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Una splendida opera (al cui font meraviglioso frontespizio non dà il meritato risalto una macchina fotografica non ottimale) dell'Opera Omnia di S. Ambrogio ovvero SANCTI AMBROSII MEDIOLANENSIS EPISCOPI OPERA EX EDITIONE ROMANA..., PARISIIS,1603, CUM PREVILEGIO REGIS (5 libri, numerati secondo le colonne del testo, 2 per pagina) vale qui a rammentare un evento particolare = come nel 1797 alla vigilia dei grandi eventi rivoluzionari che avrebbero cambiato l'Europa e nel particolare la Liguria (vedi Indice e trattazione) l'antichissima Diocesi di Ventimiglia di cui con la trattazione della lunghissima storia vedi qui la mappa di Panfilo Vinzoni e che in tempi particolari Padre Antonino Valsecchi definì "Diocesi Usbergo"[ contestualmente si possono qui leggere con la proposizione del dibattito letterario a distanza fra due grandi studiosi sui confini tra le limitrofe Diocesi di Ventimiglia e Albenga parimenti numerose osservazioni, a riguardo della Diocesi intemelia, sulla base del Semeria in un confronto con quelle di altri studiosi ed anche - cosa di grande importanza - analizzare dalle origini la sequenza dei Vescovi di Ventimiglia, con integrazioni redazionali di Cultura Barocca ]. Siffata Diocesi per secoli dipese dalla Provincia ecclesiastica dell'Arcidiocesi di Milano (ragion per cui a livello di liturgia seguì a lungo il Rito Ambrosiano e non quello Romano come le altre Diocesi liguri) come sopra scritto a fine XVIII secolo entrò a far parte della provincia ecclesiastica dell'arcidiocesi di Genova, prendendo quindi a seguire il rito romano, anche se malauguratamente nello stesso anno dovette cedere le tre parrocchie del principato di Monaco e le diciannove del regno di Sardegna, mantenendo solo le quindici parrocchie soggette alla repubblica di Genova. Così ridotta al punto che la Diocesi rischiò la soppressione.Il 9 aprile 1806 la diocesi di Ventimiglia entrò a far parte della provincia ecclesiastica dell'arcidiocesi di Aix in forza della bolla Expositum cum Nobis di papa Pio VII. Il 30 maggio 1818 con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum dello stesso papa Pio VII divenne nuovamente suffraganea dell'arcidiocesi di Genova. Il 20 giugno 1831 in forza della bolla Ex injuncto Nobis coelitus di papa Gregorio XVI le parrocchie del Regno di Sardegna scorporate furono nuovamente sottoposte alla giurisdizione della diocesi di Ventimiglia, che si estese anche alla città di San Remo, che fino ad allora apparteneva alla diocesi di Albenga (vedine la cartografia): in merito a siffatto ampliamento dell'area diocesana intemelia giunge importante l'opera del vescovo D'Albertis molto ben esplicata nel documentato volume edito da Giorgio Mori nel volume Diocesi di Ventimiglia, un quarantennio difficile 1794-1836, Ventimiglia, 1987, cui è un po' debitore tutto questo lavoro = e cos'di conseguenza Concattedrale fu S. Siro di Sanremo. Nel 1860 la Diocesi intemelia cedette Briga Marittima e Tenda a quella di Cuneo.
Nel 1947 cedette infine Piena e Libri alla Diocesi di Nizza.
[Diocesi Liguri = di Genova, Luni -Sarzana, Brugnato, Savona, Noli, Albenga, e la particolarità della Diocesi di Ventimiglia con documenti nell'opera qui digitalizzata e multimedializzata dei due tomi dei Secoli Cristiani della Liguria opera di Padre Giovanni Battista Semeria]= EVOLUZIONE: DALL'LA DIOCESI DI VENTIMIGLIA E LA SUA ORIGINARIA APPARTENENZA ALLA "PROVINCIA DELL'ARCIDIOCESI DI MILANO A QUELLA DI GENOVA = LA LITURGIA E IL PASSAGGIO DAL "RITO AMBROSIANO" AL "RITO ROMANO" DELLA "DIOCESI DI VENTIMIGLIA" IN TEMPI RECENTI DIVENUTA "DIOCESI DI VENTIMIGLIA - SAN REMO" = visualizza quindi qui DALLA DIOCESI DI VENTIMIGLIA ALLA DIOCESI DI ALBENGA = VALLI, CITTA', PAESI, CHIESE, SANTUARI, LUOGHI DI CULTO



















Vedi qui con collegamenti specialmente connessi alla terminologia = I Riti nella storia della Chiesa - Il Rito Ambrosiano - Il Rito Romano - altri Riti - Vedi qui un antifonario redatto secondo lo schema del tetragramma e non del pentagramma - Vedi anche qui la Musica sacra e non attraverso i millenni
Per approfondire diversamente con meno collegamenti limitandosi allo studio dei DUE RITI vedi =
RITO AMBROSIANO E RITO ROMANO





























Per approfondire diversamente e in maniera più discorsiva il RITO AMBROSIANO leggi di seguito e consulta ancora qui un approfondimento del RITO ROMANO.
RITO AMBROSIANO
Il rito ambrosiano è il rito liturgico ufficiale adottato nell'arcidiocesi di Milano, che si distingue da quello utilizzato comunemente nel resto dell'Occidente, detto invece rito romano.
Il rito ambrosiano deriva dalla tradizione che si è stratificata nella liturgia dell'arcidiocesi di Milano e che viene fatta risalire all'opera del vescovo Ambrogio. La sua sopravvivenza vide molti critici, quando vennero soppressi altri riti locali (come il rito patriarchino, a cui erano legate le città di Monza e Como). Quando papa Gregorio I, alla fine del VI secolo, modificò, riordinò ed estese a tutta la chiesa latina la liturgia romana, il rito ambrosiano riuscì nuovamente a sopravvivere alla soppressione insieme al rito mozarabico. La sua legittimazione definitiva si ebbe comunque con il Concilio di Trento (occorre tener conto che il papa Pio IV era milanese e che l'anima del Concilio fu l'arcivescovo di Milano san Carlo Borromeo) e ribadita dal Concilio Vaticano II. In origine il rito ambrosiano aveva una diffusione molto vasta, su tutto il nord d'Italia fino a sud di Bologna. Nel corso della storia molte comunità anticamente di rito ambrosiano sono passate al rito romano. Il rito ambrosiano è attualmente seguito nella maggior parte dell'arcidiocesi di Milano, tranne le seguenti eccezioni dove viene seguito il rito romano:
decanato di Monza (Brugherio, Monza e Villasanta);
decanato di Treviglio (Canonica d'Adda, Castel Rozzone, Fara Gera d'Adda, Pontirolo Nuovo e Treviglio);
decanato di Trezzo sull'Adda (non in tutto il decanato, ma nei seguenti paesi: Busnago, Colnago, Concesa, Cornate d'Adda, Grezzago, Groppello d'Adda, Roncello, Porto d'Adda, Trezzano Rosa, Trezzo sull'Adda e Vaprio d'Adda); parrocchie di Civate e Varenna;
chiese non parrocchiali dei religiosi;
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Si celebra in rito ambrosiano anche nelle seguenti zone che non appartengono all'arcidiocesi di Milano:
vicariato di Calolzio-Caprino (Calolziocorte, Caprino Bergamasco, Carenno, Cisano Bergamasco, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago) - (diocesi di Bergamo);
parrocchie di Averara, Cassiglio, Cusio, Ornica, Santa Brigida, Taleggio, Valtorta e Vedeseta - (diocesi di Bergamo);
parrocchie di Colturano, Balbiano e Riozzo (diocesi di Lodi);
parrocchie di Torrevecchia Pia, Vigonzone e Zibido al Lambro (diocesi di Pavia);
parrocchie di Cannobio, della Valle Cannobina e di Cannero Riviera (diocesi di Novara);
pievi della Valle Capriasca, di Brissago; e delle Tre valli ambrosiane: Blenio, Riviera e Leventina (diocesi di Lugano).
Dal punto di vista amministrativo-civile, il rito ambrosiano è diffuso nella maggior parte delle province di Lecco, Milano, Monza - Brianza e Varese, in buona parte della provincia di Como, in alcune zone delle province di Bergamo, Lodi, Pavia e Verbano Cusio Ossola, e in alcune zone del Canton Ticino (CH). LTURGIA
Le caratteristiche della liturgia ambrosiana sono un forte cristocentrismo, derivante dalla lotta contro l'eresia ariana al tempo di Ambrogio, e una vicinanza con le liturgie orientali, prese da Ambrogio stesso come modello per la Chiesa milanese, seppur facendo sempre riferimento agli usi della Chiesa di Roma come fonte normativa.
Celebrazione della messa
La celebrazione della messa presenta gli stessi elementi del rito romano, ma alcuni di essi sono disposti diversamente o sono leggermente differenti:
Nei riti iniziali, l'atto penitenziale tipico della liturgia ambrosiana è la triplice invocazione Kyrie eleison (Signore pietà) senza il Christe eleison (Cristo pietà) presente nel rito romano. C'è da sottolineare che l'acclamazione Kyrie eleison viene sempre proclamata nell'originale greco.
Quando i lettori si accingono a proclamare le letture bibliche durante la liturgia della parola, chiedono e ricevono una benedizione dal sacerdote celebrante. Mentre nel rito romano ciò avviene solo quando un diacono proclama il Vangelo, nel rito ambrosiano chiunque proclami la Parola di Dio durante la liturgia deve ricevere la benedizione da chi presiede la celebrazione.
La professione di fede (il Credo) non è recitata subito dopo il Vangelo come nel rito romano, ma è posticipata dopo l'offertorio. Subito dopo il Vangelo (o dopo l'Omelia, se questa ha luogo), si recita invece un'apposita antifona che è chiamata "dopo il Vangelo", durante la quale si prepara la mensa stendendovi il corporale e deponendovi sopra il calice.
Nella messa di rito ambrosiano, sia che venga proclamata la preghiera dei fedeli, sia che venga omessa, la liturgia della Parola termina sempre con un'orazione del celebrante con la quale si conclude la prima parte della messa; nella messa di rito romano invece, se non viene proclamata la preghiera dei fedeli, subito dopo il Vangelo inizia l'offertorio.
Lo scambio della pace non è immediatamente prima della Comunione come nel rito romano, ma viene anticipato al termine della Liturgia della Parola, prima della preparazione dei doni. Ciò rispecchia l'antica tradizione (che si è conservata anche nelle liturgie orientali) secondo cui si obbedisce al precetto evangelico (Mt 5,23-24) che impone la riconciliazione fraterna prima di compiere l'offerta rituale sull'altare. A conclusione della presentazione dei doni, manca la monizione con la quale il sacerdote chiede all'assemblea di pregare, che invece è presente nel rito romano («Pregate fratelli perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente», a cui l'assemblea risponde «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa»). Nella Messa ambrosiana il Prefazio fa parte del proprio. Quindi ogni celebrazione ha un proprio Prefazio. Per talune celebrazioni sono addirittura previsti più di un Prefazio tra cui il sacerdote può scegliere (ad esempio per le domeniche di Quaresima). La Preghiera Eucaristica I presenta delle varianti significative rispetto all'analoga del rito romano.
