad uno Stato nemico, i rifugiati che non fruiscono effettivamente della protezione di alcun governo.
Articolo 45.
Le persone protette non potranno essere trasferite a una Potenza che non partecipi alla Convenzione.
Questa disposizione non puà impedire il rimpatrio delle persone protette o il loro ritorno al paese di loro domicilio dopo la fine delle ostilità.
Le persone protette non potranno essere trasferite dalla Potenza detentrice ad una Potenza partecipante alla Convenzione, se non dopo che la Potenza detentrice si sia assicurata che la Potenza di cui si tratta desidera ed è in grado di applicare la Convenzione.
Quando le persone protette siano in tal modo trasferite, la responsabilità dell'applicazione della Convenzione incomberà alla Potenza che ha accettato di accoglierle per il tempo durante il quale le saranno affidate.
Tuttavia, nel caso in cui questa Potenza non applicasse le disposizioni della Convenzione, in qualunque punto importante, la Potenza che ha provveduto al trasferimento delle persone protette dovrà, in seguito a notifica da parte della Potenza protettrice, prendere misure efficaci per rimediare alla situazione, o chiedere che le persone protette le siano rinviate.
Dovrà esser dato seguito a questa domanda.
Una persona protetta non potrà, in nessun caso, essere trasferita in un paese dove essa puà temere di essere perseguitata per le sue opinioni politiche o religiose.
Le disposizioni del presente articolo non impediscono la estradizione, in virtù dei trattati d'estradizione conchiusi prima dell'inizio delle ostilità, delle persone protette incolpate di reati di diritto comune.
Articolo 46.
Le misure restrittive prese nei confronti delle persone protette cesseranno, se non siano state revocate anteriormente, il più rapidamente possibile dopo la fine delle ostilità.
Le misure restrittive prese nei confronti dei loro beni cesseranno il più rapidamente possibile dopo la fine delle ostilità, conformemente alla legislazione della Potenza detentrice.
SEZIONE III.
- TERRITORI OCCUPATI
Articolo 47.
Le persone protette che si trovano in un territorio occupato non saranno private, in nessun caso e in nessun modo, del beneficio della presente Convenzione, né in virtù di un cambiamento qualsiasi apportato in seguito all'occupazione alle istituzioni o al governo del territorio di cui si tratta, né in virtù di un accordo conchiuso tra le autorità del territorio occupato e la Potenza occupante, né, infine, in seguito all'annessione, da parte di quest'ultima, di tutto il territorio occupato o parte di esso.
Articolo 48.
Le persone protette, che non sono cittadini della Potenza il cui territorio è occupato, potranno avvalersi del diritto di lasciare il territorio alle condizioni previste dall'Articolo35 e le decisioni saranno prese conformemente alla procedura che la Potenza occupante deve istituire in virtù di detto articolo.
Articolo 49.
I trasferimenti fondati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo.
La Potenza occupante potrà tuttavia procedere allo sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata, qualora la sicurezza della popolazione o impellenti ragioni militari lo esigano.
Gli sgombri potranno aver per conseguenza lo spostamento di persone protette soltanto nell'interno del territorio occupato, salvo in caso di impossibilità materiale.
La popolazione in tal modo evacuata sarà ricondotta alle sue case non appena le ostilità saranno cessate nel settore interessato.
Procedendo a siffatti trasferimenti o sgomberi, la Potenza occupante dovrà provvedere, in tutta la misura del possibile, affinché le persone protette siano ospitate convenientemente, i trasferimenti si compiano in condizioni soddisfacenti di salubrità, di igiene, di sicurezza e di vitto e i membri di una stessa famiglia non siano separati gli uni dagli altri.
La Potenza protettrice sarà informata dei trasferimenti e degli sgombri non appena essi avranno avuto luogo.
La Potenza occupante non potrà trattenere le persone protette in una regione particolarmente esposta ai pericoli della guerra, salvo che la sicurezza della popolazione o imperiose ragioni militari lo esigano.
La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.
Articolo 50.
La Potenza occupante faciliterà, con il concorso delle autorità nazionali e locali, l'ordinato esercizio degli stabilimenti adibiti alle cure e all'educazione dei fanciulli.
Essa prenderà tutti i provvedimenti necessari per facilitare l'identificazione dei fanciulli e la registrazione della loro filiazione.
In nessun caso essa potrà procedere ad un mutamento del loro stato personale, nè arruolarli in formazioni o organizzazioni dipendenti da essa.
In mancanza di adeguate istituzioni locali, la Potenza occupante dovrà prendere disposizioni per assicurare il sostentamento e l'educazione, possibilmente a cura di persone della stessa nazionalità, lingua e religione, dei fanciulli orfani o separati dai loro genitori in seguito alla guerra e che non abbiano un parente prossimo o un amico che possa provvedervi.
Una sezione speciale dell'ufficio istituito in virtù delle disposizioni dell'Articolo 136 sarà incaricato di prendere tutti i provvedimenti necessari per stabilire, nei casi incerti, l'esatta identità dei fanciulli.
Le indicazioni che si possedessero sui loro genitori o su altri congiunti prossimi saranno sempre registrate.
La Potenza occupante non dovrà ostacolare l'applicazione delle misure preferenziali che fossero state adottate, prima dell'occupazione, in favore dei fanciulli di età inferiore a quindici anni, delle donne incinte e delle madri di fanciulli di età inferiore a sette anni, per quanto concerne il vitto, le cure mediche e la protezione contro gli effetti della guerra Articolo 51.
La Potenza occupante non potrà costringere persone protette a prestar servizio nelle sue forze armate o ausiliarie.
Qualsiasi pressione o propaganda intesa ad ottenere arruolamenti volontari è vietata.
Essa potrà costringere al lavoro persone protette soltanto se queste hanno più di diciotto anni; potrà perà trattarsi unicamente di lavori necessari ai bisogni dell'esercito d'occupazione o ai servizi d'interesse pubblico, al vitto, all'alloggio, all'abbigliamento, ai trasporti o alla salute della popolazione del paese occupato.
Le persone protette non potranno essere obbligate ad alcun lavoro che le costringa a partecipare ad operazioni militari.
La Potenza occupante non potrà costringere le persone protette a garantire con la forza la sicurezza degli impianti dove esse eseguono un lavoro imposto.
Il lavoro sarà eseguito esclusivamente nell'interno del territorio occupato dove si trovano le persone di cui si tratta.
Ognuna di queste persone occupate sarà mantenuta, per quanto possibile, nel suo luogo abituale di lavoro.
Il lavoro sarà equamente retribuito e proporzionato alle capacità fisiche e intellettuali dei lavoratori.
La legislazione vigente del paese occupato sulle condizioni di lavoro e le misure di protezione, specie per quanto concerne il salario, la durata del lavoro, l'equipaggiamento, la formazione preventiva e il risarcimento per gli infortuni del lavoro e per le malattie professionali, sarà applicabile alle persone protette che eseguono lavori nel senso del presente articolo.
In nessun caso le requisizioni di mano d'opera dovranno condurre alla mobilitazione di lavoratori sottoposti ad un regime militare o semimilitare.
Articolo 52.
Nessun contratto, accordo o regolamento potrà ledere il diritto di ogni singolo lavoratore, volontario o no, ovunque esso si trovi, di rivolgersi ai rappresentanti della Potenza protettrice per chiederne l'intervento.
E' vietata qualsiasi misura intesa a provocare la disoccupazione o a limitare le possibilità di lavoro dei lavoratori di un paese occupato, per indurli a lavorare per la Potenza occupante.
Articolo 53.
E' vietato alla Potenza occupante di distruggere beni mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative, salvo nel caso in cui tali distruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari.
Articolo 54.
E' vietato alla Potenza occupante modificare l'ordinamento dei funzionari o dei magistrati del territorio occupato o prendere nei loro confronti sanzioni o misure qualsiasi di coercizione o discriminazione per il fatto che si astenessero dall'esercitare le loro funzioni per motivi di coscienza.
Quest'ultimo divieto non preclude l'applicazione del secondo capoverso dell'Articolo 51.
Esso non limita la facoltà della Potenza occupante di destituire dalle loro cariche i titolari di pubbliche funzioni.
Articolo 55.
La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali; in particolare, essa dovrà importare viveri, medicinali e altri articoli indispensabili, qualora le risorse del territorio occupato fossero insuffficienti.
La Potenza occupante non potrà requisire viveri, articoli indispensabili o medicinali che si trovano nel territorio occupato, se non per le forze e l'amministrazione d'occupazione; essa dovrà tener conto dei bisogni della popolazione civile.
Con riserva delle disposizioni di altre convenzioni internazionali, la Potenza occupante dovrà prendere le disposizioni necessarie affinché ogni requisizione sia risarcita secondo il suo giusto valore.
Le Potenze protettrici sotto riserva delle restrizioni temporanee che fossero imposte da imperiose necessità militari potranno, in ogni tempo, controllare senza ostacolo lo stato d'approvvigionamento dei territori occupati per quanto concerne i viveri e medicamenti.
Articolo 56.
La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, e di mantenere, con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come pure la salute e l'igiene pubbliche nel territorio occupato, specie adottando e applicando le misure profilattiche e preventive necessarie per combattere il propagarsi di malattie contagiose e di epidemie.
Il personale sanitario d'ogni categoria sarà autorizzato a svolgere la sua missione.
Qualora nuovi ospedali fossero fondati in territorio occupato e gli organi competenti dello Stato occupato non fossero più in funzione, le autontà d'occupazione procederanno, occorrendo, al riconoscimento previsto dall'Articolo 18.
In circostanze analoghe, le autorità d'occupazione dovranno parimenti procedere al riconoscimento del personale degli ospedali e dei veicoli da trasporto, ai sensi delle disposizioni degli articoli 20 e 21.
Adottando le misure sanitarie e d'igiene, come pure mettendole in vigore, la Potenza occupante terrà conto delle esigenze morali ed etiche della popolazione del territorio occupato.
Articolo 57.
Solo temporaneamente e in caso d'urgente necessità la Potenza occupante potrà requisire gli ospedali civili per curare feriti e malati militari, e soltanto a condizione che siano presi in tempo utile provvedimenti adeguati per garantire la cura e l'assistenza medica delle persone ricoverate e per rispondere ai bisogni della popolazione civile.
Il materiale e i depositi degli ospedali civili non potranno essere requisiti, finché saranno necessari per i bisogni della popolazione civile.
Articolo 58.
La Potenza occupante permetterà ai ministri dei culti di provvedere all'assistenza spirituale dei loro correligionari.
Essa accetterà altresì gli invii di libri e di oggetti necessari per i bisogni religiosi e ne agevolerà la distribuzione in territorio occupato.
Articolo 59.
Allorché la popolazione di un territorio occupato o una parte della stessa fosse insufficientemente approvvigionata, la Potenza occupante accetterà le azioni di soccorso organizzate a favore di detta popolazione e le faciliterà nella piena misura dei suoi mezzi.
Queste azioni, che potranno essere intraprese sia da Stati, sia da un ente umanitario imparziale, come il Comitato internazionale della Croce Rossa, consisteranno specialmente in invii di viveri, medicinali ed effetti di vestiario.
Tutti gli Stati contraenti dovranno autorizzare il libero passaggio di questi invii e garantirne la protezione.
Una Potenza che accorda il libero passaggio per invii destinati ad un territorio occupato da una Parte in conflitto avversa avrà tuttavia il diritto di controllare gli invii, di regolarne il passaggio secondo orari e itinerari prescritti e di ottenere dalla Potenza protettrice una sufficiente garanzia che questi invii siano destinati a soccorrere la popolazione bisognosa e non siano utilizzati a vantaggio della Potenza occupante.
Articolo 60.
Gli invii di soccorso non esonereranno affatto la Potenza occupante dalle responsabilità che le incombono in virtù degli articoli 55, 56 e 59.
Essa non potrà sottrarre in nessun modo gli invii di soccorso alla destinazione loro assegnata, salvo in caso di urgente necessità, nell'interesse della popolazione del territorio occupato e con il consenso della Potenza protettrice.
Articolo 61.
La distribuzione degli invii di soccorso menzionati negli articoli precedenti sarà fatta con il concorso e sotto il controllo della Potenza protettrice.
Questa funzione potrà parimenti essere affidata, in seguito ad intesa tra la Potenza occupante e la Potenza protettrice, ad uno Stato neutro, al Comitato internazionale della Croce Rossa o a qualunque altro ente umanitario imparziale.
In questi invii di soccorso non sarà riscosso in territorio occupato dazio, imposta e tassa alcuna, a meno che tale riscossione sia necessaria nell'interesse dell'economia del territorio.
La Potenza occupante dovrà agevolare la rapida distribuzione di questi invii.
Tutte le Parti contraenti faranno il possibile per permettere il transito e il trasporto gratuiti degli invii di soccorso destinati a territori occupati.
Articolo 62.
Con riserva di imperiosi motivi di sicurezza, le persone protette che si trovano in territorio occupato potranno ricevere gli invii individuali di soccorso che fossero loro indirizzati.
Articolo 63.
Con riserva delle misure temporanee che fossero imposte eccezionalmente da imperiosi motivi di sicurezza della Potenza occupante: a) le Società nazionali della Croce Rossa (della Mezzaduna Rossa.
dei Leone e Sole Rossi) riconosciute potranno proseguire le attività conformi ai principi della Croce Rossa, come sono definiti dalle conferenze internazionali della Croce Rossa.
Le altre società di soccorso dovranno poter proseguire le loro attività umanitarie in condizioni analoghe; b) la Potenza occupante non potrà esigere, quanto al personale e alla struttura di queste società, cambiamento alcuno che possa pregiudicare le attività indicate.
Le stesse norme si applicheranno all'attività e al personale di enti speciali di carattere non militare, già esistenti o che fossero istituiti per garantire le condizioni d'esistenza della popolazione civile mantenendo i servizi essenziali di utilità pubblica, distribuendo soccorsi e organizzando il salvataggio.
Articolo 64.
La legislazione penale del territorio occupato rimarrà in vigore, salvo nella misura in cui potrà essere abrogata o sospesa dalla Potenza occupante se detta legislazione costituisce una minaccia per la sicurezza di questa Potenza o fosse di ostacolo all'applicazione della presente Convenzione.
Con riserva di quest'ultima considerazione, come pure della necessità di assicurare l'amministrazione effettiva della giustizia, i tribunali del territorio occupato continueranno a funzionare per tutte le infrazioni previste da detta legislazione.
La Potenza occupante potrà tuttavia assoggettare la popolazione del territorio occupato a disposizioni che siano indispensabili per permetterle di adempiere i suoi obblighi risultanti dalla presente Convenzione e di garantire l'amministrazione regolare del territorio come pure la sicurezza sia della Potenza occupante, sia dei membri e dei beni delle forze o dell'amministrazione d'occupazione, nonché degli stabilimenti e delle linee di comunicazione da essa utilizzate.
Articolo 65.
Le disposizioni penali emanate dalla Potenza occupante entreranno in vigore solo dopo essere state pubblicate e comunicate alla popolazione, nella lingua della stessa.
Esse non potranno avere effetto retroattivo.
Articolo 66.
La Potenza occupante potrà, in caso di infrazione delle disposizioni penali da essa emanate in virtù del secondo capoverso dell'Articolo 64, deferire gli imputati ai suoi tribunali militari, non politici e regolarmente costituiti, a condizione che questi abbiano la loro sede nel paese occupato.
I tribunali d'appello avranno di preferenza la loro sede nel paese occupato.
Articolo 67.
I tribunali potranno applicare soltanto le disposizioni legali anteriori all'infrazione e conformi alle norme generali del diritto, specie per quanto concerne il principio delle proporzionalità delle pene.
Essi dovranno tener conto del fatto che l'imputato non è cittadino della Potenza occupante.
Articolo 68.
Quando una persona protetta commette un'infrazione unicamente nell'intento di nuocere alla Potenza occupante, ma quest'infrazione non colpisce la vita o l'integrità corporale dei membri delle forze o dell'amministrazione d'occupazione, non crea un serio pericolo collettivo e non danneggia gravemente i beni delle forze o dell'amministrazione d'occupazione o gli impianti da esse utilizzati, detta persona è punibile con l'internamento o la semplice prigione; la durata dell'internamento o dell'imprigionamento sarà proporzionata all'infrazione commessa.
Inoltre l'internamento o l'imprigionamento sarà, per tali infrazioni, la sola misura privativa della libertà personale che potrà essere presa nei confronti delle persone protette.
I tribunali previsti dall'Articolo 66 della presente Convenzione saranno liberi di convertire la pena della prigione in una misura d'internamento della stessa durata.
Le disposizioni di carattere penale emanate dalla Potenza occupante conformemente agli articoli 64 e 65 non possono prevedere la pena di morte nei confronti delle persone protette, salvo nel caso in cui queste siano colpevoli di spionaggio, di gravi atti di sabotaggio degli impianti militari della Potenza occupante o di infrazioni intenzionali che abbiano cagionato la morte di una o più persone, e a condizione che la legislazione vigente nel territorio occupato prima dell'inizio dell'occupazione preveda in tali casi la pena di morte.
La pena di morte potrà essere pronunciata contro una persona protetta soltanto se l'attenzione del tribunale è stata specialmente richiamata sul fatto che l'accusato, non essendo cittadino della Potenza occupante, non è legato a questa da alcun dovere di fedeltà.
La pena di morte non potrà in nessun caso essere pronunciata contro una persona protetta che, al momento della infrazione, abbia meno di diciotto anni.
Articolo 69.
La durata della detenzione preventiva sarà in ogni caso dedotta da qualunque pena d'imprigionamento alla quale una persona protetta accusata potesse essere condannata.
Articolo 70.
Le persone protette non potranno essere arrestate, perseguite o condannate dalla Potenza occupante per atti commessi o per opinioni espresse prima dell'occupazione o durante un'interruzione temporanea della stessa, con riserva delle infrazioni delle leggi e usanze della guerra.
I cittadini della Potenza occupante che, prima dell'inizio del conflitto, si fossero rifugiati nel territorio occupato, non potranno essere arrestati, perseguiti, condannati o deportati fuori del territorio occupato, salvo per infrazioni commesse dopo l'inizio delle ostilità o per reati di diritto comune commessi prima dell'apertura delle ostilità che, secondo le leggi dello Stato, il cui territorio è occupato, avrebbero giustificato l'estradizione in tempo di pace.
Articolo 71.
I tribunali competenti della Potenza occupante non potranno pronunciare condanna alcuna che non sia preceduta da un processo regolare.
Ogni imputato perseguito dalla Potenza occupante sarà informato senz'indugio, per iscritto, in una lingua che egli comprenda, dei particolari dei capi d'accusa addebitatigli; la sua causa sarà istruita il più rapidamente possibile.
La Potenza protettrice sarà informata di ogni procedimento intentato dalla Potenza occupante contro persone protette qualora i capi d'accusa potessero implicare una condanna a morte o una pena d'imprigionamento di due anni o più essa potrà in qualunque tempo informarsi dello stato della procedura.
La Potenza protettrice avrà inoltre il diritto di ottenere, a sua richiesta, qualsiasi informazione relativa a queste procedure e ad ogni altro procedimento intentato dalla Potenza occupante contro persone protette.
La notificazione alla Potenza protettrice, come è prevista dal secondo comma del presente articolo, dovrà essere fatta immediatamente e giungere in ogni caso alla Potenza protettrice tre settimane prima della data della prima udienza.
Se, all'apertura dei dibattimenti, non è fornita la prova che le disposizioni del presente articolo sono state integralmente rispettate, i dibattimenti non potranno aver luogo.
La notificazione dovrà comprendere segnatamente le seguenti indicazioni: a) identità dell'imputato; b) luogo di residenza o di detenzione; c) specificazione del o dei capi d'accusa (con menzione delle disposizioni penali su cui si basa); d) indicazione del tribunale incaricato di giudicare l'affare; e) luogo e data della prima udienza.
Articolo 72.
Ogni imputato avrà il diritto di far valere i mezzi di prova necessari per la sua difesa e potrà, in particolare, far citare dei testi.
Egli avrà il diritto di essere assistito da un difensore qualificato, di sua scelta, che potrà visitarlo liberamente e fruirà delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa.
Se l'imputato non ha scelto un difensore, la Potenza protettrice gliene procurerà uno.
Se l'imputato deve rispondere di un'accusa grave e non vi sia una Potenza protettnce, la Potenza occupante dovrà, con riserva del consenso dell'imputato, procurargli un difensore.
Ogni imputato sarà, a meno che non vi rinunci spontaneamente, assistito da un interprete, sia durante l'istruttoria, sia durante l'udienza del tribunale.
Egli potrà, in ogni tempo, ricusare l'interprete e chiederne la sostituzione.
Articolo 73.
Ogni condannato avrà il diritto di utilizzare le vie di ricorso previste dalla legislazione applicata dal tribunale.
Egli sarà pienamente informato dei suoi diritti di ricorso, come pure dei termini prescritti per esercitarli.
La procedura penale prevista dalla presente sezione si applicherà, per analogia, ai ricorsi.
Se la legislazione applicata dal tribunale non prevede possibilità di appello, il condannato avrà il diritto di ricorrere contro la sentenza e la condanna presso l'autorità competente della Potenza occupante.
Articolo 74.
I rappresentanti della Potenza protettrice avranno il diritto di assistere all'udienza di qualsiasi tribunale che giudichi una persona protetta, salvo se i dibattimenti devono, eccezionalmente, svolgersi a porte chiuse nell'interesse della sicurezza della Potenza occupante; in tal caso, questa ne avvertirà la Potenza protettrice.
Alla Potenza protettrice dovrà essere trasmessa una notifica contenente l'indicazione del luogo e della data dell'apertura dei dibattimenti.
Tutte le sentenze pronunciate, che implichino la pena di morte o l'imprigionamento per due anni o più, saranno comunicate, con indicazione dei motivi e il più rapidamente possibile, alla Potenza protettrice; esse dovranno contenere un riferimento alla notificazione fatta conformemente all'Articolo 71 e, in caso di sentenza implicante una pena privativa della libertà personale, l'indicazione del luogo dove sarà scontata.
Le altre sentenze saranno iscritte nei processi verbali del tribunale e potranno essere esaminate dai rappresentanti della Potenza protettrice.
Nel caso di una condanna alla pena di morte o a una pena privativa della libertà personale di due o più anni, i termini di ricorso cominceranno a decorrere soltanto dal momento in cui la Potenza protettrice avrà ricevuto comunicazione della sentenza.
Articolo 75.
Le persone condannate a morte non saranno private, in nessun caso, del diritto di chiedere la grazia.
Nessuna condanna a morte sarà eseguita prima che sia trascorso un termine di almeno sei mesi a contare dal momento in cui la Potenza protettrice avrà ricevuto comunicazione della sentenza definitiva che conferma detta condanna a morte o la decisione che nega la grazia.
Questo termine di sei mesi potrà essere abbreviato in taluni casi determinati, qualora risulti da circostanze gravi e critiche che la sicurezza della Potenza occupante o delle sue forze armate è esposta ad una minaccia organizzata; la Potenza protettrice riceverà in ogni caso comunicazione di questa riduzione del termine e avrà sempre la possibilità di trasmettere in tempo utile delle rimostranze in merito a queste condanne a morte alle competenti autorità d'occupazione.
Articolo 76.
Le persone protette imputate saranno detenute nel paese occupato e, se sono condannate, dovranno scontarvi la loro pena.
Esse saranno possibilmente separate dagli altri detenuti e sottoposte a un regime alimentare e igienico sufficiente per mantenerle in buono stato di salute e corrispondente almeno al regime degli stabilimenti penitenziari del paese occupato.
Esse riceveranno le cure mediche richieste dalle loro condizioni di salute.
Esse saranno parimenti autorizzate a ricevere l'aiuto spirituale che potessero richiedere.
Le donne saranno alloggiate in locali separati e sottoposti alla sorveglianza immediata di donne.
Sarà tenuto conto del regime speciale previsto per i minorenni.
Le persone protette detenute avranno il diritto di ricevere la visita dei delegati della Potenza protettrice e del Comitato Internazionale della Croce Rossa, conformemente alle disposizioni dell'Articolo 143.
Articolo 77.
Le persone protette imputate o condannate dai tribunali in territorio occupato saranno consegnate, alla fine dell'occupazione, con il fascicolo che le concerne, alle autorità del territorio liberato.
Articolo 78.
Se la Potenza occupante ritiene necessario, per imperiosi motivi di sicurezza, di prendere misure di sicurezza nei confronti di persone protette, essa potrà tutt'al più imporre loro una residenza forzata o procedere al loro internamento.
Le decisioni relative alla residenza forzata o all'internamento saranno prese seguendo una procedura regolare che dovrà essere fissata dalla Potenza occupante, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione.
Questa procedura deve prevedere il diritto di appello degli interessati.
I ricorsi d'appello devono essere decisi entro il più breva termine possibile.
Se le decisioni sono mantenute, esse saranno sottoposte ad una revisione periodica, possibilmente semestrale, a cura di un organismo competente istituito da detta Potenza.
Le persone protette, cui è stata assegnata la residenza forzata e che sono percià costrette a lasciare il loro domicilio, fruiranno, senza restrizione alcuna, delle disposizioni dell'Articolo 39 della presente Convenzione.
SEZIONE IV.
- NORME CONCERNENTI IL TRATTAMENTO DEGLI INTERNATI
CAPITOLO 1.
- Disposizioni generali
Articolo 79.
Le Parti in conflitto potranno internare persone protette soltanto in conformità degli articoli 41, 42, 43, 68 e 78.
Articolo 80.
Gli internati conserveranno la loro piena capacità civile ed eserciteranno i diritti che ne derivano nella misura compatibile con la loro condizione di internati.
Articolo 81.
Le Parti in conflitto che interneranno persone protette saranno tenute a provvedere gratuitamente ad loro sostentamento e ad accordar loro parimenti le cure mediche che il loro stato di salute richiede.
Nessuna deduzione sarà fatta, per il rimborso di queste spese, dalle indennità, dai salari o dai crediti degli internati.
La Potenza detentrice dovrà provvedere al sostentamento delle persone che dipendono dagli internati, sempreché esse siano senza mezzi sufficienti di sussistenza o incapaci di guadagnare da vivere.
Articolo 82.
La Potenza detentrice raggrupperà per quanto possibile gli internati secondo la loro nazionalità, la loro lingua e le loro usanze.
Gli internati attinenti di uno stesso Paese non saranno separati per il solo fatto della diversità di lingua.
Per tutta la durata del loro internamento, i membri di una stessa famiglia, e specialmente i genitori e i loro figli, saranno riuniti nel medesimo luogo d'internamento, salvo nei casi in cui le necessità del lavoro, ragioni di salute o l'applicazione delle disposizioni previste dal capitolo IX della presente sezione rendessero necessaria una separazione temporanea.
Gli internati potranno chiedere che i loro figli, lasciati in libertà senza sorveglianza di congiunti, siano internati con loro.
I membri internati della stessa famiglia saranno, per quanto possibile, riuniti nei medesimi locali e saranno alloggiati separatamente dagli altri internati; dovranno pure essere concesse loro le facilitazioni necessarie per condurre una vita di famiglia.
CAPITOLO II
- Luoghi d'internamento
Articolo 83.
La Potenza detentrice non potrà organizzare i luoghi di internamento in regioni particolarmente esposte ai pericoli di guerra.
La Potenza detentrice comunicherà, per il tramite delle Potenze protettrici, alle Potenze nemiche ogni indicazione utile sulla ubicazione geografica dei luoghi d'internamento.
Ogni qualvolta lo permetteranno le considerazioni di carattere militare, i campi d'internamento saranno segnalati colle lettere I C, collocate in modo da essere distintamente visibili di giorno dall'alto dello spazio aereo; tuttavia le Potenze interessate potranno intendersi su un altro mezzo di segnalazione.
Nessun altro luogo all'infuori di un campo d'internamento potrà essere segnalato in tal modo.
Articolo 84.
Gli internati dovranno essere alloggiati e amministrati separatamente dai prigionieri di guerra e dalle persone private della libertà per qualsiasi altro motivo.
Articolo 85.
La Potenza detentrice ha il dovere di prendere tutte le misure necessarie e attuabili affinché le persone protette siano, sin dall'inizio del loro internamento, alloggiate in edifici o accantonamenti che diano ogni garanzia d'igiene e di salubrità e assicurino una protezione efficace contro i rigori del clima e gli effetti della guerra.
I luoghi d'internamento non saranno, in nessun caso, situati in regioni malsane o il cui clima sia pernicioso per gli internati.
In tutti i casi in cui le persone protette fossero temporaneamente internate in una regione malsana o il cui clima fosse dannoso alla salute, esse dovranno essere trasferite, non appena le circostanze lo permettano, in un luogo d'internamento dove non siano da temere tali rischi.
I locali dovranno essere interamente al riparo dell'umidità, sufficientemente riscaldati e illuminati, specie tra l'imbrunire e lo spegnimento delle luci.
I dormitori dovranno essere sufficientemente spaziosi e ben arieggiati: gli internati disporranno di un materiade da letto conveniente e di un numero sufficiente di coperte, con riguardo al clima e all'età, al sesso e alle condizioni di salute degli internati .
Gli internati disporranno, giorno e notte, d'impianti sanitari conformi alle regole dell'igiene e mantenuti in condizione di costante pulizia.
Sarà loro fornito un quantitativo d'acqua e di sapone sufficiente per le cure quotidiane della pulizia corporale e per lavare la loro biancheria: saranno loro accordati a questo scopo gli impianti e le facilitazioni necessari.
Essi disporranno inoltre di docce e di bagni.
Sarà concesso il tempo necessario per le loro cure igieniche e i lavori di pulizia.
Ogni qualvolta fosse necessario, a titolo di misura eccezionale e temporanea, di alloggiare donne internate non appartenenti ad un gruppo familiare nello stesso luogo d'internamento degli uomini, dovranno esser messi obbligatoriamente a loro disposizione dei dormitori e degli impianti sanitari separati.
Articolo 86.
La Potenza detentrice metterà a disposizione degli internati, qualunque sia la loro confessione, dei locali adeguati per la pratica dei loro culti.
Articolo 87.
Salvo che gli internati possano disporre di altre agevolazioni analoghe, saranno aperti in tutti i campi degli spacci, cosicché gli internati possano procurarsi, a prezzi che non supereranno in nessun caso quelli del commercio locale, derrate alimentari e oggetti d'uso, compresi sapone e tabacco, al fine di accrescere il loro benessere e il loro agio personale.
Gli utili conseguiti dagli spacci saranno versati a credito di un fondo speciale d'assistenza da istituirsi in ogni luogo d'internamento e da amministrarsi a favore degli internati del luogo d'internamento interessato.
Il comitato d'internati, previsto dall'Articolo 102, avrà un diritto di controllo sull'amministrazione degli spacci e sulla gestione di detto fondo.
Nel caso della soppressione di un luogo d'internamento, il saldo creditore del fondo d'assistenza sarà trasferito al fondo di assistenza di un altro luogo d'internamento per internati della stessa nazionalità o, se un tal luogo non esistesse, a un fondo centrale d'assistenza che sarà amministrato a favore di tutti gli internati che rimangono in potere della Potenza detentrice.
In caso di liberazione generale, detti utili saranno conservati dalla Potenza detentrice, salvo accordo contrario conchiuso tra le Potenze interessate.
Articolo 88.
In tutti i luoghi d'internamento esposti ai bombardamenti aerei e ad altri pericoli di guerra, saranno sistemati dei rifugi adeguati e in numero sufficiente per garantire la protezione necessaria.
In caso di allarme, gli internati potranno recarvisi il più rapidamente possibile, eccettuati quelli che partecipano alla protezione dei loro accantonamenti contro detti pericoli.
Qualsiasi misura di protezione, che fosse presa a favore della popolazione, sarà applicata anche agli internati.
Precauzioni suffficienti dovranno essere prese nei luoghi d'internamento contro i pericoli d'incendio.
CAPITOLO III.
- Vitto e vestiario
Articolo 89.
La razione alimentare quotidiana degli internati sarà di quantità, qualità e varietà sufficiente per assicurar loro condizioni normali di salute e per impedire perturbamenti dovuti a denutrizione; sarà pure tenuto conto del regime cui gli internati sono abituati.
Gli internati riceveranno, inoltre, i mezzi per prepararsi da sè i viveri supplementari di cui disponessero.
L'acqua potabile sarà loro fornita in misura sufficiente.
L'uso del tabacco sarà permesso.
I lavoratori riceveranno un supplemento di vitto proporzionato al genere del lavoro che compiono.
Le donne incinte e le puerpere, come pure i fanciulli d'età inferiore ai quindici anni, riceveranno supplementi di vitto proporzionati ai loro bisogni fisiologici.
Articolo 90.
Agli internati sarà concessa ogni facilitazione per provvedersi di vestiario, di calzature e di biancheria di ricambio, al momento dell'arresto, e per procurarsene, ove occorra, ulteriormente.
Se gli internati non possiedono vestiario sufficiente per proteggersi dai rigori del clima e non possono procurarsene, la Potenza detentrice ne fornirà loro gratuitamente.
Il vestiario che la Potenza detentrice fornirà agli internati e i segni distintivi esterni che essa potrebbe applicare sul loro vestiario, non dovranno avere carattere infamante nè esporre a ridicolo chi li porta.
I lavoratori dovranno ricevere un abito di fatica, compresi gli indumenti di protezione adeguati, ovunque la natura del lavoro lo esiga.
CAPITOLO IV.
- Igiene e cure mediche
Articolo 91.
Ogni luogo d'internamento disporrà di un'infermeria adeguata, posta sotto l'autorità di un medico qualificato, dove gli internati potranno ricevere le cure di cui avessero bisogno, come pure un regime alimentare appropriato.
Locali d'isolamento saranno riservati ai malati che soffrono di affezioni contagiose o mentali.
Le puerpere e gli internati colpiti da malattia grave, o il cui stato esiga una cura speciale, un intervento chirurgico o l'ospedalizzazione, dovranno essere ammessi in ogni stabilimento adatto per curarli e vi riceveranno delle cure pari a quelle date all'insieme della popolazione.
Gli internati saranno curati di preferenza da personale sanitario della loro nazionalità.
Non si potrà impedire agli internati di presentarsi alle autorità mediche per essere esaminati.
Le autorità mediche della Potenza detentrice rilasceranno, a richiesta, ad ogni internato curato una dichiarazione ufficiale che indichi la natura della sua malattia o delle sue ferite, la durata e il genere delle cure ricevute.
Un duplicato di questa dichiarazione sarà trasmesso all'Agenzia centrale prevista dall'Articolo 140.
Le cure, come pure la fornitura di apparecchi d'ogni genere necessari a mantenere gli internati in buono stato di salute, specie protesi dentarie o altre, e occhiali, saranno concessi gratuitamente all'internato.
Articolo 92.
Almeno una volta al mese saranno organizzate ispezioni mediche degli internati.
Esse avranno, in particolare, lo scopo di controllare lo stato generale di salute e di nutrizione e lo stato di pulizia, nonché di accertare l'esistenza di malattie contagiose, specie della tubercolosi, delle infezioni veneree e della malaria.
Esse comprenderanno specialmente il controllo del peso di ogni internato e, almeno una volta l'anno, un esame radioscopico.
CAPITOLO V.
- Religione.
attività intellettuali e fisiche
Articolo 93.
Gli internati godranno della più ampia libertà per la pratica della loro religione, compresa l'assistenza alle funzioni di culto, a condizione che si uniformino alle norme correnti di disciplina prescritte dalle autorità detentrici.
Gli internati che sono ministri di un culto saranno autorizzati ad esercitare pienamente il loro ministero tra i loro correligionari.
A questo fine, la Potenza detentrice vigilerà che essi siano equamente ripartiti tra i vari luoghi d'internamento dove si trovano gli internati che parlano la stessa lingua e appartengono alla medesima religione.
Se essi non sono in numero sufficiente, essa concederà loro le facilitazioni necessarie, tra l'altro mezzi di trasporto per recarsi da un luogo d'internamento all'altro; essi saranno autorizzati anche a visitare gli internati che si trovano negli ospedali.
I ministri del culto fruiranno, per gli atti del loro ministero, della libertà di corrispondenza con le autorità religiose del paese di detenzione e, nella misura del possibile, con le organizzazioni religiose internazionali della loro confessione.
Questa corrispondenza non entrerà in linea di conto per il calcolo del numero di lettere e cartoline indicato nell'Articolo 107; ad essa saranno applicabili le disposizioni dell'Articolo 112.
Se degli internati non dispongono dell'assistenza di ministri del loro culto o se questi ultimi sono in numero insufficiente, l'autorità religiosa locale della stessa confessione potrà designare, d'intesa con la Potenza detentrice, un ministro dello stesso culto di quello degli internati, oppure, qualora cià sia possibile dal lato confessionale, un ministro di un culto affine o un laico qualificato.
Quest'ultimo fruirà dei vantaggi inerenti alla funzione assunta.
Le persone in tal modo designate dovranno uniformarsi a tutti i regolamenti stabiliti dalla Potenza detentrice, nell'interesse della disciplina e della sicurezza.
Articolo 94.
La Potenza detentrice incoraggerà le attività intellettuali educative, ricreative e sportive degli internati, pur lasciandoli liberi di parteciparvi o no.
Essa prenderà tutte le misure possibili per assicurare l'esercizio di queste attività e, in particolare, metterà a disposizione locali adatti.
Tutte le facilitazioni possibili saranno concesse agli internati per permetter loro di proseguire i loro studi o di iniziarne dei nuovi.
Si provvederà all'istruzione dei fanciulli e degli adolescenti; essi potranno frequentare delle scuole, sia nel luogo d'internamento; sia fuori dl esso.
Gli internati dovranno avere la possibilità di fare esercizi fisici e di partecipare a sport e giuochi all'aperto.
Spazi liberi sufficienti saranno riservati a tale uso in tutti i luoghi di internamento.
Spazi speciali saranno riservati ai fanciulli e agli adolescenti.
Articolo 95.
La Potenza detentrice potrà impiegare degli internati come lavoratori solo se essi lo desiderano.
In ogni caso sono vietati: l'impiego che, imposto ad una persona protetta non internata, costituirebbe una infrazione degli articoli 40 o 51 della presente Convenzione, come pure i lavori di carattere degradante o umiliante.
Dopo un periodo di lavoro di sei settimane, gli internati potranno rinunciare a lavorare in qualunque momento, con preavviso di otto giorni .
Queste disposizioni non limitano il diritto della Potenza detentrice di costringere gli internati medici, dentisti o altri membri del personale sanitario ad esercitare la loro professione in favore dei loro cointernati; di impiegare internati in lavori d'amministrazione e di manutenzione del luogo d'internamento; di incaricare queste persone di lavori di cucina o di altri lavori domestici; infine, di adibirle a lavori destinati a proteggere gli internati contro i bombardamenti aerei o altri pericoli risultanti dalla guerra.
Tuttavia, nessun internato potrà essere costretto a compiere lavori per i quali un medico dell'amministrazione l'abbia dichiarato fisicamente inabile.
La detentrice assumerà l'intera responsabilità di tutte le condizioni di lavoro, delle cure mediche, del pagamento dei salari e del risarcimento degli infortuni del lavoro e delle malattie professionali.
Le condizioni di lavoro, come pure il risarcimento degli infortuni del lavoro e delle malattie professionali, saranno conformi alla legislazione nazionale e all'uso; in nessun caso saranno inferiori a quelle applicate per un lavoro della stessa natura nella medesima regione.
I salari saranno fissati in modo equo mediante accordo tra la Potenza detentrice, gli internati e, ove occorra, i datori di lavoro che non siano la Potenza detentrice, tenendo conto dell'obblogo della Potenza detentrice di provvedere gratuitamente al sostentamento dell'internato e di accordargli le cure mediche richieste dal suo stato di salute.
Gli internati adibiti in modo permanente ai lavori indicati nel terzo capoverso riceveranno dalla Potenza detentrice un equo salario; le condizioni di lavoro e le indennità versate a titolo di risarcimento degli infortuni del lavoro e delle malattie professionali non saranno inferiori a quelle applicate per un lavoro della stessa natura nella medesima regione.
Articolo 96.
Ogni distaccamento di lavoro dipenderà da un luogo di internamento.
Le autorità competenti della Potenza detentrice e il comandante di questo luogo d'internamento saranno responsabili dell'osservanza, nei distaccamenti di lavoro, delle disposizioni della presente Convenzione.
Il comandante terrà un elenco aggiornato dei distaccamenti di lavoro che gli sono sottoposti e lo comunicherà ai delegati della Potenza protettrice del Comitato internazionale della Croce Rossa o delle altre organizzazioni umanitarie che visitassero i luoghi di internamento.
CAPITOLO VI.
- Proprietà personali e risorse pecuniarie
Articolo 97.
Gli internati saranno autorizzati a conservare i loro oggetti ed effetti d'uso personale.
Le somme in denaro contante, gli assegni, i titoli, ecc.
, come pure gli oggetti di valore di cui sono portatori, non potranno esser loro tolti se non secondo le procedure stabilite.
Sarà loro rilasciata una ricevuta particolareggiata.
Le somme dovranno essere iscritte a credito del conto di ogni singolo internato, come previsto dall'Articolo 98; esse non potranno essere convertite in un'altra valuta, a meno che lo esiga la legislazione del territorio nel quale il proprietario è internato, o che l'internato vi consenta.
Non potranno esser tolti agli internati gli oggetti aventi prevalentemente valore personale o sentimentale.
La visita personale di donne internate potrà essere eseguita soltanto da donne.
Al momento della loro liberazione o del loro rimpatrio, gli internati riceveranno in contanti il saldo creditore del conto tenuto in conformità dell'Articolo 98, come pure tutti gli oggetti, somme, assegni, titoli, ecc.
, che fossero loro stati tolti durante l'internamento, eccettuati oggetti o valori che la Potenza detentrice dovesse trattenere in virtù della sua legislazione in vigore.
Qualora un bene appartenente ad un internato fosse trattenuto in virtù di questa legislazione, l'internato riceverà un certificato particolareggiato.
I documenti di famiglia e d'identità in possesso degli internati potranno esser loro tolti solo verso ricevuta.
Gli internati non dovranno mai rimanere senza documenti d'identità.
Se non ne possiedono, riceveranno documenti speciali rilasciati dalle autorità detentrici e che serviranno loro di documenti d'identità sino alla fine dell'internamento.
Gli internati potranno conservare presso di sé una determinata somma in contanti o in forma di buoni, per poter fare acquisti.
Articolo 98.
Tutti gli internati riceveranno regolarmente degli assegni per poter acquistare derrate e oggetti come tabacco, articoli di toletta, ecc.
Questi assegni potranno assumere la forma di crediti o di buoni d'acquisto.
Inoltre, gli internati potranno ricevere sussidi dalla Potenza di cui sono attinenti, dalle Potenze protettrici, da qualunque ente che potesse soccorrerli, o dalle loro famiglie, come i redditi dei loro beni, conformemente alla legislazione della Potenza detentrice.
Gli importi dei sussidi concessi dalla Potenza d'origine, saranno uguali per ogni categoria d'internati (infermi, malati, donne incinte, ecc.
) e non potranno essere fissati da questa Potenza nè essere distribuiti dalla Potenza detentrice in base a discriminazioni vietate dall'Articolo 27 della presente Convenzione.
La Potenza detentrice terrà, per ogni internato, un conto regolare a credito del quale saranno iscritti gli assegni menzionati nel presente articolo, i salari guadagnati dall'internato, nonché gli invii di denaro che gli fossero fatti.
Saranno parimenti iscritti a credito di questo conto le somme che gli sono state tolte e che potessero essere disponibili in virtù della legislazione vigente nel territorio in cui si trova l'internato.
Gli sarà concessa ogni facilitazione compatibile con la legislazione vigente nel territorio interessato per inviare sussidi alla sua famiglia e alle persone che dipendono economicamente da lui.
L'internato potrà prelevare da questo conto nei limiti stabiliti dalla Potenza detentrice, le somme necessarie per le sue spese personali.
Gli saranno concesse in ogni tempo facilitazioni ragionevoli per esaminare il suo conto o procurarsene degli estratti.
Questo conto sarà comunicato, a richiesta, alla Potenza protettrice e seguirà l'internato che fosse trasferito.
CAPITOLO VII.
- Amministrazione e disciplina Articolo 99.
Ogni luogo d'internamento sarà sottoposto all'autorità di un ufficiale o funzionario responsabile, scelto nelle forze militari regolari o nei ruoli dell'amministrazione civile regolare della Potenza detentrice.
L'ufficiale o il funzionario comandante del luogo d'internamento possiederà, nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali del suo Paese, il testo della presente Convenzione e risponderà dell'applicazione della stessa.
Il personale di sorveglianza sarà istruito sulle disposizioni della presente Convenzione e dei regolamenti concernenti la sua applicazione.
Il testo della presente Convenzione e i testi degli accordi speciali conchiusi conformemente alla presente Convenzione saranno affissi nell'interno del luogo d'internamento in una lingua compresa dagli internati o saranno in possesso del comitato d'internati.
I regolamenti, ordini, avvenimenti e avvisi d'ogni genere dovranno essere comunicati agli internati ed essere affissi all'interno dei luoghi d'internamento in una lingua che essi comprendano.
Tutti gli ordini e comandi rivolti individualmente a internati dovranno parimenti essere dati in una lingua che essi comprendano.
Articolo 100.
La disciplina nei luoghi d'internamento dov'essere compatibile con i principi d'umanità e non comprenderà in nessun caso regolamenti che impongano agli internati fatiche fisiche pericolose alla loro salute o vessazioni di carattere fisico o morale.
Il tatuaggio o l'apposizione di marchi o di segni corporali d'identificazione sono vietati .
In particolare, sono proibiti le soste e gli appelli prolungati, gli esercizi fisici punitivi, l'addestramento e le esercitazioni militari e le restrizioni di vitto.
Articolo 101.
Gli internati avranno il diritto di presentare alle autorità in cui potere si trovano le loro richieste concernenti il regime al quale sono sottoposti.
Essi avranno parimenti, senza limitazione alcuna, il diritto di rivolgersi, sia per tramite del comitato d'internati, sia direttamente se lo ritenesscro necessario, ai rappresentanti della Potenza protettrice per indicar loro i punti sui quali avessero da presentare doglianze nei riguardi del regime di internamento.
Queste richieste e queste doglianze dovranno essere trasmesse d'urgenza e senza modificazioni.
Quand'anche fossero riconosciute infondate, esse non potranno dar luogo a punizione alcuna.
I comitati d'internati potranno inviare ai rappresentanti della Potenza protettrice dei rapporti periodici sulla situazione nei luoghi d'internamento e sui bisogni degli internati.
Articolo 102.
In ogni luogo d'internamento, gli internati nomineranno liberamente, ogni sei mesi, a scrutinio segreto, i membri di un comitato incaricato di rappresentarli davanti alle autorità della Potenza detentrice, alle Potenze protettrici, al Comitato internazionale della Croce Rossa e ad ogni altro ente che li soccorresse.
I membri di questo comitato saranno rieleggibili.
Gli internati eletti entreranno in funzione dopo che la loro nomina sarà stata approvata dall'autorità detentrice.
I motivi eventuali di rifiuto o di destituzione saranno comunicati alle Potenze protettrici interessate.
Articolo 103.
I comitati d'internati dovranno contribuire al benessere fisico, morale e intellettuale degli internati.
In particolare, nel caso in cui gli internati decidessero di organizzare tra loro un sistema di mutua assistenza, l'organizzazione stessa competerebbe ai comitati, indipendentemente dai compiti speciali loro affidati da altre disposizioni della presente Convenzione.
Articolo 104.
I membri dei comitati d'internati non saranno costretti ad altro lavoro, se l'adempimento delle loro funzioni dovesse esserne reso più difficile.
I membri dei comitati potranno designare fra gli internati gli ausiliari che fossero loro necessari.
Sarà loro concessa ogni facilitazione materiale e, in particolare, una certa libertà di movimento necessaria all'adempimento dei loro compiti (visite a distaccamenti di lavoro, presa in consegna di merci, ecc.
).
Ogni facilitazione sarà parimenti concessa ai membri dei comitati per la loro corrispondenza postale e telegrafica con le autorità detentrici, con le Potenze protettrici, col Comitato internazionale della Croce Rossa e i loro delegati, come pure con gli enti che soccorressero gli internati.
I membri dei comitati che si trovano in distaccamenti fruiranno delle stesse facilitazioni per la loro corrispondenza con il loro comitato del luogo principale d'internamento.
Queste corrispondenze non saranno limitate nè entreranno in linea di conto per il calcolo del numero di lettere e cartoline indicato nell' Articolo 107.
Nessun membro del comitato potrà essere trasferito senza che gli sia stato lasciato il tempo ragionevolmente necessario per mettere il suo successore al corrente degli affari pendenti.
CAPITOLO VIII.
- Relazioni con l' estero Articolo 105.
Non appena avranno internato delle persone protette, le Potenze detentrici comunicheranno loro, come pure alla Potenza di cui sono cittadini e alla loro Potenza protettrice, le misure previste per l'attuazione delle disposizioni del presente capitolo; esse notificheranno parimenti ogni modificazione apportata a dette misure.
Articolo 106.
Ogni internato sarà messo in condizione, dal momento del suo internamento o, al più tardi, una settimana dopo il suo arrivo in un luogo d'internamento, come pure in caso di malattia o di trasferimento in un altro luogo d'internamento, di inviare direttamente alla sua famiglia, da un lato, e all'Agenzia centrale prevista dall'Articolo 140, dall'altro, una cartolina d'internamento, possibilmente conforme al modulo allegato alla presente Convenzione, che le informi del suo internamento, del suo indirizzo e dello stato della sua salute.
Dette cartoline saranno trasmesse con la maggiore rapidità possibile e non potranno essere ritardate in nessun modo.
Articolo 107.
Gli internati saranno autorizzati a spedire e a ricevere lettere e cartoline.
Se la Potenza detentrice reputa necessario limitare il numero delle lettere e delle cartoline spedite da ogni internato, questo numero non potrà essere inferiore a due lettere e quattro cartoline al mese, conformi per quanto possibile ai moduli allegati alla presente Convenzione.
Qualora dovessero essere apportate limitazioni ala corrispondenza indirizzata agli internati, queste limitazioni potranno essere prescritte soltanto dalla loro Potenza d'origine, eventualmente a richiesta della Potenza detentrice.
Queste lettere e cartoline dovranno essere trasmesse entro un termine ragionevole e non potranno essere ritardate o trattenute per motivi disciplinari.
Gli internati che sono da lungo tempo senza notizie della loro famiglia o che si trovano nell'impossibilità di riceverne o di darne per via ordinaria, come pure quelli che sono separati dai loro congiunti da distanze ragguardevoli, saranno autorizzati a spedire dei telegrammi, verso pagamento delle tasse telegrafiche, nella valuta di cui dispongono.
Essi fruiranno parimenti di questa possibilità in caso di riconosciuta urgenza.
Di regola, la corrispondenza degli internati sarà redatta nella loro lingua materna.
Le Parti in conflitto potranno autorizzare la corrispondenza in altre lingue.
Articolo 108.
Gli internati saranno autorizzati a ricevere, per posta o mediante qualsiasi altro mezzo, invii individuali o collettivi contenenti specialmente derrate alimentari, capi di vestiario, medicinali, come pure libri e oggetti destinati a soddisfare i loro bisogni in materia di religione, di studio o di svago.
Tali invii non potranno, in nessun modo, esonerare la Potenza detentrice dagli obblighi che le incombono in virtù della presente Convenzione.
Nel caso in cui divenisse necessario, per motivi di carattere militare, di limitare la quantità di detti invii, la Potenza protettrice, il Comitato internazionale della Croce Rossa o qualunque altro ente di soccorso degli internati, che fossero incaricati di trasmettere detti invii, dovranno esserne debitamente avvertiti.
Le modalità relative alla spedizione degli invii individuali o collettivi saranno regolate, ove occorra, mediante accordi speciali tra le Potenze interessate, che non potranno in nessun caso ritardare il ricevimento degli invii di soccorso da parte degli internati.
Gli invii di viveri o capi di vestiario non dovranno contenere libri; i soccorsi sanitari saranno, di regola, mandati in invii collettivi.
Articolo 109.
In mancanza di accordi speciali tra le Parti in conflitto sulle modalità relative al ricevimento, come pure alla distribuzione degli invii di soccorso collettivi, sarà applicato il regolamento concernente i soccorsi collettivi allegato alla presente Convenzione.
I suddetti accordi speciali non potranno in nessun caso limitare il diritto dei comitati d'internati di prendere in consegna gli invii di soccorsi collettivi destinati agli internati, di procedere alla loro distribuzione e di disporne nell'interesse dei destinatari.
Ne' essi potranno limitare il diritto dei rappresentanti della Potenza protettrice, del Comitato internazionale della Croce Rossa o di ogni altro ente di soccorso degli internati che fosse incaricato di trasmettere detti invii collettivi, di controllarne la distribuzione ai loro destinatari.
Articolo 110.
Tutti gli invii di soccorso destinati agli internati godranno franchigia da qualunque dazio d'importazione, tassa di dogana o altra.
Tutti gli invii, compresi i colli postali di soccorso, come pure gli invii di denaro, provenienti da altri paesi, destinati agli internati o da essi spediti per posta sia direttamente, sia per tramite degli uffici d'informazioni previsti dall'Articolo 140, saranno franchi di qualunque tassa postale, tanto nei paesi di origine e di destinazione quanto nei paesi intermediari.
In particolar modo, le franchigie di porto previste dalla Convenzione postale universale del 1947 e dagli accordi dell'Unione postale universale in favore dei civili di nazionalità nemica trattenuti nei campi o nelle prigioni civili.
saranno estese, a questo fine, alle altre persone protette internate sotto il regime della presente Convenzione.
I paesi che non partecipano a questi accordi saranno tenuti a concedere, nelle stesse circostanze, le franchigie previste .
Le spese di trasporto degli invii di soccorso destinati agli internati, che per il loro peso o per qualunque altro motivo, non possono esser loro trasmessi per posta, saranno assunte dalla Potenza detentrice in tutti i territori sottoposti al suo controllo.
Le altre potenze partecipanti alla Convenzione assumeranno le spese di trasporto nei loro territori rispettivi.
Le spese risultanti dal trasporto di questi invii, che non fossero coperte in conformità dei capoversi precedenti, saranno a carico dello speditore.
Le Alte Parti contraenti si sforzeranno di ridurre per quanto possibile le tasse telegrafiche per i telegrammi spediti dagli internati o loro destinati.
Articolo 111.
Qualora le operazioni militari impedissero alle Potenze interessate di adempiere l'obbligo che loro incombe di provvedere al trasporto degli invii previsti dagli articoli 106, 107, 108 e 113, le Potenze protettrici interessate, il Comitato internazionale della Croce Rossa od Ogni altro ente che abbia il gradimento delle Parti in conflitto, potranno assumere l'iniziativa di provvedere al trasporto di detti invii con mezzi adeguati (carri ferroviari, autocarri, battelli o aeroplani,ecc.
).
A questo fine, le Alte Parti contraenti si sforzeranno di procurar loro tali mezzi di trasporto e di autorizzarne la circolazione, specie rilasciando i necessari salvacondotti.
Questi mezzi di trasporto potranno parimenti essere utilizzati per trasmettere: a) la corrispondenza, gli elenchi e i rapporti scambiati tra l'Agenzia centrale d'informazioni prevista dall'Articolo 140 e gli Uffici nazionali previsti dall'Articolo 136; b) la corrispondenza e i rapporti concernenti gli internati che le Potenze protettrici, il Comitato internazionale della Croce Rossa o ogni altro ente di soccorso degli internati scambiano sia con i loro propri delegati, sia con le Parti in conflitto.
Le presenti disposizioni non limitano in nessun caso il diritto di ogni Parte in conflitto di organizzare, ove preferisca, altri trasporti e di rilasciare salvacondotti alle condizioni che potessero essere convenute.
Le spese cagionate dall'impiego di tali mezzi di trasporto saranno assunte, proporzionalmente all'importanza degli invii, dalle Parti in conflitto i cui cittadini fruiscono di detti servizi.
Articolo 112.
La censura della corrispondenza destinata agli internati o da essi spedita dovrà esser fatta entro il più breve tempo possibile.
Il controllo degli invii destinati agli internati dovrà effettuarsi in condizioni tali da non compromettere la conservazione delle derrate ch'essi contengono e sarà fatto in presenza del destinatario o di un camerata da lui incaricato.
La consegna degli invii individuali o collettivi agli internati non potrà essere ritardata sotto il pretesto di difficoltà della censura.
Qualsiasi divieto di corrispondenza emanato dalle Parti in conflitto, per motivi militari o politici, non potrà avere che carattere temporaneo e dovrà essere della più breve durata possibile.
Articolo 113.
Le Potenze detentrici concederanno tutte le agevolazioni ragionevoli per la trasmissione, per tramite della Potenza protettrice o dell'Agenzia centrale prevista dall'Articolo 140 o con altri mezzi richiesti, di testamenti, di procure o di qualsiasi altro documento destinati agli internati o che provengono da essi.
Le Potenze detentrici faciliteranno, in ogni caso, agli internati la stesura e la legalizzazione in buona e dovuta forma di questi documenti; in particolare, esse li autorizzeranno a consultare un legale.
Articolo 114.
La Potenza detentrice accorderà agli internati tutte le agevolazioni compatibili con il regime dell'internamento e con la legislazione in vigore perché possano amministrare i loro beni.
Essa potrà, a questo fine, autorizzarli ad uscire dal luogo d'internamento, nei casi urgenti e se le circostanze lo permettono.
Articolo 115.
In tutti i casi in cui un internato sia parte in un processo davanti un tribunale qualsiasi, la Potenza detentrice dovrà, a richiesta dell'interessato, informare della sua detenzione il tribunale e dovrà, nei limiti legali, vigilare che siano prese tutte le misure necessarie affinché egli non subisca, a causa del suo internamento, pregiudizio alcuno per quanto concerne la preparazione e l'andamento del suo processo o l'esecuzione di qualsiasi sentenza pronunciata dal tribunale.
Articolo 116.
Ogni internato sarà autorizzato a ricevere, ad intervalli regolari e il più frequentemente possibile, delle visite e principalmente quelle dei suoi congiunti.
In caso d'urgenza e nella misura del possibile, specie in caso di morte e di grave malattia di un congiunto, l'interessato sarà autorizzato a visitare la sua famiglia.
CAPITOLO IX.
- Sanzioni penali e disciplinari Articolo 117 Con riserva delle disposizioni del presente capitolo, la legislazione in vigore sul territorio in cui si trovano continuerà ad essere applicabile agli internati che commettano infrazioni durante l'internamento.
Se le leggi, i regolamenti o gli ordini generali dichiarano punibili degli atti commessi dagli internati, mentre questi stessi atti non lo sono se commessi da persone che non siano internate, questi atti potranno implicare soltanto sanzioni disciplinari.
Un internato non potrà, per lo stesso fatto o lo stesso capo d'accusa, essere punito che una sola volta.
Articolo 118.
Nel determinare la pena, i tribunali o le autorità terranno conto, nella più ampia misura possibile, del fatto che l'imputato non è cittadino della Potenza detentrice.
Essi saranno liberi di mitigare la pena prevista per l'infrazione imputata all'internato e non saranno, pertanto, tenuti ad applicare il minimo di questa pena.
Sono vietate le detenzioni in locali privi di luce naturale e, in via generale, qualsiasi forma di crudeltà.
Gli internati puniti non potranno, dopo aver subito le pene disciplinari o giudiziarie loro inflitte, essere trattati in modo diverso dagli altri internati.
La durata della detenzione preventiva subita da un internato sarà dedotta da qualsiasi pena privativa della libertà personale che gli sia stata inflitta disciplinarmente o giudiziariamente.
I comitati d'internati saranno informati di tutte le procedure giudiziarie aperte contro internati di cui siano i mandatati, come pure dei risultati di dette procedure.
Articolo 119.
Le pene disciplinari applicabili agli internati saranno: 1) la multa fino al 50 per cento del salario previsto dall'Articolo 95, e cià durante un periodo che non superi i trenta giorni; 2)la soppressione di vantaggi concessi in più del trattamento previsto dalla presente Convenzione; 3)i lavori comandati che non eccedano due ore il giorno e eseguiti per la manutenzione del luogo d'internamento; 4)l'arresto.
In nessun caso le pene disciplinari saranno inumane, brutali o pericolose alla salute degli internati.
Esse dovranno tener conto della loro età, del loro sesso e del loro stato di salute.
La durata di una stessa punizione non supererà mai il massimo di trenta giorni consecutivi, neppure qualora al momento in cui lo si giudica, l'internato avesse a rispondere in via disciplinare di parecchi fatti, siano essi connessi fra loro o no.
Articolo 120.
Gli internati evasi o che tentino di evadere, che fossero ripresi, saranno passibili, per questo fatto, anche in caso di recidiva, soltanto di pene disciplinari.
In deroga all'art 118, terzo comma, gli internati puniti in seguito a evasione o ad un tentativo di evasione potranno essere sottoposti ad un regime di speciale sorveglianza, a condizione perà che questo regime non pregiudichi il loro stato di salute, sia subito in un luogo d'internamento e non implichi la soppressione di alcuna delle garanzie loro concesse dalla presente Convenzione.
Gli internati che avessero cooperato a un'evasione o ad un tentativo di evasione non saranno passibili per questo fatto che di una pena disciplinare.
Articolo 121.
L'evasione o il tentativo di evasione, anche in caso di recidiva, non saranno considerati come circostanza aggravante nel caso in cui l'internato fosse deferito ai tribunali per infrazioni commesse durante l'evasione.
Le Parti in conflitto vigileranno che le autorità competenti usino indulgenza nell'apprezzare se un'infrazione commessa da un internato debba essere punita in via disciplinare, oppure in via giudiziaria, particolarmente quando si tratterà di apprezzare fatti connessi coll'evasione o col tentativo di evadere.
Articolo 122.
I fatti che costituiscono una mancanza contro la disciplina formeranno oggetto di un'inchiesta immediata.
Questa norma vale, in particolare, per l'evasione o il tentativo di evadere, e l'internato ripreso sara consegnato il più presto possibile alle autorità competenti.
Per tutti gli internati, la detenzione preventiva in caso di colpe disciplinari sarà ridotta al minimo possibile e non supererà quattordici giorni; in ogni caso, la sua durata sarà dedotta dalla pena privativa della libertà personale che fosse inflitta.
Le disposizioni degli articoli 124 e 125 si applicheranno agli internati in detenzione preventiva per colpe disciplinari.
Articolo 123.
Riservata la competenza dei tribunali e delle autorità superiori, le pene disciplinari potranno essere pronunciate soltanto dal comandante del luogo d'internamento o da un ufficiale o un funzionario responsabile al quale abbia delegato il suo potere disciplinare.
Prima che sia pronunciata una pena disciplinare, l'internato imputato sarà esattamente informato dei fatti di cui è accusato.
Egli sarà autorizzato a giustificare la sua condotta, a difendersi, a far udire testimoni e a ricorrere, se necessario, alle prestazioni di un interprete qualificato.
La decisione sarà pronunciata in presenza dell' imputato e di un membro del comitato d'internati.
Tra la decisione disciplinare e la sua esecuzione non dovrà trascorrere pi- di un mese.
Qualora un internato fosse colpito da una nuova pena disciplinare, un termine di almeno tre giorni separerà l'esecuzione di ciascuna pena, se la durata di una di esse è di dieci o pi- giorni.
Il comandante del luogo d'internamento dovrà tenere un registro delle pene disciplinari pronunciate, che sarà messo a disposizione dei rappresentanti della potenza protettrice.
Articolo 124.
In nessun caso gli internati potranno essere trasferiti in stabilimenti penitenziari (prigioni,penitenziari, bagni, ecc.
) per scontarvi pene disciplinari.
I locali nei quali saranno scontate le pene disciplinari dovranno essere conformi alle esigenze dell'igiene e, in particolare, dovranno essere provvisti di materiale da letto sufficiente; gli internati puniti saranno messi in grado di provvedere alla propria pulizia.
Le donne internate, che scontano una pena disciplinare, saranno detenute in locali separati da quelli degli uomini e saranno sottoposte alla sorveglianza immediata di donne.
Articolo 125.
Gli internati puniti disciplinarmente avranno la facoltà di fare ogni giorno del moto e di restare all' aria aperta almeno per due ore.
Essi saranno autorizzati, a loro richiesta, a presentarsi alla visita medica quotidiana; essi riceveranno le cure richieste dallo stato della loro salute e, ove occorra, saranno ricoverati nell'infermeria del luogo d'internamento o in un ospedale.
Essi saranno autorizzati a leggere ed a scrivere, nonchè a spedire ed a ricevere lettere.
Per contro, i colli e gli invii di denaro potranno esser loro consegnati soltanto a pena espiata; nell'attesa, saranno affidati al comitato d'internati che consegnerà all'infermeria le derrate reperibili contenute in detti colli.
Nessun internato punito disciplinarmente potrà essere privato del beneficio delle disposizioni degli articoli 107 e 143.
Articolo 126.
Gli articoli dal 71 al 76 incluso saranno applicati per analogia ai procedimenti aperti nei confronti degli internati che si trovano sul territorio nazionale della Potenza detentrice.
CAPITOLO X-Trasferimenti degli internati Articolo 127.
Il trasferimento degli internati si farà sempre con umanità.
Vi si procederà, di regola, per ferrovia o con altri mezzi di trasporto e in condizioni almeno pari a quelle di cui fruiscono le truppe della Potenza detentrice per i loro spostamenti.
Qualora i trasferimenti dovessero, in via eccezionale, effettuarsi a piedi, essi potranno aver luogo soltanto se le condizioni fisiche degli internati lo permettono e non dovranno in nessun caso imporre loro fatiche eccessive.
La Potenza detentrice fornirà agli internati, durante il trasferimento, acqua potabile e viveri in quantità, qualità e varietà sufficienti per mantenerli in buona salute, nonchè il vestiario, i rifugi adeguati e le cure mediche necessarie.
Essa prenderà tutte le precauzioni utili per garantire la loro sicurezza durante il trasferimento e allestirà, prima della loro partenza, l' elenco completo degli internati trasferiti.
Gli internati malati, feriti o infermi, come pure le puerpere, non saranno trasferiti fintanto che la loro salute pu¥ essere compromessa dal viaggio, a meno che la loro sicurezza non lo esiga imperiosamente.
Se il fronte si avvicina ad un luogo d' internamento, gli internati che vi si trovano saranno trasferiti soltanto se il loro trasferimento pu¥ compiersi in condizioni sufficienti di sicurezza o se corrono maggiori rischi rimanendo sul posto che ad essere trasferiti.
La Potenza detentrice, decidendo il trasferimento degli internati, dovrà tener conto dei loro interessi, specialmente per non accrescere le difficoltà del rimpatrio o del ritorno al loro luogo di domicilio.
Articolo 128.
In caso di trasferimento, gli internati saranno preavvertiti ufficialmente della loro partenza e del loro nuovo indirizzo postale, quest'avviso sarà comunicato loro in tempo utile perchè possano preparare i loro bagagli e avvertire la loro famiglia.
Essi saranno autorizzati a portare con sè i loro effetti personali, la loro corrispondenza ed i colli giunti al loro indirizzo; il peso di questi bagagli potrà essere ridotto se le circostanze del trasferimento lo esigono, ma in nessun caso a meno di venticinque chilogrammi per internato.
La corrispondenza ed i colli mandati al luogo d'internamento precedente saranno loro recapitati immediatamente.
Il comandante del luogo d'internamento prenderà, d'intesa cin il comitato d'internati, i provvedimenti necessari per assicurare il trasferimento dei beni collettivi degli internati e dei bagagli che gli internati non potessero portare con sè in seguito ad una limitazione decisa in virt- del secondo comma del presente articolo.
CAPITOLO XI.
- Decessi
Articolo 129.
Gli internati potranno consegnare i loro testamenti alle autorità responsabili che ne garantiranno la custodia.
In caso di morte degli internati, questi testamenti saranno trasmessi con sollecitudine alle persone indicate dagli internati.
La morte di ogni internato sarà certificata da un medico e sarà steso un certificato attestante le cause del decesso e le condizioni in cui è avvenuto.
Un atto ufficiale di morte, debitamente registrato, sarà steso in conformità delle prescrizioni vigenti sul territorio in cui è situato il luogo d'internamento; una copia, certificata conforme, sarà rapidamente trasmessa alla Potenza protettrice, come pure all'Agenzia centrale prevista dall'Articolo 140.
Articolo 130.
Le autorità detentrici vigileranno che gli internati morti in cattività siano onorevolmente inumati, possibilmente secondo i riti della religione cui appartenevano, e che le loro tombe siano rispettate, tenute convenientemente e segnate in modo da poter sempre essere ritrovate.
Gli internati deceduti saranno inumati individualmente, salvo il caso di forza maggiore che imponesse una tomba collettiva.
Le salme potranno essere cremate soltanto se imperiose ragioni igieniche o la religione del morto lo esigano, oppure se egli ne aveva espresso il desiderio.
In caso di cremazione, ne sarà fatta menzione, con indicazione dei motivi, nell'atto di morte degli internati.
Le ceneri saranno conservate con cura dalle autorità detentrici e saranno consegnate il pi- presto possibile ai congiunti prossimi, che ne facciano richiesta.
Non appena le circostanze lo permettano e al pi- tardi alla fine delle ostilità, la Potenza detentrice trasmetterà per il tramite degli uffici d'informazione previsti dall'Articolo 136, alle Potenze alle quali appartenevano gli internati deceduti, gli elenchi delle tombe degli internati morti.
Questi elenchi conterranno tutti i particolari necessari per l'identificazione degli internati morti e la localizzazione esatta delle tombe.
Articolo 131.
Ogni decesso o ferimento grave di un internato cagionati o che possono essere stati cagionati da una sentinella, da un altro internato o da qualsiasi altra persona, come pure tutti i casi di morte di cui si ignori la causa, formeranno immediatamente oggetto di un'inchiesta ufficiale della Potenza detentrice.
Una comunicazione in merito sarà immediatamente fatta alla Potenza protettrice.
Le deposizioni di qualsiasi testimonio saranno raccolte; un rapporto che le contenga sarà steso e comunicato a detta Potenza.
Se l'inchiesta accerta la colpevolezza di una o più persone, la Potenza detentrice prenderà tutte le misure per il perseguimento giudiziario del o dei responsabili.
CAPITOLO XII.
- Liberazione, rimpatrio e ospedalizzazione in paese neutrale
Articolo 132.
Ogni persona internata sarà liberata dalla Potenza detentrice quando non esisteranno più le cause che ne hanno motivato i'internamento.
Le Parti in conflitto si sforzeranno inoltre di conchiudere, durante le ostilità, degli accordi per la liberazione, il rimpatrio, il ritorno al luogo di domicilio e l'ospedalizzazione in paese neutrale di talune categorie d'internati, e specialmente dei fanciulli, delle donne incinte e delle madri con bambini lattanti e in tenera età, dei feriti e malati o degli internati che hanno subito una lunga cattività.
Articolo 133.
L'internamento cesserà al più presto possibile dopo la fine delle ostilità.
Tuttavia, gli internati sul territorio di una Parte in conflitto, che si trovassero sotto procedimento penale per infrazioni che non siano esclusivamente passibili di pena disciplinare, potranno essere trattenuti sino alla fine del processo, e quando ne sia il caso, sino ad espiazione della pena.
Altrettanto sarà di coloro che sono stati condannati precedentemente ad una pena privativa della libertà personale.
Dopo la fine delle ostilità o dell'occupazione del territorio dovranno essere istituite, mediante accordo con la Potenza detentrice e le Potenze interessate, delle Commissioni incaricate di rintracciare gli internati dispersi.
Articolo 134.
Le Alti Parti contraenti si sforzeranno, alla fine delle ostilità o dell'occupazione, di assicurare il ritorno di tutti gli internati al loro ultimo domicilio, o di facilitarne il rimpatrio.
Articolo 135.
La Potenza detentrice assumerà le spese di ritorno degli internati liberati ai luoghi dove dimoravano al momento del loro internamento o, se li aveva arrestati durante il loro viaggio o in alto mare, le spese necessarie per permettere loro di condurre a termine il loro viaggio o di ritornare al loro punto di partenza.
Se la Potenza detentrice rifiuta il permesso di dimorare sul suo territorio ad un internato liberato, che vi aveva precedentemente il suo domicilio regolare, essa pagherà le spese del suo rimpatrio.
Se l'internato preferisce perà ritornare nel suo paese sotto la sua propria responsabilità, o per obbedire al governo al quale deve sottostare, la Potenza protettrice non è tenuta a pagare le spese fuori del suo territorio.
La Potenza detentrice non sarà tenuta a pagare le spese di rimpatrio di un internato che fosse stato internato a sua propria richiesta.
Se gli internati sono trasferiti in conformità dell'Articolo 45, la Potenza che li trasferisce e quella che li accoglie si metteranno d'accordo sulla quota delle spese che dovrà essere assunta da ciascuna di esse.
Le disposizioni suddette non dovranno pregiudicare gli accordi speciali che potessero essere conchiusi tra le parti in conflitto a proposito dello scambio e del rimpatrio dei loro cittadini in mano nemica.
SEZIONE V.
- UFFICI E AGENZIA CENTRALE DI INFORMAZIONI
Articolo 136.
Fin dall'inizio di un conflitto, come in tutti i casi di occupazione, ogni Parte in conflitto istituirà un Ufficio ufficiale d'informazioni incaricato di ricevere e di trasmettere informazioni sulle persone protette che si trovano in suo potere.
Entro il più breve termine possibile, ogni Parte in conflitto trasmetterà a detto Ufficio informazioni sui provvedimenti da essa presi nei confronti di ogni persona arrestata da più di due settimane, messa in residenza forzata o internata.
Essa incaricherà inoltre i suoi vari servizi interessati di fornire con sollecitudine all'Ufficio sopra menzionato le indicazioni concernenti i mutamenti avvenuti nella situazione di queste persone protette, come trasferimenti, liberazioni, rimpatri, evasioni, ospedalizzazione, nascite e decessi.
Articolo 137.
L'Ufficio nazionale d'informazioni farà giungere d'urgenza, servendosi dei mezzi più rapidi, e per tramite delle Potenze detentrici da un lato, e dell'Agenzia centrale contemplata dall'Articolo 140, dall'altro, le informazioni concernenti le persone protette alla Potenza di cui dette persone sono attinenti o alla Potenza sul cui territorio esse erano domiciliate.
Gli Uffici risponderanno parimenti a tutte le domande loro rivolte circa le persone predette.
Gli Uffici di informazioni trasmetteranno le informazioni relative ad una persona protetta, salvo nei casi in cui la loro trasmissione potesse nuocere alla persona interessata o alla sua famiglia.
Ma, anche in tal caso, le informazioni non potranno essere rifiutate all'Agenzia centrale che, avvertita delle circostanze, prenderà le precauzioni necessarie indicate nell'articolo 140.
Tutte le comunicazioni scritte fatte da un Ufficio saranno autenticate con una firma o con un sigillo.
Articolo 138.
Le informazioni ricevute dall'Ufficio nazionale d'informazioni e da esso ritrasmesse saranno tali da permettere di identificare esattamente la persona protetta e di avvertirne rapidamente la famiglia.
Esse comprenderanno per ogni persona almeno il cognome, i nomi, il luogo e la data completa della nascita, la nazionalità, l'ultima residenza, i segni particolari, il nome del padre e il cognome della madre, la data e il genere della misura presa nei confronti della persona, come pure il luogo dove è stata arrestata, l'indirizzo al quale puà essere mandata la corrispondenza, nonché il cognome e indirizzo della persona che dev'essere informata.
Del pari, informazioni sullo stato di salute degli internati malati o feriti gravemente saranno trasmesse regolarmente e, per quanto possibile, ogni settimana.
Articolo 139.
L'Ufficio nazionale d'informazioni sarà inoltre incaricato di rac- cogliere tutti gli oggetti personali di valore lasciati dalle persone protette indicate nell'Articolo 136, specie al momento del loro rimpatrio, evasione o morte, e di trasmetterli agli interessati, sia direttamente, sia, ove occorra, per il tramite dell'Agenzia centrale.
Questi oggetti saranno spediti dall'Ufficio in pacchi sigillati; a questi pacchi saranno allegate delle dichiarazioni che stabiliscono con precisione l'identità delle persone cui appartenevano gli oggetti, nonché un inventario completo del pacco.
Il ricevimento e l'invio di tutti gli oggetti di valore di tal genere saranno iscritti particolareggiatamente nei registri.
Articolo 140.
Sarà istituita, in Paese neutrale, un'Agenzia centrale di informa zioni sulle persone protette, specie sugli internati.
Il Comitato internazionale della Croce Rossa proporrà alle Potenze interessate, quando lo giudichi necessario, l'organizzazione di tale Agenzia, che potrà essere quella prevista dall'Articolo 123 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra.
Quest'Agenzia sarà incaricata di concentrare tutte le informazioni del carattere previsto dall'Articolo 136, che essa potrà avere in via ufficiale o privata; essa le trasmetterà il più rapidamente possibile al Paese d'origine o di residenza delle persone interessate, salvo nei casi in cui questa trasmissione potesse nuocere alle persone cui le informazioni si riferiscono, o alla loro famiglia.
Essa riceverà, da parte delle Potenze in conflitto, tutte le facilitazioni ragionevoli per procedere a dette trasmissioni.
Le Alte Parti contraenti e in particolare quelle i cui cittadini fruiscono dei servizi dell'Agenzia centrale sono invitate a fornire alla stessa l'appoggio finanziario che le occorresse.
Le disposizioni che precedono non devono essere mai interpretate come tali da limitare l'attività umanitaria del Comitato internazionale della Croce Rossa e delle Società di soccorso indicate nell'Articolo 142.
Articolo 141.
Gli uffici nazionali d'informazioni e l'Agenzia centrale di informazioni beneficeranno della franchigia di porto in ogni materia postale, come pure di tutte le esenzioni contemplate dall'Articolo 110, e, in tutta la misura del possibile, della franchigia telegrafica o, almeno, di importanti riduzioni di tasse.
TITOLO IV
Esecuzione della Convenzione
SEZIONE I.
- DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 142.
Con riserva dei provvedimenti che ritenessero indispensabili per garantire la loro sicurezza o per far fronte a qualsiasi altra necessità ragionevole, le Potenze detentrici faranno la migliore accoglienza alle organizzazioni religiose, alle società di soccorso o a qualsiasi altro ente che soccorresse le persone protette.
Esse concederanno loro, come pure ai loro delegati debitamente accreditati, tutte le agevolazioni necessarie per visitare le persone protette, per distribuir loro soccorsi, materiale d'ogni provenienza destinato a scopi educativi, ricreativi o religiosi, o per aiutarle ad organizzare i loro svaghi entro i luoghi d'internamento.
Le società o gli enti sopra indicati potranno essere costituiti sia sul territorio della Potenza detentrice, sia in un altro Paese, oppure potranno avere carattere internazionale.
La Potenza detentrice potrà limitare il numero delle società e degli enti i cui delegati saranno autorizzati a svolgere la loro attività sul suo territorio e sotto il suo controllo, a condizione per¥ che tale limitazione non impedisca di soccorrere con un aiuto efficace e sufficiente tutte le persone protette.
La situazione particolare del Comitato internazionale della Croce Rossa in questo campo sarà in ogni tempo riconosciuta e rispettata.
Articolo 143.
I rappresentanti o i delegati delle Potenze protettrici saranno autorizzati a recarsi in tutti i luoghi dove si trovano persone protette, specialmente nei luoghi d'internamento, di detenzione e di lavoro.
Essi avranno accesso a tutti i locali utilizzati dalle persone protette e potranno intrattenersi con queste senza testimoni, ove occorra per il tramite di un interprete.
Tali visite potranno essere proibite soltanto per impellenti necessità militari ed unicamente in via eccezionale e temporanea.
La loro frequenza e durata non potranno essere limitate.
Ai rappresentanti e ai delegati delle Potenze protettrici sarà lasciata piena libertà nella scelta dei luoghi che desiderano visitare.
La Potenza detentrice e occupante, la Potenza protettrice e, se se è il caso, la Potenza d'origine delle persone da visitare, potranno mettersi d'accordo perchè compatrioti degli internati siano ammessi a partecipare alle visite.
I delegati del Comitato internazionale della Croce Rossa fruiranno delle stesse prerogative.
La designazione di questi delegati sarà sottoposta al gradimento della Potenza alle cui autorità sono soggetti i territori dove essi devono spiegare la loro attività.
Articolo 144.
Le Alte Parti contraenti s'impegnano a diffondere, nel pi- largo modo possibile, in tempo di pace e in tempo di guerra, il testo della presente Convenzione nei loro rispettivi Paesi e, in particolare, a includerne lo studio nei programmi d'istruzione militare e, se possibile, civile, di guisa che i principi siano conosciuti da tutta la popolazione.
Le autorità civili, militari, di polizia o altre che, in tempo di guerra, assumessero delle responsabilità nei confronti delle persone protette, dovranno possedere il testo della Convenzione ed essere specialmente istruite sulle sue disposizioni.
Articolo 145.
Le Alte Parti contraenti si comunicheranno, per il tramite del Consiglio federale svizzero e, durante le ostilità, per il tramite delle Potenze protettrici, le traduzioni ufficiali della presente Convenzione, nonchè le leggi ed i regolamenti che potranno essere adottati per assicurarne l'applicazione.
Articolo 146.
Le Alte Parti contraenti s'impegnano a prendere ogni misura legislativa necessaria per stabilire sanzioni penali adeguate da applicarsi alle persone che abbiano commesso o dato ordine di commettere una delle infrazioni gravi alla presente Convenzione precisate nell'articolo seguente.
Ogni parte contraente avrà l'obbligo di ricercare le persone imputate di aver commesso o di aver dato l'ordine di commettere una di dette infrazioni gravi e dovrà, qualunque sia la loro nazionalità, deferirle ai propri tribunali.
Essa potrà pure, se preferisce e secondo le norme previste dalla propria legislazione, consegnarle, per essere giudicate, ad un'altra Parte contraente interessata al procedimento, purchè quessta parte contraente possa far valere contro dette persone prove sufficienti.
Ogni parte contraente prenderà i provvedimenti necessari per far cessare gli atti contrari alle disposizioni della presente Convenzione, che non siano le infrazioni gravi precisate nell'articolo seguente.
Gli imputati fruiranno, in ogni circostanza, di garanzie di procedura e di libera difesa che non saranno minori di quelle previste dagli articoli 105 e seguenti della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra.
Articolo 147.
Le infrazioni gravi indicate nell'articolo precedente sono quelle che implicano l'uno o l'altro dei seguenti atti, se commessi contro persone o beni protetti dalla Convenzione: l'omicidio intenzionale, la tortura o i trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, il fatto di cagionare intenzionalmente grandi sofferenze o di attentare gravemente all'integrità fisica o alla salute, la deportazione o il trasferimento illegali, la detenzione illegale, il fatto di costringere una persona protetta a prestar servizio nelle forze armate della Potenza nemica, o quello di privarla del suo diritto di essere giudicata regolarmente e imparzialmente secondo le prescrizioni della presente Convenzione, la presa di ostaggi, la distruzione e l'appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grandi proporzioni ricorrendo a mezzi illeciti e arbitrari.
Articolo 148.
Nessuna Parte contraente potrà esonerare se stessa, nè esonerare un'altra parte contraente, dalle responsabilità in cui essa o un'altra Parte contraente fosse incorsa per le infrazioni previste dall'articolo precedente.
Articolo 149.
A richiesta di una Parte in conflitto, dovrà essere aperta un'inchiesta nel modo da stabilirsi tra le Parti interessate, per ogni pretesa violazione della Convenzione.
Qualora non potesse essere raggiunto un accordo sulla procedura d'inchiesta, le Parti s'intenderanno per la scelta di un arbitro, che statuirà sulla procedura da seguire.
Accertata la violazione, le Parti in conflitto vi porranno fine e la reprimeranno il pi- rapidamente possibile.
SEZIONE II.
- DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 150.
La presente Convenzione è redatta in francese e in inglese.
Ambedue i testi sono parimenti autentici.
Il Consiglio federale svizzero farà eseguire traduzioni ufficiali della Convenzione in lingua russa e in lingua spagnola.
Articolo 151.
La presente Convenzione, che porterà la data di oggi, potrà, sino al 12 febbraio 1950, essere firmata a nome delle Potenze rappresentate alla Conferenza che si è aperta a Ginevra il 21 aprile 1949.
Articolo 152.
La presente Convenzione sarà ratificata il pi- presto possibile e le ratifiche saranno depositate a Berna.
Del deposito di ciascuno strumento di ratifica sarà steso un processo verbale, una copia del quale, certificata conforme, sarà consegnata dal Consiglio federale svizzero a tutte le Potenze nel nome delle quali la Convenzione sarà stata firmata o l'adesione sarà stata notificata.
Articolo 153.
La presente Convenzione entrerà in vigore sei mesi dopo che almeno due strumenti di ratifica saranno stati depositati.
Essa entrerà successivamente in vigore per ciascuna Alta Parte contraente sei mesi dopo avvenuto il deposito del suo strumento di ratifica.
Articolo 154.
Nei rapporti tra le Potenze legate dalla Convenzione dell'Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre, si tratti della Convenzione del 29 luglio 1899 o di quella del 18 ottobre 1907, e che partecipano alla presente Convenzione, questa completerà le sezioni II e III del Regolamento allegato alle suddette Convenzioni dell'Aja.
Articolo 155.
A contare dalla data della sua entrata in vigore, la presente Convenzione sarà aperta alle adesioni di qualunque Potenza in nome della quale non sia stata firmata.
Articolo 156.
Le adesioni saranno notificate per iscritto al Consiglio federale svizzero ed avranno effetto trascorsi sei mesi dalla data nella quale gli saranno giunte.
Il Consiglio federale svizzero comunicherà le adesioni a tutte le Potenze in nome delle quali sia stata firmata la Convenzione o notificata l'adesione.
Articolo 157.
Le situazioni previste dagli articoli 2 e 3 conferiranno effetto immediato alle ratifiche depositate ed alle adesioni notificate dalle Parti in conflitto prima o dopo l'inizio delle ostilità o dell'occupazione.
La comunicazione delle ratifiche o delle adesioni ricevute dalle Parti in conflitto sarà fatta dal Consiglio federale svizzero per la via più rapida.
Articolo 158.
Ciascuna delle Alte Parti contraenti avrà facoltà di denunciare la presente Convenzione.
La denuncia sarà notificata per iscritto al Consiglio federale svizzero.
Questi comunicherà tale notifica ai Governi di tutte le Alte Parti contraenti.
La denuncia produrrà i suoi effetti un anno dopo la sua notifica al Consiglio federale svizzero.
Tuttavia, la denuncia notificata mentre la Potenza denunciante è implicata in un conflitto non produrrà effetto alcuno fino a tanto che la pace non sarà stata conchiusa e, in ogni caso, fino a tanto che le operazioni di liberazione, di rimpatrio e di ripresa di domicilio delle persone protette dalla presente Convenzione non saranno finite.
La denuncia varrà soltanto nei confronti della Potenza denunciante.
Essa non avrà effetto alcuno sugli obblighi che le Parti in conflitto continueranno a dover adempiere in virtù dei principi del diritto internazionale, quali risultano dagli usi vigenti tra nazioni civili, dalle leggi dell'umanità e dalle esigenze della pubblica coscienza.
Articolo 159.
Il Consiglio federale svizzero farà registrare la presente Convenzione presso il Segretariato delle Nazioni Unite.
Il Consiglio federale svizzero informerà parimenti il Segretariato delle Nazioni Unite di tutte le ratifiche, adesioni e denunce che gli fossero notificate relativamente alla presente Convenzione.
In fede di che, i sottoscritti dopo aver depositato i loro pieni poteri hanno firmato la presente Convenzione.
Fatto a Ginevra, il 12 agosto 1949, nelle lingue francese e inglese.
L'originale sarà depositato negli archivi della Confederazione Svizzera.
Il Consiglio federale svizzero trasmetterà una copia, certificata conforme, della Convenzione a ciascuno degli Stati firmatari, come pure agli Stati che avranno aderito alla Convenzione.
ALLEGATO I
Progetto di accordo concernente le zone e località sanitarie e di sicurezza
Articolo 1.
Le zone sanitarie e di sicurezza saranno rigorosamente riservate alle persone indicate nell'articolo 23 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per il miglioramento della sorte dei feriti e malati delle forze armate in campagna e nell'articolo 14 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, nonché al personale incaricato dell'organizzazione e dell'amministrazione di queste zone e località e delle cure da dare alle persone che vi si troveranno concentrate.
Tuttavia, le persone che hanno la loro residenza permanente entro dette zone avranno il diritto di soggiornarvi.
Articolo 2.
Le persone che, per un motivo qualsiasi, si trovano in una zona sanitaria e di sicurezza non dovranno dedicarsi, nè all'interno nè all'esterno di questa zona, a lavoro alcuno che abbia rapporto diretto con le operazioni militari o con la produzione di materiale da guerra.
Articolo 3.
La Potenza che istituisce una zona sanitaria e di sicurezza prenderà tutte le misure adeguate per impedirne l'accesso alle persone che non abbiano il diritto di recarvisi o di trovarvisi.
Articolo 4.
Le zone sanitarie e di sicurezza risponderanno alle condizioni seguenti: a) esse non rappresenteranno che una piccola parte del territorio controllato dalla Potenza che le ha istituite; b) dovranno essere poco popolate rispetto alle loro possibilità di accoglienza; c) saranno lontane da ogni obiettivo militare e da ogni impianto industriale o amministrativo importante, e sprovviste di obiettivi e impianti di tal genere; d) non saranno situate in regioni che, secondo ogni probabilità, possono avere importanza per la condotta della guerra.
Articolo 5.
Le zone sanitarie e di sicurezza saranno soggette all'osservanza dei seguenti obblighi: a) le vie di comunicazione e i mezzi di trasporto che le zone possono comprendere non saranno utilizzati per spostamenti di personale o di materiale militare, neppure a scopo di semplice transito; b) le zone non saranno difese militarmente in nessuna circostanza.
Articolo 6.
Le zone sanitarie e di sicurezza saranno segnalate da strisce oblique rosse su fondo bianco collocate alla periferia e sugli edifici.
Le zone riservate unicamente ai feriti e ai malati potranno essere indicate da croci rosse (mezzelune rosse, leoni e soli rossi) su fondo bianco.
Di notte potranno essere indicate anche mediante una illuminazione adeguata.
Articolo 7.
Fin dal tempo di pace o all'apertura delle ostilità ogni Potenza comunicherà a tutte le Alte Parti contraenti l'elenco delle zone sanitarie e di sicurezza istituite sul territorio che essa controlla.
Essa le informerà d'ogni nuova zona istituita durante un conflitto.
Non appena la Parte avversaria avrà ricevuto la notifica suddetta, la zona sarà regolarmente costituita.
Tuttavia, se la Parte avversaria ritiene che una delle condizioni stabilite dal presente accordo non sia manifestamente adempita, essa potrà rifiutare di riconoscere la zona comunicando d'urgenza il suo rifiuto alla Parte dalla quale la zona stessa dipende o subordinare il suo riconoscimento all'istituzione del controllo previsto dall'Articolo 8.
Articolo 8.
Ogni Potenza che avrà riconosciuto una o più zone sanitarie e di sicurezza istituite dalla Parte avversaria avrà il diritto di chiedere che una o più commissioni speciali controllino se per le zone stesse sono adempiuti gli obblighi e le condizioni indicati né presente accordo.
I membri delle commissioni speciali avranno, a questo scopo, libero accesso in ogni tempo alle varie zone e potranno anche risiedervi in permanenza.
Saranno loro concesse tutte le agevolazioni perché possano compiere la loro missione di controllo.
Articolo 9.
Qualora le commissioni speciali accertassero dei fatti che potrebbero parer loro contrari alle disposizioni del presente accordo, ne avvertiranno immediatamente la Potenza dalla quale dipende la zona, assegnandole un termine di cinque giorni al massimo per rimediarvi; esse ne informeranno la Potenza che ha riconosciuto la zona.
Se, alla scadenza di questo termine, la Potenza dalla quale dipende la zona non avesse dato seguito all'avvertimento rivoltole, la Parte avversaria potrà dichiarare che essa non è più legata, per quanto concerne la zona di cui si tratta, dal presente accordo.
Articolo 10.
La Potenza che avrà istituito una o più zone sanitarie e di sicurezza, come pure le Parti avversarie alle quali ne sarà stata notificata l'esistenza, nomineranno, o faranno designare dalle Potenze protettrici o da altre Potenze neutrali, le persone che potranno far parte delle commissioni speciali di cui è cenno negli articoli 8 e 9.
Articolo 11.
Le zone sanitarie e di sicurezza non potranno, in nessuna circostanza, essere attaccate, ma saranno protette e rispettate in ogni tempo dalle Parti in conflitto.
Articolo 12.
In caso di occupazione di un territorio, le zone sanitarie e di sicurezza che vi si trovano dovranno continuare ad essere rispettate ed utilizzate come tali.
La Potenza occupante potrà non di meno modificare la destinazione dopo aver provveduto alla sorte delle persone che vi erano raccolte.
Articolo 13.
Il presente accordo è applicabile parimenti alle località che le Potenze destinassero a scopo analogo a quello delle zone sanitarie e di sicurezza.
ALLEGATO II
Progetto di Regolamento concernente i soccorsi collettivi agli internati civili
Articolo 1.
I Comitati d'internati saranno autorizzati a distribuire gli invii di soccorsi collettivi, di cui sono responsabili, a tutti gli internati che dipendono amministrativamente dal loro luogo d'internamento, come pure a quelli che si trovano negli ospedali, o nelle prigioni o in altri stabilimenti penitenziari.
Articolo 2.
La distribuzione degli invii di soccorsi collettivi si farà secondo le istruzioni dei donatori e in conformità del piano stabilito dai Comitati d'internati; tuttavia, la distribuzione dei soccorsi sanitari si farà, a preferenza, d'intesa con i medici in capo; questi potranno, negli ospedali e nei lazzaretti, derogare a dette istruzioni nella misura in cui i bisogni dei loro malati lo esigono.
Nei limiticosì precisati, la distribuzione si farà sempre in modo equo.
Articolo 3.
Per poter verificare la qualità come pure la quantità delle merci ricevute e stendere su questi punti rapporti particolareggiati destinati ai donatori, i membri dei Comitati d'internati saranno autorizzati a recarsi nelle stazioni e altri luoghi di arrivo, vicini al loro luogo d'internamento, dove giungono loro gli invii di soccorsi collettivi.
Articolo 4.
I Comitati d'internati beneficeranno delle facilitazioni necessarie per accertare se la distribuzione dei soccorsi collettivi in tutte le sottodivisioni e in tutti gli annessi del loro luogo d'internamento è stata fatta conformemente alle loro istruzioni.
Articolo 5.
I Comitati d'internati saranno autorizzati a compilare, come pure a far compilare dai membri dei Comitati d'internati nei distaccamenti di lavoro o dai medici in capo dei lazzaretti e ospedali, dei moduli o questionari destinati ai donatori e che si riferiscono ai soccorsi collettivi (distribuzione, bisogni, quantità, ecc.
).
Questi moduli e questionari, debitamente compilati, saranno trasmessi senz'indugio ai donatori.
Articolo 6.
AUo scopo di garantire una distribuzione regolare di soccorsi collettivi agli internati del loro luogo d'internamento e, eventualmente, di sopperire ai bisogni provocati dall'arrivo di nuovi internati, i Comitati d'internati saranno autorizzati a costituire e a conservare scorte sufficienti di soccorsi collettivi.
Essi disporranno a questo fine, di magazzini adeguati; ogni magazzino sarà provvisto di due serrature; le chiavi dell'una saranno in mano del Comitato d'internati e quello dell'altra in mano del comandante del luogo d'internamento.
Articolo 7.
Le Alte Parti contraenti e, in particolare, le Potenze detentrici autorizzeranno, nella misura del possibile e con riserva del disciplinamento relativo al vettovagliamento della popolazione, qualsiasi acquisto che fosse fatto sul loro territorio allo scopo di distribuire soccorsi collettivi agli internati; esse faciliteranno parimenti i trasferimenti di denaro e altri provvedimenti finanziari, tecnici o amministrativi eseguiti in considerazione di tali acquisti.
Articolo 8.
Le disposizioni che precedono non devono limitare il diritto degli internati di ricevere soccorsi collettivi prima del loro arrivo al luogo d'internamento o durante il trasferimento, nè la possibilità per i rappresentanti della Potenza protettrice, del Comitato internazionale della Croce Rossa o di qualsiasi altro ente umanitario che soccorra gli internati e fosse incaricato di trasmettere tali soccorsi, di garantirne la distribuzione ai loro destinatari con qualunque altro mezzo che ritenessero opportuno.
[ tratta dal sito www.cepadu.unipd.it]







