Informatizzazione a cura di B. Durante

La SCABBIA [in antico si usava genericamente il termine ROGNA che attualmente è esteso solo al mondo animale ma ha grandi prossimità patologiche] è una malattia infettiva altamente contagiosa, l’agente causale è l’acaro (SARCOPTES SCABIEI).
Quanto oggi è assodato fu per secoli ignorato e controverso dovendosi arrivare alla NUOVA SCIENZA del seicento per scoprire e diculgare, fra non poche ed autorevoli resistenze accademiche, l'EZIOLOGIA AUTENTICA di una malattia estremamente diffusa soprattutto dal medioevo all'età intermedia, in condizioni di scarsa cura igienica personale, e non priva di gravi conseguenze generali per la sanità degli individui.
Gli acari della scabbia sono diffusi in tutto il mondo ed appartengono all’ordine degli Artropodi. Come tutti gli acari, anche quello della scabbia trascorre tutte le fasi del ciclo vitale su animali a sangue caldo (uomo-animali), possiede quattro paia di zampe, e riesce ad invadere gli strati più superficiali dell’epidermide, formando gallerie che si estendono a volte fino allo strato granuloso.
Le femmine a temperature superiori ai 20-25° C sono particolarmente mobili e sono quindi capaci di penetrare nell’epidermide, in appena 20 minuti, per una profondità di 2,5-3 cm. Ciascuna femmina depone dalle due alle quattro uova al giorno. Dopo circa cinque giorni fuoriescono le larve (larve d’acaro) queste ultime subiscono tre mutazioni prima di trasformarsi in elementi adulti , capaci di accoppiarsi ed iniziare cosi’ di nuovo la deposizione delle uova. Il ciclo vitale dura 14-17 giorni.
La scabbia non è affatto una malattia limitata alle classi povere, come vuole erroneamente la credenza popolare, ma tende a manifestarsi in individui di qualsiasi livello sociale, con qualsiasi tipi di occupazione e in ogni fascia di età. La trasmissione interumana necessita di contatti intimi, prolungati, come può accadere nei rapporti sessuali, o per individui a stretto contatto gli uni con gli altri come avviene nelle scuole, nelle caserme, nei dormitori. e via discorrendo.
Gli acari sopravvivono per molto poco tempo al di fuori dell’ospite naturale, ecco il motivo per cui il contagio indiretto per mezzo dei vestiti per esempio appare raro. Oltre all’acaro strettamente adattato all’uomo esistono numerose varietà che infestano animali d’appartamento (cani e gatti) o d’allevamento (maiale). La trasmissione di queste scabbie di interesse veterinario all’uomo è comunque un evento eccezionale per via dello stretto adattamento di ogni varietà al loro ospite.La scabbia si manifesta con epidemie cicliche a distanza di 30-40 anni l’una dall’altra.
Il periodo di incubazione dura in media tre settimane(in caso di primo contagio); risulta molto più breve, 1-3 giorni, in caso di reinfestazione. La scabbia e’ caratterizzata da un sintomo soggettivo rilevante: il prurito; Quest’ultimo inizialmente localizzato in prossimità dei glutei e degli spazi interdigitali, in seguito diviene generalizzato e si acuisce di notte. L’eruzione scabbiosa è evidenziata clinicamente da un elemento patognomonico della malattia: il cunicolo. Questo corrisponde al percorso scavato dall’acaro femmina attraverso lo strato corneo dell’epidermide, e lo si riscontra soprattutto a livello degli spazi intedigitali delle mani e in corrispondenza della superficie flessoria dei polsi. Sempre a carico della cute del paziente infetto frequentemente si nota una serie di manifestazioni aspecifiche: lesioni da grattamento, lesioni escoriate a volta con sovrainfezione batterica e croste. Nella donna è comune l’interessamento dei capezzoli, mentre nell’uomo costituisce un elemento utile per la diagnosi la presenza di lesioni papulo-erosive assai pruriginose a livello dei genitali.
Il prodotto piu’ utilizzato oggi in commercio risulta il benzoato di benzile, esso deve essere applicato per quattro o cinque sere consecutive dopo il bagno su tutto il corpo, capo e collo esclusi. Dopo aver completato il primo ciclo di terapia si può dovere essere ripetere il trattamento per altre quattro o cinque sere al fine di ottenere una completa guarigione. Importante è pure la disinfestazione della biancheria con lavaggi ad alta temperatura e quella dei vestiti tramite polveri acaricide. E’ comunque importante che il trattamento sia esteso a tutte le persone che compongono il nucleo familiare.





