Il rito ambrosiano ha due Preghiere Eucaristiche particolari (la V e la VI) che devono obbligatoriamente essere usate rispettivamente per la Messa in Coena Domini e per la Veglia Pasquale. Possono essere anche usate in altre celebrazioni: la V per le celebrazioni che hanno come tema l'Eucarestia, la Passione e gli eventi sacerdotali, la VI nel tempo pasquale e nelle Messe per i battezzati e quelle rituali per l'iniziazione cristiana. Prima del Padre Nostro il sacerdote compie la frazione del pane consacrato, mentre i fedeli recitano o cantano un'apposita antifona che si chiama "allo spezzare del pane"; mentre nel rito romano, al termine della preghiera eucaristica si recita subito il Padre Nostro. Nella messa ambrosiana manca la triplice invocazione Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi (Agnus Dei), durante la quale nel rito romano si compie la frazione del pane, dopo la preghiera per la pace e lo scambio di pace. Nel rito ambrosiano infatti dopo la preghiera per la pace, si passa subito alla comunione, perché lo scambio di pace è già stato fatto prima dell'offertorio e la frazione del pane (con la sua antifona) è stata compiuta prima del Padre Nostro. Il saluto augurale, dopo la preghiera per la pace e prima della comunione, nella messa ambrosiana è diverso dal corrispondente della messa romana, e recita: «La pace e la comunione del Signore nostro Gesù Cristo siano sempre con voi». Al termine della messa in rito ambrosiano, la benedizione finale è preceduta dalla triplice invocazione Kyrie eleison, e successivamente alla monizione del celebrante «andiamo in pace», l'assemblea risponde «nel nome di Cristo», anziché «rendiamo grazie a Dio» come nel rito romano. Una delle differenze che appare più evidente ai fedeli è l'uso del turibolo, che è scoperto e viene usato facendolo girare per aria, in un modo del tutto sconosciuto al rito romano che invece lo usa esclusivamente in senso antero-posteriore, ed è coperto da un coperchio traforato. Il modo di incensare ambrosiano è infatti per ductum et tractum, cioè facendo prima roteare il turibolo ("ductus") e poi spingendolo in avanti ("tractus") verso la persona o la realtà sacra da venerare, in modo tale che chi incensa "disegni" per così dire la forma di una croce. Nel ductus il turibolo viene fatto ruotare da sinistra a destra (in senso orario); nel tractus il turibolo viene alzato verticalmente e abbassato.
. OSTENSORIO
Una differenza strutturale molto tipica (anche se non del tutto esclusiva del rito ambrosiano) è data dall'uso dell'ostensorio (contenitore in metallo nobile e gemme preziose per l'esposizione dell'ostia consacrata) che è a forma di teca (ovviamente trasparente) tubolare o di tempietto con vetri sui quattro lati (ostensorio architettonico), restando così vicino alle usanze più antiche, mentre dal medioevo la tradizione del rito romano propende per un contenitore dotato di piedistallo e raggiera attorno all'ostia, quindi a due lati (frontale e posteriore), rendendo l'ostensorio "raggiato" ossia a forma di sole coi raggi. Di norma quindi l'ostensorio ambrosiano è di tipo architettonico e quello romano raggiato.
PARAMENTI LITURGICI
Vi sono altre differenze che riguardano i paramenti liturgici ed il loro colore: nel rito ambrosiano il colore per le celebrazioni del SS.mo Sacramento è il rosso, a differenza del rito romano dove il colore liturgico previsto è il bianco.
al posto del viola si utilizza il morello.
nelle ferie quaresimali, ad eccezione del sabato (non considerato feria), si può usare il nero.
non si usa il colore rosaceo.
i diaconi indossano la stola sopra la dalmatica.
l'amitto è indossato sopra il camice, che alle maniche e nell'orlo inferiore (sia anteriore che posteriore) può presentare applicazioni di tessuto, dello stesso colore dei paramenti, decorate con i cosiddetti "aurifregi".
è possibile che ci sia il Cappino, striscia di tessuto nei vari colori liturgici, applicata intorno al collo della dalmatica (il paramento liturgico dei diaconi) e della pianeta o casula (il paramento liturgico dei sacerdoti). Anticamente il Cappino era unito all'amitto, secondo l'uso tuttora vigente in alcune chiese orientali.
la croce astile nel rito romano viene portata con il crocifisso volto in avanti, nel rito ambrosiano volto indietro (verso il celebrante).
vi è una differenza anche nella veste talare dei sacerdoti, abbottonata fino in fondo nel caso del rito romano, con soli 5 bottoni nella parte superiore e poi lasciata libera e fermata sempre da una fascia nera nel caso dei sacerdoti di rito ambrosiano.
IL CANTO AMBROSIANO
Un elemento fondamentale del rito e della liturgia ambrosiana è costituito dal canto "ambrosiano". Fu Sant'Ambrogio stesso che, per la prima volta in assoluto nella liturgia della Chiesa, introdusse nel 386 l'uso di canti non derivanti dai salmi (gli unici fino ad allora cantati durante le messe). Questa sua innovazione si diffuse presto anche nelle Chiese di altro rito.
Ambrogio è stato definito il più musicale dei Padri in quanto ha perrsonalmente composto testi e musiche dei suoi inni, innovando anche lo stile, grazie all'introduzione della metrica classica al posto di quella libera che era simile alla salmodia ebraica. Scelse per i suoi inni il dimetro giambico e introdusse la antifonia, elemento fondamentale per consentire a tutta la massa di fedeli una maggiore partecipazione al rito, grazie ad un canto collettivo eseguito da un'ala maschile e da un'altra ala composta da donne e bambini. Per agevolare il popolo alla declamazione, Sant'Ambrogio realizzò versetti facili da recitare ed eliminò sia il ruolo del solista sia la presenza dei vocalizzi, rendendo tutto l'insieme più armonico [
clicca comunque qui per accedere all'Indice "Musica attraverso i millenni"].
Come il canto gregoriano, anche il canto ambrosiano fu naturalmente modificato nel corso dei secoli dalla sua elaborazione da parte di Ambrogio, ma non di meno oggi lo si definisce il più antico corpus musicale occidentale. Per preservare questo patrimonio insostituibile è stato istituito il PIAMS (Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra) consociato con il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. I testi liturgici musicali e canori ambrosiani sono contenuti nei volumi "Antiphonale Missarum iuxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis" (1935) e "Liber Vesperalis" (1939) editi dal musicologo benedettino spagnolo Gregorio Maria Suñol. RITI SPECIFICI
Vi sono alcuni riti specifici che sono stati aboliti, ma di cui si può trovare traccia nelle descrizioni storiche. Ad esempio, era usanza che durante certe messe solenni (e precisamente all'Offertorio) vi fosse una corsa che partiva dai quartieri fin dentro il Duomo, con un enorme cavallo di legno ornato di salsicce e doni vari. Questa usanza venne abolita da San Carlo Borromeo. RITO DEL FARO
Tuttora in uso – anche se raro – è il rito del "faro", la cui origine è antichissima (se ne trova traccia nel VII secolo), e celebrato ora in occasione delle feste patronali, ma solo se si tratta di un santo martire. La sua origine e significato sono incerti: un significato puramente allegorico sarebbe l'allusione al sacrificio della vita da parte del martire. Il rito si svolge in questo modo: all'inizio della messa solenne si svolge una processione che si ferma al limite del presbiterio dove è sospeso in alto un pallone, di stoppa o bambagia o di altro materiale combustibile, solitamente ornato con una croce, una corona e delle palme (simbolo del martirio). Dopo il canto dei 12 kyrie e della sallenda propria con il Gloria, mentre si ripete la sallenda, il celebrante, senza nulla dire, con un'apposita verga sormontata, solitamente, da 3 candelette incendia il pallone e sale in presbiterio. Un tempo probabilmente veniva incendiato dalla candela che era posta sulla croce astile dallo stesso ostiario che portava la croce. Il rito ambrosiano del faro è celebrato nel Duomo di Milano in occasione di Santa Tecla, patrona della parrocchia del Duomo.
PROCESSIONE DELL'IDEA
Un'altra cerimonia esclusiva del rito ambrosiano, di origine antichissima quanto incerta, è la processione dell'Idea. Non si sa da che cosa derivi questa denominazione: secondo alcuni da una celebrazione della dea pagana Cibele (il cui attributo era Magna Mater Idea), secondo altri dal nome generico di "immagine". L'immagine in questione è quella di una Madonna con bambino, una volta trasportata da due presbiteri su una lettiga con manici in forma di scala, portandola con stanghe e stando uno davanti e l'altro dietro, come si vede da un bassorilievo medievale conservato al Museo del Castello. Interessava più chiese (Santa Maria Beltrade, Santa Maria Maggiore). Oggi si svolge solo nel Duomo di Milano e nella Basilica di S. Ambrogio: la lettiga non viene più portata da presbiteri, ma da diaconi, e (come fin dall'inizio) si celebra sempre il 2 febbraio.
LE CELEBRAZIONI DEL SANTO CHIODO
La "nivola" sullo sfondo della vetrata absidale del Duomo di Milano, mentre trasporta a terra il "santo chiodo", conservato nell'apposito reliquiario presente nel catino absidale.Nel catino absidale del Duomo di Milano è conservato un morso di cavallo che la tradizione dice essere uno dei chiodi della Passione (vedi la voce reliquie). In occasione della festa dell'Esaltazione della Santa Croce, l'arcivescovo sale su un carro seicentesco che viene issato fino al reliquiario (ad oltre 40 m di altezza rispetto al pavimento), lo porta a terra e lo espone alla venerazione dei fedeli. Alla fine, con lo stesso carro lo riporta al suo posto. Il carro è ornato con angeli e nuvole dipinte, e per questo viene chiamato nivola (cioè nuvola). La cerimonia relativa prende il nome da questo carro, che per secoli è stato issato da 24 uomini (12 a destra e 12 a sinistra), e solo negli ultimi anni è stato motorizzato. La nivola fa parte delle "macchine", o apparati presenti in modo più o meno residuale in celebrazioni in vari riti (come le macchine processionali per le statue di santi o il grande turibolo di Santiago di Compostela).
RITO DEL LUCERNARIO
Caratteristica di certe celebrazioni è anche la liturgia del lucernario. La processione con il celebrante entra in chiesa al buio e con i cantari spenti al fianco dell'unica lanterna accesa, che apre la processione. Giunti ai piedi del presbiterio, dopo il saluto all'assemblea, al celebrante vengono presentati i cantari e la lanterna; il celebrante provvede ad accenderli, quindi vengono accesi i ceri dell'altare, sempre dalla stessa fiamma, e secondo l'opportunità infuso l'incenso e incensata la mensa. Il rito si conclude con l'inno, intonato dal celebrante. Una volta la liturgia durava a lungo, perché occorreva accendere tutte le candele che illuminavano la chiesa; oggi si accendono le luci con i soliti interruttori della corrente elettrica. Il cardinal Schuster ha limitato questa liturgia alle solenni celebrazioni della vigilia.Vi è un apposito canto per questa liturgia. Nel rito romano una variante di questa liturgia si svolge solo una volta all'anno, in occasione della benedizione del cero pasquale.