Il Diritto umanitario è il corpo di norme internazionali che governano le situazioni di conflitto armato, sia di carattere nazionale che internazionale. Fanno parte del diritto umanitario:
Quei diritti umani che sono comunque e sempre inderogabili, anche nelle situazioni più estreme: ad esempio il divieto della tortura e della schiavitù, la libertà di pensiero e di religione, il principio di non discriminazione. Il diritto alla vita, ovviamente violato dalla stessa natura della guerra, è comunque ribadito nella misura del possibile, ad esempio attraverso il divieto di esecuzioni arbitrarie; mentre sono riconosciute legittime dal diritto internazionale alcune deroghe ai diritti civili e politici (specificamente indicate dall’art.4 dell’ICCPR) nelle situazioni di pubblica emergenza che minacciano la vita della nazione.
I diritti e doveri specificamente legati alla situazione che si crea in caso di conflitti armati, relativi a questioni come il trattamento dei feriti e dei prigionieri, i diritti delle popolazioni civili ecc.
I principali strumenti del diritto umanitario sono le quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e i due protocolli aggiuntivi, del 1977. Tali convenzioni sono state sottoscritte da quasi tutti i paesi, ed è forte anche la tendenza ad un’adesione universale ai due protocolli.
La prima e la seconda convenzione di Ginevra riguardano la protezione dei feriti e dei malati nelle forze armate di terra, dell’aereonautica e della Marina. La terza convenzione contiene le norme relative alla tutela dei prigionieri di guerra. Le donne rientrano nei termini di queste tre convenzioni in quanto membri delle forze armate, per quei paesi dove il servizio militare è consentito alla popolazione femminile (quindi anche l’Italia, dall’anno 2000).
La quarta convenzione è la Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12 agosto 1949 diversi articoli della quale hanno rilevanza diretta per le donne, perché tesi a prevenire comportamenti che spesso vengono usati come armi di guerra, quali lo stupro e le violenze sessuali.
Le quattro convenzioni di Ginevra contengono un articolo comune, l’articolo 3, che riguarda i conflitti armati a carattere non internazionale, che si verificano nel territorio di uno degli stati contraenti. Tale articolo contiene un insieme di divieti inderogabili, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza. Esso vieta:
la violenza contro la vita e le persone;
la cattura di ostaggi;
l’oltraggio alla dignità personale, e in particolare i trattamenti umilianti e degradanti;
l’emissione di sentenze di condanna e le esecuzioni effettuate senza regolare processo.
Le gravi violazioni ("grave breaches") delle convenzioni di Ginevra rientrano nei crimini di cui si occuperà la Corte penale internazionale, unitamente ai crimini di genocidio, ai crimini contro l’umanità e a tutti i crimini di guerra, siano essi trattati o meno dalle convenzioni di Ginevra. L’esigenza di un punto di vista di genere su tutti questi temi è stata più volte sottolineata all’interno della comunità internazionale, sia dai movimenti delle donne cha da altri soggetti, sia non governativi che istituzionali, ed ha trovato risposta sia nello Statuto della Corte penale internazionale che in molte delle più recenti interpretazioni del diritto umanitario.