SUONO DELLE CAMPANE NEL RITO AMBROSIANO
Un tipico suono delle campane (peraltro non esclusivo del rito ambrosiano, ma diffuso anche in molte parti del Nord Italia a causa del forte influsso esercitato dalla tradizione della diocesi di Milano) dipende dal tipo di struttura su cui sono montate le campane e dalla cosiddetta "inceppatura". Questo genere di inceppatura è tipico della Lombardia, della Liguria, della maggior parte del Piemonte, di parte del Veneto e di parte dell'Emilia-Romagna. Una volta messe in movimento, le campane possono suonare "a distesa" (senza sequenza) per semplice oscillazione di pochi gradi rispetto al loro asse, oppure "a concerto" (seguendo una serie precisa di "sganci"). Su appositi supporti dell'"incastellatura", su cui è collocata ogni singola campana, si trova una balestra che ha la funzione di far arrestare la campana stessa una volta che questa ha compiuto la sua rotazione; detta balestra serve anche a favorire (col suo molleggio) lo sgancio successivo. L'arresto e sosta "in piedi" della campana sono possibili grazie a una piccola staffa posta sulla ruota, la quale staffa va appunto a scontrarsi con la balestra. Per eseguire il concerto solenne occorre portare le campane in posizione ribaltata di 180° rispetto alla posizione di fermo. Una volta raggiunta tale posizione di stallo, detta "a bicchiere" o "in piedi" (bocca in alto e contrappeso in basso), le campane, sganciate una alla volta o a coppie (eseguendo in questo secondo caso un accordo), si ribaltano (a questo punto di circa 360°) emettendo un rintocco ogni volta in cui il battacchio cade su uno dei due bordi della campana, mentre la campana gira: ad ogni giro vi sono quindi due rintocchi, uno allo sgancio e uno al ritorno verso la posizione di stallo. Calcolando il tempo che ogni campana impiega per compiere detta rotazione, è possibile comporre determinate successioni di suoni, con la possibilità di ottenere particolari concerti.
SISTEMA CALENDARIALE

TEMPO DI QUARESIMA
Una delle peculiarità di questo rito, con profili non soltanto strettamente religiosi, è l'inizio della Quaresima, che non parte dal Mercoledì delle Ceneri, ma dalla domenica immediatamente successiva. Ciò dà luogo (ad esempio in Canton Ticino, a Tesserete e Biasca) alla distinzione tra carnevale "nuovo" (quello romano) che termina con il martedì grasso e carnevale "vecchio" (quello ambrosiano) che si conclude, invece, il sabato seguente.
La differenza tra il carnevale ambrosiano e quello del resto del mondo è dovuto proprio al diverso modo di calcolare le date di inizio e fine della Quaresima:
Il rito ambrosiano intende la Quaresima come un periodo di penitenza, ma non di stretto digiuno, in preparazione al Triduo Pasquale. Pertanto contando a ritroso dal giovedì Santo 40 giorni, si arriva alla prima domenica di Quaresima: dunque i quaranta giorni di penitenza iniziano alla sesta domenica prima di Pasqua.
Questo era il computo originale della Quaresima in tutti i riti.
Il rito romano invece nel Medioevo, all'idea di quaranta giorni di penitenza, sostituì quella dei quaranta giorni effettivi di digiuno in preparazione alla domenica di Pasqua. Partendo quindi dal sabato Santo e contando quaranta giorni a ritroso, saltando però le domeniche, in cui non si digiunava, si giunge esattamente al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima, che divenne il "Mercoledì delle ceneri".
Vi sono differenze anche nella concezione dei venerdì di Quaresima: per il rito ambrosiano, infatti, il venerdì è feria aneucaristica, durante la quale non possono essere celebrate messe, per vivere in modo radicale la privazione da Cristo, come avviene nel sabato Autentico, per accoglierlo pienamente con la Pasqua. Nelle altre feriae di Quaresima, quindi tutti i giorni tranne la domenica e il sabato (considerato semi-festivo in rispetto della prescrizione mosaica e come preparazione alla domenica), l'aspetto penitenziale è espresso dalla colorazione (facoltativa) nera dei paramenti anziché viola-morello. Nelle domeniche invece, come da tradizione ambrosiana, è sottolineato il percorso battesimale, che portava un tempo e può tuttora portare i catecumeni a prepararsi al battesimo nel giorno di Pasqua, e che guida i fedeli battezzati a riscoprire il significato di questo sacramento.
La Settimana Santa è chiamata Hebdomada Authentica (Settimana Autentica), in quanto vi si celebrano gli eventi centrali della storia.
I riti del triduo Pasquale sono completamente diversi da quelli del rito romano.
TEMPO DI AVVENTO
Particolare anche il tempo di Avvento, dedicato alla preparazione del Natale: non è formato da quattro settimane, come nel rito romano, ma da sei settimane. Inizia la prima domenica dopo la festa di S. Martino (11 novembre). Gli ultimi giorni dell'Avvento sono le feriae de Exceptato (ferie dell'Accolto) e costituiscono in sostanza la novena di Natale.
MESSA VIGILIARE
Caratteristica tipica del rito ambrosiano è l'assoluta centralità della domenica con il suo inizio dal tramonto del sole del giorno precedente. La messa vespertina del sabato, impropriamente talvolta detta prefestiva, ha il suo valore proprio e originario di messa vigiliare, ben evidenziato da un particolare rito, in forma solenne o comune, che prevede la lettura di un brano di Vangelo che parla della Resurrezione di Gesù, tranne che in Quaresima dove vengono letti brani evangelici che sono un chiaro preannuncio del mistero pasquale (come ad esempio la Trasfigurazione).
LEZIONARIO
Dal 16 novembre 2008 (I domenica di Avvento) tutti coloro che legittimamente usano il rito ambrosiano hanno adottato il nuovo lezionario che recupera molte delle consuetudini ambrosiane tramandate nei secoli.
È organizzato in 3 libri:
Libro I - Mistero dell'Incarnazione; è usato dalla 1ª domenica di Avvento fino al sabato che precede la 1ª domenica di Quaresima, riporta le letture delle festività natalizie e del tempo dopo l'Epifania.
Libro II - Mistero della Pasqua; è usato dalla 1ª domenica di Quaresima fino alla solennità di Pentecoste, contiene le letture della Quaresima, della Settimana Santa e del tempo pasquale
Libro III - Mistero della Pentecoste; è usato dal lunedì dopo la Pentecoste fino al sabato precedente alla 1ª domenica di Avvento, è diviso a sua volta in 3 sezioni:
da dopo Pentecoste al martirio di San Giovanni il Precursore (29 agosto);
da dopo il Martirio fino alla solennità della Dedicazione del Duomo di Milano (III domenica di ottobre);
da dopo la Dedicazione fino alla 1ª domenica di Avvento
Dal 14 novembre 2010 (I domenica di Avvento) entra in vigore anche il volume per le celebrazioni dei Santi. Inoltre, a partire da tale data, hanno adottato il nuovo lezionario anche le parrocchie di rito ambrosiano appartenenti alla diocesi di Bergamo.
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RITO ROMANO
Il rito romano è il rito liturgico della Chiesa cattolica più diffuso nel mondo.
Anticamente era uno dei tanti riti occidentali e conviveva accanto ad altri riti locali.
Le maggiori chiese locali, infatti, esprimevano tutte un proprio rito particolare.
Il rito romano è quello tramandato dalla Chiesa di Roma.
In seguito, data la grandissima importanza attribuita a Roma, luogo del martirio dei santi Pietro e Paolo e sede del papato, molti altri riti occidentali vennero soppressi.
Il Concilio di Trento stabilì che rimanessero solo quelli che potessero vantare un'antichità di almeno duecento anni.
Sopravvissero il rito ambrosiano, il rito mozarabico e il rito di Braga.
Con queste poche eccezioni, il rito romano venne esteso all'intera Chiesa latina: perciò è spesso chiamato anche rito latino.
Oggi il rito romano è il maggiore in termini di diffusione e numero di aderenti, e per questo si tende spesso erroneamente a considerarlo l'unico e a farlo coincidere ipso facto con la Chiesa cattolica, dimenticando l'esistenza degli altri riti.
MESSA
Ciascuna messa contiene una parte fissa (preghiere e riti comuni a tutte le messe) e una parte mobile, che cambia a seconda del periodo dell'anno (es. in Avvento, in Quaresima...) della circostanza o della celebrazione specifica (es. per il ricordo dei defunti, per certi sacramenti come il matrimonio o l'ordinazione, ovvero messe che possono essere celebrate in molte date), e invece messe da celebrare in determinate feste (sia fisse che mobili) da celebrarsi in un giorno prestabilito.
Le parti mobili comprendono letture e preghiere legate alla circostanza, le parti fisse (es. l'offertorio, la consacrazione, le invocazioni, la comunione, ecc) sono uguali in tutte le messe fatto salvo:
il diverso grado di solennità,
l'accompagnamento o meno di canto e/o musiche,
l'attribuzione di certe funzioni e formule a persone diverse (es. se è presente la figura del diacono o di concelebranti).
Durante la messa si celebra uno dei sette sacramenti, ovvero quello dell'eucarestia. La struttura della messa è suddivisa in due parti: la liturgia della parola e quella eucaristica. CELEBRANTE
Dal punto di vista della celebrazione, per tradizione vi è un solo sacerdote celebrante, e tutti gli altri ricoprono ruoli subalterni (ministri), anche se possono essere di grado superiore (es. la celebrazione di un parroco in presenza del vescovo). In seguito alla riforma liturgica seguita al Concilio ecumenico Vaticano II è stato introdotto nel rito romano ordinario la possibilità della "concelebrazione", ovvero la presenza di più sacerdoti che tutti insieme fungono da celebranti. Per il rito romano straordinario rimane l'obbligo di un solo celebrante.
I requisiti del celebrante sono quelli relativi all'ordinazione: possono celebrare la messa i presbiteri e i vescovi.
Il cardinalato di per sé non abilita alla celebrazione, tuttavia pressoché tutti i cardinali sono anche vescovi.
La stessa cosa vale per le altre cariche ecclesiastiche come quella degli abati: solo chi è vescovo o presbitero può celebrare validamente.
Lo svolgimento generale della messa nel rito romano prevede la presenza nell'aula dei fedeli, della vestizione del celebrante in sacrestia, e dell'ingresso processionale del celebrante e ministri in chiesa, sul presbiterio, direttamente dalla sacrestia o attraversando la navata.
Questa caratteristica differisce sostanzialmente dall'uso protestante per cui il sacerdote o il vescovo accolgono i fedeli sulla soglia della chiesa.
A dire la verità, questa usanza era caratteristica dell'accoglienza di personaggi illustri, ai quali il celebrante porgeva l'acqua santa sull'ingresso della chiesa.
Nei pontificali solenni il vescovo entra processionalmente, indossando ad esempio mozzetta, rocchetto e, se preferito, la cappa magna con lo strascico retta da uno o più caudatari e indossa i paramenti liturgici solo sulla cattedra.
TIPO DI MESSA
La messa è distinta in due forme: ordinaria e straordinaria.
La prima, come già accennato, è frutto della riforma liturgica seguita al Concilio ecumenico Vaticano II, con la promulgazione del Novus Ordo, mentre la seconda è l'antichissimo rito codificato dopo il Concilio di Trento e promulgato da san Pio V e per questo noto come messa di san Pio V o messa tridentina.
La messa è distinta in tre tipi: "messa ordinaria", "messa solenne" e "messa pontificale".
Il rito romano si distingue dagli altri anche per l'uso del colore nei paramenti liturgici.
La messa ordinaria è quella con un celebrante e uno o più assistenti (chierici o chierichetti o ministranti) che può essere letta o cantata.
La messa solenne è una messa cantata in cui certe parti sono cantate in canto gregoriano o con altra musica e con almeno un diacono (nel caso sia in rito romano antico deve esserci un diacono e un suddiacono).
Le parti cantate al di fuori di quelle riservate al celebrante e ministri appartenenti alla parte fissa sono cinque (o sei): il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus e il Benedictus, l'Agnus Dei.
Il Sanctus e il Benedictus sono la stessa parte, ma per tradizione, nelle messe più elaborate, veniva sdoppiato per non prolungare troppo la celebrazione: il Sanctus veniva cantato prima della consacrazione e il Benedictus dopo.
Le attuali norme raccomandano di non eseguire più questa suddivisione, ma che viene riportata perché appartiene all'enorme
patrimonio musicale della tradizione (es. le messe di Bach, Mozart, Beethoven, Haydn, Verdi, Rossini e moltissimi altri grandi compositori).