Processo verbale del 16/03/2000 - Edizione provvisoria
50º anniversario delle Convenzioni di Ginevra - Diritti umani
B5-0233, 0234 e 0235/2000
Risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e del diritto internazionale umanitario
Il Parlamento europeo,
- vista la sua risoluzione del 14 aprile 1989(1) sul diritto internazionale umanitario e il sostegno alle attività del Comitato internazionale della Croce rossa (CICR),
- vista la dichiarazione della Presidenza a nome dell'Unione europea, fatta nello scorso anno in occasione del 50º anniversario delle quattro Convenzioni di Ginevra, che hanno l'obbiettivo di limitare le sofferenze umane nel corso di conflitti armati e evitare le atrocità,
A. considerando che le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, completate dai protocolli aggiuntivi del 1977, formano la base del diritto internazionale umanitario applicabile nel corso di conflitti armati, sia internazionali che interni,
B. considerando che queste convenzioni di diritto umanitario sono più che mai d'attualità e che la loro attuazione richiede un lavoro e un'attenzione permanenti,
C. considerando l'obbligo che ha sottoscritto ognuno dei 15 Stati membri dell'Unione europea di rispettare e far rispettare il diritto internazionale umanitario, quando hanno ratificato queste convenzioni,
D. considerando che i valori umanitari quali definiti nelle quattro Convenzioni del 1949 devono guidare l'azione dell'Unione europea quando essa agisca in una situazione coperta dalle Convenzioni di Ginevra del 1949,
E. considerando il mandato attribuito dalle Convenzioni del 1949 al Comitato internazionale della Croce rossa e il suo ruolo di promotore e custode del diritto internazionale umanitario, quale organismo internazionale neutro e imparziale,
1. invita gli Stati membri a promuovere i valori iscritti nelle Convenzioni di Ginevra del 1949, nonché nei protocolli aggiuntivi del 1977 e a assicurare la divulgazione e la conoscenza del diritto internazionale umanitario presso la popolazione civile e in particolare, le istituzioni e gli agenti responsabili della loro diretta applicazione, in particolare i membri delle forze armate e della sicurezza;
2. invita la Commissione nonché gli Stati membri a sostenere programmi di educazione e campagne specifiche di informazione e di mobilitazione al fine di promuovere gli elementari principi del diritto internazionale umanitario contenuto nelle quattro Convenzioni di Ginevra;
3. invita gli Stati membri ad adottare e a migliorare le misure nazionali di attuazione del diritto internazionale umanitario;
4. invita il Consiglio a tenere presenti le norme e i principi del diritto internazionale umanitario, soprattutto nell'attività decisionale e in quella collegata alla PESC;
5. invita tutti gli Stati che non vi abbiano ancora provveduto a ratificare le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, i loro due protocolli aggiuntivi del 1977, nonché gli altri trattati di diritto internazionale umanitario, in particolare la Convenzione di Ottawa sul divieto dell'uso delle mine antipersonali e lo statuto del Tribunale penale internazionale;
6. chiede al Consiglio e alla Commissione che la cooperazione con i paesi terzi avvenga nel rispetto delle quattro Convenzioni di Ginevra, della Convenzione di Ottawa e dello statuto del Tribunale penale internazionale;
7. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Comitato internazionale della Croce rossa e al Segretario generale delle Nazioni Unite.







Lo storico Diego Fusaro , nel suo significativo saggio, edito anche on line, intitolato LE RAGIONI FILOSOFICHE E POLITICHE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE fornisce un'erudita quanto scientifica valutazione del conflitto, totalmente esente da molti luoghi comuni che ne hanno appesantito la corretta valutazione attraverso lo scorrere del tempo:
"Lo storiografo Hobsbawn ha acutamente osservato che il XX secolo inizia con lo scoppio della prima guerra mondiale, facendo notare che tutto ciò che è avvenuto negli anni del Novecento precedenti al conflitto è come se appartenesse ancora al secolo passato: proprio in virtù di questo inizio "ritardato", il secolo XX si configura agli occhi di Hobsbawn come "secolo breve".
Si può però notare come anche il primo conflitto mondiale, che nell'ottica hobsbawmiana segna l'avvio del nuovo secolo, sia in realtà il momento culminante di processi storici, politici e filosofici che affondano le loro radici nell'Ottocento.
Sarebbe del resto riduttivo ravvisare la causa del primo conflitto "totale" esclusivamente nell'attentato perpetrato a Sarajevo il 28 giugno 1914 ai danni dell'arciduca asburgico Francesco Ferdinando: esso fu solo la causa scatenante che fece esplodere in tutta la loro tragicità quelle trasformazioni ideologiche e culturali maturate sotto la "scorza" della pacata e tranquilla "bella époque".
Interpretando hegelianamente la storia, si può essere indotti, infatti, a ritenere che nella profondità della realtà stessero già attuandosi processi di cambiamento irreversibile che, alla vigilia della prima guerra mondiale, "bussavano alle porte" della realtà per prorompere all'esterno: e l'omicidio di Francesco Ferdinando fu ciò che aprì i battenti e consentì alla nuova situazione di affiorare in superficie.
Indubbiamente, uno dei principali fattori storici ed ideologici che causarono lo scoppio del conflitto fu il radicale mutamento di significato cui fu soggetto il concetto di nazione: se al principio dell'Ottocento la nazione era intesa come un'entità meramente culturale, come comunità di genti accomunate dalla stessa cultura, dalla stessa religione e dalla stessa lingua, nella seconda metà del secolo essa si connotò di nuovi significati, fino ad allora pressochè sconosciuti.
La nazione divenne allora lo strumento di dominio dei popoli sugli altri popoli e perse il significato culturale rivestito in precedenza: la più fulgida espressione della parabola del concetto di nazione è rappresentata dalla figura di Crispi, il quale, dopo aver esordito come fervente garibaldino e come difensore della "nazione" concepita come entità culturale, mutò rapidamente atteggiamento nella seconda metà dell'Ottocento e finì per aderire al nazionalismo aggressivo di matrice bismarckiana.
Proprio Bismarck può essere la chiave di lettura del nuovo significato rivestito dal concetto di nazione: anti-democratico dichiarato, egli portò l'esercito e l'imperialismo alle stelle e, con la Conferenza di Berlino, diede il via, legittimandolo, a quell'imperialismo selvaggio in cui si avventurarono gli europei nella seconda metà dell'Ottocento.
Questo provvedimento, con cui si dichiaravano conquistabili gli stati extra-europei, non fece altro che dilazionare nel tempo le tensioni accumulatesi tra le varie nazioni europee: infatti, se momentaneamente esse venivano scaricate all'esterno, una volta occupati tutti i territori colonizzabili, le tensioni sarebbero nuovamente affiorate e lo scontro che ne sarebbe scoppiato avrebbe assunto carattere mondiale, coinvolgendo inevitabilmente anche i nuovi stati occupati.
E' poi opportuno annoverare tra le cause che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale anche quello che è passato alla storia col nome di "revanscismo" francese: a desiderare ardentemente la guerra come strumento di dominio non furono soltanto i tedeschi, ma anche i Francesi.
Infatti, se i Tedeschi vollero a tutti i costi la guerra poiché si sentivano "ingabbiati" in un territorio che, per la sua scarsa estensione, non corrispondeva al primato economico della Germania, i francesi, dal canto loro, erano assetati di vendetta e aspiravano fortemente ad una rivalsa sulla Prussia e, più in generale, sulla Germania che, guidata da Bismarck, aveva inflitto loro una pesante sconfitta con la guerra franco-prussiana.
E tuttavia Bismarck, una volta edificata la Germania, cercò in ogni modo di garantire la pace e la tranquillità in Europa, lui che pochi anni prima l'aveva messa a ferro e fuoco con tre guerre (contro Danimarca, Austria e Francia) per assicurarsi una posizione di primato.
E per garantire la tranquillità sul territorio europeo non potè far altro che scaricare nei territori extra-europei gli appetiti espansionistici delle varie potenze, dando il via alla caccia coloniale.
Ciò che più temeva il cancelliere tedesco era un'alleanza tra Inglesi, francesi e Russi: alleanza che si realizzò quando, nella conquista coloniale dell'Africa, i Francesi che procedevano da Ovest a Est si incontrarono a Fashoda (1898)con gli Inglesi che invece si muovevano da Nord a Sud.
Vi furono grandi tensioni tra i due contingenti militari, tanto che si temette una guerra: alla fine ebbe la meglio la diplomazia e si arrivò addirittura a stipulare un'alleanza tra i due stati, alleanza che fu poi estesa anche alla Russia, da poco sconfitta dalla nuova potenza giapponese.
Da allora in poi le tensioni politiche e militari tra la nuova alleanza e il mondo germanico divennero insostenibili e scoppiarono in tutta la loro violenza nel primo conflitto mondiale.
E' opportuno ricordare che la guerra venne anche intesa come strumento per scaricare all'esterno le tensioni sociali, acuitesi esponenzialmente a seguito della nascita dei Partiti Socialisti nelle varie nazioni europee: l'unica soluzione per far fronte ad un movimento operaio che rivendicava l'uguaglianza e propugnava la democrazia fu vista nella guerra, ovvero nella possibilità di inviare al fronte i rivoluzionari riottosi e, soprattutto, nella possibilità di militarizzare la società stessa, smantellando le istituzioni parlamentari e revocando ogni forma di democrazia.
Ma è soprattutto sul versante ideologico e filosofico che si possono rintracciare le motivazioni che fecero esplodere, in tutta la sua violenza, il conflitto mondiale: a tal proposito è interessante ricordare quanto ha asserito il filosofo torinese Norberto Bobbio.
Egli ha infatti osservato come, con la prima guerra mondiale, si sia assistito ad uno stravolgimento del motto di Marx presente nelle Tesi su Feuerbach : se Marx diceva che i filosofi si erano fino ad allora limitati ad interpretare il mondo, senza cambiarlo, e che era giunto il momento che le classi operaie lo mutassero nella sua essenza, con la nuova temperie culturale si affermò sempre più l'idea che non era giunto il momento di mutare il mondo, ma di impadronirsene.
E in effetti, se a fine Ottocento il positivismo, con la sua esasperata fiducia nella scienza e nella ragione, aveva trovato un terreno fertile presso le masse, è anche vero che presso il "popolo degli intellettuali" esso era stato ormai surclassato, quasi come con un capovolgimento dialettico alla Hegel, dall'irrazionalismo e dal decadentismo, avversi ai dogmi della ragione: ed è su queste basi ideologiche che poggia il concetto di "razza" che in quegli anni andava sempre più affermandosi e che avrebbe presto dato vita alla più grande tragedia della storia dell'umanità.
Con la nozione di razza, infatti, si sovrapposero la sfera razionale invalsa presso le masse e quella irrazionale prevalente presso gli intellettuali, cosicchè si cercò di dimostrare razionalmente un qualcosa, come la razza, che sfuggiva ad ogni razionalità e che anzi era in netta antitesi con essa.
La stessa concezione di nazione in termini aggressivi e militaristi trova il suo riscontro sul versante culturale: se per Fichte la nazione era un'entità meramente culturale, sganciata da ogni imperialismo di sorta e anzi avversa ad esso, inteso come minaccia della purezza culturale del popolo, con Hegel, invece, si afferma sempre più la convinzione che un popolo, per essere davvero tale, debba essere dotato di un forte esercito che non si limiti a difendere i confini nazionali, ma che si spinga anche al di là di essi per schiacciare e sottomettere gli altri popoli.
Ed è in questa prospettiva che sorge l'imperialismo e, in ultima istanza, il primo conflitto mondiale; e tuttavia vi è un'insormontabile contraddizione nell'accettazione di questo imperialismo volto a conquistare il maggior numero di territori possibili: se, infatti, il nazionalismo insegna che la nazione è il simbolo del popolo, allora perde ogni significato lo spingersi oltre i confini nazionali per acquisire nuovi territori in nome della nazione; ed è molto discutibile anche la giustificazione addotta per legittimare questo atteggiamento, ovvero la pretestuosa convinzione che, al di là delle singole nazioni, esistano un'unica nazione slava o un'unica nazione germanica e che esse vadano riconquistate "
manu militari".
Anche questo atteggiamento, se letto in trasparenza, affonda le sue radici nell'irrazionalità imperante in quegli anni, la quale si estrinseca anche nelle avanguardie artistiche: tra esse spicca il futurismo italiano, che differisce da quello russo per la radicale avversione ad ogni forma di democrazia e per la marcata simpatia per la guerra e per la violenza.
I futuristi rispecchiano perfettamente il clima che si andava respirando in quegli anni in Europa e giocarono un ruolo decisivo nell'ingresso italiano sullo scacchiere bellico; si proponevano di esaltare la violenza, " lo schiaffo e il pugno ", salutando la guerra come " sola igiene del mondo "e rifiutando ogni forma di tranquillità e di armoniosa convivenza.
E' poi bene ricordare che, come reazione al positivismo, nella seconda metà dell'Ottocento, fiorì la filosofia di Nietzsche, a cui si ispirarono, senza peraltro comprenderne a fondo il significato, i futuristi e D'Annunzio stesso.
Nietzsche, folgorante profeta del superuomo, predicò la disuguaglianza tra gli uomini, riprendendo anche elementi del darwinismo, e prevedendo che il nichilismo fosse alle porte.
La bislacca commistione di elementi darwiniani e nietzscheani diede vita alla nozione di superuomo, un ibrido esplosivo che, oltre a testimoniare l'allora imperante necessità di argomentare razionalmente in favore di ciò che razionale non era, può facilmente degenerare in razzismo.
E infatti, sebbene Nietzsche si dichiarasse esplicitamente avverso al razzismo, il mito del superuomo andò lentamente trasformandosi in mito della super-razza e i Nazisti poterono così strumentalizzare il pensiero nietzscheano, stravolgendone i contenuti.
Personaggi e poeti come D'Annunzio, la cui sola musa ispiratrice fu la violenza, poterono così scatenarsi in fantasmagoriche perorazioni in favore della guerra e del superuomo, senza in realtà aver compreso pressochè nulla del pensiero nietzscheano (sarcasticamente Benedetto Croce dileggerà D'Annunzio dicendo " letto che ebbe qualcosa di Nietzsche … " ).
Il risultato di questa esaltazione di buona parte degli intellettuali fu che anche buona parte della popolazione civile si lasciò coinvolgere in questo entusiasmo sfrenato per la guerra e supportò le posizioni imperialistiche dell'estrema Destra: a inizio Ottocento sarebbe stato impensabile che il popolo abbracciasse la causa della Destra estremistica, ma dalla seconda metà del secolo, invece, ciò divenne sempre più frequente.
Ed è sempre nell'ultima fase dell'Ottocento che si affermò la convinzione che, se le masse non potevano più restare escluse dalla politica, ciononostante ci si poteva servire di esse per far passare idee antidemocratiche e militariste, che imponessero uno stato forte.
Il progetto marxista secondo il quale lo stato si sarebbe dovuto estinguere e, secondo le parole di Engels, sarebbe dovuto finire nel "
museo dell'antichità, accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo ", naufragava miseramente di fronte al rafforzarsi sempre maggiore dello stato e del suo apparato militare; la stessa fittissima rete di alleanze che si era andata tessendo dalla seconda metà dell'Ottocento in poi, associata alla profonda crisi attraversata dall'Impero ottomano, spingevano violentemente verso la guerra e il rafforzamento dello stato.
Sarebbe scorretto dire che tutta la popolazione aderì alla causa militarista, poiché molti uomini rifiutarono e si opposero alla guerra e alle sue tragedie: è però certo che le masse erano volubili e potevano farsi allettare anche dalle promesse della Destra, a tal punto da entrare in guerra, come notò Clemanceau, direttore del celebre giornale francese "L'Aurora".
Kant aveva dunque sbagliato a sostenere in "Per la pace perpetua" che, se spettasse al popolo decidere di entrare in guerra, non vi sarebbero più guerre: se egli fosse vissuto nel XX secolo anziché nel XVIII si sarebbe senz'altro ricreduto
.








INDICE GENERALE [DATI RACCOLTI SU MATERIALE CRITICO DOCUMENTARIO DELLA.N.P.I]
-L'ITALIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE: LE NUOVE COMPAGINI POLITICHE
-ORIGINI DEL FASCISMO: IL PROGRAMMA DI SAN SEPOLCRO
-GLI ARDITI DEL POPOLO: NASCITA DEL MOVIMENTO
-LA CONQUISTA DEL POTERE: LA MARCIA SU ROMA DEL 28 OTTOBRE 1922
-FASCISTIZZAZIONE DELL'ITALIA
-IL DELITTO MATTEOTTI: TESTO INTEGRALE DELL' ULTIMO DISCORSO ALLA CAMERA DEL DEPUTATO SOCIALISTA
-DISCORSO DI MUSSOLINI SUL DELITTO MATTEOTTI
-ORDINAMENTO DEL PARTITO FASCISTA
-ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE
-IL MANIFESTO DELLA RAZZA
-LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
-[ Un Paese teoricamente in pace in cui però il Regime già imponeva pubbliche esercitazioni da tenersi in caso di bombardamento aereo: le esperienze a Torino dello scrittore Guido Seborga]
-DECRETO DEL 5/IX/1938 - PROVVEDIMENTI RAZZISTI DELLA SCUOLA FASCISTA
-DISCIPLINA DELL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI DA PARTE DEI CITTADINI DI RAZZA EBRAICA
-PROVVEDIMENTI NEI CONFRONTI DEGLI EBREI STRANIERI
-I CAMPI DI INTERNAMENTO E I LAGER ITALIANI 1943-1945
-LA GUERRA D'ETIOPIA
-GUERRA CIVILE DI SPAGNA: INTERVENTO ITALIANO
-REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: L'ESERCITO DI SALO'
Tramite un
percorso multimediale le fortificazione erette tra Italia e Francia in Liguria quali presupposti dell'intervento italiano contro la Francia della II Guerra Mondiale: Vallo Occidentale o "Linea Mussolini" = vedi qui Cima Marta e i Balconi di Marta ed ancora Postazioni d'artiglieria pesante sul Monte Vetta (Castelvittorio)
Un esempio delle devastazioni della II Guerra Mondiale in Italia dopo l'8 settembre 1943, lo sbarco in Sicilia e l'intervento alleato = l' Abbazia di Montecassino: da una carta antica ad un' immagine moderna poi ecco la distruzione dell'abbazia nella omonima battaglia per il controllo della via per Roma






































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L'ITALIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE: LE NUOVE COMPAGNI POLITICHE
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, anche l'Italia soffrì di gravi difficoltà economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. I ceti medi e le classi a reddito fisso furono particolarmente colpite dalla crisi economica, anche perché danneggiate più delle altre dall'inflazione causata dalle enormi spese militari) e deluse a causa del mancato aumento degli stipendi.
Nel gennaio 1919, i Cattolici diedero vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero partito di ispirazione cattolica. Fondatore e ispiratore della nuova formazione fu Don Luigi Sturzo. Intanto il 23 marzo del 1919 Mussolini fondava i fasci di combattimento, a Milano.
Le elezioni politiche del '19 dimostrarono la voglia di novità del popolo italiano, facendo registrare:
il netto declino dei liberali;
la crescita del partito popolare di don Sturzo;
l'enorme forza del partito socialista.
Il Partito socialista ottenne 156 deputati in confronto ai 48 del 1913, il Partito popolare ne ebbe 100 in confronto ai 33 cattolici eletti nel 1913. I liberali persero la maggioranza. Ottennero infatti poco più di 200 deputati rispetto agli oltre 300 eletti nel 1913.
Nel periodo successivo, tra il 1919 e il 1920, la classe operaia esplose con scioperi, dimostrazioni ed agitazioni a livelli impressionanti nelle fabbriche italiane, contro il taglio degli stipendi e le serrate. Tra le cause di questa ondata di scioperi ci furono la crisi economica conseguente alla guerra appena terminata, ma ebbe un ruolo importante anche il mito della rivoluzione russa e il sogno di fare come in Russia. Agli scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto dichiaratamente politico.
Così i due motivi, le richieste economiche e la pressione rivoluzionaria, finirono col mescolarsi e confondersi. Si diffusero parole d’ordine come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini. Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre incolte.
Intanto cresceva il partito dei nazionalisti e dei reduci della guerra. La "vittoria mutilata", ovvero il sentimento di scontentezza per l’esito degli accordi di pace di Versailles (l’Italia ottenne il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria; restarono invece aperte la questione della città di Fiume e quella della Dalmazia) trovò un ottimo portavoce in Gabriele D’Annunzio. I reduci della Prima Guerra mondiale videro che il loro ruolo non era valorizzato dallo Stato.
Le preoccupazioni della classe politica liberale allora dominante erano sostanzialmente due: fermare il revanscismo dei dannunziani e prevenire in ogni modo la possibilità di una rivoluzione comunista, del tipo di quella avvenuta in Russia pochi anni prima. La seconda preoccupazione era particolarmente sentita anche dagli industriali e dai possidenti agricoli, che detenevano gran parte delle ricchezze del paese. La cronica indecisione dei governanti italiani fece il resto. L’Italia si trovò di fronte ad un bivio, e scelse la tragica strada del fascismo credendo portasse lontano, verso un futuro migliore.
IL BIENNIO ROSSO
La storia del Biennio Rosso iniziò a Torino il 13 settembre 1919 con la pubblicazione sulla rivista Ordine Nuovo del manifesto Ai commissari di reparto delle officine Fiat Centro e Brevetti, nel quale si ufficializzava l’esistenza e il ruolo dei Consigli di fabbrica quali nuclei di gestione autonoma delle industrie da parte degli operai. Già tre mesi prima Gramsci e Togliatti avevano affrontato il problema, sempre sulla stessa rivista, in un articolo chiamato Democrazia operaia.
Torino, culla dell’industrializzazione italiana, si prefigurava così come il centro propulsore del bolscevismo, in quanto la struttura dei Consigli proposta dagli ordinovisti ricalcava, seppur con peculiarità proprie, quella dei Soviet russi. Le proteste iniziarono nelle fabbriche di meccanica, per poi continuare nelle ferrovie, trasporti e in altre industrie, mentre i contadini occupavano le terre. Le agitazioni si diffusero anche nelle campagne della pianura padana, innescando duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dall’altra, soprattutto in Emilia e Romagna. Gli scioperanti, però, fecero molto più che un’occupazione, sperimentando per la prima volta forme di autogestione operaia: 500.000 scioperanti lavoravano, producendo per se stessi. Durante questo periodo, l'Unione Sindacale Italiano (USI) raggiunse quasi un milione di membri.
Il fenomeno si estese rapidamente ad altre fabbriche del Nord, coinvolse il movimento anarchico ma venne solo in parte appoggiato dal P.S.I., che in quel momento era diviso tra riformisti e massimalisti. Gramsci avvertì l’incapacità dei politici socialisti di fronte a queste manifestazioni di autogoverno proletario, e cercò di dare sistemazione, teorica prima, e pratica poi, al movimento operaio. Nulla potè, però, contro la reazione degli industriali, appoggiati dal governo e da questo aiutati con migliaia di militari in assetto di guerra.
Dal 28 marzo 1920 si delinearono i due blocchi, da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si ritornò all’inasprimento dei contrasti, con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920.
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico alle squadre dei "ras" fascisti.
E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata italianizzazione ("dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco", disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le "operazioni" della squadre fasciste contro il 'sovversivismo rosso'. "Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente", disse Giolitti minimizzando il problema.
LA SCONFITTA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali. A tal uopo presentò anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato.
Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore.
Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono eletti 35, con alla testa Mussilini.
GLI INDUSTRIALI E LE SQUADRE FASCISTE
La violenza fascista continuò anche dopo il biennio rosso, anzi si intensificò. Nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726. Gli obiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste. Comunisti e anarchici reagirono con la creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).
Il Biennio Rosso rappresentò quindi l’incubatrice di due tendenze opposte, entrambe nate da una scissione del partito socialista: il rivoluzionarismo di stampo bolscevico, che poi si concretizzerà nella fondazione, avvenuta nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno, del P.C.I., un soggetto politico destinato a lasciare un’indelebile impronta nella vita italiana, e contemporaneamente il fascismo reazionario e violento, altrettanto determinante per la storia d’Italia nel XX secolo.


ORIGINI DEL FASCISMO
Lo scoppio della prima guerra mondiale provocò un radicale cambiamento di posizioni politiche in Benito Mussolini, fino ad allora dirigente socialista e, dal 1912, addirittura direttore de l'Avanti!. Dopo un'iniziale adesione alla linea di neutralismo del partito, Mussolini divenne interventista e allora il 20 ottobre del 1914 si dimise dalla direzione del giornale. In novembre realizzò un suo quotidiano, "Il popolo d'Italia", ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni interventiste a fianco dell'Intesa. Espulso immediatamente dal Psi, qualche anno dopo, nel '18, ruppe anche gli ultimi legami ideologici con l'originaria matrice socialista, in nome di un superamento dei tradizionali antagonismi di classe. Finita la guerra, fondò i fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo del 1919. Il movimento non ebbe inizialmente successo. Tuttavia, man mano che la situazione italiana si andava deteriorando e il fascismo si caratterizzava come forza organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, ottenne crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e quindi dai ceti medi. Divenuto deputato al Parlamento con le elezioni del 1921, Mussolini si avvicinò maggiormente alla monarchia (mentre il suo programma originario era di fedeltà agli ideali repubblicani) con il discorso di Udine (20 settembre 1922). Un mese dopo, organizzò la marcia su Roma, che doveva portarlo alla carica di presidente del Consiglio (31 ottobre 1922).
Il manifesto dei fasci di combattimento (1919) - Programma di San Sepolcro
Italiani! Ecco il programma di un movimento genuinamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico; fortemente innovatore antipregiudiziaiolo.
Per il problema politico:
Noi vogliamo:
a) Suffragio universale a scrutinio di lista regionale, con rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne.
b) II minimo di età per gli elettori abbassato ai I 8 anni; quello per i deputati abbassato ai 25 anni.
c) L'abolizione del Senato.
d) La convocazione di una Assemblea Nazionale per la durata di tre anni, il cui primo compito sia quello di stabilire la forma di costituzione dello Stato.
e) La formazione di Consigli Nazionali tecnici del lavoro, dell'industria, dei trasporti, dell'igiene sociale, delle comunicazioni, ecc. eletti dalle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi, e diritto di eleggere un Commissario Generale con poteri di Ministro.
Per il problema sociale:
Noi vogliamo:
a) La sollecita promulgazione di una legge dello Stato che sancisca per tutti i lavori la giornata legale di otto ore di lavoro.
b) I minimi di paga.
c) La partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria.
d) L'affidamento alle stesse organizzazioni proletarie (che ne siano degne moralmente e tecnicamente) della gestione di industrie o servizi pubblici.
e) La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti.
f) Una necessaria modificazione del progetto di legge di assicurazione sulla invalidità e sulla vecchiaia abbassando il limite di età, proposto attualmente a 65 anni, a 55 anni.
Per il problema militare:
Noi vogliamo:
a) L'istituzione di una milizia nazionale con brevi servizi di istruzione e compito esclusivamente difensivo.
b) La nazionalizzazione di tutte le fabbriche di armi e di esplosivi.
c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione italiana nel mondo.
Per il problema finanziario:
Noi vogliamo:
a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze.
b) II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.
c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell' 85% dei profitti di guerra.
(«II popolo d'Italia», 6 giugno 1919)


GLI ARDITI DEL POPOLO: NASCITA DEL MOVIMENTO
Nati a Roma gli ultimi giorni di giugno del 1921 da una scissione dell'Associazione nazionale arditi d'Italia, per iniziativa dell'anarchico Argo Secondari (ex tenente dei reparti d'assalto nella prima guerra mondiale), gli Arditi del popolo si propongono di opporsi manu militari alla violenza delle squadre fasciste. Estenuate da mesi di spedizioni punitive, le masse popolari colpite dallo squadrismo accolgono la loro nascita con entusiasmo. Stanche dei crimini fascisti, esse vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione quella volontà di riscossa che trae origine - soprattutto negli strati meno politicizzati della classe lavoratrice - dal puro e semplice istinto di sopravvivenza. La comparsa degli Arditi del popolo rappresenta indubbiamente, per il proletariato italiano, il fatto eclatante dell’estate1921. Sia costituendosi ex novo che appoggiandosi alle sezioni della Lega proletaria (l'associazione reducistica legata al PSI e al PCd'I) o a formazioni paramilitari preesistenti (quali gli Arditi rossi di Trieste o i Figli di nessuno di Genova e Vercelli), nascono in tutta Italia sezioni di Arditi del popolo, pronte a fronteggiare militarmente lo squadrismo fascista. Il nuovo governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, guarda al fenomeno arditopopolare con estrema preoccupazione, poiché la comparsa delle formazioni armate antifasciste rischia di affossare l’ipotesi della realizzazione di un trattato di tregua tra socialisti e fascisti (quello che sarà, nemmeno un mese dopo, il "Patto di pacificazione") fortemente desiderato dal presidente del Consiglio.
Il 6 luglio 1921, presso l'Orto botanico di Roma, ha luogo un'importante manifestazione antifascista alla quale prendono parte migliaia di lavoratori e la cui eco arriva fino a Mosca: la "Pravda" del 10 luglio ne fa infatti un dettagliato resoconto e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall'iniziativa e in polemica con la direzione bordighiana del PCd'I, non ha dubbi a indicarla come esempio da seguire. Dopo questo imponente raduno, la struttura paramilitare antifascista diviene, nel volgere di pochi giorni, un'organizzazione diffusa capillarmente. Le linee di espansione dell'associazione seguono, principalmente, le direttrici che dalla capitale conducono a Genova (Civitavecchia, Tarquinia, Orbetello, Piombino, Livorno, Pisa, Sarzana, La Spezia) e ad Ancona (Monterotondo, Orte, Terni, Spoleto, Foligno, Gualdo Tadino, Iesi). Ma anche in molti altri centri al di fuori di queste due vie di comunicazione gli arditi del popolo riescono a costituirsi in gruppi numericamente consistenti. Rilevanti sono, a riguardo, quelli del Pavese, di Parma, Piacenza, Brescia, Bergamo, Vercelli, Torino, Firenze, Catania e Taranto. Ma anche in alcuni centri minori gli arditi del popolo riescono ad organizzarsi efficacemente.


LA CONQUISTA DEL POTERE: LA MARCIA SU ROMA DEL 28 OTTOBRE 1922
La possibilità di conquistare il potere con la forza fu prospettata per la prima volta da Benito Mussolini il 29 settembre 1922, in una seduta segreta a Firenze della direzione fascista. La decisione di passare all’azione si ebbe il 16 ottobre 1922, nella riunione a Milano del gruppo dirigente fascista, nel corso della quale venne anche costituito il quadrumvirato che avrebbe diretto l'insurrezione, formato da De Vecchi, De Bono, Balbo e Bianchi. Pochi giorni dopo, il 24 ottobre, al Congresso fascista di Napoli, arrivò il proclama ufficiale di Mussolini: "O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma".
Secondo i piani, il quadrunvirato, insediato a Perugia, avrebbe assunto nella notte tra il 26 e il 27 i pieni poteri e nei due giorni successivi sarebbe seguita la mobilitazione delle squadre fasciste che avrebbero occupato i punti chiave dell'Italia centrale. Le bande destinate a marciare sulla capitale (26.000 uomini) furono inquadrate in quattro colonne (una di riserva e tre concentrate a Santa Marinella, Monterotondo e Tivoli) e cominciarono a muovere verso Roma il 27. Mussolini rimase a Milano in attesa degli sviluppi della situazione a livello governativo.
In grande ritardo, dopo la mezzanotte tra il 27 e il 28 ottobre 1922, il presidente del consiglio Luigi Facta, richiamato il re da San Rossore (Pisa) a Roma, convocò il Consiglio dei ministri per predisporre il decreto di stato d’assedio, che dava pieni poteri al governo per disperdere i fascisti con l'esercito. Il generale Pugliese, capo del territorio di Roma, predispose, con i suoi 28.000 uomini, la difesa della capitale. La mattina del 28 le bande fasciste vennero temporaneamente fermate a Civitavecchia, Orte, Avezzano e Segni.
Vittorio Emanuele III, che alle due del mattino aveva espresso il suo accordo con la decisione del governo, quando di prima mattina ricevette Facta con il decreto (che era già stato affisso nelle strade della capitale), anche perché influenzato dal parere negativo di Salandra e di Giolitti, si rifiutò di firmarlo.
Caduto Facta, il re propose a Mussolini un ministero con Salandra, ma il duce rifiutò sostenendo la richiesta di un governo interamente fascista. Il 29 ottobre Vittorio Emanuele cedette e chiese formalmente a Mussolini di formare il nuovo esecutivo. Quando i fascisti entrarono a Roma, era già tutto deciso. Nonostante la successiva mitizzazione della "marcia", essa fu essenzialmente una parata: le squadre fasciste, infatti, giunsero nella capitale 24 ore dopo che Mussolini aveva già ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. Lo stesso duce arrivò a Roma in vagone-letto da Milano la mattina del 30 ottobre e la sera salì al Quirinale per sottoporre al re la lista dei suoi ministri.
La marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini rappresentarono il momento culminante di un periodo di scioperi (il cosiddetto biennio rosso, 1919-20), violenza e illegalità diffusa cui le istituzioni dello Stato liberale - governi deboli e incapaci di durare a lungo - non erano riuscite a porre rimedio, e che aveva visto gli squadristi fascisti protagonisti, in contrapposizione ai socialisti, ai sindacati e alle leghe contadine.
Vissuto in forma minoritaria e marginale fino all’inizio del 1921, il fascismo si inserì nel vuoto di potere e nella crisi dello Stato liberale mediante la violenza e le spedizioni punitive delle "squadre d’azione" - spesso tollerate dalle autorità locali e in alcuni casi perfino appoggiate da esercito e polizia - contro Case del Popolo, sezioni socialiste e amministrazioni comunali rosse. Con le parole d’ordine del nazionalismo e dell’anti-socialismo, il movimento di Benito Mussolini raccolse in breve tempo il largo consenso sia di ex-combattenti, agrari a media borghesia urbana, sia dei centri di potere degli industriali e dell’alta borghesia (di qui la tesi secondo la quale l’avvento del fascismo avrebbe avuto la funzione di impedire la presa del potere da parte dei socialisti in Italia, accreditata anche dal fatto che le forze conservatrici europee inizialmente guardano con un certo favore all’ascesa di Mussolini).
Quando Mussolini andò al potere, buona parte della classe politica liberale era convinta che sarebbe durato poco. Lo stesso Giolitti, del resto, inserendo i fascisti nei Blocchi Nazionali - l’alleanza elettorale per il rinnovo del Parlamento del maggio 1921 - si era illuso di poterne sfruttare la forza contro l’esuberanza della classe operaia, per poi far rientrare gli squadristi nella legalità. Il fascismo invece si stava rapidamente costituendo come una vera e propria struttura statuale alternativa e quindi in grado di sostituirsi al modello liberale in decomposizione.


FASCISTIZZAZIONE DELL'ITALIA
Il primo governo Mussolini, al quale partecipano anche ministri liberali, ottiene il voto di fiducia di un ampio fronte parlamentare che va dalla maggioranza dei liberali al partito popolare (306 voti favorevoli e 116 contrari).
Utilizzando i poteri costituzionali, tra il 1922 e il 1925, Mussolini svolge un sistematico processo di fascistizzazione dello Stato, delle sue strutture e del suo ordinamento, gettando le basi della dittatura: rafforzamento del potere esecutivo, indebolimento delle prerogative del Parlamento, integrazione delle strutture militari e politiche fasciste nell’apparato statale, riduzione del pluralismo politico per imporre il partito unico, eliminazione delle libertà costituzionali come quelle di stampa, di associazione e di sciopero.
Nel 1922 nasce il Gran Consiglio del fascismo e l’anno seguente lo squadrismo viene istituzionalizzato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, con il doppio scopo da parte di Mussolini di potersene servire contro i nemici politici ed esercitare un controllo diretto sul braccio armato del suo stesso movimento.
Sempre nel 1923, viene approvata una nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che elimina di fatto il sistema proporzionale fissando un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi per la lista che ottiene più del 25%.
Le elezioni dell’aprile 1924 si svolgono in un clima di terrore e di violenza.
Le opposizioni sono disunite e non riescono ad offrire una alternativa valida al "listone" fascista - cui aderiscono anche la maggior parte dei liberali, escluso Giolitti - che conquista 403 seggi contro i 106 delle opposizioni. Poco dopo però il fascismo si trova a dover affrontare una gravissima crisi.
In seguito al rapimento e all’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, che all’apertura della nuova Camera aveva denunciato le illegalità e le violenze della campagna elettorale, nel paese si diffonde una ondata di proteste e indignazione. Le forze d’opposizione, dai liberali di Amendola, ai socialisti, ai comunisti, abbandonano il Parlamento e si ritirano su quello che Filippo Turati definisce "l’Aventino delle coscienze".
Restano però le differenze interne - più prudenti i liberali e i socialisti, mentre i comunisti pensano ad un vero e proprio Parlamento alternativo - e il progetto di convincere il re a liquidare Musolini e indire nuove elezioni ripristinando la proporzionale fallisce.
Il 3 gennaio 1925 Mussolini pronuncia il seguente discorso alla Camera: "Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto".
Nei giorni seguenti vengono imbavagliati i giornali di opposizione, chiusi 35 circoli politici, sciolte 25 organizzazioni definite "sovversive", serrati 150 esercizi pubblici, arrestati 111 oppositori ed eseguite 655 perquisizioni domiciliari.
Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una volta in modo selvaggio: Amendola, principale capo dell’opposizione dopo la morte di Matteotti, fù nuovamente aggredito, il 20 luglio 1925, da una squadra guidata da Carlo Scorza, futuro segretario del partito fascista, e morì nell’aprile successivo in Francia; la famiglia Rosselli subì tre "azioni punitive"; Filippo Turati e Gaetano Salvemini furono forzati a seguire in esilio Sturzo e Nitti.
Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come quella del 18 dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche alla Camera dei deputati, del resto chiusa per lunghi periodi agli oppositori, i fascisti, non permettevano praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo.
Pochi mesi dopo vengono varate le "leggi fascistissime". Approfittando dell’attentato progettato dal deputato Tito Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre 1925), Mussolini fece occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario e ne soppresse l’organo La Giustizia, s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa, sciolse centinaia di associazioni, decretò il licenziamento di migliaia di impiegati statali, tolse la cittadinanza agli esuli politici, modificò o Statuto stabilendo che al capo del governo, nominato dal re e non più soggetto alla fiducia parlamentare, venivano attribuiti poteri speciali tra cui la nomina a sua discrezione dei ministri e la decisione sugli argomenti in discussione in Parlamento. All’inizio del 1926 vengono abolite le amministrazioni locali di nomina elettiva e il sindaco viene sostituito dal podestà di nomina governativa.
E non era finita. In seguito a un altro attentato assai misterioso, che venne attribuito al giovinetto Anteo Zamboni, linciato sul posto a Bologna il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti - a eccezione, naturalmente, di quello fascista -, soppresse i giornali antifascisti, istituì la pena del confino, introdusse la pena di morte, creò la polizia segreta (OVRA) e il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, col compito di reprimere i reati politici, cioè gli oppositori del fascismo, proclamò la decadenza di 120 deputati d’opposizione accusati di aver disertato i lavori parlamentari, compresi però i comunisti che a Montecitorio erano rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione.
Tutti questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse consentita la minima discussione. Durissime condanne furono comminate agli oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma furono centinaia gli antifascisti che riempirono le carceri).
Le investigazioni e la repressione furono attuate soprattutto dagli uffici speciali di polizia che costituirono l’OVRA, la cui sigla, sempre rimasta misteriosa, fu inventata personalmente da Mussolini.
Col novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del "regime".
Comincia la fascistizzazione di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e professionali.
La soppressione di libere elezioni completa l’opera.
Il regime parlamentare, a questo punto, non esiste più, sostituito da un regime autoritario a partito unico, incentrato sull’autorità del capo del governo e basato sul terrore poliziesco.


IL DELITTO MATTEOTTI: ULTIMO DISCORSO ALLA CAMERA DEL DEPUTATO SOCIALISTA
Il discorso pronunciato da
Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 (peraltro preceduto da un coinvolgente articolo giornalistico)alla Camera dei deputati costituisce, oltre che un duro attacco ai suoi avversari politici, un esempio un piccolo gioiello di analisi storico-politica.
Nel corso del suo intervento il deputato del Partito socialista unitario accusò esplicitamente il regime fascista - che andava gradualmente estendendo la sua influenza nel paese dopo il successo elettorale dello stesso anno - di violenze, intimidazioni e frodi, sia nel corso della campagna elettorale sia durante le operazioni di voto nei seggi.
Il fascismo, nel corso del biennio 1922-24, aveva operato su un doppio binario: uno legale ed uno relativamente clandestino e illegale.
Da un lato il gabinetto Mussolini cercava l’accordo con le forze politiche di centro-destra, liberali e cattolici; dall’altro operava, grazie alla sua milizia, con interventi violenti ed intimidatori, contro gli esponenti dei partiti di opposizione.
In questo clima si giunse allo scioglimento della Camera, il 28 gennaio 1924.
Le nuove elezioni furono regolate dalla legge-Acerbo, legge elettorale che consentiva alla lista che avesse conseguito almeno il venticinque per cento dei suffragi di ottenere in Parlamento i due terzi dei seggi.
Palese era - dunque - lo scopo di rafforzare in maniera decisiva il nuovo potere fascista.
Del listone presentato dal Pnf fecero parte anche uomini politici esterni allo stesso Pnf, che confidavano di smussare le asperità del movimento capeggiato da Mussolini e di ricondurlo su un piano di normalità costituzionale.
Sull’altro fronte i partiti dell’opposizione si scontrarono circa l’opportunità di prendere parte o meno alla tornata elettorale.
Particolarmente duro fu lo scontro tra il Psu dello stesso Matteotti ed il Pcd’I di Togliatti, Gramsci, Terracini: i primi erano contrari alla partecipazione, i secondi favorevoli, per non lasciar campo libero al fascismo.
La campagna elettorale fu di una violenza inaudita, caratterizzata dagli interventi pesanti delle squadracce fasciste.
E di questo clima rovente si fece testimone Matteotti nel suo discorso che, tra l’altro, fu l’ultimo che pronunciò prima del suo assassinio, avvenuto il 10 giugno 1924.
L’intervento si svolse in un’atmosfera rissosa, caratterizzata da attacchi ad personam, a opera dei principali esponenti del Pnf, a partire da Roberto Farinacci. Matteotti proseguì comunque nel suo discorso, apostrofando, spesso con ironia, le accuse e le invettive dei fascisti.
Nel corso del suo intervento, più volte interrotto, egli chiese, in primo luogo, la non convalida delle elezioni del 6 aprile, proprio in ragione delle violenze che ne avevano caratterizzato lo svolgimento.
A tale proposito ricordò fatti di gravità eccezionale, a partire dalle minacce contro i notai che avessero autenticato le firme necessarie per la presentazione delle liste e dai sequestri, ad opera della milizia, dei fogli con le firme già autenticate. Minacce - accusava- arrivavano addirittura a coloro che avevano intenzione di candidarsi alle elezioni.
A tal riguardo Matteotti portò l’esempio dell’onorevole Piccinini, assassinato per aver accettato la candidatura.
Matteotti ricordò anche la conferenza dell’onorevole Gonzales a Genova, che fu impedita “a furia di bastonate” dagli squadristi.
Ricordò episodi dello stesso tipo verificatisi a Napoli, nel corso di un comizio di Amendola.
Proseguendo fra le frequenti interruzioni il deputato socialista ricordò che le pressioni si fecero ancor più pesanti ed evidenti anche all’interno dei seggi elettorali: i rappresentanti delle liste di opposizione erano pressoché assenti, mentre quelli del Pnf spadroneggiavano, spalleggiati dalla milizia fascista, alla quale era affidata la cura del servizio d’ordine nei seggi.
I componenti della milizia giunsero addirittura a entrare nelle cabine elettorali, mentre gli elettori votavano, condizionandone la scelta finale. Al momento dello spoglio i voti furono cambiati ed attribuiti al “listone”.
Le schede bianche furono crociate a favore dei candidati fascisti.
Solo nei centri di maggior visibilità, posti sotto un maggior controllo da parte dell’opinione pubblica, le milizie fasciste si trattennero.
Proprio in tali centri, godendo di un’insolita libertà, “le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza, con questa conseguenza però, che la violenza che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni”.
Nel Sud si fece incetta dei certificati e i destinatari, per paura di ritorsioni, non si recarono a votare.
Quindi le medesime persone, usando tali certificati, votarono anche dieci volte e “giovani di 20 anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto 60 anni”.
Pochi furono i seggi in cui tale pratica fu impedita.
IL TESTO DEL DISCORSO DI MATTEOTTI
Presidente "Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteotti. Ne ha facoltà".
Matteotti "Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni la proposta di convalida di numerosi colleghi. Nessuno certamente, degli appartenenti a questa Assemblea, all'infuori credo dei componenti la Giunta delle elezioni, saprebbe ridire l'elenco dei nomi letti per la convalida, nessuno, né della Camera né delle tribune della stampa (Vive interruzioni alla destra e al centro)".
Lupi "È passato il tempo in cui si parlava per le tribune!".
Matteotti "Certo la pubblicità è per voi un'istituzione dello stupidissimo secolo XIX. (Vivi rumori. Interruzioni alla destra e al centro) Comunque, dicevo, in questo momento non esiste da parte dell'Assemblea una conoscenza esatta dell'oggetto sul quale si delibera. Soltanto per quei pochissimi nomi che abbiamo potuto afferrare alla lettura, possiamo immaginare che essi rappresentino una parte della maggioranza. Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... (Interruzioni)".
Voci al centro "Ed anche più!".
Matteotti "... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbe darsi che i nomi letti dal Presidente sieno di quei capilista che resterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, si applicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poiché nessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazione generica di tale specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza (Rumori vivissimi). Vorrei pregare almeno i colleghi, sulla elezione dei quali oggi si giudica, di astenersi per lo meno dai rumori, se non dal voto. (Vivi commenti - Proteste - Interruzioni alla destra e al centro)".
Maraviglia "In contestazione non c'è nessuno, diversamente si asterrebbe!".
Matteotti "Noi contestiamo...".
Maraviglia "Allora contestate voi!".
Matteotti "Certo sarebbe maraviglia se contestasse lei! L'elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se... (Vivaci interruzioni a destra e al centro Movimenti dell'onorevole presidente del Consiglio)".
Voci a destra "Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra! (Applausi alla destra e al centro)".
Matteotti "Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra) Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito...".
Maraviglia "Hanno votato otto milioni di italiani!".
Matteotti "... se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. (Rumori e interruzioni a destra)".
Una voce a destra "E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?".
Farinacci "Potevate fare la rivoluzione!".
Maraviglia "Sarebbero stati due milioni di eroi!".
Matteotti "A rinforzare tale proposito dei Governo, esiste una milizia armata... (Applausi vivissimi e prolungati a destra e grida di "Viva la milizia")".
Voci a destra "Vi scotta la milizia!".
Matteotti "... esiste. una milizia armata... (Interruzioni a destra, rumori prolungati)".
Voci "Basta! Basta!".
Presidente "Onorevole Matteotti, si attenga all'argomento".
Matteotti "Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma io parlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato. (Interruzioni e rumori a destra)".
Voci a destra "E le guardie rosse?".
Matteotti "Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (Commenti) In aggiunta e in particolare... (Interruzioni), mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero... (Interruzioni, rumori)".
Farinacci "Erano i balilla!".
Matteotti "È vero, on. Farinacci, in molti luoghi hanno votato anche i balilla! (Approvazioni all'estrema sinistra, rumori a destra e al centro)".
Voce al centro "Hanno votato i disertori per voi!".
Gonzales "Spirito denaturato e rettificato!".
Matteotti "Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne (Interruzioni), gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine (Rumori). A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso. e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezione in Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali. (Interruzioni, commenti)".
Voci a destra "Perché avete paura! Perché scappate!".
Matteotti "Forse al Messico si usano fare le elezioni non con le schede, ma col coraggio di fronte alle rivoltelle (Vivi rumori. Interruzioni, approvazioni all'estrema sinistra). E chiedo scusa al Messico, se non è vero! (Rumori prolungati) I fatti cui accenno si possono riassumere secondo i diversi momenti delle elezioni. La legge elettorale chiede... (Interruzioni, rumori)".
Greco "È ora di finirla! Voi svalorizzate il Parlamento!".
Matteotti "E allora sciogliete il Parlamento".
Greco "Voi non rispettate la maggioranza e non avete diritto di essere rispettati".
Matteotti "Ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale, presentare la propria lista di candidati... (Vivi rumori)".
Maraviglia "Ma parli sulla proposta dell'onorevole Presutti".
Matteotti "Richiami dunque lei all'ordine il Presidente! La presentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei. circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza. (Rumori vivissimi)".
Bastianini "Questo lo dice lei!".
Voci dalla destra "Non è vero, non è vero".
Matteotti "Volete i singoli fatti? Eccoli: ad Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata... (Rumori)".
Maraviglia "Non è vero. Lo inventa lei in questo momento". Farinacci "Va a finire che faremo sul serio quello .che non abbiamo fatto!". Matteotti "Fareste il vostro mestiere!". Lussu "È la verità, è la verità!...".
Matteotti "A Melfi... (Rumori vivissimi - Interruzioni) a Melfi è stata impedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori). In Puglia fu bastonato perfino un notaio (Rumori vivissimi)".
Aldi-Mai "Ma questo nei ricorsi non c'è! In nessuno dei ricorsi! Ho visto gli atti delle Puglie e in nessun ricorso è accennato il fatto di cui parla l'on. Matteotti".
Farinacci "Vi faremo cambiare sistema! E dire che sono quelli che vogliono la normalizzazione!".
Matteotti "A Genova (Rumori vivissimi) i fogli con le firme già raccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati".
Voci "Perché erano falsi".
Matteotti "Se erano falsi, dovevate denunciarli ai magistrati!".
Farinacci "Perché non ha fatto i reclami alla Giunta delle elezioni?".
Matteotti "Ci sono".
Una voce dal banco delle commissioni "No, non ci sono, li inventa lei".
Presidente "La Giunta delle elezioni dovrebbe dare esempio di compostezza! I componenti della Giunta delle elezioni parleranno dopo. Onorevole Matteotti, continui".
Matteotti "Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria per nessuno in ciò che dico: c'è una descrizione di fatti".
Teruzzi "Che non esistono!".
Matteotti "Da parte degli onorevoli componenti della Giunta delle elezioni si protesta che alcuni di questi fatti non sono dedotti o documentati presso la Giunta delle elezioni. Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voi sapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopra un giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono state immediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità di confermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottenni da questa Camera l'annullamento per violenze di una prima elezione fascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delle elezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamente comunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perché avevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processo fascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi (Rumori, interruzioni)".
Voci a destra "Lo provi".
Matteotti "La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove del fatto. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costretti a portare in questa Camera l'eco di quelle proteste che altrimenti nel Paese non possono avere alcun'altra voce ed espressione. (Applausi all'estrema sinistra) In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre provincie. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite".
Una voce dal banco della giunta "Dove furono impedite?".
Matteotti "A Melfi, a Iglesias, in Puglia... devo ripetere? (Interruzioni, rumori) Presupposto essenziale di ogni elezione è che i candidati, cioè coloro che domandano al suffragio elettorale il voto, possano esporre, in contraddittorio con il programma del Governo, in pubblici comizi o anche in privati locali, le loro opinioni. In Italia, nella massima parte dei luoghi, anzi quasi da per tutto, questo non fu possibile".
Una voce "Non è vero! Parli l'onorevole Mazzoni! (Rumori)".
Matteotti "Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delle minoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi, soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioni particolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? La Camera ricorderà l'incidente occorso al collega Gonzales".
Teruzzi "Noi ci ricordiamo del 1919, quando buttavate gli ufficiali nel Naviglio. lo, per un anno, sono andato a casa con la pena di morte sulla testa!".
Matteotti "Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919".
Voci "Non è vero! non è vero!".
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno "Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi!".
Matteotti "Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero. sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)".
Finzi "Non è così!".
Matteotti "Porterò i giornali vostri che lo attestano".
Finzi "Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà".
Matteotti "L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)".
Teruzzi "È ora di finirla con queste falsità".
Matteotti "L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)".
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti "Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)".
Presidente "Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda".
Matteotti "L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...".
Voci "Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti!".
Gonzales "I fatti non sono improvvisati! (Rumori)".
Matteotti "Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! - Rumori)".
Voci da destra "Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti!".
Matteotti "Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità!".
Greco "Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti".
Matteotti "L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città ...".
Presutti "Dica bande armate, non corpi armati!".
Matteotti "Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!".
Voci di destra "Per paura! Per paura! (Rumori - Commenti)".
Farinacci "Vi abbiamo invitati telegraficamente!".
Matteotti "Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)".
Voci da destra "L'avete studiato bene!".
Pedrazzi "Come siete pratici di queste cose, voi!".
Presidente "Onorevole Pedrazzi!".
Matteotti "Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni!".
Voci a destra "Avevano paura!".
Turati Filippo "Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)".
Una voce "Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato".
Turati Filippo "Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)".
Presidente "Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti!".
Matteotti "Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! (Approvazioni a sinistra - Rumori prolungati)".
Presidente "Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...".
Matteotti "Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)".
Casertano presidente della Giunta delle elezioni "Chiedo di parlare".
Presidente "Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta".
Matteotti "Onorevole Presidente!...".
Presidente "Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente".
Matteotti "Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!".
Presidente "Parli, parli".
Matteotti "I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)".
Presidente "Facciano silenzio! Lascino parlare!".
Matteotti "Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)".
Una voce "Erano disoccupati!".
Matteotti "No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate".
Voci da destra "E quando li boicottate voi?".
Farinacci "Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco!".
Matteotti "Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)".
Voci "E Berta? Berta!".
Matteotti "... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe - stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati - voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo - e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere - fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza - con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni... (Vivissimi rumori al centro e a destra)".
Una voce a destra "Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti!".
Matteotti "Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente".
Finzi "Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato!".
Matteotti "Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato".
Finzi "Lo provi".
Matteotti "In queste regioni tutti gli elettori...".
Ciarlantini "Lei ha un trattato, perché non lo pubblica?".
Matteotti "Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. (Rumori)".
Voci "No! No!".
Matteotti "Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)".
Suardo "L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori - Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)".
Teruzzi "L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti. (Rumori all'estrema sinistra)".
Presidente "Facciano silenzio!
Onorevole Matteotti, concluda!".
Matteotti "lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo".
Torre Edoardo "Basta, la finisca! (Rumori, commenti) . Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti - Rumori)".
Voci "Vada in Russia!".
Presidente "Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!".
Matteotti "Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori) ... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza".
Voci alla destra "Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)".
Matteotti "[...] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra - Vivi rumori)".

L'articolo su "Macchiavelli, Mussolini ed il Fascismo"
Trascrizione della parte più significativa dell’articolo pubblicato da Giacomo Matteotti sulla rivista “English life” nella versione tradotta dalla Questura e inserta nel V volume del processo conservato nell’ASR: Macchiavelli, Mussolini ed il Fascismo di Giacomo Matteotti Segretario politico del Partito Socialista Italiano Questo articolo è una risposta all’articolo del signor Mussolini pubblicato nel numero di giugno dall’English Life.
Dopo che questo articolo fu scritto, il signor Matteotti fu rapito da alcuni fascisti né si sa ancora quale sorte gli sia toccata. [….] Peggiore ancora è l’azione del Ministero dell’Economia Nazionale nella sua trattativa con la Sinclair.
Il senatore Corbino, ministro dell’Economia Nazionale, ha consegnato alla Sinclair, connessa alla polipiforme Standard Oil Company, vaste regioni dell’Emilia e della Sicilia contenenti oltre 100.000 ettari di ricchi depositi di petrolio.
L’immenso e ricco territorio viene consegnato ad una società straniera senza alcuna garanzia.
La strabiliante natura di questa concessione è illustrata dal IX paragrafo del comunicato ufficiale del Governo: “La concessione abbraccia la produzione del petrolio, gas e rispettivi prodotti idrocarbonati, mentre lo sfruttamento del bitume è riservato alle imprese italiane.
La concessione ha la durata di 50 anni. I privilegi fiscali accordati alla compagnia sono i seguenti: (a) Esenzione dei dazi di importazione del macchinario occorrente alla compagnia qualora detto macchinario non potesse essere costruito od ottenibile da ditte italiane. In ogni caso la preferenza per la fornitura del macchinario è riservata all’Italia. (b) Esenzione dalla tassa di ricchezza mobile per i primi 10 anni”.
Noi siamo già a conoscenza di molte gravi irregolarità che infirmano questa concessione.
Alti funzionari potrebbero essere responsabili di corruzione e della più sfacciata jobbery.
Di gran lunga più sinistra è la condotta di molti alti personaggi fascisti i quali conducono una formidabile campagna nei riguardi di imprese pubbliche e semi pubbliche a mezzo della stampa fascista ed alla organizzazione intesa ai propri interessi e profitti.
Quando Mussolini sul suo articolo su Machiavelli afferma che “vi è una piccola giustificazione anche per un governo rappresentativo” egli esamini il sistema da lui creato e vedrà che nelle sue parti è un oltraggio alla moralità. […..]