Nella messa solenne vi sono altre parti cantate appartenenti invece alle parti mobili (es. il Requiem nelle messe per i defunti, il "Passio" (la passione di Cristo) nelle celebrazioni del Giovedì santo, ecc.)
Un altro elemento che distingue la messa solenne è la presenza di più ministri, almeno sei: un crocifero che porta la croce astile almeno due accoliti che portano due candelabri con candele, il turiferario che porta il turibolo e uno della navicella (contenitore per l'incenso) e il diacono.
La messa pontificale (detta anche semplicemente pontificale) è una messa solenne celebrata da un vescovo o cardinale.
Vi sono regole e usanze molto minuziose che regolamentano la liturgia di tutte queste Messe (anche quella più semplice): dal verso in cui si devono girare i chierici o il celebrante durante le funzioni (a destra se da soli o dispari, verso il centro se in coppia) fino al modo di porgere o ricevere gli oggetti (es. le ampolline per il vino o l'acqua), sul modo di genuflettersi (in quattro modi: in piano o sul gradino, con genuflessione semplice o doppia...) di inchinarsi o quello di usare (quando previsto) il turibolo (vi sono cinque modi solo per come lo si deve impugnare nelle varie fasi della messa).
Le genuflessioni in piano (in planu) vengono fatte all'inizio e alla fine delle celebrazioni, quelle sul gradino (in gradu) durante la celebrazione.
Eccetto quando è esposta l'eucarestia, caso in cui all'inizio e alla fine si fa la genuflessione doppia (con tutte e due le ginocchia a terra e un inchino) e durante la celebrazione sempre in piano.
Anche gli inchini sono di diverso tipo: oltre a quello durante la genuflessione doppia, vi è l'inchino normale (che si fa ad esempio prima e dopo aver incensato un ministro o prima e dopo qualunque altra relazione) e uno profondo, che si fa alla croce e all'altare.
A seconda del momento sono prestabiliti i percorsi, ad esempio per passare dal seggio all'altare si può passare a seconda dei casi per la strada più lunga (longiorem) o abbreviata (breviorem), nel primo caso si arriva davanti al centro dei gradini e poi si sale, nel secondo caso si salgono i gradini obliquamente attraverso la strada più breve.
La grande complessità di questi riti prevede la presenza di un cerimoniere, che ricorda ai ministri cosa fare, specificando il tipo di inchino, di genuflessione, dicendo la frase durante la quale occorre scoprirsi il capo e inchinarsi, e così via.
INCENSO
Una regolamentazione rigida riguarda l'incensazione del celebrante, del ministro e dei fedeli.
È importante sottolineare che incensare qualcuno durante la messa non ha il significato del bruciare incenso come nei primi tempi della Chiesa, cosa equivalente all'adorazione e come tale riservata a Dio. Qui ha il senso di purificazione.
Nel rito romano (qui molto diverso dall'ambrosiano e altri riti) si usano dare colpi del turibolo facendolo oscillare in avanti e indietro, colpendo le catenelle.
Nel rito romano si usano colpi doppi: tre o più colpi doppi per il Santissimo sacramento o per la croce; tre colpi doppi per il celebrante; due colpi doppi per le statue della Vergine e per i diaconi, un colpo doppio per le statue di santi e per i laici e tre colpi doppi per i fedeli, distribuiti però in modo diverso da prima: un colpo doppio al centro, uno doppio a sinistra e uno doppio a destra.
Il colpo doppio tipico del rito romano è stato derogato dalle norme postconciliari che hanno introdotto i tre colpi tripli per i concelebranti.
L'incensazione avviene sempre e dopo l'atto dell'"infusione dell'incenso", compiuto dal celebrante.
L'incensazione della croce, del feretro, delle reliquie, ecc.
viene effettuata dal celebrante, le altre invece da un ministro o chierichetto a cui il celebrante cede il turibolo.
CANDELE
Nella messa tridentina vi è un'accurata regolamentazione del numero dei ceri da porre sull'altare, sia in relazione alla solennità della messa (nella messa pontificale devono essere sette, per la messa solenne sei, per la messa cantata quattro e per quella semplice due) che della festa: sei ceri accesi nelle solennità (già feste di prima classe), quattro nelle feste (già feste di seconda classe) e due nelle altre date.
Vi sono candele ordinarie (quelle sull'altare) e candele speciali utilizzate o distribuite in certe festività.
La più nota è il cero pasquale e arundine, benedetto, ornato con grani d'incenso e acceso nelle cerimonie della settimana santa (il sabato santo) usato per la benedizione dell'acqua, e che poi rimane sul presbiterio fino alla Pentecoste.
Questo cero riporta una croce, in cui vengono conficcati degli spilloni che terminano in un grano d'incenso, e a destra e a sinistra vi sono incise rispettivamente la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, l'alfa a destra e l'omega a sinistra e attorno alla croce il numerale dell'anno.
Inoltre vi sono i ceri nella festa della Purificazione di Maria (chiamata "Candelora"), benedetti e distribuiti ai fedeli in questa festa, con varie possibili decorazioni, ma con la base dipinta di azzurro.
Vi sono le candele di san Biagio, due candele incrociate (di solito legate tra di loro da un nastro) che vengono usate per benedire la gola e preservare dai malanni, ceri usati per la prima comunione o portati dai comunicandi in cerimonie solenni (cero della comunione), il cero che viene consegnato al padrino nella celebrazione del battesimo (cero battesimale).
Di un certo rilievo i ceri portati durante le processioni (cero processionale) da incaricati o appartenenti a certe confraternite, e i ceri per le cerimonie funebri, che per tradizione non dovrebbero essere bianchi come quelli per l'altare, ma di cera grezza e quindi giallo-marroni.
Da segnalare una delle differenze più tipiche tra il rito romano e quello ambrosiano: nel rito romano la processione entra con tutti i ceri accesi, nel rito ambrosiano si ha la "cerimonia della luce" in cui tutte le luci della chiesa vengono accese solo dopo l'ingresso del vescovo o del celebrante.
UFFICIO LITURGICO
Tutti i sacerdoti dovrebbero seguire tutti i giorni un ciclo circadiano di preghiere in più parti, chiamato "ufficio", che si articola in diverse ore canoniche.
Secondo il breviario romano le ore canoniche comprendono tre Notturni, il Mattutino, le ore di Prima, Terza, Sesta e Nona, i Vespri e la Compieta.
La riforma liturgica con l'approvazione della liturgia delle ore ha soppresso l'ora di Prima e ha trasformato i tre Notturni nell'Ufficio delle letture.
Inoltre, il Mattutino ha assunto il nome di Lodi mattutine.
Papa Benedetto XVI con il motu proprio Summorum Pontificum ha concesso a chi è obbligato, di servirsi indifferentemente del breviario romano o della liturgia delle ore.
Queste parti vengono officiate pubblicamente nelle comunità come i monasteri.
In generale i sacerdoti le recitano come preghiere private.
In alcune circostanze (la settimana santa), alcune altre parti possono essere celebrate con riti speciali, ma la celebrazione solenne dell'ufficio riguarda per lo più i Vespri.
SACRAMENTI
BATTESIMO
Anticamente il battesimo veniva impartito in fiumi, laghi o corsi d'acqua.
Successivamente per questo sacramento venne costruito un apposito edificio (il battistero), esterno alla chiesa.
Era l'unico tra i sacramenti a prevedere un edificio esclusivo.
Chi non era battezzato infatti non poteva entrare in chiesa e veniva battezzato all'esterno.
Oltre a questo, a differenza di oggi, il Battesimo veniva impartito: agli adulti, dopo un periodo di iniziazione definito "catecumenato" una volta all'anno (durante la celebrazione della veglia pasquale, cosa che avviene anche oggi nel Battesimo degli adulti) con acqua corrente (oggi, tranne casi eccezionali, con acqua benedetta) La cerimonia avveniva per triplice immersione dentro una grande vasca in cui scorreva dell'acqua.
In alcuni battisteri si può ricostruire il sistema di canalizzazioni che derivavano l'acqua da fiumi, acquedotti o canali e la facevano defluire all'esterno (tra questi il battistero nell'area archeologica sotto il Duomo di Milano, voluto da sant'Ambrogio da Milano, dove fu battezzato sant'Agostino di Ippona).
La forma di questi battisteri poteva essere circolare, come ad esempio quello costantiniano del Laterano (Roma).
Nel nord Italia e nelle regioni adriatiche aveva invece una forma ottagonale (celebre il battistero di Parma), richiamandosi ai mausolei pagani (si possono ricordare i mausolei gemelli di Diocleziano e Massimiano).
Successivamente si iniziò ad amministrare il battesimo ai bambini, forse anche in considerazione dell'elevata mortalità infantile.
Già nei tempi apostolici, tuttavia, è noto come venissero battezzate intere famiglie (vedi Atti 16,15.33; 18,8; 1 Cor 1,16), ed è quindi logico pensare che nel "battesimo famigliare" fossero compresi anche i bambini.
Sant'Agostino deplora la consuetudine di ritardare troppo il battesimo (nelle "Confessioni" racconta come di fronte alle sue intemperanze giovanili alcuni dicessero alla madre Santa Monica, "lascialo fare, non è ancora battezzato").
Il ritardo nel battesimo (non di rado celebrato in punto di morte, come nel caso dell'imperatore Costantino) può essere compreso tenendo presente che, per la dottrina cattolica, il battesimo rimette ogni peccato, oltre al peccato originale anche tutti i peccati personali commessi in vita, comprese le pene derivanti dai peccati.
Oggi il battesimo viene spesso amministrato ai bambini (i battesimi degli adulti vengono amministrati solitamente in una solenne celebrazione durante la veglia pasquale del Sabato santo), alcuni giorni dopo la nascita (quindi senza aspettare feste particolari) e con dell'acqua ferma, raccolta in un piccolo contenitore.
Quest'acqua viene benedetta una volta all'anno, durante la veglia pasquale, la sera del Sabato santo, mediante l'immersione nel recipiente che la contiene del cero pasquale.
I ministri ordinari del battesimo sono il vescovo, il presbitero e, nella Chiesa latina anche il diacono.
In caso di necessità chiunque, anche un non battezzato, purché abbia l'intenzione richiesta, può battezzare utilizzando la formula battesimale trinitaria.
Si dovrà procedere poi alla comunicazione del fatto ad un sacerdote o ad un vescovo per la registrazione del battesimo celebrato in queste circostanze eccezionali.
Per la validità del battesimo non è necessario l'uso dell'acqua benedetta: basta il contatto con qualunque parte della persona (in genere la fronte) con qualunque acqua e la recita della formula battesimale trinitaria.
Un padrino o una madrina, solitamente diversi dai genitori, presentano il bambino per il sacramento.
Nell'agire così il padrino o la madrina si assumono l'impegno di sostenere il bambino neo-battezzato nel percorso dell'iniziazione cristiana (catecumenato post-battesimale e cioè il catechismo in preparazione della prima comunione e della cresima).
Il fatto che la madrina di battesimo sia in genere diversa dalla mamma naturale del bambino dipende forse dall'indisponibilità della madre a partecipare alla cerimonia pochi giorni dopo il parto la madre.
Bisogna tenere presente che, storicamente, dopo il parto la madre veniva riammessa in chiesa dopo il rito di "purificazione delle puerpere".
CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO
La celebrazione del battesimo è abbastanza semplice.
Essa consiste in due parti: una può venire celebrata fuori dalla chiesa (più spesso tra le porte, nella bussola, per offrire ai neonati un riparto rispetto al clima esterno).
Il celebrante (sacerdote, vescovo oppure diacono nella Chiesa latina) fa il segno della croce sul candidato.
Avviene poi l'annunzio della "Parola di Dio".