DISCORSO DI MUSSOLINI SUL DELITTO MATTEOTTI
Roma, Camera dei Deputati 3 gennaio 1925
Signori!
Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere, a rigor di termini, classificato come un discorso parlamentare.
Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si riallaccia, sia pure attraverso il varco del tempo trascorso, a quello che io pronunciai in questa stessa Aula il 16 novembre.
Un discorso di siffatto genere può condurre, ma può anche non condurre ad un voto politico.
Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi.
L'articolo 47 dello Statuto dice:
"La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all'Alta corte di giustizia".
Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c'è qualcuno che si voglia valere dell'articolo 47.
Il mio discorso sarà quindi chiarissimo e tale da determinare una chiarificazione assoluta.
Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio, ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell'avvenire.
Sono io, o signori, che levo in quest'Aula l'accusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka. Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo! Veramente c'è stata una Ceka in Russia, che ha giustiziato senza processo, dalle centocinquanta alle centosessantamila persone, secondo statistiche quasi ufficiali. C'è stata una Ceka in Russia, che ha esercitato il terrore sistematicamente su tutta la classe borghese e sui membri singoli della borghesia. Una Ceka, che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione.
Ma la Ceka italiana non è mai esistita.
Nessuno mi ha negato fino ad oggi queste tre qualità: una discreta intelligenza, molto coraggio e un sovrano disprezzo del vile denaro.
Se io avessi fondato una Ceka, l'avrei fondata seguendo i criteri che ho sempre posto a presidio di quella violenza che non può essere espulsa dalla storia. Ho sempre detto, e qui lo ricordano quelli che mi hanno seguito in questi cinque anni di dura battaglia, che la violenza, per essere risolutiva, deve essere chirurgica, intelligente, cavalleresca.
Ora i gesti di questa sedicente Ceka sono stati sempre inintelligenti, incomposti, stupidi.
Ma potete proprio pensare che nel giorno successivo a quello del Santo Natale, giorno nel quale tutti gli spiriti sono portati alle immagini pietose e buone, io potessi ordinare un'aggressione alle l0 del mattino in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso di Monterotondo, che è stato f orse il discorso più pacificatore che io abbia pronunziato in due anni di Governo? Risparmiatemi di pensarmi così cretino. E avrei ordito con la stessa intelligenza le aggressioni minori di Misuri e di Forni? Voi ricordate certamente il discorso del I° giugno. Vi è forse facile ritornare a quella settimana di accese passioni politiche, quando in questa Aula la minoranza e la maggioranza si scontravano quotidianamente, tantochè qualcuno disperava di riuscire a stabilire i termini necessari di una convivenza politica e civile fra le due opposte parti della Camera.
Discorsi irritanti da una parte e dall'altra. Finalmente, il 6 giugno, l'onorevole Delcroix squarciò, col suo discorso lirico, pieno di vita e forte di passione, l'atmosfera carica, temporalesca.
All'indomani, io pronuncio un discorso che rischiara totalmente l'atmosfera. Dico alle opposizioni: riconosco il vostro diritto ideale ed anche il vostro diritto contingente; voi potete sorpassare il fascismo come esperienza storica; voi potete mettere sul terreno della critica immediata tutti i provvedimenti del Governo fascista.
Ricordo e ho ancora ai miei occhi la visione di questa parte della Camera, dove tutti intenti sentivano che in quel momento avevo detto profonde parole di vita e avevo stabilito i termini di quella necessaria convivenza senza la quale non è possibile assemblea politica di sorta.
E come potevo, dopo un successo, e lasciatemelo dire senza falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo così clamoroso, che tutta la Camera ha ammesso, comprese le opposizioni, per cui la Camera si aperse il mercoledì successivo in un'atmosfera idilliaca, da salotto quasi, come potevo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, non dico solo di far commettere un delitto, ma nemmeno il più tenue, il più ridicolo sfregio a quell'avversario che io stimavo perché aveva una certa crarerie, un certo coraggio, che rassomigliavano qualche volta al mio coraggio e alla mia ostinatezza nel sostenere le tesi?
Che cosa dovevo fare? Dei cervellini di grillo pretendevano da me in quella occasione gesti di cinismo, che io non sentivo di fare perché repugnavano al profondo della mia coscienza. Oppure dei gesti di forza? Di quale forza? Contro chi? Per quale scopo? Quando io penso a questi signori, mi ricordo degli strateghi che durante la guerra, mentre noi mangiavamo in trincea, facevano la strategia con gli spillini sulla carta geografica. Ma quando poi si tratta di casi al concreto, al posto di comando e di responsabilità si vedono le cose sotto un altro raggio e sotto un aspetto diverso. Eppure non mi erano mancate occasioni di dare prova della mia energia. Non sono ancora stato inferiore agli eventi. Ho liquidato in dodici ore una rivolta di Guardie regie, ho liquidato in pochi giorni una insidiosa sedizione, in quarantott'ore ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corfù.
Questi gesti di energia, e quest'ultimo, che stupiva persino uno dei più grandi generali di una nazione amica, stanno a dimostrare che non è l'energia che fa difetto al mio spirito.
Pena di morte? Ma qui si scherza, signori. Prima di tutto, bisognerà introdurla nel Codice penale, la pena di morte; e poi, comunque, la pena di morte non può essere la rappresaglia di un Governo. Deve essere applicata dopo un giudizio regolare, anzi regolarissimo, quando si tratta della vita di un cittadino!
Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vita, che io dissi: "voglio che ci sia la pace per il popolo italiano"; e volevo stabilire la normalità della vita politica.
Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto, con la secessione dell'Aventino, secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria. Poi con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C'era veramente un accesso di necrofilia! Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva. E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna.
E intanto c'è un risultato di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare l'ucciso e spara su uno dei nostri migliori, che morì povero. Aveva sessanta lire in tasca.
Tuttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazione e di normalità. Reprimo l' illegalismo.
Non è menzogna. Non è menzogna il fatto che nelle carceri ci sono ancor oggi centinaia di fascisti! Non è menzogna il fatto che si sia riaperto il Parlamento regolarmente alla data fissata e si siano discussi non meno regolarmente tutti i bilanci, non è menzogna il giuramento della Milizia, e non è menzogna la nomina di generali per tutti i comandi di Zona.
Finalmente viene dinanzi a noi una questione che ci appassionava: la domanda di autorizzazione a procedere con le conseguenti dimissioni dell'onorevole Giunta. La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta; pure, dopo quarantott'ore, io piego ancora una volta, giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente, piego questa Assemblea riottosa e riluttante e dico: siano accettate le dimissioni. Si accettano. Non basta ancora; compio un ultimo gesto normalizzatore: il progetto della riforma elettorale.
A tutto questo, come si risponde? Si. risponde con una accentuazione della campagna. Si dice: il fascismo è un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale, e noi conosciamo la triste storia delle questioni morali in Italia.
Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.
Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi. In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandavano: c'è un Governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo?
Io ho voluto deliberatamente che le cose giungessero a quel determinato punto estremo, e, ricco della mia esperienza di vita, in questi sei mesi ho saggiato il Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna battere con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la tangente.
Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi della nazione. Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere! Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!
Ed era colma perché? Perché la spedizione dell'Aventino ha sfondo repubblicano! Questa sedizione dell' Aventino ha avuto delle conseguenze perché oggi in Italia, chi è fascista, rischia ancora la vita! E nei soli due mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti uccisi, uno dei quali ha avuto la testa spiaccicata fino ad essere ridotta un'ostia sanguinosa, e un altro, un vecchio di settantatre anni, è stato ucciso e gettato da un muraglione.
Poi tre incendi si sono avuti in un mese, incendi misteriosi, incendi nelle Ferrovie e negli stessi magazzini a Roma, a Parma e a Firenze.
Poi un risveglio sovversivo su tutta la linea, che vi documento, perché è necessario di documentare, attraverso i giornali, i giornali di ieri e di oggi: un caposquadra della Milizia ferito gravemente da sovversivi a Genzano; un tentativo di assalto alla sede del Fascio a Tarquinia; un fascista ferito da sovversivi a Verona; un milite della Milizia ferito in provincia di Cremona; fascisti feriti da sovversivi a Forlì; imboscata comunista a San Giorgio di Pesaro; sovversivi che cantano Bandiera rossa e aggrediscono i fascisti a Monzambano.
Nei soli tre giorni di questo gennaio l925, e in una sola zona, sono avvenuti incidenti a Mestre, Pionca, Vallombra: cinquanta sovversivi armati di fucili scorrazzano in paese cantando Bandiera rossa e fanno esplodere petardi; a Venezia, il milite Pascai Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso, un altro fascista è ferito; a Crespano, la caserma dei carabinieri invasa da una ventina di donne scalmanate; un capomanipolo aggredito e gettato in acqua a Favara di Venezia; fascisti aggrediti da sovversivi a Mestre; a Padova, altri fascisti aggrediti da sovversivi.
Richiamo su ciò la vostra attenzione, perché questo è un sintomo: il diretto l92 preso a sassate da sovversivi con rotture di vetri; a Moduno di Livenza, un capomanipolo assalito e percosso.
Voi vedete da questa situazione che la sedizione, dell'Aventino ha avuto profonde ripercussioni in tutto il paese. Allora viene il momento in cui si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza.
Non c'è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai.
Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono in piena efficienza.
Signori!
Vi siete fatte delle illusioni! Voi avete creduto che il fascismo fosse finito perché io lo comprimevo, che fosse morto perché io lo castigavo e poi avevo anche la crudeltà di dirlo. Ma se io mettessi la centesima parte dell'energia che ho messo a comprimerlo, a scatenarlo, voi vedreste allora.
Non ci sarà bisogno di questo, perché il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell'Aventino. L'Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa.
Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario.
Voi state certi che nelle quarantott'ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l'area. Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria.


ORDINAMENTO DEL PARTITO FASCISTA
Il Partito Nazionale Fascista è costituito, su base nazionale, da due organi centrali:
Il Direttorio nazionale e il Consiglio Nazionale
IL DIRETTORIO NAZIONALE
Presieduto dal Segretario del Partito e costituito da tre vice Segretari, un Segretario amministrativo e da otto componenti, nominati e revocati dal Duce, su proposta del Segretario del P.N.F.
IL CONSIGLIO NAZIONALE
Presieduto dal Segretario del Partito, è costituito dal Direttorio Nazionale, dagli Ispettori del P.N.F., dai Segretari federali.
L’ordinamento sul territorio
Il Partito Nazionale Fascista è costituito dai Fasci di combattimento, i quali sono inquadrati in Federazioni di Fasci di combattimento nelle Province del Regno, nei Governi dell’Impero, nelle Province della Libia e nel possedimento delle Isole Egee. A capo di ciascuna Federazione di Fasci di combattimento è un Segretario federale. LE FEDERAZIONI
Il Segretario Federale, nominato direttamente dal Duce su proposta del Segretario del P.N.F., attua le direttive ed eseguisce gli ordini del Segretario del P.N.F., promuove e controlla l’attività dei Fasci di combattimento e delle Associazioni dipendenti dal Partito, controlla le organizzazioni del Regime e il conferimento ai Fascisti delle cariche e degli incarichi nell’ambito della provincia. Mantiene inoltre i collegamenti con gli organi periferici dello Stato e con i rappresentanti provinciali degli Enti pubblici, è Comandante federale della G.I.L., Segretario del Fascio di combattimento del capoluogo, Presidente del Dopolavoro provinciale e del Comitato provinciale dell’Ente radio rurale; fa parte del Comitato di presidenza del Consiglio provinciale delle Corporazioni e del Comitato dell’Opera universitaria nelle città sedi di università. Convoca e presiede il Direttorio federale, i rapporti dei gerarchi della provincia, dei Fascisti e degli iscritti alle Associazioni dipendenti dal P.N.F. nella provincia, dirige i corsi di preparazione politica per i giovani, propone al Segretario del P.N.F. la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio federale fra i quali designa il vice Segretario federale e il Segretario federale amministrativo, dei gerarchi provinciali delle organizzazioni del P.N.F. e delle Associazioni dipendenti. Nomina e revoca gli Ispettori federali, i Segretari politici dei Fasci di combattimento della provincia e i componenti dei relativi direttori, i Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti e i componenti delle relative Consulte, i Capi settore e i Capi nucleo, ha facoltà di sciogliere i Direttori e le Consulte e di procedere alla nomina di commissari incaricati di reggere in via temporanea i Fasci di combattimento e i Gruppi rionali fascisti, promuove e regola l’attività sportiva delle organizzazioni competenti in relazione alle direttive segnate dal C.O.N.I., rappresenta il P.N.F. nella provincia a tutti gli effetti e sono perciò a lui subordinati i gerarchi provinciali delle Associazioni e degli Enti che dal Partito dipendono.
In ogni Federazione dei Fasci di combattimento è costituito il Direttorio della Federazione, che esegue funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Segretario federale.
Componenti il Direttorio Federale sono :
v Il vice Segretario federale;
v Il Segretario federale amministrativo;
v Il Segretario del Gruppo dei Fascisti universitari;
v Il vice Comandante federale della G.I.L. per i Giovani Fascisti;
v Il vice Comandante federale della G.I.L. per gli Avanguardisti e i Balilla.
IL FASCIO DI COMBATTIMENTO
Il Fascio di combattimento è retto dal Segretario politico, assistito da un direttorio.
Il Segretario politico del Fascio di combattimento attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario federale, promuove e controlla l’attività delle Associazioni del Partito e del regime e il conferimento ai Fascisti di cariche ed incarichi nell’ambito del proprio territorio, mantiene il collegamento con gli organi statali e con gli Enti pubblici locali, propone al Segretario federale la nomina e la revoca dei componenti il Direttorio del Fascio di combattimento fra i quali designa il vice Segretario e il Segretario amministrativo, dei Fiduciari dei Gruppi rionali fascisti, dei componenti le relative Consulte, dei Capi settore e dei Capi nucleo, convoca e presiede il Direttorio del Fascio di combattimento e i rapporti dei Fascisti, propone al Segretario federale l’istituzione dei Gruppi rionali fascisti e ha facoltà di costituire e sciogliere settori e nuclei, designa i suoi rappresentanti presso il Comitato dell’Ente comunale di assistenza.
v Il Direttorio del Fascio di combattimento è costituito da:
v Il vice Segretario politico
v Il Segretario amministrativo
v Il Vice comandante locale della G.I.L. (ove sia nominato)
v I Comandanti dei Giovani Fascisti e degli Avanguardisti e Balilla
Il Direttorio del Fascio di combattimento dei capoluoghi di provincia è costituito da un vice Segretario politico e da sette membri.
I GRUPPI RIONALI FASCISTI
I Gruppi rionali fascisti sono sezioni del Fascio di combattimento nei centri con popolazione numerosa.
Il Gruppo rionale fascista è retto dal Fiduciario, alla dipendenza del Segretario del Fascio di combattimento.
Il Fiduciario del Gruppo rionale fascista è assistito da una Consulta di cinque membri, attua le direttive ed esegue gli ordini del Segretario del Fascio di combattimento al quale Segretario designa un vice Fiduciario e un consultore amministrativo, scelti fra i componenti della Consulta del Gruppo.
La Consulta del Gruppo è costituita dal vice Fiduciario, dal consultore amministrativo e da quattro componenti, essa esercita funzioni consultive ed esecutive sulle direttive del Fiduciario.
Il Gruppo rionale fascista è diviso in settori, i settori in nuclei.
Cariche Onorifiche
Per gli iscritti al Partito vi erano previste alcune cariche onorifiche che erano ratificate dopo un attento esame da parte di apposite commissioni in seno alle Federazioni dei Fasci o alla Segreteria nazionale.
Sostanzialmente le onorificenze attribuite ai Fascisti erano tre: Sanselpocristi, Squadristi e Fascio Littorio.
SANSEPOLCRISTI: I Sansepolcristi avevano, come segno distintivo sull'uniforme del Partito, uno scudetto ricamato in oro su panno nero. Lo scudetto, di dimensioni 7x5,5 cm., era portato all'avambraccio sinistro.
SQUADRISTI “ Spetta la qualifica di squadrista al fascista che, per essere stato iscritto nei Fasci italiani di Combattimento e nel Partito Nazionale Fascista prima della Marcia su Roma e per aver fatto parte delle Squadre d’Azione nel periodo 23 marzo 1919 - 28 ottobre 1922, ne abbia ottenuto il riconoscimento”.
COMPOSIZIONE GRADI
I gradi all’interno del partito, sono stati modificati per tre volte, fino al 1945.
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1931 AL 1934
I gradi venivano portati nel centro della giubba, erano costituiti da stellette ricamate a una due o tre stelle in base alla carica rivestita nel Partito, con fondo nero.
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1934 AL 1938
Il Distintivo di grado, è sostituito in uno a forma di scudetto, con controspalline nere.
.SEGRETARIO DEL P.N.F.MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE ISPETTORE CONTROSPALLINE
COMPOSIZIONE GRADI DAL 1938 AL 1943
I distintivi di grado rimangono a forma di scudetto ma viene aggiunta, anche l'aquila sul berretto, dal cordone portato sulla spalla e dalle controspalline che cambiano totalmente. SEGRETARIO DEL P.N.F., MINISTRO, SOTTOSEGRETARIO DIRETTORIO NAZIONALE,ISPETTORE FREGIO BERRETTO CONTROSPALLINE


ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE
Il Tribunale speciale fascista fu istituito nel 1926, con la legge n.2008 [26 novembre], recante "Provvedimenti per la Difesa dello Stato". Esso reintroduceva la pena di morte per gli attentati contro la persona del Re e del capo del fascismo e puniva con sanzioni severissime ogni attività politica contraria al regime. Tutti i partiti politici erano già stati sciolti e messi fuori legge. Tale attività dunque, era bollata come "sovversiva". Altra specialità di quel tribunale consisteva nel fatto che il collegio giudicante non era costituito da magistrati, ma da ufficiali della milizia fascitsa, i quali si esibivano in divisa e in camicia nera. Ciò non lasciava adito ad alcun dubbio sulla loro imparzialità. Per il modo stesso della sua origine e della sua costituzione, era un tribunale per il quale non valeva la norma generale che "la legge è uguale per tutti". Qui, all'origine, la legge doveva essere "disuguale". In sostanza, era una banda, più o meno gallonata, di ausiliari della polizia politica; fra di essi non mancarono gli squadristi e funzionò per quasi diciassette anni, dalla sua istituzione fino al 23 luglio 1943: l'ultima sentenza emanata porta questa data. Due giorni dopo, il 25 luglio, cadeva Mussolini. A questo punto "i giudici" si squagliarono; più tardi, dopo la liberazione, si mimetizzarono fra le pieghe della giovane e inesperta democrazia. Nessuno fu perseguito. Tutti poterono usufruire indisturbati di copiose pensioni. Infatti non poco avevano lavorato. Se si tiene conto che, già prima della istituzione del Tribunale speciale e fino al 25 luglio 1943, in ogni provincia funzionavano le Commissioni per l'invio al confino dei presunti "sovversivi", e che si è calcolato che coloro che furono deportati o nelle isole o in piccoli comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, dove erano sottoposti alla libertà vigilata, furono oltre 10.000, si può ritenere che le persone che la polizia politica considerò ostili al regime, pericolose per esso e, quindi, soggette a diverse misure di sicurezza e repressione, furono più di 16.000. Naturalmente, diversi erano anche i livelli di attività o di organizzazione di costoro. Fra essi la stragrande maggioranza era costituita da operai e contadini. Politicamente soverchiante [oltre l'80 per cento] fu la partecipazione comunista. LA FORMAZIONE DEI QUADRI ANTIFASCISTI IN CARCERE
Esiste ormai un'ampia documentazione, anche se non ancora sistematica ed esauriente, circa le condizioni del regime carcerario cui erano sottoposti i detenuti politici. Giova ricordare che il Regolamento degli istituti di prevenzione e di pena [1931] non fa parola dei "detenuti politici". Ufficialmente, per il regime fascista, questi "non esistevano". Nella realtà, in tutte le più importanti case penali vi erano "sezioni politiche". I detenuti politici erano ristretti in locali separati rispetto ai delinquenti comuni.
Il trattamento cui i politici erano soggetti era modellato su un regolamento cui ho già accennato e questo era francamente punitivo. Ma la situazione reale era diversa da carcere a carcere. Vi erano carceri notoriamente duri e carceri meno duri. Decisiva era la qualità del personale di custodia dal direttore all'ultimo secondino. Dove erano funzionari e graduati dichiaratamente fascisti, il regime diventava persecutorio. Io ho fatto l'esperienza del carcere di Civitavecchia, che era allora considerato il più duro, fra il 1940 e il 1943. Erano anni di guerra, tristissimi per il paese e questa circostanza si ripercuoteva entro il carcere attraverso i funzionari e agenti fascisti: per costoro noi, condannati come antifascisti, specialmente se comunisti, eravamo il "nemico", contro il quale essi conducevano una loro guerra particolare. Io ho descritto, servendomi di un documento indiscutibile, forse unico, del quale ero venuto in possesso molti anni fa in circostanze singolari, caratteristiche ed episodi di quella guerra. In carcere in quegli anni, la lotta antifascista continuava in forme assai aspre. Quella fu la scuola nella quale si formarono alcune migliaia di quadri che più tardi costituirono l'ossatura delle formazioni armate partigiane. Insieme a Vittorio Foa e Carlo Ginzburg ho pubblicato il documento cui ho accennato qui sopra: è il Registro delle punizioni che venivano inflitte ai detenuti politici nella casa penale di Civitavecchia fra il 1941 e il 1943. Questo documento, se non ne esistessero altri, basterebbe a qualificare la sostanza repressiva e reazionaria del fascismo.
I CONDANNATI (di Elena Paciotti)
Furono 4596 i condannati del Tribunale speciale, molti dai nomi oscuri, operai, artigiani, originari di diverse regioni del nostro Paese che con il loro coraggioso comportamento davanti agli arroganti militari che usurpavano il titolo di giudici hanno riscattato il titolo d'Italia, allora compromesso dalla sua classe dirigente, dall'indifferenza dei più.
Ma non furono soltanto oscuri militanti di una fede coraggiosamente proclamata a subire feroci condanne e odiosi maltrattamenti. Furono fra di loro i più bei nomi dell'antifascismo italiano, destinati per fortuna in gran parte a vedere il crollo della dittatura e l'affermarsi della democrazia. Voi tutti li conoscete bene, ma per me è stata un'emozione leggere, nel volume pubblicato a cura dell'Anppia: Aula IV. Tutti i processi del Tribunale speciale fascista, i nomi di condannati oggi ancora illustri. Ho letto che già a un anno solo dall'inizio dell'attività del Tribunale speciale, nel '28, fu condannato, a cinque anni e sei mesi di carcere per propaganda comunista, Velio Spano; e nel cosiddetto processone ai membri del Comitato centrale del Pcd'I furono condannati a ventidue anni e nove mesi Umberto Terracini; a vent'anni e quattro mesi Antonio Gramsci e Mauro Scoccimarro; e nello stesso anno anche Giancarlo Pajetta, subì, ad appena diciassette anni, la sua prima condanna a due anni di carcere, (altra ben più dura a ventun'anni seguì poi); e nell'anno seguente tocca a Sandro Pertini essere condannato per attività sovversiva a dieci anni e nove mesi; e nel 1930, l'anno delle quattro condanne a morte mediante fucilazione degli irredentisti triestini e delle due condanne all'impiccagione di resistenti libici, è la volta di Camilla Ravera, condannata a quindici anni e sei mesi per costituzione del partito comunista, di Manlio Rossi Doria, di Emilio Sereni, condannati a quindici anni per lo stesso delitto. Nel 1931 la produttività del Tribunale speciale è impressionante: sono ben 519 i condannati per complessivi 2061 anni di carcere, oltre a una condanna a morte, quella dell'anarchico Schirru, reo di aver avuto l'intenzione di uccidere Mussolini. Fra i condannati a vent'anni di reclusione per attentato all'ordine costituzionale troviamo Riccardo Bauer, Ernesto Rossi.
Nel '32 il Tribunale speciale pronuncia la condanna a morte di Domenico Bovone, un industriale torinese accusato di attentati dinamitardi, e dell'anarchico Angelo Sbardellotto, reo anch'egli di aver avuto l'intenzione di uccidere Mussolini. Nello stesso anno Pietro Secchia viene condannato a diciassette anni e nove mesi di carcere, anch'egli per costituzione del partito comunista. E si potrebbe continuare a lungo, ricordando la condanna, nel '34, di Leone Ginsburg, nel '36 di Vittorio Foa, Michele Giua, Massimo Mila, nel '37 di Aligi Sassu e poi dal '41, fino alla soppressione del Tribunale speciale, riprendono le condanne a morte a carico soprattutto di partigiani della Venezia Giulia.
I NUMERI DEL TRIBUNALE SPECIALE
Dalla sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la caduta del regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello stato processò 5.619 imputati - condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27. 735, 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli ergastoli. 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i contadini, 221 liberi professionisti.


IL MANIFESTO DELLA RAZZA
Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fscisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egidia del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista. (Da "La difesa della razza", direttore Telesio Interlandi, anno I, numero1, 5 agosto 1938, p. 2).
Le razze umane esistono . La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esitono razze umane differenti.
Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempe rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.


LE LEGGI RAZZIALI
DECRETO-LEGGE 17 novembre 1938-XVII, n.1728
Provvedimenti per la difesa della razza italiana
VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA IMPERATORE D'ETIOPIA
Ritenuta
la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del DUCE, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro per l'interno, di concerto coi Ministri per gli affari esteri, per la grazia e giustizia, per le finanze e per le corporazioni;
Abbiamo decretato e decretiamo:
CAPO I
Provvedimenti relativi ai matrimoni
Art. 1. Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito. Il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto è nullo.
Art. 2. Fermo il divieto di cui all'art. 1, il matrimonio del cittadino italiano con persona di nazionalità straniera è subordinato al preventivo consenso del Ministero per l'interno. I trasgressori sono puniti con l'arresto fino a tre mesi e con l'ammenda fino a lire diecimila.
Art. 3. Fermo il divieto di cui all'art. 1, i dipendenti delle Amministrazioni civili e militari dello Stato, delle Organizzazioni del Partito Nazionale Fascista o da esso controllate, delle Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, degli Enti parastatali e delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali non possono contrarre matrimonio con persone di nazionalità straniera. Salva l'applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, delle sanzioni previste dall'art. 2, la trasgressione del predetto divieto importa la perdita dell'impiego e del grado.
Art. 4. Ai fini dell'applicazione degli articoli 2 e 3, gli italiani non regnicoli non sono considerati stranieri.
Art. 5. L'ufficiale dello stato civile, richiesto di pubblicazioni di matrimonio, è obbligato ad accertare, indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti, la razza e lo stato di cittadinanza di entrambi i richiedenti. Nel caso previsto dall'art. 1, non procederà nè alle pubblicazioni nè alla celebrazione del matrimonio. L'ufficiale dello stato civile che trasgredisce al disposto del presente articolo è punito con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Art. 6. Non può produrre effetti civili e non deve, quindi, essere trascritto nei registri dello stato civile, a norma dell'art.5 della legge 27 maggio 1929-VII, n. 847, il matrimonio celebrato in violazione dell'art.1. Al ministro del culto, davanti al quale sia celebrato tale matrimonio, è vietato l'adempimento di quanto disposto dal primo comma dell'art.8 della predetta legge. I trasgressori sono puniti con l'ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
Art. 7. L'ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla trascrizione degli atti relativi a matrimoni celebrati senza l'osservanza del disposto dell'art. 2 è tenuto a farne immediata denunzia all'autorità competente.
CAPO II Degli appartenenti alla razza ebraica
Art. 8. Agli effetti di legge:
a) è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica;
b) è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l'altro di nazionalità straniera;
c) è considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre;
d) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1í ottobre 1938-XVI, apparteneva a religioni diversa da quella ebraica.
Art. 9. L'appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei registri dello stato civile e della popolazione. Tutti gli estratti dei predetti registri ed i certificati relativi, che riguardano appartenenti alla razza ebraica, devono fare espressa menzione di tale annotazione.Uguale menzione deve farsi negli atti relativi a concessione o autorizzazioni della pubblica autorità. I contravventori alle disposizioni del presente articolo sono puniti con l'ammenda fino a lire duemila.
Art. 10. I cittadini italiani di razza ebraica non possono: a) prestare servizio militare in pace e in guerra;
b) esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica
c) essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione, ai sensi e con le norme dell'art. 1 R. decreto-legge 18 novembre 1929-VIII, n. 2488, e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, nè avere di dette aziende la direzione nè assumervi comunque, l'ufficio di amministrazione o di sindaco; d) essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila;
e) essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila. Per i fabbricati per i quali non esista l'imponibile, esso sarà stabilito sulla base degli accertamenti eseguiti ai fini dell'applicazione dell'imposta straordinaria sulla proprietà immobiliare di cui al R. decreto-legge 5 ottobre 1936-XIV, n. 1743. Con decreto Reale, su proposta del Ministro per le finanze, di concerto coi Ministri per l'interno, per la grazia e giustizia, per le corporazioni e per gli scambi e valute, saranno emanate le norme per l'attuazione delle disposizioni di cui alle lettere c), d), e).
Art. 11. Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengono a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali.
Art. 12. Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana. I trasgressori sono puniti con l'ammenda da lire mille a lire cinquemila. Art. 13. Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica:
a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato; b) il Partito Nazionale Fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate;
c) le Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli Enti, Istituti ed Aziende, comprese quelle dei trasporti in gestione diretta, amministrate o mantenute col concorso delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o dei loro Consorzi;
d) le Amministrazioni delle aziende municipalizzate;
e) le Amministrazioni degli Enti parastatali, comunque costituiti e denominati, delle Opere nazionali, delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali e, in genere, di tutti gli Enti ed Istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo;
f) le Amministrazioni delle aziende annesse o direttamente dipendenti dagli Enti di cui alla precedente lettera e) o che attingono ad essi, in modo prevalente, i mezzi necessari per il raggiungimento dei propri fini, nonché delle società, il cui capitale sia costituito, almeno per metà del suo importo, con la partecipazione dello Stato;
g) le Amministrazioni delle banche di interesse nazionale;
h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.
Art. 14. Il Ministro per l'interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni dell'art 10, nonché dell'art. 13, lett. h):
a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista;
b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni:
mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola;
combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra;
mutilati, invalidi, feriti della causa fascista;
iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924;
legionari fiumani;
abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell'art.16.
Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte. Gli interessati possono richiedere l'annotazione del provvedimento del Ministro per l'interno nei registri di stato civile e di popolazione. Il provvedimento del Ministro per l'interno non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.
Art. 15. Ai fini dell'applicazione dell'art. 14, sono considerati componenti della famiglia, oltre il coniuge, gli ascendenti e i discendenti fino al secondo grado.
Art. 16. Per la valutazione delle speciali benemerenze di cui all'art. 14 lett. b), n. 6, è istituita, presso il Ministero dell'interno, una Commissione composta del Sottosegretario di Stato all'interno, che la presiede, di un Vice Segretario del Partito Nazionale Fascista e del Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.
Art. 17. è vietato agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo.
CAPO III Disposizioni transitorie e finali
Art. 18. Per il periodo di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è data facoltà al Ministro per l'interno, sentita l'Amministrazione interessata, di dispensare, in casi speciali, dal divieto di cui all'art. 3, gli impiegati che intendono contrarre matrimonio con persona straniera di razza ariana.
Art. 19. Ai fini dell'applicazione dell'art. 9, tutti coloro che si trovano nelle condizioni di cui all'art.8, devono farne denunzia all'ufficio di stato civile del Comune di residenza, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Coloro che non adempiono a tale obbligo entro il termine prescritto o forniscono dati inesatti o incompleti sono puniti con l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda fino a lire tremila.
Art. 20. I dipendenti degli Enti indicati nell'art.13, che appartengono alla razza ebraica, saranno dispensati dal servizio nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 21. I dipendenti dello Stato in pianta stabile, dispensati dal servizio a norma dell'art.20, sono ammessi a far valere il diritto al trattamento di quiescenza loro spettante a termini di legge. In deroga alle vigenti disposizioni, a coloro che non hanno maturato il periodo di tempo prescritto è concesso il trattamento minimo di pensione se hanno compiuto almeno dieci anni di servizio; negli altri casi è concessa una indennità pari a tanti dodicesimi dell'ultimo stipendio quanti sono gli anni di servizio compiuti.
Art. 22. Le disposizioni di cui all'art.21 sono estese, in quanto applicabili, agli Enti indicati alle lettere b),c),d),e),f),g),h), dell'art.13. Gli Enti, nei cui confronti non sono applicabili le disposizioni dell'art.21, liquideranno, ai dipendenti dispensati dal servizio, gli assegni o le indennità previste dai propri ordinamenti o dalle norme che regolano il rapporto di impiego per i casi di dispensa o licenziamento per motivi estranei alla volontà dei dipendenti.
Art. 23. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte ad ebrei stranieri posteriormente al 1° gennaio 1919 si intendono ad ogni effetto revocate.
Art. 24. Gli ebrei stranieri e quelli nei cui confronti si applichi l'art.23, i quali abbiano iniziato il loro soggiorno nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo posteriormente al 1° gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei possedimenti dell'Egeo entro il 12 marzo 1939-XVII. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno puniti con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire 5.000 e saranno espulsi a norma dell'art.150 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773.
Art. 25. La disposizione dell'art.24 non si applica agli ebrei di nazionalità straniera i quali, anteriormente al 1° ottobrel938-XVI:
a) abbiano compiuto il 65° anno di età;
b) abbiano contratto matrimonio con persone di cittadinanza italiana. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, gli interessati dovranno far pervenire documentata istanza al Ministero dell'interno entra trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 26. Le questioni relative all'applicazione del presente decreto saranno risolte, caso per caso, dal Ministro per l'interno, sentiti i Ministri eventualmente interessati, e previo parere di una Commissione da lui nominata. Il provvedimento non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.
Art. 27. Nulla è innovato per quanto riguarda il pubblico esercizio del culto e la attivita delle comunità israelitiche, secondo le leggi vigenti, salvo le modificazioni eventualmente necessarie per coordinare tali leggi con le disposizioni del presente decreto.
Art. 28. è abrogata ogni disposizione contraria o, comunque, incompatibile con quella del presente decreto.
Art. 29. Il Governo del Re è autorizzato ad emanare le norme necessarie per l'attuazione del presente decreto. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il DUCE, Ministro per l'interno, proponente, è autorizzato a presentare relativo disegno di legge.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Dato a Roma, addì 17 novembre 1938 - XVII
Vittorio Emanuele, Mussolini, Ciano, Solmi, Di Revel, Lantini


DECRETO DEL 5/IX/1938 - PROVVEDIMENTI RAZZISTI DELLA SCUOLA FASCISTA
Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d'Italia Imperatore d'Etiopia
Visto l'art. 3, n.2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n.100;
Ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana;
Udito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo;
Art.1.
All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; nè potranno essere ammesse all'assistentato universitario, nè al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza.
Art.2.
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Art.3.
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
Art.4.
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Art.5.
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.
Art.6.
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art.7.
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l'educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Ordiniamo
che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 - Anno XVI
Vittorio Emanuele, Mussolini, Bottai, Di Revel


DISCIPLINA DELL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI DA PARTE DEI CITTADINI DI RAZZA EBRAICA
Con Legge 29 Giugno 1939, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 2 Agosto 1939-XVIII, N. 179, sono state dettate le norme seguenti circa l'esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica:
CAPO I.
Disposizioni generali

Art. 1. L'esercizio delle professioni di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale, è, per i cittadini appartenenti alla razza ebraica, regolato dalle seguenti disposizioni.
Art. 2. Ai cittadini italiani di razza ebraica è vietato l'esercizio della professione di notaro. Ai cittadini italiani di razza ebraica non discriminato è vietato l'esercizio della professione di giornalista. Per quanto riguarda la professione di insegnante privato, rimangono in vigore le disposizioni di cui agli articoli 1 e 7 del Regio decreto-legge 15 novembre 1938-XVII, n. 1779.
Art. 3. I cittadini di razza ebraica esercenti una delle professioni di cui all'art. 1, che abbiano ottenuto la discriminazione a termini dell'art. 14 del Regio decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, saranno iscritti in "elenchi aggiunti", da istituirsi in appendice agli albi professionali, e potranno continuare nell'esercizio della professione, a norma delle vigenti disposizioni, salve le limitazioni previste dalla presente legge. Sono altresì istituiti, in appendice agli elenchi transitori eventualmente previsti dalle vigenti leggi o regolamenti in aggiunta agli albi professionali, elenchi aggiunti dei professionisti di razza ebraica discriminati. Si applicano agli elenchi aggiunti tutte le norme che regolano la tenuta e la disciplina degli albi professionali.
Art. 4. I cittadini italiani di razza ebraica non discriminati, i quali esercitano una delle professioni indicate dall'art. 1, esclusa quella di giornalista, potranno essere iscritti in elenchi speciali secondo le disposizioni del capo II della presente legge, e potranno continuare nell'esercizio professionale con le limitazioni stabilite dalla legge stessa.
Art. 5. Gli iscritti negli elenchi speciali professionali previsti dall'art. 4 cessano dal far parte delle Associazioni sindacali di categoria giuridicamente riconosciute, e non possono essere da queste rappresentati. Tuttavia si applicano ad essi le norme inerenti alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro.
Art. 6. è fatto obbligo ai professionisti che si trovino nelle condizioni previste dagli articoli 1 e 2, primo comma, ed a quelli iscritti nei ruoli di cui all'art. 23 di denunciare la propria appartenenza alla razza ebraica, entro il termine di venti giorni dalla entrata in vigore della presente legge, agli organi competenti per la tenuta degli albi o dei ruoli. I trasgressori sono puniti con l'arresto sino ad un mese e con l'ammenda sino a lire tremila. La denunzia deve essere fatta anche nel caso che sia pendente ricorso per l'accertamento della razza ai sensi dell'art. 26 del R. decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728. Il reato sarà dichiarato estinto se il ricorso di cui al terzo comma sia deciso con la dichiarazione di non appartenenza del ricorrente alla razza ebraica. Ove la denunzia non sia effettuata, gli organi competenti per la tenuta degli albi o dei ruoli provvederanno d'ufficio all'accertamento. La cancellazione dagli albi o dai ruoli viene deliberata dai predetti organi non oltre il febbraio 1940-XVIII, ma ha effetto alla scadenza di detto termine. La deliberazione è notificata agli interessati a mezzo di ufficiale giudiziario, e con le forme della notificazione della citazione.
CAPO II.
Degli elenchi speciali e delle condizioni per essere iscritti