Dal momento che il battesimo significa liberazione dal peccato e dal suo istigatore, il diavolo, vengono pronunziati uno o più esorcismi sul candidato.
Questi viene unto (sulla fronte o anche altrove) con l'olio dei catecumeni, oppure il celebrante impone su di lui la mano ed egli (oppure il padrino o la madrina per lui) rinunzia esplicitamente a Satana ("abrenuntio" o "rinuncio").
Così preparato, il candidato può professare la fede della Chiesa alla quale sarà "consegnato" per mezzo del battesimo.
Fino a prima della riforma il celebrante metteva in bocca al neonato qualche grano di sale, rito oggi caduto in disuso.
Al padrino o madrina viene poi consegnata una veste bianca, che rappresenta la veste che i catecumeni neo-battezzati indossavano dopo il battesimo per una settimana (avvenendo il battesimo durante la veglia pasquale ciò voleva dire fino alla domenica successiva, che non a caso si chiamava (e si chiama tuttora) Domenica "in Albis (posatis)", e un cero acceso.
Il celebrante copre poi il bambino con la stola e lo introduce dentro la chiesa, presso il fonte battesimale o battistero, che per tradizione oggi (sia nel rito romano che in quello ambrosiano) è appena dentro la chiesa, in corrispondenza della porta principale, subito a sinistra.
Qui avviene il "rito essenziale" del sacramento: il battesimo propriamente detto, che "significa ed opera" la morte al peccato e l'ingresso nella vita della "Santissima Trinità", configurandosi al mistero pasquale di Cristo, morto e risorto.
È per questo motivo che si deve essere "sepolti" nell'acqua, o per mezzo della triplice immersione nell'acqua battesimale o versando per tre volte l'acqua sul capo del candidato.
Nella Chiesa latina la triplice infusione (o immersione) è accompagnata dalle parole della formula trinitaria battesimale, pronunciate dal ministro:
"(Nome), io ti battezzo nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo "
in latino
" (Nomen) ego te baptizo in nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti "
Nelle liturgie orientali, mentre il catecumeno è rivolto verso l'oriente, il sacerdote dice:
" Il servo di Dio (nome), è battezzato nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo "
Di norma, nella Chiesa latina, il sacerdote compie questo rito in semplice cotta e stola di colore violaceo (il colore liturgico dei riti penitenziali).
MATRIMONIO
I ministri di questo sacramento sono gli sposi.
Il sacramento (secondo le norme del Concilio di Trento) per essere valido deve però essere celebrato davanti a un testimone qualificato.
Questo fa sì che vi sia un celebrante (un prete -o presbitero- oppure un vescovo) che, dopo aver accertato l'intenzione degli sposi e dopo lo scambio delle fedi nuziali, esprime la formula di rito (in latino "ego conjungo vos in matrimonio in nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti").
Il rito, espresso in questo modo, porta a pensare che il ministro del matrimonio sia il presbitero o vescovo che celebra, ma non è così.
Oggi nel rito romano il matrimonio è usualmente inserito in una messa, cosa che avviene per alcuni sacramenti (l'ordine e la cresima) ma non per altri (battesimo, penitenza, unzione).
Per essere valido il matrimonio deve essere celebrato in presenza di due testimoni, che alla fine della cerimonia firmano il registro conservato presso le parrocchie secondo le norme del Concordato, e che come tale sostituisce la necessità di recarsi poi in Municipio per la registrazione civile.
La celebrazione del matrimonio è un rito abbastanza breve e abbastanza semplice, solo parlato, senza particolari solennità liturgiche.
Vi si può aggiungere facoltativamente l'incoronazione degli sposi, usuale in Oriente.
La messa in cui è inserito può invece essere più o meno solenne, ma non si discosta in modo significativo dalle messe comuni.
ORDINE SACRO
Alcuni sacramenti possono essere amministrati anche dai laici (battesimo), altri dai presbiteri o vescovi (eucarestia - la messa- e la confessione o penitenza), ma due sacramenti possono essere amministrati solo da vescovi: l'ordine e la cresima (che ammette delegati dal vescovo).
L'ordine è il sacramento con cui si consacra un diacono, un sacerdote o un vescovo.
È bene notare che la pienezza dell'Ordine spetta al vescovo, e che non vi sono consacrazioni di ordine superiore.
Infatti i cardinali o il papa non ricevono un'ulteriore ordinazione.
ORDINAZIONE SACERDOTALE
Una cerimonia solenne e complessa, celebrata durante una messa pontificale, consente al vescovo di ordinare i sacerdoti (o presbiteri) che lo coadiuvano.
La celebrazione prevede una parte penitenziale (gli ordinandi, con il camice, si prostrano a terra e vengono invocati tutti i santi con le litanie), una parte di imposizione dei paramenti sacerdotali (la pianeta) e un'unzione con l'olio santo che consacra per sempre il sacerdote.
Dopo l'unzione delle bende (il crismale) vengono poste sul capo e a unire le mani del consacrato.
L'ordinazione avviene davanti all'altare, con il vescovo seduto sul faldistorio, ovvero uno scranno mobile che serve sia a pregare (come un inginocchiatoio) sia (se ci si siede sopra) a svolgere le funzioni sacerdotali maggiori, e indossando la mitria preziosa (ovvero, uno dei tre tipi di mitria in dotazione ai vescovi).
ORDINAZIONE EPISCOPALE
Anche l'ordinazione episcopale (o vescovile) è una cerimonia solenne e complessa, svolta durante una messa pontificale (prima dell'introduzione della concelebrazione ciascun vescovo celebrava contemporaneamente una messa diversa su un altare diverso), in cui di solito tre vescovi ordinano un nuovo vescovo.
Dal punto di vista della validità basta un vescovo, ma la cerimonia (e la tradizione) richiedono la presenza di tre vescovi.
L'ordinazione episcopale viene sempre effettuata su un permesso espresso dal papa, ma può essere valida (anche se non legittima) anche in contrasto a questa disposizione, purché il consacrante sia un vescovo. Il vescovo che consacri un altro vescovo senza mandato pontificio incorre nella scomunica latae sententiae prevista dal Codice di Diritto Canonico num. 1382.
Lo svolgimento del rito avviene in questo modo: terminata la proclamazione del Vangelo, inizia la presentazione dell'ordinando con lettura del Mandato Apostolico. Dopo le domande che si pongono all'ordinando, questi si prostra a terra mentre si invoca la protezione dei santi con il canto delle Litanie.
Il vescovo presidente recita la preghiera di ordinazione e, insieme con tutti i vescovi concelebranti, impone le mani sul capo dell'ordinando in silenzio.
Terminato il rito dell'imposizione delle mani, due diaconi aprono l'Evangeliario sul capo dell'ordinato.
Il vescovo presidente procede con l'unzione del crisma sul capo dell'eletto e impone la mitria, dona il pastorale e l'anello episcopale.
Terminati questi riti, se durante l'ordinazione il neo vescovo prende possesso della diocesi dove si celebra l'ordinazione, siede alla cattedra e procede la messa da presidente, se non prende possesso della diocesi dove viene celebrata la messa pontificale, scende nell'assemblea per benedirla, mentre ci canta l'inno Te Deum, e poi siede accanto al vescovo presidente.
La messa procede regolarmente.
RITI DELLA SETTIMANA SANTA
La Settimana Santa prevede riti particolari.
Iniziano con la domenica delle Palme, che nel Novus Ordo è la sesta domenica di Quaresima e nel Vetus Ordo la seconda domenica di Passione (tempo liturgico che comincia quattordici giorni prima di Pasqua).
Ma i riti più importanti si svolgono durante il Triduo Pasquale, ovvero il giovedì, venerdì e sabato santo.
Il Giovedì Santo ha luogo la "Messa in coena Domini", solo vespertina (non viene celebrata la Messa la mattina salvo che nelle cattedrali, che prende il nome di Messa Crismale presieduta dal Vescovo durante la quale vengono benedetti gli olii sacri che nel corso dell'anno serviranno per le somministrazioni dei Sacramenti del Battesimo, della Cresima, dell'Unzione degli infermi e dell'Ordine Sacro).
Dopo la messa spogliano gli ornamenti degli altari e velano le croci (nell'uso antico le croci restavano velate per tutto il Tempo di Passione, a partire dalla domenica che precede quella delle Palme).
Da questo momento e fino al Sabato Santo non suonano più le campane, che anticamente venivano legate.
Il Venerdì Santo non viene celebrata la messa, mentre ha luogo nel pomeriggio l'azione liturgica dove si celebra la liturgia della parola; vi è lo svelamento della croce (le croci che erano state velate il giorno precedente rimangono velate) che verrà utilizzata per l'adorazione delle croce (vedi Venerdì santo), la liturgia eucaristica non prevede la consacrazione e la Comunione avviene con i Presantificati (soltanto sotto la specie del pane consacrato nei giorni precedenti).
Infine il Sabato Santo la Chiesa da antica tradizione non celebra la messa, ma si dedica alla contemplazione del silenzio con la preghiera della Litugia delle Ore. In tarda serata (tra le 22 e le 4) ha luogo la Veglia pasquale, forse il rito più complesso del rito romano, che comprende la benedizione del fuoco, il canto dell'Exsultet, la benedizione dell'acqua battesimale e lustrale, l'accensione e benedizione del cero pasquale e la celebrazione della messa.
BENEDIZIONI
Il rito romano prevede molti tipi e forme di benedizioni, alcune delle quali sono molto semplici (es. quelle del cibo che si sta per mangiare, delle immaginette dei santi, ecc), altre accompagnate da speciali processioni (es. le rogazioni, che prevedono la benedizione dei campi, e che si rifanno a una filiera di riti antichi precristiani) e infine quelle impartite durante le celebrazioni solenni (es. la benedizione eucaristica nella festa del Corpus Domini).
È da notare che quando si fanno delle processioni in occasione del santo patrono, la benedizione viene data di norma dopo la conclusione della processione, mentre qui si parla di processioni finalizzate esplicitamente alla benedizione.
Vi sono celebrazioni che possono essere fatte anche dal clero minore, altre riservate ai sacerdoti e Vescovi, una (la benedizione Urbi et Orbi) riservata al papa.
Le benedizioni possono comportare o accompagnare un'indulgenza.
Le benedizioni possono essere fatte con le mani, con l'eucarestia, con reliquie o con altri oggetti sacri.
BENEDIZIONI CON LE MANI
Anticamente e in certi frangenti ancor oggi la benedizione viene praticata ponendo le mani sulla testa della persona che si benedice, ma quest'azione viene riferita ormai più alla consacrazione o ordinazione che alla benedizione.
Oggi di norma la benedizione consiste nel tracciare un segno di croce verticale nell'aria recitando la formula ("Benedictio Dei Omnipotentis, in nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti" se indirizzata ad oggetti, o formule molto simili es. "Benedicat vos Omnipotens sempiterne Deus, in nomine..." se indirizzata verso le persone, e così via.)
I Vescovi non tracciano una croce ma tre, una pronunciando il nome del Padre, una il nome del Figlio e una lo Spirito Santo. Se benedicono più persone la prima croce viene tracciata al centro, la seconda a sinistra e la terza a destra.
ALTRI RITI
Particolari riti sono stati resi facoltativi o sono caduti in disuso.
Un rito dimensionato ma non in disuso è quello che riguarda l'offertorio, in cui i fedeli deponevano di fronte all'altare doni, oltre al pane e il vino usati per l'eucarestia.
Un rito pontificio con aspetti caduti in disuso è la constatazione della morte del papa.
Dopo l'accertamento medico del decesso del pontefice, il cardinale camerlengo assistito dall'Arcivescovo Vice-Camerlengo, dai Chierici e dal Notaio della Camera Apostolica, dal Maestro delle celebrazioni liturgiche e dai Cerimonieri Pontifici, firma l'atto ufficiale della constatazione ed eleva alcune preghiere in suffragio dell'anima del pontefice defunto. Successivamente si procede al sigillo degli appartamenti papali con la ceralacca e alla rottura dell'anello piscatorio una volta usato come sigillo per i brevi e la corrispondenza privata.
Tuttavia, anticamente il camerlengo batteva leggermente per tre volte con un piccolo martello sulla fronte del papa, chiamandolo con il suo nome di battesimo, ed infine pronunziava la frase "Vere Papa N. mortuus est". Questa parte del rito ha luogo per l'ultima volta con papa Benedetto XV nel 1922, poiché alla morte di papa Pio XI il camerlengo Card. Eugenio Pacelli non ritenne opportuno l'uso del martelletto, che da allora cadde in disuso. Il rito tuttavia continua ad avere luogo.
Altri riti riguardano lo svolgimento dei pontificali. Uno di questi viene riferito come in uso fino a non molto tempo fa. Il pane e il vino per la messa venivano portati solennemente dal dispensiere vescovile, ovvero dal funzionario che aveva le chiavi della dispensa. Portava un piccolo scrigno contenente due ostie. Il cerimoniere mescolava tra di loro le due ostie, in modo che il dispensiere non sapesse quale era la prescelta per la consacrazione. Alla fine una veniva consacrata e l'altra mangiata sull'istante dal dispensiere. Questo rito viene attribuito in modo del tutto verosimile ai tempi in cui i vescovi temevano l'avvelenamento
. Le cerimonie più vistosamente cadute in disuso sono le più fastose cerimonie pontificie, che negli ultimi decenni sono state drasticamente semplificate.
È caduta in disuso a partire da papa Giovanni Paolo I la cerimonia dell'incoronazione. Come detto nel paragrafo dedicato all'ordinazione, il papa non viene "consacrato papa", perché la sua ordinazione è quella vescovile. Ma veniva incoronato con una cerimonia che nell'arco dei secoli era divenuta qualcosa che riecheggiava i trionfi romani, mediati attraverso le processioni imperiali bizantine, sia nella gloria che nel contrappasso. Gli imperatori bizantini (che pare però procedessero a piedi) portavano in mano un sacchetto di seta contenente polvere di sepolcro, e durante la processione solenne lo baciavano più volte per ricordare la caducità della vita. Coloro cui era destinato il trionfo (imperatore o generale vittorioso) procedevano invece su un carro, e accanto avevano chi ricordava loro periodicamente di essere solo un essere umano. Il pontefice che entrava in San Pietro solennemente, in sedia gestatoria, con baldacchino e flabelli ornati di piume di struzzo bianche, prevedeva qualcosa di simile.
Il cerimoniere lungo il tragitto fermava la solenne processione e diceva: "Beatissime pater, sic transit gloria mundi" (Beatissimo padre, così passa la gloria del mondo) e spegneva uno stoppino acceso in cima ad un'asta portata da un apposito ministro.
Al che il papa scendeva dalla sedia gestatoria, e si inginocchiava qualche istante a meditare sulla caducità delle cose terrene.
Poi il papa risaliva sulla sedia gestatoria, il corteo riprendeva, e così per tre volte dall'ingresso nella basilica fino ai gradini dell'altare della confessione.
L'incoronazione avveniva sul sagrato, o ai piedi di questo altare, e il papa assumeva la tiara o triregno.
Molti altri aspetti delle cerimonie pontificie sono caduti in disuso.
Tra questi l'uso di particolari strumenti (i già citati flabelli).
In disuso anche la sedia gestatoria, ovvero una sedia che aveva quattro prolungamenti o aste, due davanti e due dietro, e il papa seduto veniva portato a spalla da appositi dignitari denominati per l'appunto Sediari Pontifici.
Sono in disuso anche certi paramenti: oltre alla citata tiara o triregno, da ricordare il fanone papale di solito solo rosso o bianco senza seguire gli altri colori liturgici) ed altre cerimonie e strumenti, dal martello d'argento per abbattere la Porta Santa al succintorio.
Sono stati aboliti anche vari corpi militari che accompagnavano i pontificali pontifici.
Tra questi la Guardia Nobile (i cui militari erano scelti tra la nobiltà romana), la Guardia Palatina ed altre figure legate all'antica Corte Pontificia.
In origine (quando il percorso non era delimitato da transenne) essi avevano il compito di far largo al corteo pontificio menando colpi di mazza sulla folla, ma ben presto la mazza divenne una semplice insegna d'onore.
I mazzieri e gli altri corpi sono stati presenti l'ultima volta per l'incoronazione di papa Giovanni XXIII [il testo è stato estrapolato da "Wikipedia"]

Informatizzazione a cura di Bartolomeo Durante




























[da Wikpedia l'enciclopedia on line: per ulteriori approfondimenti cercare la voce Santambro su Wikipedia]" AURELIO AMBROGIO (in latino: Aurelius Ambrosius), meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Augusta Treverorum, 339-340 – Milano, 4 aprile 397) è stato un funzionario, vescovo, teologo, scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a San Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa. Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri per il luogo di nascita, o più comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino era il patrono e della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte, nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie. Come vescovo, prese una posizione ferma contro l'arianesimo e tentò di mediare il conflitto tra gli imperatori Magno Massimo e Teodosio I (e fu un fedele collaboratore, se non anche una fonte di ispirazione per quest'ultimo).
Aurelio Ambrogio nacque ad Augusta Treverorum (l'odierna Treviri, nella Renania-Palatinato, in Germania), nella Gallia Belgica, dove il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie, nel 339-340 in una famiglia romana di rango senatoriale appartenente alla prestigiosa gens Aurelia, la cui famiglia materna apparteneva inoltre al ramo dei Simmaci (era dunque un cugino dell'oratore Quinto Aurelio Simmaco). La famiglia di Ambrogio risultava convertita al cristianesimo già da alcune generazioni (egli stesso soleva citare con orgoglio la sua parente Santa Sotere, martire cristiana che «ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede»); una sua sorella ed un suo fratello, Marcellina (consacratasi a Dio nelle mani di papa Liberio nel 353) e Satiro di Milano, vennero poi venerati come santi. Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua prematura morte frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivium e del quadrivium (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe.
Dopo cinque anni di avvocatura esercitati presso Sirmio (l'odierna Sremska Mitrovica, in Serbia), nella Pannonia Inferiore, nel 370 fu incaricato quale governatore dell'Italia Annonaria per la provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli valse un largo apprezzamento da parte delle due fazioni. Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia. Paolino racconta che, al fine di dissuadere il popolo di Milano dal farlo nominare vescovo, Ambrogio provò anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la tortura di alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi all'autorità dell'imperatore Flavio Valentiniano, cui Ambrogio era alle dipendenze. Fu allora che accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti a Milano e, il 7 dicembre 374, venne ordinato vescovo. Riferendosi alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte: «Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami.»
Quando divenne vescovo (nel 374), adottò uno stile di vita ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri (eccetto il necessario per la sorella Marcellina). Uomo di grande carità, tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto di prigionieri. Di fronte alle critiche mosse dagli ariani per il suo gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese. [...] I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro ciò che non si compra con l'oro» (De officiis, II, 28, 136-138) La sua sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la conversione nel 386 al cristianesimo di Sant'Agostino, di fede manichea, che era venuto a Milano per insegnare retorica. Ambrogio fece costruire varie basiliche, di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono alle attuali basilica di San Nazaro (sul decumano, presso la Porta Romana, allora era la Basilica Apostolorum), alla basilica di San Simpliciano, detta Basilica Virginum, ossia basilica delle vergini (sulla parte opposta), alla basilica di Sant'Ambrogio (collocata a sud-ovest, era chiamata originariamente Basilica Martyrum in quanto ospitava i corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio rinvenuti da Ambrogio stesso; accoglie oggi le spoglie del santo) e alla basilica di San Dionigi (Basilica Prophetarum). Il ritrovamento dei corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio è narrato dallo stesso Ambrogio, che ne attribuisce il merito ad un presagio, per il quale egli fece scavare la terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi Nabore e Felice. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito importato dalla Chiesa orientale) nella Basilica Martyrum; durante la traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di nome Severo riacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei confronti degli ariani, che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo, e negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica. Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compiendo fondamentali riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia cristiana, e ancor oggi a Milano vi è una scuola che tramanda nei millenni questo antico canto.
L'importanza della sede occupata da Ambrogio, teatro di numerosi contrasti religiosi e politici, e la sua personale attitudine di uomo politico lo portarono a svolgere una forte attività di politica ecclesiastica. Egli scrisse infatti opere di morale e teologia in cui combatté a fondo gli errori dottrinali del suo tempo; fu inoltre sostenitore del primato d'onore del vescovo di Roma, contro altri vescovi (tra i quali Palladio) che lo ritenevano pari a loro. Si mostrò in prima linea nella lotta all'arianesimo, che aveva trovato numerosi seguaci a Milano e nella corte imperiale. Si scontrò per questo motivo con l'imperatrice Giustina, di fede ariana e probabilmente influì sulla politica religiosa dell'imperatore Graziano che, nel 380, inasprì le sanzioni per gli eretici e, con l'editto di Tessalonica, dichiarò il cristianesimo religione di Stato. Il momento di massima tensione si ebbe nel 385-386 quando, dopo la morte di Graziano, gli ariani chiesero insistentemente con l'appoggio della corte imperiale una basilica per praticare il loro culto. L'opposizione di Ambrogio fu energica tanto che rimase famoso l'episodio in cui, assieme ai fedeli cattolici, "occupò" la basilica destinata agli ariani finché l'altra parte fu costretta a cedere. Fu in questa occasione, si racconta, che Ambrogio introdusse l'usanza del canto antifonale e della preghiera cantata in forma di inno, con lo scopo di non fare addormentare i fedeli che occupavano la basilica. Fu inoltre determinante per la vittoria di Ambrogio nella controversia con gli ariani il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e Protaso, che avvenne proprio nel 386 sotto la guida del vescovo di Milano, il quale guadagnò in questo modo il consenso di gran parte dei fedeli della città. Fu infine forte avversario del paganesimo "ufficiale" romano, che dimostrava in quegli anni gli ultimi segni di vitalità; per questo motivo si scontrò con il suo stesso cugino, il senatore Quinto Aurelio Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare e della statua della dea Vittoria rimossi dalla Curia romana, sede del Senato, in seguito a un editto di Graziano nel 382.