Art. 7. Per ogni circoscrizione di Corte di appello sono istituiti, presso la Corte medesima, gli elenchi speciali per le singole professioni previsti dall'art. 4. Nessuno può essere iscritto contemporaneamente in più di un elenco per la stessa professione; su domanda dell'interessato è ammesso tuttavia il trasferimento da un elenco distrettuale all'altro. Il trasferimento non interrompe il corso dell'anzianità di iscrizione.
Art. 8. I cittadini di razza ebraica esercenti una delle professioni di cui all'art. 1, esclusa quella di giornalista, e che intendano ottenere l'iscrizione nel rispettivo elenco speciale, dovranno farne domanda al primo presidente della Corte di appello del distretto, in cui abbiano la residenza, nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 9. Per essere iscritti negli elenchi speciali è necessario:
a) essere cittadini italiani;
b) essere di specchiata condotta morale e di non avere svolto azione contraria agli interessi del Regime e della Nazione;
c) avere la residenza nella circoscrizione della Corte di appello;
d) essere in possesso degli altri requisiti stabiliti dai vigenti ordinamenti professionali per l'esercizio della rispettiva professione.
Art. 10. Non possono conseguire l'iscrizione negli elenchi speciali coloro che abbiano riportato condanna per delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione, non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque o, comunque, condanna che importi la radiazione o cancellazione dagli albi professionali. Non possono, parimenti, conseguire l'iscrizione coloro che siano stati o si trovino sottoposti ad una delle misure di polizia previste dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773.
Art. 11. Le domande per l'iscrizione devono essere corredate dai seguenti documenti:
a) atto di nascita;
b) certificato di cittadinanza italiana;
c) certificato di residenza;
d) certificato di buona condotta morale, civile e politica;
e) certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a mesi 3 dalla presentazione della domanda e certificato dei procedimenti a carico;
f) certificato dell'Autorità di pubblica sicurezza del luogo di residenza del richiedente, attestante che questi non è stato sottoposto ad alcuna delle misure previste dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773;
g) titoli di abilitazione richiesti per la iscrizione nell'albo professionale. Art. 12. Le attribuzioni relative alla tenuta degli elenchi di cui all'art. 4 ed alla disciplina degli iscritti, previste dalle vigenti leggi e regolamenti professionali, sono esercitate nell'ambito di ciascun distretto di Corte di appello, per tutti gli elenchi, da una Commissione distrettuale. Essa ha sede presso la Corte di appello, è presieduta dal primo presidente della Corte medesima, o da un magistrato della Corte, da lui delegato, ed è composta di sei membri, rispettivamente designati dal Ministro per l'Interno, dal Segretario del Partito Nazionale Fascista, Ministro Segretario di Stato, dai Ministri per l'Educazione Nazionale, per i Lavori Pubblici e per le Corporazioni, nonché dal Presidente della Confederazione Fascista dei Professionisti ed Artisti.
Art. 13. I componenti della Commissione di cui all'articolo precedente sono nominati con decreto del Ministro per la Grazia e Giustizia. Essi durano in carica tre anni e possono essere confermati. Quelli nominati in sostituzione di altri durante il triennio durano in carica sino alla scadenza del triennio.
Art. 14. La Commissione distrettuale verifica le domande di cui all'art. 8 e, ove ricorrano le condizioni richieste dalla presente legge, delibera la iscrizione del professionista nel rispettivo elenco speciale. Le adunanze della Commissione sono valide con l'intervento di almeno quattro componenti. Le deliberazioni della Commissione sono motivate; vengono prese a maggioranza di voti; in caso di parità di voti prevale quello del presidente. Esse sono notificate, nel termine di 15 giorni, agli interessati ed al Procuratore generale presso la Corte di appello, nonché al Prefetto, qualora riguardino esercenti le professioni sanitarie.
Art. 15. Contro le deliberazioni della Commissione in ordine alla iscrizione ed alla cancellazione dall'elenco, nonché ai giudizi disciplinari, è dato ricorso tanto all'interessato quanto al Procuratore generale della Corte di appello, e, nel caso di esercenti le professioni sanitarie, al Prefetto, entro 30 giorni dalla notifica, ad una Commissione Centrale che ha sede presso il Ministero di Grazia e Giustizia.
Art. 16. La Commissione centrale, di cui all'articolo precedente, è presieduta da un magistrato di grado terzo ed è composta del Direttore generale degli affari civili e delle professioni legali presso il Ministero di Grazia e Giustizia, o di un suo delegato, e di altri sette membri, rispettivamente designati dal Ministro per l'interno, dal Segretario del Partito Nazionale Fascista, Ministro Segretario di Stato, dai Ministri per l'Educazione Nazionale, per i Lavori Pubblici, per l'Agricoltura e per le Foreste e per le Corporazioni, nonché dal Presidente della Confederazione Fascista dei Professionisti e degli Artisti. I componenti della Commissione sono nominati con decreto Reale, su proposta del Ministro per la Grazia e Giustizia. Essi durano in carica tre anni e possono essere confermati. Quelli nominati in sostituzione di altri durante il triennio durano in carica sino alla scadenza del triennio. Le adunanze della Commissione centrale sono valide con l'intervento di almeno cinque componenti. Il ministro per la Grazia e Giustizia provvede con suo decreto alla costituzione della Segreteria della predetta Commissione.
CAPO III.
Disciplina degli iscritti negli elenchi speciali
Art. 17. Entro il mese di febbraio di ogni anno, la Commissione di cui all'art. 12 procede alla revisione dell'elenco speciale, apportandovi le modificazioni e le aggiunte che fossero necessarie. Ai provvedimenti adottati si applicano le disposizioni degli articoli 14, ultimo comma, e 15.
Art. 18. La Commissione può applicare sanzioni disciplinari:
per gli abusi e le mancanze degli iscritti nell'elenco speciale commesso nell'esercizio della professione;
per motivi di manifesta indegnità morale e politica. Le sanzioni disciplinari sono:
a) censura;
b) sospensione dall'esercizio professionale per un tempo non maggiore
di sei mesi;
cancellazione dall'elenco. I provvedimenti di cui al comma precedente sono notificati all'interessato per mezzo dell'ufficiale giudiziario. L'istruttoria che precede il giudizio disciplinare può essere promossa dalla Commissione su domanda di parte, o su richiesta del pubblico ministero, ovvero d'ufficio in seguito a deliberazione della Commissione ad iniziativa di uno o più membri. I fatti addebitati devono essere contestati all'interessato con l'assegnazione di un termine per la presentazione delle giustificazioni.
Art. 19. La cancellazione dall'elenco speciale, oltre che per motivi disciplinari, può essere pronunciata dalla Commissione, su domanda dell'interessato. Può essere promossa d'ufficio su richiesta del procuratore generale della Corte di appello nel caso:
a) di perdita della cittadinanza;
b) di trasferimento dell'iscritto in altro elenco;
c) di trasferimento dell'iscritto all'estero.
Contro la pronuncia della Commissione è sempre ammesso ricorso a norma dell'art. 15.
Art. 20. La condanna o l'applicazione di una delle misure previste dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato col R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773, importano la cancellazione dall'elenco speciale. L'iscritto che si trovi sottoposto a procedimento penale, ovvero deferito per l'applicazione di una delle misure di cui al comma precedente, può essere sospeso dall'esercizio della professione. La sospensione ha sempre luogo quando è emesso mandato di cattura e fino alla sua revoca.
CAPO IV.
Dell'esercizio professionale degli iscritti negli elenchi aggiunti e negli elenchi speciali

Art. 21. L'esercizio professionale da parte dei cittadini italiani di razza ebraica, iscritti negli elenchi speciali, è soggetto alle seguenti limitazioni:
a) salvi i casi di comprovata necessità ed urgenza, la professione deve essere esercitata esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica; b) la professione di farmacista non può essere esercitata se non presso le farmacie di cui all'art. 114 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con R. decreto 27 luglio 1934-XII, n. 1265, qualora l'Ente cui la farmacia appartiene svolga la propria attività istituzionale esclusivamente nei riguardi di appartenenti alla razza ebraica;
c) ai professionisti di razza ebraica non possono essere conferiti incarichi che importino funzioni di pubblico ufficiale, ne può essere consentito l'esercizio di attività per conto di enti pubblici, fondazioni, associazioni e comitati di cui agli articoli 34 e 37 del Codice civile o in locali da questi dipendenti. La disposizione di cui alla lettera c) del presente articolo si applica anche ai cittadini italiani di razza ebraica iscritti negli "elenchi aggiunti".
Art. 22. I cittadini italiani di razza ebraica non possono essere iscritti nei ruoli degli amministratori giudiziari, se già iscritti, ne sono cancellati.
Art. 23. I cittadini di razza ebraica non possono essere comunque iscritti nei ruoli dei revisori ufficiali dei conti, di cui al R. decreto-legge 24 luglio 1936-XIV, n. 1548, o nei ruoli dei periti e degli esperti ai termini dell'art. 32 del testo unico delle leggi sui Consigli e sugli Uffici provinciali delle corporazioni, approvato con R. decreto 20 settembre 1934XII, n. 2011, e, se vi sono già iscritti, ne sono cancellati.
Art. 24. I professionisti forensi cittadini italiani di razza ebraica, che siano iscritti negli albi speciali per l'infortunistica, perdono il diritto a mantenere l'iscrizione negli albi stessi a decorrere da 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 25. è vietata qualsiasi forma di associazione e collaborazione professionale tra i professionisti non appartenenti alla razza ebraica e quelli di razza ebraica.
Art. 26. L'esercizio delle attività professionali vietate dall'art. 21 è punito ai sensi dell'art. 348 del Codice penale. La trasgressione alle disposizioni di cui all'art. 25 importa la cancellazione, secondo i casi, dagli albi professionali, dagli elenchi aggiunti, ovvero dagli elenchi speciali.
CAPO V.
Disposizioni transitorie e finali

Art. 27. I cittadini italiani di razza ebraica possono continuare l'esercizio della professione senza limitazioni fino alla cancellazione dall'albo. Avvenuta la cancellazione e fino a quando non abbiano ottenuto la iscrizione nell'elenco speciale, non potranno esercitare alcuna attività professionale. Con la cancellazione deve essere esaurita, o, comunque, cessare, qualsiasi prestazione professionale da parte dei cittadini italiani di razza ebraica non discriminati a favore di cittadini non appartenenti alla razza ebraica. è tuttavia in facoltà del cliente non appartenente alla razza ebraica di revocare al professionista di razza ebraica non discriminato l'incarico conferitogli, anche prima della cancellazione dall'albo.
Art. 28. I cittadini italiani di razza ebraica, ammessi in via transitoria a proseguire gli studi universitari o superiori in virtù dell'art. 10 del R. decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, nonché tutti coloro che, conseguito il titolo accademico, non abbiano ancora ottenuta la relativa abilitazione professionale, a norma delle leggi e regolamenti vigenti, ove sussistano i requisiti e le condizioni previste dalle predette leggi e regolamenti per l'iscrizione negli albi, nonché dalla presente legge, potranno ottenere la iscrizione negli elenchi aggiunti o negli elenchi speciali.
Art. 29. I notari di razza ebraica, dispensati dall'esercizio a norma della presente legge, sono ammessi a far valere il diritto al trattamento di quiescenza loro spettante a termini di legge da parte della Cassa nazionale del notariato. In deroga alle vigenti disposizioni, a coloro che non hanno maturato il periodo di tempo prescritto è concesso il trattamento minimo di pensione se hanno compiuto almeno dieci anni di esercizio; negli altri casi, è concessa una indennità di lire mille per ciascuno anno di servizio.
Art. 30. Ai giornalisti di razza ebraica non discriminati, che cessano dall'impiego per effetto della presente legge, verrà corrisposto dal datore di lavoro l'indennità di licenziamento prevista dal contratto collettivo di lavoro giornalistico per il caso di risoluzione del rapporto d'impiego per motivi estranei alla volontà del giornalista. L'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Arnaldo Mussolini" provvederà alla cancellazione dei predetti giornalisti dagli elenchi dei propri iscritti, alla liquidazione del fondo di previdenza costituito a suo nome e al trasferimento al nome dei medesimi della proprietà della polizza di assicurazione sulla vita, contratta dall'Istituto presso l'Istituto Nazionale delle assicurazioni.
Art. 31. Con disposizioni successive saranno regolati i rapporti tra i professionisti di razza ebraica e gli enti di previdenza previsti dalla legislazione vigente, escluse le categorie contemplate negli articoli 29 e 30 della presente legge. Verranno inoltre emanate le norme speciali riflettenti la cessazione del rapporto d'impiego privato tra i professionisti di razza ebraica e i loro dipendenti.
Art. 32. Il Ministro per la Grazia e Giustizia, di concerto con i Ministri interessati, è autorizzato ad emanare le norme per la determinazione dei contributi da porsi a carico degli iscritti negli elenchi speciali, per il funzionamento delle commissioni di cui agli articoli 12 e 15.
Art. 33. Agli effetti della presente legge, l'appartenenza alla razza ebraica è determinata a norma dell'art. 8 del R. decreto - legge 17 novembre 1938 - XVII, 1728, ed ogni questione relativa è decisa dal Ministro per l'interno a norma dell'art. 26 dello stesso Regio decreto - legge.
Art. 34. Per tutto quanto non è contemplato dalla presente legge, si applicano le leggi ed i regolamenti di carattere generale che disciplinano le singole professioni.
Art. 35. Con decreto Reale saranno emanate, ai sensi dell'art. 3, n. 1, della legge 31 gennaio 1926 - IV, n. 100, le norme complementari e di coordinamento che potranno occorrere per l'attuazione della presente legge.


Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri
REGIO DECRETO-LEGGE 7 settembre 1938-XVI, n. 1381
VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D'ITALIA IMPERATORE D'ETIOPIA
Ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Duce, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per l'interno;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1. Dalla data di pubblicazione del presente decreto-legge è vietato agli stranieri ebrei di fissare stabile dimore nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo.
Art. 2. Agli effetti del presente decreto-legge è considerato ebreo colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art. 3. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte a stranieri ebrei posteriormente al 1í gennaio 1919 s'intendono ad ogni effetto revocate.
Art. 4. Gli stranieri ebrei che, alla data di pubblicazione del presente decreto-legge, si trovino nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo e che vi abbiano iniziato il loro soggiorno posteriormente al 1í gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei Possedimenti dell'Egeo, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno espulsi dal Regno a norma dell'art. 150 del testo unico delle leggi di P.S., previa l'applicazione delle pene stabilite dalla legge.
Art. 5. Le controversie che potessero sorgere nell'applicazione del presente decreto-legge saranno risolte, caso per caso, con decreto del Ministro per l'interno, emesso di concerto con i Ministri eventualmente interessati.
Tale decreto non è soggetto ad alcun gravame nè in via amministrativa, nè in via giurisdizionale. Il presente decreto entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Duce, Ministro per l'interno, proponente, è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 7 settembre 1938-Anno XVI

Vittorio Emanuele, Mussolini


I campi e i lager italiani 1943-1945
Dal settembre/ottobre 1943 all’aprile 1945 i nazisti, in collaborazione con la polizia della Repubblica Sociale Italiana di Salò, istituirono e gestirono, nell’Italia occupata, quattro campi di smistamento rispettivamente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Grosseto, Fossoli (Modena) e Bolzano. Da questi campi gli italiani rastrellati ed arrestati a vario titolo venivano poi avviati ai Lager tedeschi, disseminati in Europa.
Dopo l’occupazione nazista del 1943 i territori della Venezia Giulia vennero incorporati nell’Adriatisches Kustenland e fu creato a Trieste, nella Risiera di San Sabba, un vero e proprio campo di sterminio dotato di forno crematorio dove furono assassinate più di 5.000 persone.
Mappa dei campi di concentramento in Italia
Risiera di San Sabba L'unico campo di sterminio nazista in Italia, dove furono uccisi e bruciati nei forni crematori circa 5.000 persone
Fossoli Il campo di concentramento, in provincia di Modena, dal quale partirono molti convogli per la Germania e la Polonia
Bolzano Il campo di transito di Bolzano e i campi satellite dal quale, dopo la chiusura di Fossoli, partirono i convogli della morte
Borgo San Dalmazzo Il campo semidimenticato in provincia di Cuneo
Grosseto Un campo scoperto di recente ( cura di Ettore Vittoriani)


LA GUERRA D'ETIOPIA
La politica coloniale dell'Italia riprese slancio negli anni Venti, trovando una sua coerente giustificazione nell'ideologia fascista.
Subito dopo l'avvento di Mussolini, la presenza italiana in Libia fu consolidata: fu ampliata l'occupazione della Tripolitania settentrionale (1923-1925) e della Tripolitania meridionale, mentre una dura repressione fu avviata in Cirenaica, guidata con successo dal generale Graziani.
Tra il 1923 ed il 1928 fu inoltre completata la conquista della Somalia, fino a quel momento limitata alla parte centrale del Paese.
In Etiopia, invece, il fascismo non ritenne, in questa prima fase, di modificare la situazione. Anzi, nel 1928 Italia ed Etiopia stipularono un patto di amicizia ed una convenzione stradale.
La decisione di intraprendere una campagna militare in Etiopia iniziò a maturare a partire dal 1930.
Il pretesto per l'avvio delle operazioni militari, i cui piani erano stati preparati già da tempo, fu offerto il 5 dicembre 1934 da un incidente presso la località di Ual-Ual, lungo la frontiera somala. L'imperatore d'Etiopia, Hailè Selassiè, preoccupato dai progetti italiani, si rivolse alla
Società delle Nazioni, di cui il suo Paese era membro dal 1923. Ma Inghilterra e Francia, che non volevano alienarsi l'appoggio di Mussolini nel nuovo scenario politico d'Europa, impedirono di fatto che l'azione italiana fosse ostacolata. Solo in un secondo tempo, quando l'opinione pubblica internazionale iniziò a mobilitarsi contro la violenta aggressione dell'Italia, la Società delle Nazioni approvò una serie di sanzioni economiche contro l'Italia (ottobre 1935).
Il 2 ottobre 1935, in un famoso discorso pubblicato il giorno successivo su tutti i giornali italiani, Mussolini annunciò l'inizio di una guerra provocata senza alcuna causa plausibile, rispolverando come giustificazione la bruciante sconfitta subita dall'Italia alla fine del secolo precedente:
«Con l'Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!»
L'esito della guerra era facilmente immaginabile considerato l'enorme dispiegamento di mezzi disposto dall'Italia.
Il 3 ottobre le truppe italiane invasero l'Etiopia dall'Eritrea, occupando in breve tempo Adua, Axum, Adigrat, Macallè.
A metà novembre la direzione delle operazioni fu affidata al generale Pietro Badoglio, che, dopo aver affrontato la controffensiva etiopica, entrò ad Addis Abeba il 5 maggio 1936.
Il 9 maggio 1936 Mussolini poté proclamare la costituzione dell'Impero italiano di Etiopia, attribuendone la corona al Re d'Italia Vittorio Emanuele III.
(a cura di Enzo R. Laforgia)


GUERRA CIVILE DI SPAGNA
La guerra civile spagnola del 1936-39 è la prova generale della Seconda guerra mondiale perché vede impegnate a sostegno delle due parti in lotta - più o meno direttamente e con differente peso militare - da un lato Inghilterra, Francia e Urss, e dall’altro Italia, Germania e Portogallo. La Spagna, dunque, è il teatro del primo scontro armato tra fascismo e antifascismo, con gli italiani - le camice nere di Mussolini da un lato, e gli oppositori del regime dall’altro - impegnati su entrambi i fronti.
La Spagna negli anni Trenta
La Spagna degli anni Trenta è ancora una realtà precapitalistica, ad eccezione di alcune zone fortemente industrializzate. Ai pochi grandi proprietari terrieri, infatti, si contrappone la massa di braccianti agricoli, operai e minatori, tra cui trovano terreno fertile le teorie e i movimenti socialisti; tra i ceti medi urbani, invece, si fanno strada, oltre a quelli socialisti, anche i movimenti democratico-repubblicani e anticlericali. Alle elezioni politiche del 1931 i repubblicani e i socialisti alleati ottengono una importante affermazione, che segna la caduta della dittatura di Primo de Rivera e del re Alfonso XIII. La destra cattolica, però, grazie anche al favore dell’esercito, torna al potere l’anno seguente.
La situazione politica e sociale è incandescente. Nel 1934, per reprimere i moti insurrezionali dei minatori (ottobre spagnolo), interviene la legione straniera comandata dal generale Francisco Franco.
La vittoria del Fronte Popolare e lo scoppio della guerra civile
Due anni dopo, nel febbraio del '36, alle nuove elezioni politiche, le forze di sinistra tornano al governo grazie al primo esperimento di Fronte popolare (repubblicani moderati, socialisti, comunisti e cattolici baschi autonomisti). In estate però la situazione precipita: il 17 luglio le truppe di stanza nel Marocco insorgono ed il giorno dopo la rivolta si estende a tutto il paese. È l’inizio della guerra civile, con pesanti ripercussioni anche sul piano internazionale. Le forze governative, appoggiate da operai e contadini, stroncano la ribellione a Madrid, Barcellona e in molti centri industriali del Nord e dell’Est ma i ribelli riescono ad imporsi in Navarra, Galizia e Nuova Castiglia e ad occupare le principali città dell’Andalusia (Cadice, Cordoba e Siviglia).
Nella spietata guerra civile che si combatte in gran parte del paese sono contrapposti il governo repubblicano che può contare sulle forze di polizia e masse di volontari in genere provenienti dalle regioni industriali e le forze nazionaliste (franchiste) che riuniscono quasi tutti i quadri delle forze armate (salvo l’aviazione) e le forze politiche nazionaliste, cattoliche e tradizionaliste.
L'intervento delle potenze straniere
Il regime fascista italiano e quello nazista, prendendo spunto dall’assassinio del monarchico J. Calvo Sotelo (13 luglio) intervengono prima in forma quasi clandestina appoggiando i militari ribelli che aderiscono al “pronunciamento” del generale Francisco Franco, poi nell’autunno in modo palese.
Mussolini ed Hitler - uniti dal Patto d’acciaio dell’ottobre 1936 - inviano notevoli rinforzi - uomini e armi, anche aerei - a sostegno di Franco. Complessivamente gli effettivi italiani saranno 78.846 tra esercito, marina e aviazione, di cui 6.000 caduti e 15.000 feriti. Il Portogallo fornì a Franco non meno di 20.000 volontari, garantendo la sicurezza delle frontiere con i territori occupati dai ribelli.
L’invio di aerei forniti da Hitler e Mussolini permette ai rivoltosi di trasferire sulla penisola l’Esercito d’Africa, le loro truppe più efficienti, che iniziano ad avanzare verso Madrid.
Al cospicuo impegno di Italia e Germania, non corrisponde un eguale sforzo da parte di Inghilterra (governata dai conservatori che perseguono una politica di pace con la Germania) e Francia (governata sì da un fronte popolare formato da radicali, socialisti e comunisti, ma alle prese con pesanti difficoltà interne). Molto di più fanno l'Urss, che invia armi e consiglieri militari e organizza le Brigate Internazionali, e il Messico.
Le Brigate Internazionali
In soccorso del Fronte popolare, si schierano anche i fuoriusciti italiani, gli antifascisti in esilio, soprattutto aderenti a Giustizia e Libertà (Carlo Rosselli organizza una colonna di volontari fin dall’estate del 1936), gli anarchici come Camillo Berneri; i comunisti confluiscono nelle Brigate internazionali, composte da uomini di diversa nazionalità ed anche di differenti tendenze politiche. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nella Brigata Garibaldi, è consistente, circa 3.350 effettivi, e mise in campo alcuni tra i maggiori esponenti dell'antifascismo: i comunisti Togliatti, Longo, Di Vittorio e Vidali, il socialista Nenni, il repubblicano Pacciardi.
Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali hanno un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove si trovano di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi e i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull'Ebro (luglio 1938).
Nel fronte antifascista però non mancano contrasti e divergenze interne, specie tra comunisti e anarchici, che ne indeboliscono l’azione. Inoltre, se la guerra civile spagnola segna una prima generale mobilitazione delle forze antifasciste in Europa, il patto di non aggressione tra Germania e Urss del 1939 ne determina una secca una battuta d’arresto, per ordine dello stesso Stalin ai comunisti europei; l’azione riprenderà con vigore solo con l’aggressione tedesca ai danni della stessa Unione Sovietica, e il delinearsi dell’alleanza antinazista che vede Stalin impegnato al fianco delle democrazie occidentali. Nell'autunno del '38, su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di "non intervento", il governo repubblicano decide il ritiro dal fronte delle Brigate internazionali, tenendo una parata di addio il 29 ottobre 1938 a Barcellona. Dei 59.380 volontari accorsi in Spagna da cinquanta diversi paesi per combattere il fascismo, i caduti furono 9934 mentre 7686 furono feriti gravemente.
La disfatta dei "repubblicani"
Non riuscendo ad avere ragione della resistenza dei madrileni, i nazionalisti attaccano ed occupano le Province basche, le Asturie e l’Aragona dividendo la Catalogna dalla parte centrale. Per tentare di bloccare queste iniziative i lealisti effettuano delle operazioni diversive che culminano nelle battaglie di Brunete, Belchite, Teruel ed infine nel luglio del 1938 nell’offensiva dell’Ebro, dove i repubblicani riescono a penetrare in territorio nemico per circa quaranta chilometri, ma poi la superiorità di mezzi, soprattutto aerei ed artiglieria, degli insorti li costringe a ritornare alle basi di partenza.
Il 23 dicembre del '38, dopo avere riorganizzato i reparti e raggruppato notevoli quantitativi di scorte e mezzi, l'esercito nazionalista scatena, da sud verso nord, l'offensiva finale dell'Ebro per conquistare la Catalogna. L'avanzata, pur contrastata dalle residue forze repubblicane della regione, oramai prive di armamento pesante, scardina uno dopo l'altro tutti i centri difensivi avversari posti a difesa del grande fiume e, dopo un mese di violenti combattimenti, il 26 gennaio 1939, le prime avanguardie motorizzate e blindate franchiste e italiane entrano a Barcellona.
Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio del '39 circa 200.000 soldati repubblicani (insieme ad altre decine di migliaia di donne e bambini) chiedono asilo in Francia dove vennero internati in grandi campi di concentramento. La guerra sta volgendo al termine e il 27 febbraio l'Inghilterra e la Francia optano per il riconoscimento ufficiale del governo del generale Francisco Franco. Il giorno seguente, il presidente repubblicano Azaña, che con un aereo si è rifugiato in Francia, da' le sue dimissioni da capo del governo.
A marzo i nazionalisti occupano Madrid e Valencia. La guerra civile è finita. Dopo tre anni di violenti combattimenti, nel 1939, il generale Franco riesce ad imporre la propria dittatura. Siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale, alla quale però la Spagna, dilaniata dal conflitto interno, non prenderà parte, permettendo al regime franchista di sopravvivere, a differenza di quelli fascista e nazista.
Quanti però oggi sanno che, in tempo di pace, il regime franchista fu forse addirittura più sanguinario e repressivo del fascismo e del nazismo? Che, di fronte alle poche decine di sentenze capitali eseguite dal 1922 al 1939 dal regime italiano (si parla delle sentenze pubbliche: le esecuzioni “illegali” furono senza dubbio maggiori), e ai pur numerosi eccidi compiuti dalla Germania nazista fra il 1933 e il 1938, vi sono 190.000 spagnoli giustiziati o morti in carcere fra il 1939 e il 1945, ovvero in tempo (per la Spagna) di pace, e che alcuni storici giungono a parlare di 500.000 esecuzioni complessive (comprendendo le esecuzioni “informali”)? Certo, il paragone è largamente improprio, in quanto in Spagna fra il 1936 e il 1939 fu combattuta una cruenta guerra civile, in quanto il franchismo sorse da tale guerra civile: le origini del fascismo italiano e del nazismo tedesco furono diverse, addirittura elettorali, nel secondo caso.
Dopo la vittoria, Franco impose alla Spagna una strategia di isolamento e di autarchia. Non solo autarchia economica, ma anche autarchia politica, ideologica, culturale. La Spagna voluta dai vincitori doveva essere una Spagna isolata da ogni scambio e dialogo, pura e purificata da ogni idea diversa di Spagna. Tutto ciò che riguardava la Seconda Repubblica, ovvero l’esperienza democratica vissuta in Spagna fra 1931 e 1936, era associato a “degenerazione”, “morbo”, “infermità”, era l’antitesi di ciò che la Spagna doveva essere. E nel dopoguerra la pratica “chirurgica” continuò: il nemico principale della Spagna franchista fu, costantemente, un “nemico interno”. La stessa strategia fu attuata anche nell'economia. La Spagna degli anni quaranta soffrì una enorme regressione economica. La mano d’opera fu soggetta a disciplina coercitiva, e sulla fame di gran parte dei lavoratori fu costruita la nuova accumulazione di capitale necessaria alla ricostruzione. Ogni identità collettiva dei gruppi sociali sconfitti (lavoratori del campo, delle miniere, dell’industria) fu distrutta, ogni diritto di espressione soppresso.
La spietata dittatura franchista ebbe anche i suoi «schiavi»: 110 mila prigionieri, tutti militari catturati durante la «Guerra Civil» '36-'39. Con la legge sulle «responsabilità politiche» il dittatore perseguì, incarcerò, condannò tutti coloro che si erano opposti all´«Alzamiento». Il regime cominciò a schedare «los Rojos», ossia tutti i suoi prigionieri, allestendo una maniacale banca dati sul loro profilo professionale. Se gli incarcerati nel frattempo non erano morti né giustiziati, entrava in gioco il «Sistema de Redenciones de Penas» motivato così: «E´ giustissimo che i prigionieri contribuiscano con il lavoro alla riparazione dei danni arrecati con il loro appoggio alla ribellione marxista». Un decreto del '46 stabiliva l´obbligatorietà del lavoro: «E´ considerata infrazione molto grave rifiutarlo». A differenza della mano d'opera impiegata nei lager hitleriani, il «Caudillo» pagò il lavoro coatto. Ma i forzati ricevettero solo il 25% del salario pattuito (appena il 14% di quello percepito dagli operai civili dell'epoca). Infatti la remunerazione degli schiavi venne fissata in 2 pesetas al giorno (la diaria di un operaio era di 14 pesetas) di cui i tre quarti vennero destinati al loro mantenimento. Poi altre 2 pesetas se erano sposati in chiesa (molti «rojos», atei, erano solo conviventi), più 1 peseta per ogni figlio a carico. Il resto andò nelle casse del regime. Non solo: dal '39 al '70, Franco affittò i suoi internati a 36 imprese private (le fabbriche pagavano allo Stato il salario di 14 pesetas), incassando un ingente bottino, calcolabile intorno ai 780 milioni di euro. Detenuti in 72 campi di concentramento, gli schiavi ricostruirono le infrastrutture distrutte durante il conflitto, dagli aereoporti alle strade, dalle dighe ai porti, dalle ferrovie ai ponti ma anche mausolei franchisti come la famigerata madrilena «Valle de Los Caidos» (ove è sepolto il tirannno). La vita degli schiavi, in quei lunghissimi trentatré anni, fu disumana: fame brutale, estrema durezza nel lavoro fisico. E castighi terribili. Ad El Dueso, per esempio, obbligavano i puniti a mettersi sulle spalle un sacco da 50 chili ricoperto da filo spinato.
Una repressione particolare fu rivolta alle donne: rispetto all’incerta mobilitazione dei decenni precedenti, la condizione della donna visse una regressione alla sfera domestica. Alle donne fu negato ogni accesso educativo di tipo moderno.
I concetti di purificazione e redenzione assunsero per milioni di spagnoli un aspetto di quotidiano terrore. La Spagna, dopo la purificazione della “cruzada”, fu posta in “quarantena” da un regime che vietava qualsiasi dialogo con l’esterno e qualsiasi dibattito sul futuro.
Solo nel '75, dopo la morte di Franco, gli spagnoli si sono liberati dalla dittatura e hanno finalmente respirato l'aria della democrazia.
CRONOLOGIA ESSENZIALE
1936 feb.Successo elettorale del Fronte Popolare che riunisce i partiti di sinistra. Presidente del consiglio è il repubblicano M. Azaña, che nel giugno viene eletto presidente della Repubblica.
1936 lug.Assassinio del deputato monarchico Calvo Sotelo da parte della polizia. Rivolta militare nel Marocco spagnolo capeggiato dal generale J. Sanjurio (capo designato dei rivoltosi, che muore però in un incidente aereo), E. Mola, G. Queipo de Llana e Francisco Franco. Costituzione di una giunta militare a Burgos.
1936 ago.Il presidente del consiglio francese Leon Blum propone un accordo di non intervento in Spagna, mentre i nazionalisti conquistano Badajoz.
1936 set.Costituzione del nuovo governo repubblicano diretto dal socialista F. Largo Caballero. Francisco Franco diviene capo unico della giunta militare.
1937 feb.I nazionalisti conquistarono Malaga con l’aiuto del Corpo Truppe Volontarie inviato dal governo italiano, che nel marzo è sconfitto a Guadalajara dalle Brigate internazionali.
1937 apr.Aerei della Legione Condor tedesca bombardano a tappeto la città basca Guernica.
1937 mag.Scontri tra comunisti e anarchici a Barcellona; Largo Caballero è sostituito a capo del governo dal socialista di sinistra J. Negrìz.
1937 giu.I nazionalisti conquistano Bilbao e occupano Asturie e Province Basche.
1937 ott.I nazionalisti conquistano Gijon, completando l’occupazione della parte nordoccidentale della Spagna.
1938 nov.Le Brigate Internazionali vengono ritirate dal fronte. 1939 gen.I nazionalisti conquistano Barcellona.
1939 feb.Il governo di Franco è riconosciuto dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Azaña, rifugiatosi a Parigi, rassegna le dimissioni.
1939 mar.I nazionalisti entrano a Madrid ponendo fine alla guerra civile. Franco annuncia la fine della guerra. In totale i morti furono più di un milione.


REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: L'ESERCITO DI SALO'
L'8 settembre è una data di scelte per tutti.
All'annuncio dell'armistizio, c'è chi resiste ai tedeschi, chi si da' alla macchia e si rifugia in montagna, chi raggiunge la famiglia, chi viene catturato e portato in campo di concentramento, ma ci sono anche diverse migliaia di ufficiali e militari italiani di fede fascista che si uniscono alla Wehrmacht.
Accade per esempio tra gli appartenenti ai battaglioni del genio (nebbiogeni) dislocati nel Baltico; tra i soldati dei reparti di specialisti di stanza in Germania; tra i comandanti e gli equipaggi dei sommergibili nelle basi della Francia occupata (Bordeaux); tra i militari di alcuni reparti della "Nembo", della "Folgore, della Marina (vedi il caso della Decima Mas) e dell'Aeronautica; tra i bersaglieri del Battaglione chiamatosi "Benito Mussolini" in Veneto e Venezia Giulia; nella Legione Tagliamento a Udine.
Molti di questi soldati saranno inquadrati nell'esercito tedesco.
La Repubblica sociale, infatti, non dispone all'inizio di un esercito vero e proprio, ma di un insieme di polizie e di corpi armati dalle funzioni diverse.
Anzi, c'è un serrato dibattito tra le file fasciste sull'opportunità o meno di costituire forze armate regolari.
Solo il 29 settembre, quando alla "Rocca delle caminate", residenza privata di Mussolini, si tiene la prima riunione del governo fascista, il duce nomina ministro della guerra il Maresciallo Rodolfo Graziani, con l'incarico di ricostituire un nuovo esercito repubblicano.
Il 1° ottobre lo stesso Graziani, nel corso di una manifestazione al teatro Adriano di Roma, lancia un appello ad aderire a tutti gli ufficiali e militari italiani.
Ma il reclutamento non avrà mai le proporzioni sperate, e per far rispettare la leva obbligatoria Graziani sarà costretto ad emettere un bando in cui si minaccia la pena di morte per chi non si presenta entro i termini.
L'Esercito vero e proprio, quindi, viene costituito dopo quasi due mesi dall'armistizio, il 28 ottobre del '43, quando il governo della Rsi emana due decreti-legge: il primo stabilisce lo scioglimento delle forze armate regie e la creazione di quelle repubblicane; il secondo detta la legge fondamentale del nuovo esercito repubblicano.
Ne entreranno a far parte i militari e gli ufficiali dell'ex esercito regio che decidono di aderire alla Rsi (ce ne sono alcune migliaia anche tra gli internati militari) e le reclute del 1924 e 1925, dopo un periodo di addestramento in Germania.
Quanti furono i "soldati di Salò"?
Gli storici hanno fornito, in base alla documentazione esaminata, cifre diverse.
Secondo l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito tra volontari, coscritti e G.N.R. non avrebbero superato quota 558.000.
Secondo alcune fonti della Rsi (vedi il "Rapporto Graziani" e le dichiarazioni del generale Emilio Canevari, che del nuovo esercito della Rsi fu uno dei creatori), l'Esercito di Salò (senza la GNR) avrebbe contato 780.000 uomini, però includendo circa 260.000 lavoratori militarizzati.
E’ scrupolosamente documentata, nella primavera del 1944, una forza di 327.000 uomini nelle diverse unità.
D'altra parte l'opera di ricostruzione delle forze armate della RSI incontrò serie difficoltà a causa di motivi logistici, della mancanza di adesione di larghi strati della popolazione, e della diffidenza dei comandi germanici, che posero come condizione di base l'affiancamento di ufficiali e sottufficiali tedeschi in veste di istruttori.
Degli 810.000 militari italiani catturati dai tedeschi, 94.000 optarono alla cattura, per coerenza od opportunismo, come combattenti (14.000) o ausiliari (80.000).
Dei 716.000 IMI (internati militari) restanti, durante l'internamento, 43.000 optarono nei Lager come combattenti (nei primi 8 mesi) e 60.000 (in tutto l'internamento) come ausiliari (nei Bti di lavoratori militarizzati, assegnati in prevalenza alla Luftwaffe) in alternativa alla "civilizzazione".
L'esercito della Repubblica sociale, nonostante gli sforzi fatti, fu poi falcidiato dalle diserzioni: molti degli arruolati, andarono poi ad alimentare le bande partigiane.
Comunque, da un rapporto delle SS dell'aprile 1945 risulta che le forze armate della RSI comprendevano ancora 35.000 soldati regolari e riservisti nelle divisioni San Marco, Monterosa, Littorio e Italia; 72000 uomini della Guardia nazionale repubblicana; 22.000 delle Brigate nere; 4800 della Decima Mas e 1050 della legione autonoma Ettore Muti.
Caduti Esercito RSI militari 13.000 civili 2.500 (Ufficio Storico Esercito)Ecco un quadro sommario delle principali formazioni armate della RSI: Esercito
Forza dichiarata 300.000 uomini, con le divisioni Littorio (Granatieri), Monterosa (Alpini), San Marco (Truppe da sbarco), Italia (Bersaglieri).
Inoltre diverse unità anti-partigiani, del Genio, di Supporto e Sussistenza.
Marina Repubblicana
Forza dichiarata: 26000 uomini.
Operò principalmente con il naviglio sottile e con i sommergibili in Atlantico e nel Mar Nero.
Aeronautica Repubblicana
Forza dichiarata: 79000 uomini. Operò principalmente con caccia di fabbricazione italiana e tedesca per la difesa del territorio, e con aerosiluranti attaccando anche navi a Gibilterra. Dipendevano dalla A.R. anche l’artiglieria contraerea e i reparti di paracadutisti e di antiparacadutisti.
Guardia nazionale repubblicana
(ex Milizia, comandante Renato Ricci).
Forza dichiarata: 140-150 mila uomini.
Costituita il 20 novembre 1943, fu la prima «superpolizia del partito», la meglio organizzata, con maggiori mezzi e buon armamento.
Dal dicembre 1943 incorporò anche i carabinieri rimasti.
Decima Mas (comandante principe Junio Valerio Borghese).
Forza dichiarata: 10.000 uomini.
Fondata da Borghese a La Spezia il 9 settembre 1943, fu riconosciuta dalla Germania il 14 settembre con un vero e proprio accordo italo-tedesco (fu l'unico corpo armato italiano nato prima della costituzione della RSI).
Il nucleo originario (100 marò e una trentina fra sommergibilisti e arditi incursori) raccolse oltre 4000 marinai e volontari che vennero divisi in 6 battaglioni di fanteria di marina (Barbarigo, Fulmine, Freccia, Valanga, Sagittario, Lupo).
Brigate nere (comandante il segretario del PFR Alessandro Pavolini)
Forza dichiarata: 110.000 uomini.
Le Brigate nere vennero create il 30 giugno 1944 trasformando il Partito fascista in organismo militare; vi dovevano appartenere «tutti gli iscritti al Partito fascista repubblicano di età fra i 18 e i 60 anni, non appartenenti ad altre forze ausiliarie».
Le Brigate nere erano 39, ognuna corrispondente a una provincia.
Ciascuna portava il nome di un caduto fascista: furono destinate esclusivamente alla lotta contro i partigiani.
Legione autonoma mobile Ettore Muti
(comandante il «colonnello» Francesco Colombo, un ex sergente).
Forza dichiarata: 2300 uomini.
Costituita nel gennaio-febbraio 1944, la Muti aveva sede a Milano nella caserma Solinas ed era composta da due unità: il battaglione mobile che operava nelle vallate per i rastrellamenti e quello che presidiava Milano.
Il reparto era noto per le torture ai prigionieri, le estorsioni e i saccheggi.
Servizio Ausiliario Femminile 5500 donne.
Sorse ufficialmente il 18 aprile 1944 per sopperire a molteplici compiti: servizi ospedalieri, amministrativi, logistici, assistenziali, posti di ristoro e protezione antiaerea
Le SS italiane
Un corpo di circa ventimila italiani che operò dalla fine del '43 all'aprile del '45.
Non è inquadrabile nelle forze armate della Rsi.
Al momento dell'arruolamento, infatti, le Ss italiane non giuravano fedeltà al rinato fascismo della repubblica sociale, ma alla Germania nazista e al suo capo Adolf Hitler.








































INDICE DELLA LEGISLAZIONE NAZISTA IN MATERIA RAZZIALE
-Legge del 7 aprile 1933 - Rinnovo dell'amministrazione pubblica
-Legge del 15 settembre 1935 - Protezione del sangue e dell'onore tedesco
-Primo regolamento alla legge di cittadinanza tedesca
-Legge di Norimberga del 1935 - La cittadinanza tedesca
-Decreto del 18 ottobre 1936 - Ordinanza di eliminazione degli ebrei dalla vita economica
-Decreto del 18 settembre 1942 - Razionamento del cibo agli ebrei
-Articolo 175 del Codice Penale: persecuzione degli omosessuali















Articolo I
1.
Per rinnovare l'amministrazione pubblica e semplificarne la gestione, gli impiegati pubblici possono essere licenziati dal loro ufficio secondo le seguenti disposizioni, anche qualora non vi siano disposizioni la corrente legislazione.
2.
Per l'applicabilità di questa legge sono cosiderati impiegati pubblici: pubblici ufficiali diretti ed indiretti del Reich, diretti ed indiretti dei Laender, pubblici ufficiali delle Amministrazioni locali e delle federazioni delle amministrazioni locali. Pubblici ufficiali delle corporazioni pubbliche, delle istituzioni e delle imprese di status equivalente ... Le disposizioni si applicano anche agli impiegati della assicurzazione sociale che abbiano lo status di dipendenti pubblici.
Articolo II
1.
Gli impiegati pubblici che sino entrati in servizio dal 9 novembre 1918, senza possedere i requisiti o la consueta istruzione richiesta o altre qualifiche sono licenziati dal servizio. Il loro salario verrà corrisposto per i tre mesi successivi al licenziamento.
2. Tutti questi soggetti non potranno reclamare pensioni temporanee, pensioni intere o precedenti benefit, né potranno mantenere la designazione del rango o del titolo, o indossare uniformi o emblemi.
Articolo III
1.
Gli impiegati pubblici che non siano di discendenza ariana verranno pensionati; qualora fossero pubblici ufficiali onorari verranno privati del loro status
2.
Il paragrafo 1 non si applica agli impiegati pubblici in carica dal 1° agosto 1914, che abbiano combattuto al fronte per il Reich tedesco o per i suoi Alleati durante la Grande Guerra o cui genitori o figli siano caduti nella Grande Guerra. Ulteriori eccezioni possono essere consentite dal Ministro degli Interni del Reich in coordinamento con il Ministro della funzione pubblica interessata o con le più alte cariche connesse all'amministrazione in cui l'impiegato pubblico lavora.
Articolo IV
1.
Gli impiegati pubblici le cui precedenti attività politiche non diano certezza che abbiano in ogni momento con tutte le loro forze al bene dello Stato nazionale, possono essere licenziati dal servizio.
Il Cancelliere del Reich Adolf Hitler
Il Ministro del Reich per gli Interni Frick
Il Ministro delle Finanze Graf Schwerin von Krosigk



Fermamente convinti che la purezza del sangue tedesco sia essenziale per la futura esistenza del popolo tedesco, ispirati dalla irremovibile determinazione a salvaguardare il futuro della nazione tedesca, il Reichstag ha unanimamente deciso l'emanazione della seguente legge che viene così promulgata:
Articolo I
1.
I matrimoni tra ebrei e i cittadini di sangue tedesco e apparentati sono proibiti. I matrimoni contratti a dispetto della presente legge sono nulli anche quando fossero contratti senza l'intenzione di violare la legge.
2.
Le procedure legali per l'annullamento possono essere iniziati soltanto dal Pubblico Ministero.
Articolo II
Le relazioni sessuali extraconiugali tra ebrei e cittadini di sangue tedesco e apparentati sono proibite.
Articolo III
Agli ebrei non è consentito di impiegare come domestiche cittadine di sangue tedesco e apparentate.
Articolo IV
1.
Agli ebrei è vietato esporre la bandiera nazionale del Reich o i suoi colori nazionali.
2.
Agli ebrei è consentita l'esposizione dei colori giudaici. L'esercizio di questo diritto è tutelato dallo Stato.
Articolo V
1.
Chi violi la proibizione di cui all'Articolo 1 sarà condannato ai lavori forzati.
2.
Chi violi la proibizione di cui all'Articolo 2 sarà condannato al carcere o ai lavori forzati.
3.
Chi violi quanto stabilito dall'Articolo 3 o 4 sarà punito con un minimo di un anno di carcere o con una delle precedenti pene.
Articolo VI
Il Ministro degli Interni del Reich in accordo con il Vice Fuhrer e il Ministro della Giustizia del Reich emaneranno i regolamenti legali ed amministrativi richiesti per l'attuazione ed il rafforzamento della legge.
Articolo VII
La legge diverrà effettiva il giorno successivo alla sua promulgazione ad eccezione dell'Articolo 3 che diverrà effettivo entro e non oltre il 1° gennaio 1936.



Articolo I
1.
Sino a quando non verranno emanate ulteriori regolamentazioni riguardanti i certificati di cittadinanza, tutti i sudditi del Reich o di sangue affine in possesso del diritto di voto per le elezioni del Parlamento al momento della emanazione della Legge sulla cittadinanza manterranno il diritto di cittadinanza tedesca. Lo stesso vale per coloro ai quali il Ministro degli Interni del Reich - in accordo con il Vice Fuhrer - abbia in via preliminare concesso la cittadinanza provvisoria.
2.
Il Ministro degli Interni del Reich - in accordo con il vice del Fuhrer - può revocare la cittadinanza provvisoria concessa.
Articolo II
1.
I regolamenti di cui all'articolo 1 sono validi anche per i sudditi del Reich di sangue misto giudeo.
2.
Un individuo di sangue misto giudeo è colui che discende da uno o due nonni che siano razzialmente interamente ebrei a meno che il nonno o la nonna non siano da considerarsi ebrei secondo quanto disposto dall'Articolo 5, paragrafo 2. Un nonno dovrà essere considerato come pienamente ebreo nel caso in cui sia iscritto alla comunità religiosa ebraica.
Articolo III
Solo il cittadino del Reich è detentore dei pieni diritti politici, del diritto di esercizio del voto politico o può ricoprire cariche pubbliche. Il Ministro dell'Interno del Reich o qualsiasi altro ufficio da lui autorizzato può stabilire eccezioni durante il periodo di transizione. riguardo all'occupazione di incarichi pubblici. Le questioni riguardanti le organizzazioni religiose non saranno sottoposte a restrizioni.
Articolo IV
1.
Un ebreo non può essere cittadino del Reich. Non ha diritto di voto nelle consultazioni politiche e non può ricoprire cariche pubbliche.
2.
I dipendenti pubblici ebrei saranno pensionati entro il 31 dicembre 1935. Se tali dipendenti avessero servito al fronte durante la guerra mondiale nell'esercito tedesco o negli eserciti alleati della Germania riceveranno totalmente, fino al raggiungimento del limite di età, la pensione maturata in relazione all'ultimo salario percepito; non avranno tuttavia diritto a scatti di anzianità. Dopo aver raggiunto i limiti di età le loro pensioni verranno ricalcolate nuovamente sulla base dell'ultimo stipendio percepito sul quale verrà effettuato il computo per la nuova pensione.
3.
Le questioni riguardanti le organizzazioni religiose non saranno sottoposte a restrizioni.
4.
Le condizioni di servizio degli insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche giudaiche rimarranno immutate fino all'emanazione di nuovi regolamenti per il sistemascolastico giudaico.
Articolo V
1.
Si considera ebreo chiunque discenda da almeno tre nonni ebrei che siano razzialmente interamente giudei. (...)
2.
Si considera ebreo anche chi discende da due nonni interamente ebrei se: a) apparteneva alla comunità ebraica al momento dell'emanazione della presente legge o vi abbia aderito successivamente. b) abbia contratto matrimonio con persona ebrea al momento dell'emanazione della presente legge o successivamente, c) sia nato dal matrimonio con un ebreo nel senso della Sezione I, contratto dopo l'emanazione della Legge per la protezione del sangue e dell'onore tedesco, d) sia il frutto di una relazione extra-coniugale con una persona ebrea in accordo con la Sezione I o sia nato fuori del matrimonio dopo il 31 luglio 1936.
Articolo VI
1.
I requisiti di purezza di sangue stabiliti nella legge del Reich o in ordine al Partito Nazionalsocialista dei lavoratori e delle sue emanazioni - non coperti dall'Articolo 5 - rimangono immutati.
2.
Ogni altro requisito di purezza di sangue non coperto dall'Articolo 5 può essere stabilito soltanto con l'autorizzazione del Ministro degli Interni del Reich e del Vice Fuhrer. (...)
Articolo VII
Il Fuhrer e Cancelliere del Reich può concedere esenzioni dai regolamenti stabiliti con la presente legge.



Il Parlamento del Reich all'unanimità ha approvato la seguente legge che così viene promulgata:
Articolo I
1.
Il suddito dello Stato è quella persona che gode della protezione del Reich tedesco e che in conseguenza di ciò ha specifici ordini verso di esso.
2.
Lo status di suddito del Reich viene acquisito in accordo con i decreti del Reich e la Legge di Cittadinanza dello Stato.
Articolo II
1.
Un cittadino tedesco è un suddito dello Stato di sangue tedesco o affine, che dimostri con la sua condotta di voler servire fedelmente la Germania e il popolo tedesco.
2.
La Cittadinanza del Reich viene acquisita attraverso la concessione di un Certificato Statale di Cittadinanaza.
3.
Il cittadino del Reich è l'unico detentore di tutti i diritti politici in accordo con la Legge.
Articolo III
Il Ministro degli Interni del Reich, in coordinamento con il Vice Fuhrer emanerà le ordinanze legali ed amministrative per implementare e completare questa legge.
Norimberga 15 settembre 1935, al Congresso del Partito della Libertà
Il Fuhrer cancelliere del Reich
Adolf Hitler
Il Ministro degli Interni del Reich
Frick



Sulla base del Decreto del 18 ottobre 1936 per l'esecuzione del Piano dei Quattro Anni si ordina quanto segue:
Articolo I
1.
Dal 1° gennaio 1938, l'esercizio della vendita al dettaglio, la vendita per corrispondenza, il libero esercizio dell'artigianato sono proibiti agli ebrei.
2.
Allo stesso modo è proibito agli ebrei a partire dalla stessa data di offrire beni e servizi in qualsiasi mercato, fiera o mostre, di pubblicizzarle o di accettare ordini di acquisto.
3.
I negozi giudei che opereranno in violazione di questa ordinanza saranno chiusi dalla polizia.
Articolo II
1.
A nessun ebreo è consentito di amministrare una impresa in accordo con la definizione del termine "amministratore" esposto dalla legge sul lavoro nazionale del 20 gennaio 1934.
2.
Se un ebreo ricopre una carica direttiva all'interno di un'area di affari può essere licenziato con un preavviso di sei settimane. Al termine di questo periodo tutti i reclami risultanti dal contratto di impiego, specialmente quelli su compensazioni e pensioni saranno ritenuti nulli.
Articolo III
1.
Nessun ebreo può essere membro di una società cooperativa.
2.
I membri ebrei di cooperative perderanno la loro associazione dal 21 dicembre 1938. Non sarà necessaria alcuna notifica.
Articolo IV
1.
I Ministeri competenti del Reich sono incaricati di emanare i regolamenti richiesti da questo decreto. Saranno permesse eccezioni soltanto se necessarie al trasferimento delle aziende ebraiche in mani non ebraiche o per la liquidazione degli interessi ebraici e nei casi speciali in cui si debbano assicurare rifornimenti.
Berlino, 12 Novembre 1938
Il Presidente del Piano dei Quattro Anni
Göring
Gran Maresciallo del Reich



Il Ministro del Reich per l'Alimentazione e l'Agricoltura
Berlin W 8, Wilhelmstr. 72
18 Settembre 1942.
Ai Governatori di Stato per l'alimentazione ai presidenti degli uffici provinciali per l'alimentazione della Prussia con l'eccezione dei territori dell'Est non incorporati nell'Alta Slesia
Per informazione ai Presidenti di distretto [Regierungspraesidenten] e rispettive autorità
Oggetto: razioni alimentari per gli ebrei.
1.
Razioni
Gli ebrei non dovranno più ricevere i seguenti generi alimentari a partire dal 42° periodo di distribuzione (19 ottobre 1942) : carne, prodotti derivati dalla carne, uova, derivati del grano (dolci, pane bianco, panini, fecola di grano, etc), latte fresco intero, latte fresco scremato, e tutti quei cibi che saranno distribuiti non in base alle carte annononarie uniformemente distribuite nel Reich ma in base a certificati locali di distribuzione o attraverso annuncio speciale emanato dagli Uffici dell'Alimentazione locali su coupon speciali delle tessere annonarie. I bambini ebrei e i ragazzi sino ai 10 anni di età riceveranno la razione di pane identica a quella dei normali consumatori. I bambini ebrei e i ragazzi entro i 6 anni d'età riceveranno la razione di grassi assegnata al normale consumatore senza sostituti del miele e senza cacao in polvere. Allo stesso modo non riceveranno il supplemento di marmellata distribuito alla corrispondente fascia d'età dai 6 ai 14 anni. I bambini ebrei sino ai 6 anni riceveranno mezzo litro di latte fresco scremato al giorno.
Conseguentemente non dovranno più essere rilasciate agli ebrei tessere e certificati locali di prelevamento per carne, uova o latte. I bambini ebrei e i ragazzi sino ai 10 anni di età riceveranno le tessere per il pane e quelli sino ai 6 anni d'età le tessere per i grassi identiche a quelle dei normali consumatori. Le tessere per il pane rilasciate agli ebrei dovranno consentire il prelevamento soltanto di prodotti confezionati a base di segale. I bambini ebrei sotto i 6 anni di età riceveranno un certificato di prelevamento per il latte fresco scremato. Su di esso dovrà essere annotata la frase "Buono per mezzo litro giornaliero".
3.
Regolamentazione per gli infermi
Le regole di distribuzione per gli ammalati e le persone inferme, per le donne in stato interessante, per le donne in allattamento and women in childbed non si applicano agli ebrei. Le regole istituite dal presente decreto si applicano anche agli ebrei ricoverati negli ospedali. 4.
Distribuzioni speciali
Gli ebrei sono esclusi da qualsiasi distribuzione speciale.
5.
Scambio di tessere annonarie con coupon di viaggio o per ristoranti
Il cambio di tessere annonarie con biglietti di viaggio e coupons per ristoranti può essere consentito agli ebrei soltanto in casi urgenti ed eccezionali.
6.
Cibo non compreso nel razionamento
Per l'acquisto di generi alimentari non razionati gli ebrei non sono soggetti a restrizioni siano a quando tali generi siano disponibili in quantità sufficienti per la popolazione ariana. I generi alimentari non compresi nel razionamento che vengono distribuiti di tanto in tanto e in quantità limitate, come ortaggi e aringhe, pasta di pesce, etc. non devono essere distribuite agli ebrei. Gli uffici dell'alimentazione sono autorizzati a permettere agli ebrei l'acquisto di rape, foglie di cavolo, etc.
7.
Timbrature delle tessere annonarie
Le tessere annonarie rilasciate agli ebrei dovranno essere soprastampate diagonalmente (cioé sopra ciascun coupon) con la stampa ripetuta della parola "ebreo". A questo scopo dovrà essere scelto un colore in netto contrasto con il colore di base della tessera annonaria. Non è necessario quindi l'annullamento di questi coupon prima del rilascio delle tessere.
8.
Orari speciali di acquisto per gli ebrei
Per evitare inconvenienti all'approvvigionamento della popolazione ariana si raccomanda che le autorità preposte all'alimentazione stabiliscano orari speciali per gli acquisti degli ebrei.
9.
Pacchi dono indirizzati ad ebrei
Gli uffici dell'alimentazione devono caricare per intero sulle tessere annonarie degli ebrei il contenuto di cibi ricevuti in pacchi dono loro indirizzati. Qualora si trattasse di prodotti sottoposti a razionamento ma non regolarmente distribuiti (come caffé, cacao, the, etc.) l'intera spedizione, o ciò che - a causa di ritardata denuncia dell'arrivo del pacco non sia stato ancora utilizzato - dovrà essere messo a disposizione dei grandi consumatori come gli ospedali e dovrà essere caricato sulle loro razioni. Nel decreto del 29 aprile 1941, di cui si acclude copia, il Ministro delle Finanze ha incaricato gli Uffici della dogana di redigere rapporti settimanali da inviarsi agli uffici dell'alimentazione competenti per territorio. Tali rapporti riporteranno la quantità delle merci in arrivo quando sia certo o si sospetti che il ricevente sia ebreo. Nel caso in cui il rapporto dell'ufficio doganale all'ufficio dell'alimentazione giunga in un ritardo tale che il cibo contenuto nei pacchi dono sia stato già interamente consumato questo dovrà essere caricato sulle razioni degli ebrei. Nel caso in cui gli uffici della polizia di stato siano informati della spedizione di pacchi alimentari provenienti dall'estero indirizzati ad ebrei, dovranno sequestrare tali pacchi e metterli a disposizione degli uffici dell'alimentazione.
Per il Segretario di Stato
Reicke
Traduzione parziale del documento 1347-PS
Fonte: Nazi Conspiracy and Aggression, Vol.III. USGPO, Washington, 1946, pp. 914-915









































§ 175
Un uomo che commette con un altro uomo atti licenziosi e lascivi o si presta a subire tali atti è punito con la reclusione.
Se una delle due persone coinvolte ha meno di ventun'anni al momento del reato, il tribunale può, in casi eccezionali di minore gravità, astenersi dall'infliggere la pena.
§ 175a
È punito con un massimo di dieci anni di reclusione in un penitenziario o - in presenza di circostanze attenuanti - con non meno di tre mesi di prigione:
1.
colui che, facendogli violenza o minacciandolo di morte o di lesioni, costringa un altro uomo a commettere con lui o a subire atti licenziosi e lascivi;
2.
colui che, sfruttando la propria posizione di superiorità in relazione ad un rapporto di lavoro, di servizio o comunque di subordinazione, costringa un altro uomo a commettere con lui o a subire atti licenziosi e lascivi;
3.
colui che, avendo compiuto i ventun'anni di età, seduca un altro uomo di età inferiore ai ventun'anni inducendolo a commettere con lui o a subire atti licenziosi e lascivi;
4.
colui che si prostituisce o che offre di prostituirsi con altri uomini commettendo con loro o subendo atti licenziosi e lascivi.
§ 175b.
Gli atti contro natura commessi da esseri umani con animali sono puniti in ogni caso con la reclusione e possono inoltre comportare la perdita dei diritti civili e politici.
Note [Questo è l'inasprimento del paragrafo 175 del codice penale tedesco approvato nel 1871 che aprì le porte dei lager per gli Questo paragrafo non fu abolito dopo la fine della guerra e rimase in vigore inalterato fino al 1969, quando fu abrogato parzialmente ; un'ulteriore abrogazione parziale si ebbe ancora nel 1973 : per l'abrogazione totale si dovette attendere fino al 1994. Il fascismo perseguitò gli omosessuali, anche se il codice penale Rocco, a differenza del Paragrafo 145 voluto da Hitler, non conteneva al suo interno una specifica normativa antiomosessuale.
Nel progetto del Codice Rocco del 1927, peraltro, era previsto un articolo, il 528, che puniva con la reclusione da uno a tre anni i colpevoli di relazioni omosessuali. Alla fine, però, il regime fascista decise di eliminare tale articolo dalla versione finale del codice, non certo per motivazioni liberali, ma perché prevedere il reato di omosessualità, significava ammettere l'esistenza degli omosessuali in Italia, come si legge nella relazione redatta dalla Commissione Appiani, che aveva il compito di discutere l’attuazione della nuona normativa: “La Commissione ne propose ad unanimità e senza alcuna esitazione la soppressione per questi due fondamentali riflessi. La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni o offesa al pudore, ma è noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di impostazione assolutamente straniera, la Polizia provvede fin d’ora, con assai maggior efficacia, mediante l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza e detentive”.
La repressione dell’omosessualità venne dunque affidata all’intervento della polizia che, dopo aver sottoposto il caso alla Commissione Provinciale, provvedeva alla diffida o all’ammonizione e al diffido. Furono oltre 20mila le pratiche di ammonizione nei confronti degli omosessuali. Molti omosessuali furono anche confinati in isole del Mediterraneo, in particolare le Tremiti.]































































































INDICE
-GLI EBREI IN RUSSIA POCO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
-LE TEORIE BOLSCEVICHE SUGLI EBREI
-RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E GLI EBREI
-L'ANTISEMITISMO POPOLARE IN URSS
-CONDIZIONE DEGLI EBREI DURANTE GLI ANNI '30
-GLI EBREI DURANTE LA GUERRA
-CONDIZIONE DEGLI EBREI IN URSS SUBITO DOPO LA FINE DELLA GUERRA
-LA CAMPAGNA CONTRO I "NAZIONALISTI"
-LA CAMPAGNA CONTRO I "COSMOPOLITI"
-1949: L'ANNO DEL TERRORE
-IL "COMPLOTTO DEI MEDICI EBREI"
-IL "DOPO STALIN"
-CONCLUSIONI
























GLI EBREI IN RUSSIA POCO PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
Secondo il censimento del 1897, l'ultimo disponibile prima della rivoluzione, gli appartenenti alla religione ebraica che vivevano nell'Impero Russo erano 5.500.000; di questi solo per l'1 % il russo era la propria lingua madre, per il 97 % l'yiddish. Questa popolazione era quasi tutta confinata nella cosiddetta "Zona di Residenza", ai confini occidentali dell'Impero Russo, dove spesso gli ebrei costituivano la maggioranza della popolazione.
La maggior parte era impiegata in lavori manuali, soprattutto artigianato e commercio, ed erano anche molto poveri, tanto che in quegli anni ne emigrò all'incirca un milione.
Le tendenze politiche più diffuse fra gli ebrei erano il sionismo ed il socialismo. Gli aderenti ai vari movimenti sionisti erano circa 300.000 al momento dello scoppio della rivoluzione (Schechtmann). Vi era anche un partito socialista solamente ebraico: il Bund. All'interno del Partito Social Democratico Russo gli ebrei erano soprattutto fra i menscevichi; tanto che Stalin, parlando del VII Congresso del Partito Social Democratico Russo, disse che i bolscevichi, in quanto gli unici veri russi, avrebbero potuto fare un pogrom (Stalin, Sochineniya vol. 2 p. 50).
Durante la Prima Guerra Mondiale gli ebrei erano stati vennero visti dal governo come dei nemici interni e subirono dure persecuzioni.
In questa situazione la rivoluzione di Febbraio e la fine dello zarismo furono accolti con sollievo immenso.
Il Governo Provvisorio abolì subito ogni forma di restrizione per gli ebrei (20 Marzo 1917).
Cominciò così un periodo di circa due anni di rinascita culturale per gli ebrei in cui sembrò che nel nuovo stato vi sarebbe stata l'uguaglianza e l'autonomia di tutte le nazionalità.

LE TEORIE BOLSCEVICHE SUGLI EBREI
L'unico trattato specifico prerivoluzionario è dello stesso Marx: è un trattato del 1843, premarxista e antisemita.
Marx identifica l'ebraismo con il potere del denaro, per questo lo ritiene una forma di alienazione, così come l'antisemitismo.
Marx comunque tratta l'argomento come il problema di una minoranza religiosa risolvibile con l'assimilazione, i bolscevichi invece lo avvertiranno come un problema etnico.
Infatti l'unico altro saggio prerivoluzionario che parli in qualche modo dell'argomento è quello di Stalin del 1913: "Il marxismo e la questione nazionale". Fu scritto sotto la guida di Lenin. La definizione di nazione è la seguente:
"Una nazione è una comunità storicamente evoluta e stabile, con un linguaggio, territorio, vita economica e formazione comuni, che si esprime in una comunanza di cultura"
Data questa definizione, gli ebrei ne vengono esclusi in quanto privi di territorio.
Stalin inoltre dice chiaramente che gli ebrei non possono essere una nazione in quanto non hanno una classe contadina, che la tendenza per loro è verso l'assimilazione e che l'abolizione della Zona di Residenza accellererà le cose.
Sembra quindi che la posizione dei bolscevichi nei confronti degli ebrei fosse quella di negare che essi fossero una nazionalità, eppure dissero che avevano una "carattere nazionale" (Lenin).
Nel 1914 Lenin presentò alla Duma una carta per l'uguaglianza delle nazionalità, e tra esse menzionava gli ebrei.
Il fatto è che i bolscevichi non riconoscono valore al concetto di nazione, ma solo a quello di classe. Per loro l'argomento è sempre secondario.
Quindi, una volta tolte le leggi discriminatorie, non avevano un interesse particolare nelle questioni inerenti le minoranze etniche, linguistiche etc; né a definirle perfettamente.
Tutto questo almeno fino a prima della rivoluzione.
Sono convinti che il socialismo avrebbe risolto tutti questi mali.
Lenin infatti riteneva che l'ebraismo, ed anche l'antisemitismo, fossero le espressioni più alte di quella arretratezza contro cui combatteva per l'emancipazione del genere umano.

RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E GLI EBREI
Anche la rivoluzione di Ottobre fu bene accolta e molti ebrei si unirono solo allora ai bolscevichi.
Infatti fino ad allora il partito bolscevico era stato probabilmente il partito socialista con il minor numero di ebrei, quelli che c'erano erano però in posti di comando.
Ciò incrementò l'antisemitismo dei Bianchi che si dettero a pogrom nelle zone da loro occupate, pogrom che causarono la morte di un numero di persone fra le 180.000 e le 200.000 secondo stime ufficiali sovietiche (Weinryb).
Quando andarono al potere i bolscevichi, nonostante le loro teorie che negavano il carattere nazionale degli ebrei, si trovarono di fronte ad un vero e proprio popolo, con una propria lingua, cultura etc.
Scegliendo come categoria quella etnica, invece che quella religiosa, il problema rientrava in schemi più comprensibili e razionali.
Un riconoscimento politico del carattere nazionale degli ebrei era già avvenuto nel Gennaio del 1918 con la creazione di un Commissariato per gli Affari Nazionali Ebraici, sezione speciale del Commissariato delle Nazionalità, sotto la guida di Stalin. Il compito del Commissariato ebraico (YevCom), oltre alla diffusione delle idee bolsceviche tra gli ebrei, era quello di abolire tutte le istituzioni comunitarie ed autonome ebraiche e di trasferire i loro fondi e proprietà al Commissariato stesso. Lo scioglimento delle organizzazioni autonome ebraiche fu formalizzato con un decreto il 5 Agosto del 1919.
Sempre nel 1918 il Partito Comunista creò delle Sezioni Ebraiche (Yevsktsii) all'interno della sua struttura.
Il loro compito era quello di fare propaganda fra i lavoratori ebrei in yiddish.
Queste furono assai più importanti del Commissariato e presto ne assunsero le funzioni.
In esse confluirono molti ex-bundisti.
Infatti la soluzione etnica si avvicinava molto a quella proposta dal Bund di autogoverno.
Al X congresso del Partito Comunista, nel 1921, fu adottata una risoluzione che menzionava gli ebrei come esempio insieme a poche altre nazionalità.
Era il segno che ormai gli ebrei erano stati riconosciuti come nazionalità.
E proprio perché erano diventati una nazionalità anche la lingua da loro parlata in maggioranza, l'yiddish, divenne in alcune repubbliche una delle lingue ufficiali del governo: in Moldavia, in Bielorussia ed in Ucraina.
In genere fu dato uno spazio molto ampio a tutta la parte della cultura ebraica che era laica ed in yiddish, proprio per trasformare completamente gli ebrei da religione a gruppo etnico.
Ad esempio vennero create scuole in yiddish o venne dato impulso a quelle già esistenti.
La parte religiosa e sionista della cultura ebraica, che si esprimevano in lingua ebraica vennero invece perseguitate.
L'ebraico, unica fra le lingue, venne dichiarato "linguaggio reazionario" e di fatto vietato (Rothenberg p. 167).
La prima a farsi sentire fu la persecuzione contro la religione, ebraica e non.
Il 23 Gennaio 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo emanò un decreto, intitolato "sulla separazione della chiesa dallo stato e della chiesa dalla scuola".
Ciò che colpiva di più la comunità ebraica era il divieto di insegnamento religioso.
Le Comunità ebraiche furono sciolte (Ottobre 1918) con l'aiuto della Yevsektsja.
Ciò creò problemi per la sostituzione della loro attività variegata, soprattutto nel campo dell'educazione.
Contro tutti i membri del clero furono prese misure quali privazione dei diritti civili, discriminazione verso l'intera famiglia nella concessione di tessere annonarie, discriminazione nell'assistenza medica etc, diffamazione pubblica e, come ultima ratio, accusa di attività controrivoluzionaria.
Tutta la persecuzione avvenne nel segno dell'uguaglianza: uguaglianza di persecuzione per tutte le religioni.
La misura era uno per uno: per ogni prete deportato un rabbino, per ogni chiesa chiusa una sinagoga.
Poiché il numero di preti e di chiese era enormemente superiore, la religione ebraica finì con l'essere la maggiormente perseguitata.
La persecuzione contro il sionismo avvenne più lentamente.
Le autorità non avversavano in modo particolare il sionismo, lo avvertivano come un movimento esotico che non dava noia a nessuno; gli unici a cui dava noia erano quelli dell'Yevsekstja che dovevano subirne la concorrenza fra le masse ebraiche.
Nella prima metà degli anni '20 le attività dei circoli sionisti vennero soltanto ostacolate e alcuni leader arrestati, ma mai con l'accusa esplicita di sionismo; infatti il sionismo non era ancora stato dichiarato illegale.
Ancora all'Esibizione Internazionale dell'Agricoltura a Mosca nel 1924 fu invitato anche l'Histadruth (il sindacato sionista in Palestina), e l'Hechalutz in quegli anni riceveva un sovvenzionamento dallo stato. Fu nella seconda metà degli anni '20 che la persecuzione verso il sionismo si fece sentire più forte.
L'ultimo circolo sionista i cui membri vennero arrestati fu sciolto nel 1934.
In realtà il sionismo durò più a lungo del suo maggiore nemico: la Yevsektsja.
Questa infatti fu sciolta nel 1930, dopo essere già stata ridotta: essa aveva esaurito il suo compito demolitore delle istituzioni ebraiche, l'unico compito che le era stato assegnato, e quindi non era più necessario tenerla in vita.
Un altro colpo che il regime inferse agli ebrei fu dal punto di vista economico.
Come abbiamo visto gli ebrei erano soprattutto artigiani e commercianti, quindi piccolo borghesi.
Durante la NEP essi ripresero queste loro attività, quando essa finì circa 1.120.000 ebrei dovettero chiudere le loro piccole attività.
Molti di questi nuovi disoccupati si riversarono nelle città, e particolarmente nei centri industriali.
Per coloro che rimasero nella Zona di Residenza la situazione era disastrosa, l'unico lavoro ancora disponibile era quello agricolo.
Nel 1925 vien fondata la "Società per l'insediamento sulla terra di lavoratori ebrei", conosciuta come Geserd, suo fautore fu Kalinin, molto interessato alla causa degli ebrei.
Poiché in Ucraina non c'era abbastanza terra per assorbire tutti gli ebrei russi come contadini, e quei pochi che vi furono insediati provocarono le reazioni antisemite delle popolazioni locali, fu deciso di trasferire la zona di insediamento in una zona dell'URSS meno abitata.
Fu scelto il Biro-Bidzan, al confine con la Cina, perché era strategicamente importante che fosse popolato.
L'obbiettivo delle autorità sovietiche nel creare uno stato ebraico era quello di ottenere il sostegno finanziario, degli ebrei americani, e di risolvere il problema degli ebrei sovietici, cercando di allontanarli così dal sionismo.
Dal 1928 cominciò la propaganda a favore dell'insediamento in Biro-Bidzan, diretta anche agli ebrei stranieri: pochissimi ebrei sovietici e nessun ebreo straniero risposero all'appello.
Il numero degli arrivati era di poche centinaia l'anno.
Ben presto divenne maggiore il numero di coloro che se ne andavano rispetto a quelli che arrivavano.
Le condizioni di vita erano pessime, ed anche la tanto propagandata libertà culturale era irrisoria.
Nel 1934 la zona fu proclamata Regione Autonoma, anche per renderla più attraente agli ebrei.
Kalinin disse che in quel modo gli ebrei, unica fra tutte le nazionalità a non avere uno stato proprio, avrebbero avuto uno stato che ne avrebbe salvaguardato la cultura nazionale; coloro che non volevano andarci si sarebbero dovuti assimilare.
Il fallimento del progetto Biro-Bidzan fece dire a Stalin:
"Se gli ebrei non volevano essere del Biro-Bidzan era perché preferivano essere russi". (Fejtö p 24)
Seguendo questo criterio fin da quegli anni la cultura ebraica al di fuori del Biro-Bidzan fu ostacolata.
La scelta era fra il Biro-Bidzan e l'assimilazione.
Da allora il Biro-Bidzan servì più che altro a scopo intimidatorio: di tanto in tanto, fino a periodi recenti, veniva detto che gli ebrei sarebbero stati tutti deportati in Biro-Bidzan.
Finora abbiamo analizzato l'atteggiamento della autorità, vediamo adesso quello della popolazione sovietica nei confronti degli ebrei.

L'ANTISEMITISMO POPOLARE IN URSS
La Russia ha una lunga tradizione di antisemitismo popolare, ricordiamo per inciso i pogrom che fino a pochi anni prima erano comuni ed i pogrom commessi dai Bianchi.
L'avvento del comunismo fui sentito, soprattutto dai contadini impregnati della propaganda antisemita religiosa, come la vittoria degli ebrei. Ad esempio gli archivi del partito comunista relativi a Smolensk (gli unici consultabili), parlano di contadini che fanno un pogrom e minacciano di uccidere per rappresaglia tutti gli ebrei della città se gli ori della chiesa fossero stati presi dalla autorità.
L'antisemitismo crebbe in maniera preoccupante durante la NEP, in quanto gli ebrei ne erano i principali beneficiari e venivano visti da molti, fra cui anche membri del partito, come degli speculatori.
Infatti neanche l'apparato sovietico era esente da antisemitismo.
Per molti di loro l'antisemitismo era una variante del sentimento contro la borghesia e lo ritenevano conforme al comunismo (come d'altronde avevano fatto molti populisti nel secolo precedente).
Non erano però solo gli elementi meno istruiti del partito ad essera antisemiti; Kalinin nel 1926 affermò che "l'intellighenzia russa e forse più antisemita oggi che sotto lo Zar" Fu infatti proprio da quell'anno che cominciò lo sforzo fatto dal partito contro l'antisemitismo (1926-30).
Il fenomeno era infatti divenuto allarmante; si ha notizia soprattutto di violenza commesse da studenti che chiedevano l'introduzione del numerus clausus.
Qualche idea sulle opinioni correnti fra i membri del partito la si può avere ascoltando le domande che furono fatte nel 1928 ad un seminario tenutosi a Mosca sulla questione ebraica, aperto soltanto a membri del partito o aspiranti:
- Perché i lavoratori russi odiano la nazionalità ebraica più di ogni altra? Il motivo non sta forse negli ebrei?
- Perché gli ebrei non vogliono fare lavori pesanti?
- Perché gli ebrei ottengono sempre buone posizioni?
- Perché ci sono tanti ebrei all'università? Forse falsificano i documenti?
- Gli ebrei sarebbero traditori in guerra, non è forse vero che cercano di evitare il sevizio militare?
Durante la guerra civile, nel 1918, era stato fatto un decreto contro i pogromisti; generalmente l'Armata Rossa salvò gli ebrei e li aiutò ad organizzare delle organizzazioni armate di autodifesa.
Il secondo tentativo per combattere l'antisemitismo venne fatto negli anni '20. Come abbiamo visto però gli stessi membri del partito erano in buona parte antisemiti, quindi misure quali l'eliminazione dei libri antisemiti (insieme a quelli religiosi e pro zaristi), ebbero in realtà un effetto quasi nullo.
In quegli anni gli ebrei se erano comunisti e assimilati venivano odiati dalla popolazione, se non lo erano incorrevano nell'odio del regime in quanto tradizionalisti o sionisti.

GLI ANNI '30
Dal momento che gli ebrei vennero riconosciuti come "nazionalità" e non più come religione, anche i loro figli erano compresi. Così in Urss essere ebrei non era una scelta privata, ma una faccenda legale.
La fattispecie giuridica venne creata alla fine del 1932, quando vennero creati i passaporti interni; infatti nel decreto si diceva che nel passaporto doveva essere indicata, al famigerato V paragrafo, la nazionalità.
I passaporti furono introdotti prima nelle città; infatti il motivo per cui furono introdotti era la penuria di abitazioni nelle città: il passaporto divenne il modo per regolare l'afflusso nelle città e la distribuzione degli appartamenti.
Quando la legge entrò in vigore per determinare la nazionalità si ricorse al certificato di nascita, in cui era scritta. In seguito essa venne assegnata a 16 anni, quando si riceveva il passaporto: se la nazionalità dei genitori era uguale, essa veniva iscritta nel passaporto, senza possibilità di scelta; se era diversa il ragazzo doveva scegliere la nazionalità di uno dei due genitori, senza possibilità di ripensamenti.
Questo provvedimento non aveva un carattere antisemita, né razzista in genere.
Inevitabilmente lo assunse con il tempo.
Infatti nonostante le varie promesse la menzione della nazionalità è rimasta obbligatoria fino a tempi recentissimi (crollo del comunismo?).
A metà degli anni '30 il patriottismo sovietico dei tempi dell'industrializzazione cominciò a trasformarsi in nazionalismo russo.
Se fino ad allora tutte le minoranze avevano avuto la libertà più ampia, adesso si comincia dire che le nazionalità più piccole devono assimilarsi.
Dal 1937 un motivo valido per essere deportati poteva essere anche solo la nazionalità.
Nel 1937 infatti avviene la prima deportazione di una nazionalità intera: la minoranza coreana in Urss (che venne deportata dall'Estremo Oriente al Kazhakistan).
Nel 1940 furono deportati gli estoni ed i finlandesi da Leningrado sulla base del cognome.
Nel 1941 toccò ai tedeschi del Volga, anche qui sulla base del cognome (Ginzburg!).
Subito dopo la guerra toccò ai ceceni, ai tatari ed a varie altre etnie caucasiche.
In queste deportazioni furono spostate centinaia di migliaia di persone, di tutte le età nel giro di pochi giorni.
La definizione tecnica fu "confinati speciali".
Le uniche eccezioni furono i coniugi sposati con un membro di un'altra etnia.
Nel 1953 avrebbe dovuto essere il turno degli ebrei, ma ci torneremo.
Adesso torniamo agli anni'30.
L'arma dell'antisemitismo viene usata per la prima volta dalla propaganda nel conflitto fra Stalin e Trocki.
Trocki stesso denunciò la cosa chiedendo in una lettera a Bucharin se fosse possibile che nelle cellule operaie a Mosca si facesse agitazione antisemita (Deutsher, "Il profeta disarmato").
In Urss divenne opinione comune ritenere che le principali vittime delle purghe degli anni '30 fossero gli ebrei.
All'epoca circolava una barzelletta sotto forma di dialogo fra due carcerati:
"Non sei trockista, né ebreo, ma perché sei stato arrestato allora?"
Ho letto le memorie di Evgenja Ginzburg, arrestata e deportata per 10 anni con l'accusa di trockismo proprio in quegli anni, ma di antisemitismo non si fa menzione.
Infatti nelle purghe furono deportate anche migliaia di non ebrei, soprattutto non russi.
Probabilmente uno degli scopi delle grandi purghe era proprio quello di ridurre l'influenza dei non russi nelle alte sfere, e quindi anche degli ebrei, che in più potevano essere accusati facilmente di trockismo.
La diffusione del nazionalismo colpì anche la cultura ebraica.
Furono chiuse scuole e centri culturali ebraici.
Il patto Ribbentrop-Molotov accelerò le cose.
Infatti l'antisemitismo durante il patto Ribbentrop-Molotov fu una sorta di omaggio ai nuovi alleati; ad esempio sui giornali si scriveva che l'antisemitismo nazista era principalmente diretto contro la religione ebraica e che era dovere degli atei marxisti aiutare i nazisti in questa campagna.
Leggiamo le memorie di Mark Gallai, ricordato da molti russi come il più importante pilota collaudatore (citato in Ainsztein):
"Molti di noi accettarono il trattato come il prendere una medicina cattiva: era orribile, ma necessario. Ma la firma del trattato fu seguita da avvenimenti che erano invece incomprensibili. I fascisti non erano più chiamati fascisti. Ciò che il Komsomol ed i pionieri ci avevano insegnato ad odiare come ostile, cattivo e minaccioso, divenne improvvisamente neutrale. Non fu detto con molte parole, ma il sentimento si diffuse nelle nostre anime quando guardavamo le foto di Hitler accanto a Molotov o quando leggevamo del grano e del petrolio sovietico che andava alla Germania fascista o quando vedevamo il passo dell'oca prussiano che veniva adottato proprio allora dal nostro esercito. Sì era molto difficile capire allora cosa stesse succedendo".
Tra le conseguenze del patto ricordiamo l'epurazione degli ebrei dall'esercito, dalla diplomazia e dal commercio con l'estero.
Va tenuto presente che fu un omaggio non richiesto in alcun modo dai nazisti.