l potere politico e quello religioso al tempo erano strettamente legati: in particolare l'imperatore, a cominciare da Costantino, possedeva una certa autorità all'interno della Chiesa, nella quale il primato petrino non era pienamente assodato e riconosciuto. A questo si aggiunsero la posizione di Ambrogio, vescovo della città di residenza della corte imperiale, e la sua precedente carriera come avvocato, amministratore e politico, che lo portarono più volte a intervenire incisivamente nelle vicende politiche, ad avere stretti rapporti con gli ambienti della corte e dell'aristocrazia romana, e talvolta a ricoprire specifici incarichi diplomatici per conto degli imperatori. In particolare, nonostante il convinto lealismo verso l'impero romano e l'influenza nella vita politica dell'impero, i suoi rapporti con le istituzioni non furono sempre pacifici, soprattutto quando si trattò di difendere la causa della Chiesa e dell'ortodossia religiosa. Gli storici bizantini gli accreditarono questo atteggiamento come parrhesia (pa???s?a), schiettezza e verità di fronte ai potenti e al potere politico, che traspare a partire dal suo rapporto epistolare con l'imperatore Teodosio. Essendo Ambrogio precettore dell'imperatore Graziano, lo educò secondo i principi del Cristianesimo. Egli predicava all'imperatore di rendere grazie a Dio per le vittorie dell'esercito e lo appoggiò nella disputa contro il senatore Simmaco, che chiedeva il ripristino dell'altare alla dea Vittoria fatto rimuovere dalla Curia romana Chiese poi a Graziano di indire il concilio di Aquileia nel settembre del 381 per condannare due vescovi eretici, secondo i dettami dei vari concili ecumenici ed anche secondo l'opinione del Papa e dei vescovi ortodossi. In questo concilio Ambrogio si pronunciò contro l'arianesimo. Ambrogio influì anche sulla politica religiosa di Teodosio I. Nel 388, dopo che un gruppo di cristiani aveva incendiato la sinagoga della città di Callinico, l'imperatore decise di punire i responsabili e di obbligare il vescovo, accusato di aver istigato i distruttori, a ricostruire il tempio a suo spese. Ambrogio, informato della vicenda, si scagliò contro questo provvedimento, minacciando di sospendere l'attività religiosa, tanto da indurre l'imperatore a revocare le misure. Nel 390 criticò aspramente l'imperatore, che aveva ordinato un massacro tra la popolazione di Tessalonica, rea di aver linciato il capo del presidio romano della città: in tre ore di carneficina erano state assassinate migliaia di persone, attirate nell'arena con il pretesto di una corsa di cavalli. Ambrogio, venuto a conoscenza dell'accaduto, evitò diplomaticamente una contrapposizione aperta con il potere imperiale (con il pretesto di una malattia evitò l'incontro pubblico con Teodosio) ma, per via epistolare, chiese in modo riservato ma deciso una «penitenza pubblica» all'imperatore, che si era macchiato di un grave delitto pur dichiarandosi cristiano, pena il rifiuto di celebrare i sacri riti in sua presenza («Non oso offrire il sacrificio, se tu vorrai assistervi», Lettera 11). Teodosio ammise pubblicamente l'eccesso e nella notte Natale di quell'anno, venne riammesso ai sacramenti. Dopo questo episodio la politica religiosa dell'imperatore si irrigidì notevolmente: tra il 391 e il 392 furono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuavano in pieno l'editto di Tessalonica: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue; furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero nuovamente al paganesimo e nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di lesa maestà, punibile con la condanna a morte. Nel 393 Milano fu coinvolta nella lotta per il potere tra l'imperatore Teodosio I e l'usurpatore Flavio Eugenio. In aprile Eugenio varcò le Alpi e puntò alla conquista della città, in quanto capitale d'Occidente. Ambrogio partì e andò ritirarsi a Bologna. Durante un soggiorno temporaneo a Faenza scrisse una lettera ad Eugenio. Poi accettò l'invito della comunità di Firenze, ove rimase per circa un anno. La guerra per il controllo dell'impero fu vinta da Teodosio. Nell'autunno del 394 Ambrogio fece ritorno a Milano. Alla sua morte, per sua stessa volontà, fu sepolto all'interno della basilica che tuttora porta il suo nome, fra le spoglie dei martiri Gervasio e Protasio. Le sue spoglie, rinvenute sotto l'altare nel 1864, furono trasferite in un'urna di argento e cristallo posta nella cripta della basilica. «Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. [...] La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima.» (Ambrogio, Commento al Salmo I, 33) Tra le opere esegetiche spiccano l'esauriente commento al Vangelo di Luca (Expositio evangelii secundum Lucam) e l'Exameron (dal greco "sei giorni"). Quest'ultima opera, ispirata ampiamente all'omonimo Exameron di Basilio di Cesarea, raccoglie, in sei libri, nove omelie riguardanti i primi capitoli della Genesi dalla creazione del cielo fino alla creazione dell'uomo. Anche in questo caso, il racconto della creazione è occasione di evidenziare insegnamenti morali desunti dalla natura e dal comportamento degli animali e dalle proprietà delle piante; in questo senso l'uomo appare ad Ambrogio necessariamente legato con tutto il creato dal punto di vista non solo biologico e fisico, ma anche morale e spirituale. Un altro gruppo significativo consiste nelle opere di argomento morale o ascetico, tra le quali risalta il De officiis ministrorum (talvolta abbreviato in De officiis), un trattato sulla vita cristiana rivolto in particolare al clero ma destinato a tutti i fedeli. L'opera ricalca l'omonimo scritto di Cicerone, che si proponeva come manuale di etica pratica indirizzato al figlio (cui è dedicato) rivolto soprattutto a questioni politico-sociali. Ambrogio riprende il titolo (indirizzando l'opera ai suoi "figli" in senso spirituale, cioè il clero e il popolo di Milano), la struttura (il libro è ripartito in tre libri, dedicati all'honestum, all'utile e al loro contrasto risolto nell'identificazione tra i due) e alcuni elementi contenutistici (tra i quali i principi della morale stoica, come il dominio della razionalità, l'indipendenza dai piaceri e dalla vanità delle cose, la virtù come sommo bene). Questi elementi sono rivisti con originalità in chiave cristiana: agli exempla tratti dalla storia e dalla mitologia classica, Ambrogio sostituisce ad esempio storie ed esempi tratti dalla Bibbia. In generale, è lo stesso orientamento del testo a non essere più etico-filosofico ma prevalentemente religioso e spirituale, come egli spiega fin dall'inizio: «Noi valutiamo il dovere secondo un principio diverso da quello dei filosofi. Essi considerano beni quelli di questa vita, noi addirittura danni» (De officiis, I, 9, 29). Allo stesso modo, le virtù tradizionali vengono rilette cristianamente e accettate alla luce del Vangelo: la fides (lealtà) diventa la fede in Cristo, la prudenza include la devozione verso Dio, esempi di fortezza divengono i martiri. Alle virtù classiche si aggiungono le virtù cristiane: la carità (che già esisteva nel mondo latino, ora assume un significato più interiore e spirituale), l'umiltà, l'attenzione verso i poveri, gli schiavi, le donne. Altre cinque opere sono dedicate alla verginità, specialmente quella femminile (De virginibus, De viduis, De virginitate, De institutione virginis e Exhortatio virginitatis). Ambrogio esalta la verginità come massimo ideale di vita cristiana, sulla scia della tradizione cristiana da San Paolo («colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio», 1 Cor 7,38[20]) fino al contemporaneo Girolamo, senza tuttavia negare la validità della vita matrimoniale. La scelta della verginità è ritenuta l'unica vera scelta di emancipazione per la donna dalla vita coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente in questo senso il fatto che il matrimonio costituisca solo un contratto economico e sociale, che non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: «Davvero degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di essere messa all'asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri chi offre il prezzo più alto» (De virginibus, I, 9, 56). Per questo Ambrogio incoraggia i genitori ad accettare la scelta di verginità dei figli e i figli a resistere alle difficoltà imposte dalla famiglia («Se vinci la famiglia, vinci anche il mondo», De virginibus, I, 11, 63).
Nel confronto con la società e gli ideali del mondo latino, Ambrogio accolse i valori civili della romanità con l'intento di dare a essi nuovo significato all'interno della religione cristiana. Nel suo Esamerone esalta l'istituzione repubblicana (di cui l'antica repubblica romana era secondo lui un ammirevole esempio) prendendo spunto dalla spontanea organizzazione delle gru, che si dividono il lavoro avvicendandosi nei turni di guardia: «Che c'è di più bello del fatto che la fatica e l'onore siano comuni a tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma passi dall'uno all'altro senza eccezioni come per una libera decisione? Questo è l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica repubblica, quale conviene in uno stato libero.» (Esamerone, VIII, 15, 51) Nella visione di Ambrogio inoltre potere e autorità, intesi come servizio («Libertà è anche il servire», Lettera 7), dovevano essere sottomessi alle leggi di Dio. Prendendo ispirazione dal racconto della corona imperiale e del morso di cavallo realizzati, secondo la tradizione, da Costantino con i chiodi della croce di Gesù, nel discorso funebre di Teodosio egli elogiò la sottomissione dell'imperatore a Cristo, dimostrata in primis dall'episodio di Tessalonica: «Per quale motivo [ebbero] "una cosa santa sul morso" se non perché frenasse l'arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni che, come cavalli, nitrivano smaniosi di piaceri, perché potevano impunemente commettere adulteri? Quali turpitudini conosciamo dei Neroni e dei Caligola e di tutti gli altri che non ebbero "una cosa santa sul morso"!» (In morte di Teodosio, 50)
Di fronte al dispotismo e alla dissolutezza che avevano caratterizzato il comportamento di non pochi imperatori romani, Ambrogio vide nel cristianesimo una possibilità per "redimere" il potere imperiale e renderlo giusto e clemente. Nella sua idea, infatti, il cristianesimo avrebbe dovuto sostituire il paganesimo nella società romana senza per questo negare e distruggere le istituzioni imperiali («Voi [pagani] chiedete pace per le vostre divinità agli imperatori, noi per gli stessi imperatori chiediamo pace a Cristo», Lettera 73 a Valentiniano II), ma anzi dando ai valori romani la nuova linfa offerta dalla morale cristiana. Ambrogio richiamò infine la società romana nella quale era sempre più accentuato il divario tra ricchi e poveri; alla sperequazione economica, Ambrogio contrapponeva infatti la morale del Vangelo e della tradizione biblica. Così egli scrive nel Naboth: «La Terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo sul suolo? [...] Tu [ricco] non dai del tuo al povero [quando fai la carità], ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi.» (Naboth, 1,2; 12, 53).
Per Ambrogio era fondamentale la storia di Israele come popolo eletto: da qui la grande presenza dell'Antico Testamento nel rito ambrosiano, le numerosissime sue opere di commento agli episodi della storia ebraica, la conservazione della sacralità del sabato, ecc. Tuttavia, come era comune nel cristianesimo dei primi secoli, forte era anche la volontà di mostrare l'originalità cristiana rispetto alla tradizione giudaica (che non aveva riconosciuto Gesù come Messia) e di affermare l'indipendenza e le prerogative della Chiesa nascente. Ad esempio, nell'Expositio Evangelii secundum Lucam (4, 34), commentando un passo del vangelo di Luca in cui un uomo invaso dallo spirito di un demonio impuro, grida: «Ah! Che c'è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? So chi tu sei: il Santo di Dio», Ambrogio critica aspramente l'incredulità della gente circostante: «Chi è colui che aveva nella sinagoga spirito immondo di demonio, se non la folla dei giudei che, come stretta da spire serpentine e legata dai lacci del diavolo, simulata la purità del corpo, profanava con le immondezze della mente interiore? Ebbene: era nella sinagoga l'uomo che aveva lo spirito immondo; perché lo Spirito Santo lo aveva ammesso. Era entrato infatti il diavolo dal luogo da cui Cristo era uscito. Insieme, si mostra la natura del diavolo non come ostinata, ma come opera ingiusta. Infatti quello che attraverso una natura superiore professa il Signore, con le opere lo nega. E in questo appare la sua malvagità [del demonio] e l'ostinazione dei giudei, poiché così [il demonio] spandé tra la folla la cecità della mente furiosa; affinché la gente neghi, colui che i demoni professano. O eredità dei discepoli peggiore del maestro! Quello tenta il Signore con le parole, essi con l'agire: egli dice "Buttati!" (Luc. IV, 9), questi sono assaliti perché [lo] buttino.» L'affinità tra la visione anti-giudaica di Ambrogio e il testo del così detto Pseudo-Egesippo (vox nihili), è una delle prove cha farebbe propendere per l'identificazione tra i due.