GLI EBREI DURANTE LA GUERRA
Innanzitutto le annessioni di parte della Polonia, di parte della Romania e delle repubbliche baltiche fecero finire sotto il dominio sovietico circa 2.000.000 di ebrei, pochi di questi assimilati.
Subito cominciò la persecuzione contro i sionisti, mentre invece non vi fu persecuzione contro nessuna religione.
Comunque tutto fu interrotto dall'invasione tedesca.
Al momento dell'invasione Stalin fece appello a tutti e permise anche agli ebrei di alzare la loro voce come un popolo: il 24 Agosto del 1941, per la prima volta dal 1918, l'ebraismo russo poté rivolgersi all'ebraismo della diaspora e fu lanciato un appello per radio che cominciava con le seguenti parole:
"Ai nostri fratelli ebrei in tutto il mondo!"
Era un appello dal tono patriottico che chiedeva al popolo ebraico, quindi gli ebrei di tutto il mondo vengono riconosciuti come un popolo, di unirsi agli alleati per combattere i nazifascisti e vendicare gli ebrei già uccisi.
Sottoscrissero il testo personalità ebraiche che più tardi confluirono nel Comitato Antifascista Ebraico.
Infatti Stalin sperava di poter creare un'organismo sovietico ebraico per ottenere consenso ed aiuti soprattutto fra gli ebrei americani, di cui da buon antisemita, sopravvalutava l'influenza.
Dapprima Stalin tramite Berja aveva proposto a due bundisti polacchi.
Stalin però ci ripensò in quanto i due erano stati menscevichi e dette ordine di fucilarli.
Così invece fu fondato il Comitato Antifascista Ebraico, ufficialmente il 6 Aprile del 1942.
Salomon Mikhoels, un noto attore, ne fu il presidente, Aynikayt il suo organo.
I compiti del Comitato dapprima furono quelli di fare propaganda tra gli ebrei sovietici, e di usare gli esempi di eroismo degli ebrei sovietici all'estero per muovere gli ebrei dei paesi stranieri verso la guerra contro Hitler.
Subito dopo la creazione del Comitato Mikhoels e Feffer vennero mandati in Gran Bretagna ed in Usa per raccogliere denaro per l'Armata Rossa ed i civili sovietici.
Nel frattempo la diplomazia sovietica prese contatti con esponenti sionisti in Palestina, valutando la possibilità di un sostegno sovietico alla creazione dello stato di Israele, in cambio del sostegno del movimento sionista (questo mentre i sionisti in Urss continuavano ad essere perseguitati).
La creazione del Comitato fu la concessione più importante fatta agli ebrei sovietici.
Man mano che la guerra si avvicinava alla fine il Comitato si emancipava dalle direttive rigide del Cremlino e cominciava ad occuparsi di altri temi concernenti gli ebrei, quali le dimostrazioni di antisemitismo durante la guerra ed il futuro dell'ebraismo sovietico dopo la guerra.
Infatti in Ucraina, Bielorussia si erano formati dei gruppi nazionalistici ed antisemiti che collaboravano con i nazisti nello sterminio.
Addirittura in Lituania, quando i nazisti arrivarono, i lituani avevano già cominciato per conto loro a uccidere gli ebrei.
L'antisemitismo si diffuse dalle regioni conquistate dalla Germania a tutta la popolazione sovietica.
I motivi sono vari: la propaganda nazista, che cercava di eguagliare gli aspetti più deteriori del regime sovietico con gli ebrei; inoltre, come in tutti i momenti di crisi, gli ebrei divennero capro espiatorio; infine il richiamo al nazionalismo russo, che influì nel diffondersi di un antisemitismo popolare, ma avvallato dalle autorità. Infatti le autorità non solo non fecero nulla per combatterlo, ma tralasciarono di dire ciò che i nazisti facevano agli ebrei.
Fra i partigiani, specie se nazionalisti, l'antisemitismo era pratica omicida.
Gli ebrei dovettero costituire bande partigiane ebraiche, che però non avevano il sostegno della popolazione locale.
Comunque anche i partigiani fedeli al regime sovietico non accettavano facilmente gli ebrei e questo la dice lunga sulla diffusione dell'antisemitismo anche fra i fautori del regime sovietico. Alla fine della guerra, quando le bande partigiane erano state unificate sotto il controllo di Mosca, le cose migliorarono per gli e ebrei, che poterono entrare in esse più facilmente.
Anche fra l'Armata Rossa e nelle parti non occupate del paese l'antisemitismo era crescente.
L'accusa principale rivolta agli ebrei era quella di non combattere, completamente falsa poiché gli ebrei, relativamente al loro numero, hanno dato il numero maggiore di decorati di tutte le nazionalità.
Comunque oltre a questa c'erano le solite accuse antisemite (borsaneristi etc.)

SUBITO DOPO LA FINE DELLA GUERRA
L'odio antisemita accumulato durante la guerra non sparì d'un colpo, anzi.
Soprattutto nelle regioni che erano state occupate il ritorno dei sopravvissuti fu molto malvisto.
Molti che avevano collaborato temevano di essere riconosciuti, molti che avevano approfittato della scomparsa degli ebrei per appropriarsi delle loro case, dei loro posti di lavoro vedevano altrettanto male il loro ritorno.
Leggiamo la testimonianza di un ebreo che ritornò a Kharkov appena liberata.
"Gli ucraini ricevono gli ebrei sopravvissuti con astio aperto. Durante le prime settimane seguite alla liberazione di Kiev nessun ebreo aveva il coraggio di andare da solo per strada di notte. .. In molti casi gli ebrei vennero picchiati nella piazza del mercato ed uno fu ucciso. ... A Kiev 16 ebrei furono uccisi nel corso di un pogrom. Gli ebrei sopravvissuti ricevono solo una piccola parte delle loro proprietà. Le autorità ucraine sono notevolmente antisemite. ... l risposta ufficiale ad ogni protesta da parte di ebrei è che la popolazione è stata infettata dall'antisemitismo e che questa influenza può essere estirpata soltanto gradualmente" (citato in Kochan, p 306).
Kruscëv, allora primo segretario del Partito in Ucraina:
"Non è nostro interesse che gli ucraini associno il ritorno del potere sovietico con il ritorno degli ebrei". (citato in Kochan a p 308, che lo riprende da Schechtmann "star in eclipse" e da Schwarz "Yevrei v SS")
Ciò significò che gli ebrei non dovevano più avere cariche importanti in nessun ambito e che le istituzione ebraiche, scuole in yiddish, teatri etc, non sarebbero state più tollerate.
Vediamo adesso le perdite subite dagli ebrei russi durante la guerra.
Gli ebrei sterminati dai nazisti ammontano circa a 700.000 persone (Reitlinger).
In realtà secondo il dato di crescita demografica, gli ebrei nel 1959 avrebbero dovuto esser 4.000.000, quindi negli anni dal 1939 al 1959 il loro tasso di decrescita è stato di 1.700.000 persone; oltre allo sterminio nazista bisogna infatti aggiungere i morti dovuti più propriamente alla guerra, quelli dovuti alle purghe degli anni neri etc.
Le annessioni di territori quali le repubbliche baltiche etc, hanno però fatto rimanere il numero degli ebrei quasi invariato.
Infatti nel censimento del 1959 gli ebrei in Urss erano 2.500.000 circa.
Diffusi soprattutto in Russia, Ucraina, Moldavia, repubbliche baltiche etc.
Poiché la popolazione ebraica è prevalentemente urbana si stima che a Mosca l'11% della popolazione sia composto da ebrei, il 9,8% a Leningrado, il 13,8% a Kiev fino ad un massimo di 19,8% di ebrei a Kishinev (Levenberg).

LA CAMPAGNA CONTRO I "NAZIONALISTI"
Dopo il lassismo del tempo di guerra fu ripresa la campagna contro i nazionalismi non russi.
Il primo atto è dichiarare colpevole di "deviazionismo nazionalista" uno storico kazakho che aveva scritto un libro sulla storia dei Kazaki e che nel 1943 era stato invece elogiato sulla stampa sovietica.
Infatti le accuse di nazionalismo non sono rivolte a "nazionalismi" nel senso in cui lo intendiamo noi; si poteva essere accusati di nazionalismo semplicemente per non considerare progressive le conquiste zariste di territori non russi.
Una simile campagna non poteva non coinvolgere gli ebrei.
Nell'agosto del 1946 Zdanov fa un discorso al Comitato Centrale del CPSU per fare adottare alcune risoluzioni che fra l'altro impongono la glorificazione del popolo russo.
Inoltre Zdanov accusa alcuni scrittori ebrei di essere nazionalisti e di occuparsi troppo degli ebrei.
É il primo segno.
Nel 1947 vengono accusati gli artisti di teatro ebrei, accusati di vagheggiare il vecchio modo di vivere ebraico e di essere apolitici.
É vero che nello stesso periodo furono accusate tutte le minoranze di nazionalismo; ma soltanto la cultura ebraica risultò, alla fine di questo periodo, completamente annientata.
Ad esempio nessun ucraino venne accusato di usare troppo spesso la parola "ucraino" nei suoi scritti o di aver parlato troppo del martirio del suo popolo sotto il nazismo, come invece accadde per gli scrittori ebrei (Kipnis).
Infatti alla fine di questa campagna non esisteva più nessun centro culturale ebraico, non esistettero più scuole in yiddish, né vi furono pubblicazioni in yiddish per molto tempo.
Salomon Mikhoels, presidente del Comitato Antifascista Ebraico e noto attore del teatro yiddish, è la prima vittima della campagna contro il "nazionalismo ebraico"; venne assassinato nel Gennaio del 1948 e il Comitato sciolto (Novembre).
In quello stesso anno vennero arrestati tutti i più importanti rappresentanti della cultura yiddish sovietici.
Gli arresti continuarono fino al 1953.
Secondo la lista fatta a New York dopo il 1956 dal Congresso per la Cultura ebraica fra deportati e fucilati gli artisti yiddish, o comunque ebrei, coinvolti erano qualche centinaio.
La maggior parte fu subito deportata in Siberia, i più importanti venero sottoposti ad interrogatori lunghissimi (e durante i quali molti morirono).
Lo scopo era di farli confessare di star preparando una rivolta armata per la secessione delle Crimea, dove doveva essere fondato uno stato sionista, satellite degli USA.
Gli interrogatori dovevano probabilmente (Pinkus) concludersi con un grande processo pubblico.
Ciò non avvenne e la maggior parte di questi imputati fu fucilata; per un processo non fu pubblico si stavano cercando figure ben più sataniche contro cui scagliarsi, figure che vennero trovate nei medici, come vedremo in seguito.
Mentre i "nazionalisti ebraici" venivano colpiti in Urss, la diplomazia sovietica si stava dando da fare per la creazione dello stato di Israele.
I motivi di questa scelta si possono riassumere in 4 punti:
1) I sovietici avevano sperato che gli arabi sarebbero riusciti a scacciare la Gran Bretagna dalla zona, mentre invece gli arabi avevano preferito trovare un accordo sia con la Gran Bretagna, sia con gli stati fascisti.
I sovietici speravano che gli ebrei sarebbero riusciti scacciare gli inglesi dalla zona
2) i sovietici temevano che gli Usa volessero sostituirsi alla Gran Bretagna nella zona.
Per questa volevano favorire gli ebrei
3) la creazione di uno stato ebraico avrebbe risolto il problema non indifferente delle centinaia di migliaia di profughi che c'erano allora in Europa
4) L'URSS infine sperava di ottenere il sostegno degli ebrei di tutto il mondo favorendo la creazione di uno stato ebraico.
Oltre al discorso di Gromiko ricordiamo che L'URSS votò a favore dell'ammissione di Israele all'ONU e, tramite la Cecoslovacchia, vendette ad Israele le armi per la guerra di indipendenza.
Ma allora perché la persecuzione contro il "nazionalismo ebraico"?
Cerchiamo di capire.
Già con la creazione del Comitato si era avuto un risveglio del sentimento nazionale ebraico.
Il fatto che l'URSS fosse favorevole alla creazione dello stato di Israele ed avesse messo da parte la politica antisionista, aveva fatto crescere questo sentimento, crescita che si dimostrò nelle manifestazioni di giubilo per l'insediamento della delegazione diplomatica israeliana nell'Ottobre del 1948.
Una manifestazione del genere per un paese straniero, e neanche socialista, probabilmente peggiorò di molto le cose per gli ebrei sovietici.

LA CAMPAGNA CONTRO I "COSMOPOLITI"
Tra le risoluzione fatte approvare dal Zdanov al Comitato Centrale del CPSU nell'Agosto del 1946 (Comitato che come abbiamo visto dette il via anche alla campagna contro i "nazionalisti") sicuramente la più importante per la cultura di quegli anni fu quella che obbligava ad attaccare tutto ciò che sapeva di occidentale.
Cominciò una campagna contro tutti quegli artisti che non obbedissero a queste regole.
Le vittime furono soprattutto lo scrittore satirico Zoshenko e la poetessa Achmatova (entrambi non ebrei).
La campagna non aveva ancora un tono antisemita. Poiché, ovviamente, anche alcuni ebrei vennero colpiti, ben presto contro di loro si cominciò ad usare frasi antisemite.
Il primo esempio è contro il critico Nusinov, definito da Fadeev (Presidente dell'Unione degli Scrittori Sovietici) "un vagabondo senza passaporto" nel 1947.
Intanto (settembre 1947) Zdanov aveva affermato la teoria dei due campi contrapposti.
Subito molti scrittori, fra cui moltissimi ebrei, difesero questa linea anti-occidentale.
Non servì: erano gli stessi che dopo poco sarebbero stati arrestati o fucilati.
Gli attacchi al cosmopolitismo continuarono e cominciarono ad avere come oggetto quasi soltanto ebrei, anche se ancora non si fa riferimento esplicitamente al loro essere ebrei.
Sentiamo il tono di alcune di queste accuse ai "cosmopoliti senza radici":
"Il cosmopolita è un fenomeno strano, incomprensibile ipocrita e senza senso, una manifestazione in cui c'è qualcosa di insipido e di vago. É una creatura corrotta insensibile, totalmente indegna di essere chiamata con il nome sacro di uomo".
Queste parole in realtà sono di un critico letterario del XIX secolo; vennero riprese da un certo Paperny durante questa campagna, Paperny era ebreo egli stesso.
Nel suo articolo proseguiva dicendo che il cosmopolitismo era avversario non solo del popolo russo, ma di tutti i popoli dell'unione; proprio per questo l'anno seguente fu accusato egli stesso di cosmopolitismo.
Anche in ambito scientifico avvenne lo stesso fenomeno (Lysenko).
Comunque le tendenze antisemite si rivelarono appieno soltanto nel 1949.
La decisione di lanciare una campagna così grande e dal tema così insolito deve essere stata presa ai più alti livelli.
Infatti all'inizio del 1949 la polemica cambiò obbiettivo.
In articoli sulla Pravda si comincia a parlare di un "gruppo antipatriottico".
Voleva dire che la critica non era diretta più soltanto ad individui, ma a gruppi di individui.
Spesso il gruppo venne anche definito "tribù". Vengono fatti dei nomi e sono tutti nomi di ebrei.
Si pone enfasi sul fatto che gli ebrei non possono sapere niente di cultura russa.
Si comincia ad accusarli di ipocrisia, falsità disprezzo per i sentimenti russi etc.
La campagna raggiunse il parossismo nel febbraio-marzo del 1949: stampa, radio, letteratura, cinema, lezioni e conferenze, tutto si prestava a questi attacchi.
La percentuale di ebrei fra gli attaccati era circa del 70%.
Gli articoli sono tantissimi e sono sia "seri", sia "umoristici".
Il ritratto che ne viene dato è quello dell'ebreo, parassita, truffatore, vigliacco e pigro.
In realtà in questi articoli gli ebrei non vengono mai definiti brutalmente come tali, ma sempre per allusione, peraltro inequivocabile: si pone un'enfasi particolare sul nome, sul cognome o sul patronimico ebraico.
Oltre alle accuse dell'arsenale antisemita di tutti i tempi troviamo questa:
- Oltraggiare la nazione russa.
- Perfida diffamazione dell'uomo russo.
- Insulto alla memoria di importanti artisti russi (quest'insulto voleva dire averli paragonati ad artisti ebrei; ad esempio il critico Levin aveva detto che Majakovski era stato influenzato dal poeta Bialik)
Considerando la diffusione dell'antisemitismo popolare in tutta l'URSS si può capire l'impatto di simili calunnie.
A questo si può aggiungere la situazione economica disastrosa (mancanza di case, di cibo, condizioni di lavoro difficili), che provocava ira nella popolazione, e l'anti-intellettualismo del regime; si capisce che gli ebrei si avviavano ad essere l'oggetto di odio ideale.
Le misure che vennero prese per chi veniva accusato variavano dall'ammonizione al licenziamento all'arresto e deportazione.
Comunque appena la campagna divenne chiaramente antisemita, essa diminuì di intensità.
Furono le autorità stesse a cessare di fomentarla e di appoggiarla, perché temevano l'accusa aperta di antisemitismo.
In realtà la campagna continuò ancora un po' a cause delle accuse che gli ebrei continuavano a ricevere da non ebrei interessati, quali rivali sul lavoro etc.
Perché vi fu questa campagna antisemita?
Sembra che Stalin e parte della dirigenza sovietica ritenessero che gli ebrei non fossero pienamente fedeli all'URSS e che, poiché ritenevano imminente una guerra con gli USA, avessero pensato di metterli in una condizione di non nuocere.
Per questo cercarono di colpire da un alto l'intellighenzia ebraica che si definiva tale ("nazionalisti"), dall'altro l'intellighenzia ebraica assimilata ("cosmopoliti").
Soltanto se si capisce questo si può capire il passaggio brusco da una campagna all'altra, che sembravano in contraddizione.
Un'altra considerazione da fare è che il regime stava facendo una concessione a quello che era un forte sentimento popolare: l'antisemitismo.
Inoltre erano molte le persone che avevano da guadagnare da una simile campagna.

IL "COMPLOTTO DEI MEDICI EBREI"
Il primo processo pubblico contro gli ebrei avvenne fuori dall'URSS: il processo Slanski, in Cecoslovacchia, quando i più importanti dirigenti, di origine ebraica, del partito comunista ceco, furono accusati di essere spie sioniste (27 Novembre 1952).
Infatti nel frattempo i rapporti con Israele si erano deteriorati e la definizione del sionismo come movimento reazionario venne ritirata fuori e si cominciò a costruire una base teorica per opporsi allo stato di Israele (comunque già nel processo contro Rayk nel 1949 il sionismo era stata una delle accuse); la scusa formale era il dire che ci si aspettava che Israele diventasse un paese socialista.
Il processo Slanski servì per vedere che effetto avrebbe fatto ad Ovest un attacco del genere.
Si ricordi che anche nel processo Slanski si parlò di "medici avvelenatori".
Cerchiamo di capire quali possono essere stati i motivi per lanciare una tale campagna, che avrebbe dovuto concludersi con un processo pubblico.
Al XIX Congresso del Partito nell'Ottobre del 1952 il Politburo era stato ristrutturato.
Probabilmente Stalin voleva cominciare un'enorme purga per eliminare i vecchi leader dell'apparato, quali Berja, Molotov etc.
Per condurre questa purga non fu scelta la via segreta, per altro possibile, perché Stalin voleva creare un clima di tensione in vista di una nuova guerra, che egli riteneva imminente (così come era avvenuto negli anni '30).
Il pretesto furono gli ebrei probabilmente a causa dell'antisemitismo di Stalin, che negli ultimi anni era aumentato fino a raggiungere un livello di paranoia.
Ad esempio se dei medici erano potuti arrivare a tanto, ciò significava che gli organi di sicurezza, e cioè Berja, erano complici, etc.
La campagna iniziò il 13 Gennaio del 1953 con l'annuncio che 9 medici avevano avvelenato Zdanov e Scerbakov e che avevano tentato di avvelenare anche dei generale dell'armata Rossa.
Sei di questi medici erano ebrei.
Subito cominciò una campagna diffamatoria da incubo.
Paradossalmente su questo argomento gli storici stessi rimandano a opere di letteratura.
Leggiamo la descrizione fattane da Vassilj Grossman, che la visse in prima persona:
"Lavorare negli ospedali e nei policlinici era diventato difficile, un vero tormento. Influenzati dai terribili comunicati ufficiali, i malati si erano fatti sospettosi. Molti rifiutavano di farsi curare da medici ebrei. ... Nelle farmacie gli acquirenti sospettavano i farmacisti di tentare di rifilare loro medicinali avvelenati; sui tram, nei mercati, nei ministeri si raccontava che a Mosca alcune farmacie erano state chiuse perché farmacisti ebrei - agenti dell'America - vendevano pillo fatte con polvere di pidocchi; si raccontava che nei reparti maternità infettavano di sifilide neonati e puerpere, e che negli ambulatori dentistici inoculavano ai malati il cancro. ... Particolarmente penoso era che a quelle voci credessero non solo portinai, facchini e autisti semianalfabeti o semiubriachi, ma anche certi dottori in scienze, scrittori, ingegneri, studenti." (V. Grossman, "Tutto scorre", Adelfi)
Un'altra testimonianza la da Solgenitsin nel suo "Arcipelago Gulag".
"Ancor oggi è difficile sapere qualcosa di autentico da noi, e lo sarà ancora per molto tempo. Ma secondo voci che circolano a Mosca il progetto era questo: all'inizio di Marzo i "medici assassini" dovevano essere impiccati sulla Piazza Rossa.
Naturalmente i patrioti infiammati avrebbero allora (sotto la guida di istruttori) scatenato un pogrom contro gli ebrei. A questo punto il governo (si riconosce il carattere staliniano, non è vero?) sarebbe generosamente intervenuto per salvare gli ebrei dall'ira popolare e li avrebbe trasferiti, la stessa notte, da Mosca in Estremo Oriente ed in Siberia (dove già si apprestavano le baracche).
"
Sembra infatti che la deportazione avrebbe dovuto essere preceduta da una lettera aperta di personalità ebraiche che chiedevano a Stalin di deportare tutti gli ebrei in Siberia per salvarli dall'odio della popolazione suscitato dal comportamento dei medici.
Comunque su questi punti non si hanno prove certissime, anche se, visti i precedenti la cosa era più che probabile.

DOPO STALIN
Come dice Fejtö, i successori di Stalin si trovarono d'accordo almeno nel rinunciare agli aspetti demenziali della sua politica, tra cui l'antisemitismo.
Radio Mosca annunciò che le accuse contro i medici erano state costruite e che essi erano innocenti.
Vennero fatti dei passi per liberare i prigionieri superstiti dai campi di concentramento e molti ebrei riottennero i posti che avevano perso con la campagna anti-cosmopolita.
Comunque le campagne antisemite in Cecoslovacchia ed in Romania cominciarono proprio allora, e non sembrarono risentire di questi cambiamenti, che in ogni caso riguardavano soltanto gli aspetti estremi.
Infatti se i singoli vennero riabilitati tutti, non fu così per gli ebrei come collettività.
Non fu detto mai che le accuse lanciate in quegli anni erano state sbagliate: la campagna cosmopolita venne definita "benefica per la cultura russa" (Congresso degli Scrittori); Kruscëv nel rapporto segreto non parlò assolutamente di antisemitismo pur essendo costretto a parlare del "Complotto dei Medici".
Per capire quanto furono limitati questi cambiamenti e quanto in realtà la politica generale nei confronti degli ebrei rimase immutata vediamo l'atteggiamento verso gli ebrei dei successori di Stalin.
La maggior parte delle dichiarazioni sugli ebrei o sull'antisemitismo fatte da Kruscëv o da altri leader dell'epoca era rivolta all'occidente e non fu neanche pubblicata in Urss.
Infatti l'occidente, ed in particolare i partiti comunisti occidentali, si erano mobilitati contro le dimostrazioni di antisemitismo che avvenivano in Urss, per questo cercavano di negare.
Fu un tentativo inutile perché in realtà la pratica dell'antisemitismo era assai più evidente allora che negli anni di segretezza dello stalinismo.
Contrariamente a Stalin Kruscëv amava rilasciare interviste, e spesso parlò anche degli ebrei.
Ai funerali di Boreslav Birut nel Marzo del 1056 in Polonia Kruscëv disse al Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori Uniti:
"Io credo che anche in Polonia voi soffriate di una composizione abnorme dei quadri dirigenti come una volta ne soffrivamo anche noi ... la percentuale di alti funzionari ebrei nel mio paese è adesso nulla, 2 o 3 %... (guardando accigliato il presidente del Congresso che si chiamava Zambrovski, ma che era nato Zukerman, Kruscëv concluse:) Sì, è vero, avete molti leader il cui nome finisce in "ski", ma un Abramovich resta una Abramovich. E voi avete troppi Abramovich nei vostri quadri dirigenti." (citato in Pinkus p 92)
Se questo è un esempio dell'antisemitismo volgare di Kruscëv, si hanno anche suoi esempi di antisemitismo raffinato.
Ecco un'intervista di Kruscëv 12 maggio 1956 a una delegazione del partito socialista francese:
"Allo scoppio della rivoluzione, noi avevamo molti ebrei nella dirigenza del partito e dello stato. Essi erano più colti e forse più rivoluzionari del russo medio. A tempo debito abbiamo creato nuovi quadri" Kruscëv viene interrotto da Pervukhin che spiega: "la nostra propria intelligensja". Kruscëv termina il commento: "Se gli ebrei volessero occupare adesso le posizioni prominenti nelle nostre repubbliche, ciò sarebbe male accolto dagli abitanti indigeni. Essi male accoglierebbero queste pretese, specialmente perché non si considerano meno intelligenti o capaci degli ebrei."
Una dichiarazione del Ministro della Cultura del Giugno del 1956, riprende il senso di quanto già detto un mese prima da Kruscëv:
"Il governo ha trovato in alcuni dei suoi dipartimenti una concentrazione preoccupante di ebrei, fino al 50 % dello staff. Sono state prese delle misure per trasferirli ad altre imprese, dando loro le stesse buone posizioni e senza fare loro correre alcun rischio"
Si allude alla politica di discriminazione che continuò e crebbe.
La discriminazione più fastidiosa è quella nell'accesso alle università, che in Urss erano quasi l'unico modo di ascesa sociale.
Essa venne veementemente negata dai funzionari sovietici, ma ammessa nei giornali sovietici senza problema.
Le norme di accesso alle Università discriminatorie nei confronti degli ebrei vengono definite dal "Bollettino di Educazione Superiore", sovietico come "quote preferenziali di ammissione pianificate annualmente".
Come tutti i numeri clausi esse sono in relazione al numero globale di ebrei in Urss.
. Nei settori connessi alla difesa l'accesso agli ebrei è completamente vietato, in quanto gli ebrei non possono neanche partecipare agli esami di concorso.
Il numero di ebrei fra gli iscritti al partito è diminuito costantemente, non solo per un decremento delle richieste, ma neh per una precisa politica del partito stesso (Pinkus).
Lo si vede dal fatto che il decremento più forte è stato fra i membri del partito con cariche importanti. tra i membri del Comitato Centrale e del Soviet Supremo addirittura gli ebrei sono la nazionalità meno rappresentata, nonostante gli ebrei siano, come numero, la settima nazionalità dell'Unione.
La discriminazione è agevolata dal fatto che fino a pochissimo tempo fa tutti gli ebrei portavano scritto sui propri documenti la parola "ebreo".
É facile capire come questa norma possa essere discriminatoria.
Il silenzio sulla sterminio nazista continuò inalterato.
L'idea è quella di non dividere mai i crimini nazisti, per cui non si riconosce alcuna peculiarità allo sterminio totale degli ebrei di fronte alle stragi di slavi.
Durante gli Anni Neri perfino i libri già pubblicati dovevano essere censurati delle parti in cui si poteva alludere a sofferenze inflitte agli ebrei.
Per questo fece tanto clamore la pubblicazione del poema Babi Yar da parte del poeta Evtushenko.
Già sotto Stalin, e prima ancora ai tempi della NEP, i processi per "crimini economici" (termine che designa una serie di reati che variano dalla speculazione alla corruzione) avevano sempre avuto un carattere antisemita.
La punta massima raggiunta è stata negli anni '60.
Si calcola che il 78 % dei coinvolti siano stati ebrei, molti dei quali condannati a morte per questo.
A processi in cui gli accusati erano ebrei venne dato molto risalto.
Dopo che Bertrand Russel scrisse una lettera per protestare contro questo atteggiamento e contro l'imposizione della pena di morte, i processi economici diminuirono.
Gli atti di antisemitismo, sinagoghe incendiate, cimiteri profanati, ebrei picchiati etc, vennero passati sotto silenzio dai mass-media, o appena se ne accennò.
Dal 1957 in poi cominciano ad essere prodotti dei feuilleton in cui viene tirato fuori tutto l'armamentario antisemita.
Il più infame di questi libri è stato quello di T. Kichko "Il Giudaismo senza imbellettature", pubblicato dall'Accademia delle Scienza Ucraina nel 1963, degno della propaganda nazista, e che, data la polemica che aveva suscitato in Occidente, fu ritirato dal mercato.
Fin dal 1956 cominciarono ad essere tenuti vari processi contro sionisti o i rappresentanti del mondo religioso ebraico, ma la stampa non dette molto risalto a questi processi che erano semplice routine, una routine che era continuata ininterrottamente dagli anni '20 e che da tempo aveva annientato il movimento sionista e che aveva ridotto le sinagoghe da molte migliaia ad un sessantina, di cui la stragrande maggioranza fra le comunità sefardita degli ebrei georgiani a caucasici, di cui non ci siamo occupati perché interessati marginalmente dalle persecuzioni.
Fu dopo la Guerra dei Sei Giorni che simili processi cominciarono ad avere un chiaro intento politico.
Infatti da allora la campagna antisionista divenne chiaramente, e senza vie di scampo, antisemita.
Ad esempio ritornò alla carica Kichko, che nel 1968 pubblicò "Giudaismo e sionismo", definito dalla Pravda "il primo e fondamentale trattato scientifico sovietico sull'argomento" (6 Febbraio del 1969).
In questo libro Kichko spiega che la religione ebraica insegna l'odio per gli altri popoli e per le altre religioni e perfino insegna che esse devono essere distrutte; e che il sionismo è un'ideologia nazista, un'idra tentacolare collegata a tutte le forze reazionarie occidentali.
Cominciano ad apparire anche caricature antisemite che vengono affisse nei luoghi di lavoro, di ritrovo e nelle strade.
Molta di questa propaganda era mascherata come anti-religiosa o anti-sionista.
Con la scusa degli attacchi al sionismo in realtà vengono attaccati gli ebrei tout court.
Il risultato fu proprio quello di diffondere sempre più il sionismo fra gli ebrei.
Infatti molti ebrei, soprattutto i giovani, avevano perso la fiducia nel comunismo come elemento di emancipazione.
Per questo tra i dissidenti troviamo tanti ebrei.
Si crea così un circolo vizioso: gli ebrei vengono spinti, tramite persecuzioni, all'assimilazione, poi gli viene negata anche questa e quindi gli ebrei tornano indietro, verso l'ebraismo, il sionismo etc; ciò fa aumentare di nuovo le persecuzioni in un crescendo continuo.

CONCLUSIONI
Fino a prima della guerra le persecuzioni avevano coinvolto gli ebrei come le altre etnie: di queste campagne raramente si può affermare il carattere specificatamente antisemita.
Nel dopoguerra invece il carattere antisemita è evidente.
Chiariamo la cosa:
Negli anni '20 si era privato il popolo ebraico di tutta la parte della sua cultura che aveva a che fare con la religione e con gli altri ebrei della Diaspora (risulta chiara l'interdizione dell'ebraico); si era invece promossa la cultura laica, yiddish, ma anche assai più ristretta, che poco aveva a che fare con la cultura internazionalista degli ebrei e che invece esaltava i valori locali degli ebrei ashkenaziti.
Come per le altre etnie minoritarie negli anni '30 fu scelta l'assimilazione e quindi anche la cultura yiddish cominciò ad essere ostacolata.
Nel dopoguerra il processo iniziato negli anni '30 arriva alla resa dei conti.
Tutte le minoranze devono scegliere l'assimilazione completa.
In quest'ottica rientra la persecuzione al "nazionalismo".
Il fatto che, per motivi di utilità, l'URSS abbia appoggiato la creazione dello stato di Israele non cambiò sostanzialmente le cose, anzi, le peggiorò perché illuse gli ebrei sovietici il cui sentimento nazionale fu risvegliato, facendoli incorrere ancor di più nell'ira del regime.
Specificatamente antisemita è invece la campagna contro il cosmopolitismo.
Essa infatti colpisce proprio gli ebrei assimilati, che quindi avevano fatto quello che il regime voleva.
In modo più esteso, è vero, essa colpisce i rapporti con la cultura occidentale.
Ma di fatto si risolse in una campagna antisemita, perché gli ebrei non potevano né scegliere la propria cultura ("nazionalismo"), né adattarsi alla cultura del paese, riservata ai "veri russi".
Riassumendo.
Negli anni '20 e '30 gli ebrei non soffrirono più delle altre minoranze: dovettero scegliere fra la cultura yiddish, e solo quella, e l'assimilazione.
Nel dopoguerra entrambe queste scelte portavano ai Gulag.
I successori di Stalin eliminarono il terrore indiscriminato, ma non la persecuzione, la cui forza è testimoniata dall'emigrazione di massa degli ebrei sovietici non appena se ne è presentata l'occasione, e cioè con la glasnost.
Bibliografia Essenziale:
FEJTÖ, Gli ebrei e l'antisemitismo nei paesi comunisti, Milano Singer 1962
EVGENIA GINZBURG, Viaggio nella vertigine, Milano, Mondadori, 1967; Viaggio nella vertigine 2, Milano, Mondadori 1981.
HAIKO HAUMANN, Storia degli ebrei dell'Est, Mi, Sugarco 1991
KOCHAN LIONEL, (a cura di) The Jews in the Soviet Russia since 1917, Edited by L. Kochan, Oxford University Press, London-New York-Toronto. Published for the Institute of Jewish Affairs, 1970. Scritti di S. Ettinger, S. Levenberg, J. Miller ... z. Katz.
NADEZDA MANDELSTAM, L'epoca e i lupi. Memorie, Milano, Mondadori 1971.
PINKUS BENJAMIN, The Soviet governament and the Jews, 1948-1967: a documented study. Cambridge University Press 1984.
ALEXANDR SOLGENITSIN, Arcipelago GUlag, vol. I, II, III e IV, Mondandori, Milano 1974.
[materiale dal saggio "on line":Gli ebrei L'antisemitismo in Unione Sovietica di Valentina Piattelli]








































La guerra aveva ulteriormente acuito gli squilibri ed i profondi conflitti già esistenti tra le nazioni europee, in seno ad un’Europa distrutta dal terribile conflitto.
La spaccatura tra i paesi vincitori e vinti era radicale: da una parte le potenze vittoriose guidate da Francia, Inghilterra e Stati Uniti; dall’altra parte la Germania sconfitta e un Impero Austro-Ungarico destinato alla definitiva frammentazione.
Gli Stati Uniti avevano esercitato un ruolo fondamentale dal punto di vista economico e politico (nei finanziamenti per la guerra ai paesi alleati), tanto che praticamente tutta l’Europa aveva con questi un enorme debito.
Fu, infatti, il presidente degli Stati Uniti, Wilson, ad imporre la creazione di un organismo di cooperazione internazionale: la SOCIETA' DELLE NAZIONI.
La Società delle Nazioni era composta dai 32 Paesi vincitori della guerra, ma diretta da un consiglio di soli nove membri, cinque dei quali permanenti: U.S.A., Inghilterra, Francia, Giappone e Italia.
Il consiglio, che aveva sede a Ginevra, aveva il compito di eleggere un Segretario Generale, i componenti delle missioni tecniche, politiche ed economiche e una corte permanente di giustizia internazionale formata da dieci giudici.
Ruolo della Società delle Nazioni avrebbe dovuto essere quello di regolare diplomaticamente gli eventuali conflitti tra le nazioni, grazie all’autorità che ognuna di esse le avrebbe riconosciuto, un’autorità sopra le parti e quindi garante di Pace.
In questo modo si sarebbe ottenuta anche una situazione favorevole per gli scambi commerciali e per il mercato finanziario, situazione che andava tutta a vantaggio di una potenza economica quale era già quella statunitense.
Dopo appena un anno dalla formazione, gli Stati Uniti si ritirarono dalla Società lasciando, di fatto, il pieno controllo di questo nuovo organismo a Francia e Inghilterra: quello che doveva essere un imparziale strumento politico, garante della pace e dell’equilibrio mondiale, divenne invece monopolio del potere di due grandi nazioni.
La Società delle Nazioni Europee mostrò ben presto il suo fallimento, proprio a causa dello strapotere delle Nazioni Europee economicamente e politicamente più forti e di conseguenza a causa della sua incapacità di imporsi come autorità incondizionata e al di sopra delle parti.
Se sul piano della sicurezza collettiva la Società delle Nazioni si presenta come un esperimento sicuramente non coronato da successo, tuttavia, in altri campi la sua azione, come quella delle istituzioni ad essa collegate, appare come un importante momento di crescita del sistema amministrativo internazionale.