Le cronache storiche riportano un episodio che può essere considerato rivelatore dell'atteggiamento di Ambrogio nei riguardi degli ebrei. Nel 388, a Callinicum (Kallinikon, sul fiume Eufrate, in Asia, l'attuale al-Raqqa), una folla di cristiani diede l'assalto alla sinagoga e la bruciò. Il governatore romano condannò l'accaduto e, per mantenere l'ordine pubblico, dispose affinché la sinagoga venisse ricostruita a spese del vescovo. L'imperatore Teodosio I rese noto di condividere quanto deciso dal suo funzionario. Ambrogio si oppose alla decisione dell'imperatore e gli scrisse una lettera (Epistulae variae 40) per convincerlo a ritirare l'ingiunzione di ricostruire la sinagoga a spese del vescovo: «Il luogo che ospita l'incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? Il patrimonio acquistato dai cristiani con la protezione di Cristo sarà trasmesso ai templi degli increduli?... Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: - Tempio dell'empietà ricostruito col bottino dei cristiani -... Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi...» Citando dalla lettera di Ambrogio a Teodosio (Epistulae variae 40,11): «Ma ti muove la ragione della disciplina. Che cosa dunque è più importante, l'idea di disciplina [mantenimento dell'ordine pubblico] o il motivo della religione?» Nell'epistola Ambrogio si attribuì la responsabilità dell'incendio: «Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga, sì, sono stato io che ho dato l'incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negatO» Ambrogio si spinse ad affermare che quell'incendio non era affatto un delitto e che se lui non aveva ancora dato l'ordine di bruciare la sinagoga di Milano era solo per pigrizia e che bruciare le sinagoghe era altresì un atto glorioso. Ambrogio non volle salire sull'altare finché l'imperatore non abolì il decreto imperiale riguardante la ricostruzione della sinagoga a spese del vescovo. Secondo la visione del vescovo, nella questione della religione l'unico foro competente da consultare doveva essere la Chiesa cattolica la quale, grazie ad Ambrogio, divenne la religione statale e dominante. In questa impresa lo scopo era quello di avvalorare l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, affermando anche la superiorità della Chiesa sullo Stato in quanto emanazione di una legge superiore alla quale tutti devono sottostare.
Secondo Gérard Nauroy, «per Ambrogio l'esegesi è un modo fondamentale di pensare piuttosto che un metodo o un genere: [...] ormai egli "parla la Bibbia", non più con la giustapposizione di citazioni dagli stili più diversi, ma in un discorso sintetico, eminentemente allusivo, "misterico" come la Parola stessa». Per Ambrogio la lettura e l'approfondimento della conoscenza biblica costituiscono un elemento fondamentale della vita cristiana:
Sebbene non si possa parlare di una mariologia vera e propria (intesa come pensiero sistematico), sono numerosi nell'opera di Ambrogio i riferimenti a Maria: spesso, quando si presenta l'occasione, egli si rifà alla sua figura e al suo esempio. La sua venerazione per Maria nasce soprattutto dal ruolo attribuitole nella storia della salvezza. Maria è infatti madre di Cristo, e dunque modello per tutti i credenti che, come lei, sono chiamati a "generare" Cristo: «Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto e perciò aveva conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad esultare in Dio: se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo.» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 19. 24-26) Ambrogio difende strenuamente la verginità di Maria, soprattutto in relazione al mistero di Cristo: egli infatti, proprio perché nato da vergine, non ha contratto il peccato originale. Maria è anche la prima donna a cogliere i "frutti" della venuta di Cristo: «Non c’è affatto da stupirsi che il Signore, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la sua opera proprio da Maria: se per mezzo di lei Dio preparava la salvezza a tutti gli uomini, ella doveva essere la prima a cogliere dal Figlio il frutto della salvezza.» (Esposizione del vangelo secondo Luca, II, 17) Maria è inoltre modello di virtù morali e cristiane, in primo luogo per le vergini («Nella vita di Maria risplende la bellezza della sua castità e della sua esemplare virtù») ma anche per tutti i fedeli; di lei vengono esaltate la sincerità (la verginità «di mente»), l'umiltà, la prudenza, la laboriosità, l'ascesi. L'operato di Sant'Ambrogio a Milano ha lasciato segni profondi nella diocesi della città. Già nel settembre del 600 Papa Gregorio Magno parlò del neoeletto vescovo di Milano, Deodato, non tanto come successore, bensì come "vicario" di sant'Ambrogio (equiparandolo quasi ad un secondo "vescovo di Roma"). Nell'anno 881 invece papa Giovanni VIII definì per la prima volta la diocesi "ambrosiana", termine che è rimasto ancora oggi per identificare non solo la Chiesa di Milano, ma talvolta anche la stessa città. L'eredità di Ambrogio è delineata principalmente a partire dalla sua attività pastorale: la predicazione della Parola di Dio coniugata alla dottrina della Chiesa cattolica, l'attenzione ai problemi della giustizia sociale, l'accoglienza verso le persone provenienti da popoli lontani, la denuncia degli errori nella vita civile e politica. L'operato di Ambrogio lasciò un segno profondo in particolare sulla liturgia. Egli introdusse nella Chiesa occidentale molti elementi tratti dalle liturgie orientali, in particolare canti e inni. Si attribuisce ad Ambrogio l'inno Te Deum laudamus, ma la questione è controversa e negata anche da Luigi Biraghi. Le riforme liturgiche furono mantenute nella diocesi di Milano anche dai successori e costituirono il nucleo del Rito ambrosiano, sopravvissuto all'uniformazione dei riti e alla costituzione dell'unico rito romano voluta da papa Gregorio I e dal Concilio di Trento. In dialetto milanese Ambrogio viene chiamato sant Ambroeus (grafia classica) o sant Ambrös (entrambi pronunciati "sant'ambrœs").
Con il termine di ambrosiano non si definisce solo il rito della Chiesa Cattolica che fa riferimento al santo, ma anche un preciso modo di cantare durante la liturgia. Esso viene indicato con il nome di canto ambrosiano. Esso è caratterizzato dal canto di inni, cioè di nuove composizioni poetiche in versi, che vengono cantate da tutti i partecipanti al rito. A differenza di quanto avveniva per i salmi, solitamente cantati da un solista o da un gruppo di coristi, essi vengono invece cantati da tutti i partecipanti, in cori alternati, normalmente tra donne e uomini, ma in altri casi tra giovani e anziani o anche tra fanciulli e adulti. Alcuni di questi inni sono stati sicuramente composti da Ambrogio. La certezza viene dal fatto che a menzionarli è sant'Agostino, che fu discepolo di Sant'Ambrogio. Essi sono: Aeterne rerum conditor (cf. Retractionum I,21); Iam surgit hora tertia (cf. De natura et gratia 63,74); Deus creator omnium (ricordato nelle Confessioni e citato complessivamente ben cinque volte dal vescovo di Ippona); Intende qui regis Israel (cf. Sermo 372 4,3). Attraverso la liturgia della Chiesa cattolica in generale e di quella ambrosiana in particolare, sono giunti fino a noi una moltitudine di inni in stile ambrosiano. I ricercatori hanno cercato di trovare dei criteri per indicare quelli che, con più certezza, sono stati composti da Ambrogio. Nel 1862 Luigi Biraghi ne indicava tre: la conformità degli inni con l'indole letteraria di Ambrogio, con il suo vocabolario e con il suo stile. Con questi criteri egli arrivò a selezionare diciotto inni: Splendor paternae gloriae (nell'aurora) Iam surgit hora tertia (per l'ora di terza domenicale) Nunc sancte nobis Spiritus (per l'ora di terza feriale) Rector potens verax Deus (per l'ora di sesta) Rerum, Deus, tenax vigor (per l'ora di nona) Deus creator omnium (per l'ora dell'accensione) Iesu, corona virginum (inno della verginità) Intende qui regis Israel (per il Natale del Signore) Inluminans Altissimus (per le Epifanie del Signore) Agnes beatae virginis (per sant'Agnese) Hic est dies verus Dei (per la Pasqua) Victor, Nabor, Felix, pii (per i santi Vittore, Nabore e Felice) Grates tibi, Iesu, novas (per i santi Gervasio e Protasio) Apostolorum passio (per i santi Pietro e Paolo) Apostolorum supparem (per san Lorenzo) Amore Christi nobilis (per san Giovanni Evangelista) Aeterna Christi munera (per i santi martiri) Aeterne rerum conditor (al canto del gallo) Gli autori dell'edizione delle opere poetiche di Ambrogio in un volume stampato nel 1994, che ha portato a compimento l'Opera Omnia, in latino e in italiano, del vescovo di Milano, hanno ridotto questo numero certo a tredici canti, escludendo quelli per le ore minori, per i martiri e della verginità. L'esclusione va ascritta alla metrica di questi testi. Ambrogio aveva una predilezione per il numero otto. I suoi inni sono tutti di otto strofe con versi ottosillabici. Egli vedeva in questo numero la risurrezione di Cristo, la novità cristiana e la vita eterna (octava dies, l'ottavo giorno della settimana, cioè il nuovo giorno, in cui inizia l'era del Cristo). Per questi studiosi appare improbabile che egli sia venuto meno a questa preferenza e quindi quelli di due o di quattro strofe non vengono attribuiti al vescovo milanese. Per questi storici inoltre non vi è motivo di dubitare che l'autore della melodia sia lo stesso Ambrogio dato che per loro natura questi inni nascono consostanziati alla musica. Il Migliavacca nota come Ambrogio possedesse una conoscenza musicale approfondita. Le sue opere rivelano, oltre a una perfetta conoscenza scolastica, anche una particolare propensione musicale. Egli parla dell'arte musicale con cognizione tecnica e non solo con estetica raffinatezza come il suo discepolo Agostino.
Su Sant'Ambrogio vi sono numerose leggende miracolistiche: Mentre Ambrogio infante dormiva nella sua culla posta temporaneamente nell'atrio del Pretorio, uno sciame di api si posò improvvisamente sulla sua bocca, dalla quale e nella quale esse entravano ed uscivano liberamente. Dopodiché lo sciame si levò in volo salendo in alto e perdendosi alla vista degli astanti. Il padre, impressionato da tutto ciò, avrebbe esclamato: «Se questo mio figlio vivrà, diverrà sicuramente un grand'uomo!». Ambrogio, camminando per Milano, avrebbe trovato un fabbro che non riusciva a piegare il morso di un cavallo: in quel morso Ambrogio riconobbe uno dei chiodi con cui venne crocifisso Cristo. Dopo vari passaggi, un "chiodo della crocifissione" è tuttora appeso nel Duomo di Milano, a grande altezza, sopra l'altare maggiore. Nella piazza davanti alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano è presente una colonna, comunemente detta "la colonna del diavolo". Si tratta di una colonna di epoca romana, qui trasportata da altro luogo, che presenta due fori, oggetto di una leggenda secondo la quale la colonna fu testimone di una lotta tra Sant'Ambrogio ed il demonio. Il maligno, cercando di trafiggere il santo con le corna, finì invece per conficcarle nella colonna. Dopo aver tentato a lungo di divincolarsi, il demonio riuscì a liberarsi e, spaventato, fuggì. La tradizione popolare vuole che i fori odorino di zolfo e che appoggiando l'orecchio alla pietra si possano sentire i suoni dell'inferno. In realtà questa colonna veniva usata per l'incoronazione degli imperatori germanici. A Parabiago, Ambrogio sarebbe apparso il 21 febbraio 1339, durante la celebre battaglia: a dorso di un cavallo e sguainando una spada, mise paura alla Compagnia di San Giorgio capitanata da Lodrisio Visconti, permettendo alle truppe milanesi del fratello Luchino e del nipote Azzone di vincere. A ricordo di tale leggenda fu edificata a Parabiago la Chiesa di Sant'Ambrogio della Vittoria e a Milano, su un portone bronzeo del Duomo, gli è stata dedicata una formella".