La GOTTA (anticamente PODAGRA)
è una malattia costituzionale, spesso ereditaria, dovuta ad alterazione del metabolismo delle basi puriniche contenute nel nucleo cellulare. Colpisce di preferenza soggetti di età adulta, quasi sempre iperuricemici. Si manifesta con improvvise crisi di dolore articolare violento (spesso localizzato a uno dei due alluci), febbre e altri sintomi generali.
Data la rilevanza sociale che tale patologia ebbe nel passato si riproducono qui di seguito ampie sarcine de la voce La gotta con scritti di Adelon, Andral, Beclard, Biett, Breschet, Chomel, I. Cloquet, G. Cloquet, Coutanceau, Desormeaux, Ferrus, Georget, Guersent, Jadelot, Lagneau, Landré-Beauvais, Mare, Marjolin, Murat, Ollivier, Orfila, Pelletier, Raige-Delorme, Rayer, Richard, Rochoux, Rostan, Roux, Rullier, in Dizionario Classico di Medicina Interna ed Esterna, traduzione di M.G. Levi Dottore in Medicina e Filosofia e membro del Veneto Ateneo, . Venezia, Giuseppe Antonelli Editore, 1834.

GOTTA, s.f. Verso il duodecimo secolo, dicesi, allorquando le teoriche dell’umorismo erano maggiormente sparse, si attribuì l’artritide, del pari che molte altre affezioni, al deposito di una goccia di qualche umore acre nel tessuto dei nostri organi; questo vocabolo ch’esprimeva la causa fu presto usato ad indicare l’effetto; divenne esso sinonimo di male articolare di podagra. Ma l’artritide gottosa non è dessa forse in alcuni punti diversa dall’artritide idiopatica, da quella prodotta da un colpo, da una caduta, o da altra causa analoga? dessa non è eziandio diversa dall’altra che sopraggiunge in persona scrofolosa o venerea? Le differenze esistenti fra queste malattie per riguardo alla eziologia, corso ed in ispecialità trattamento di esse sono tali, che noi credemmo dovere serbare loro il nome di gotta per quanto improprio esso siasi. Si esaurirono tutte le specie d’ipotesi per ispiegare i numerosi fenomeni di codesta singolare affezione. Galeno ed il maggior numero dei medici dei secoli antichi, riguardarono la gotta quale flussione irregolare ora della pituita ora dei fluidi biliosi. Più tardi si disse che il liquido costituente questa goccia, capace di recarsi da un luogo all’altro, poteva essere di una natura specifica, che forse risultava acre e caustico. Finalmente allargando in certa guisa siffatta ultima opinione, si attribuì eziandio la gotta a certo fluido gazoso, ad una specie di miasma, condotto dagli umori in tutti i tessuti organici. I medici del Giappone imbevuti di questa teorica, giunsero, dicono essi, mediante profonda puntura, a dare uscita a tal vento estraneo. Avvicinandoci ai tempi moderni, rinverremo per anco all’incirca le stesse dottrine umorali. Per simile guisa Cullen, Sydenham, sembrano credere che la causa essenziale della gotta sia composta nelle vie digerenti, ma non possa fissarsi altro che sopra di alcuni organi. Alcune differenze rinvenute nella composizione intima del sudore o dell’orina, fecero in questi ultimi tempi ammettere la gotta acida e la gotta alcalina, indotte parimenti da un vizio della nutrizione. Finalmente Scudamore (Trad. 2 vol. in 8.0) suppone ad un tempo che la malattia artritica sia dipendente da certa soprabbondanza del sangue nel sistema della vena-porta e dalla lesione consecutiva delle funzioni del fegato e delle secrezioni provenienti dall’apparato digerente. Decide quindi quell’autore a "essere lo stomaco veramente il mezzo in cui creasi la gotta". Ammette Barthez dapprima la disposizione innata dei solidi e dei liquidi, poscia certa infermità relativa degli organi. Siffatte condizioni determinano lo stato gottoso specifico dei solidi "stato cagionato dalla forza di situazione fissa tra le parti del tessuto delle fibre". Non sappiamo se siasi mai compresa questa frase, ma crediamo per lo meno che non la si sia ai giorni nostri. Riconosce inoltre lo stesso autore uno stato gottoso specifico degli umori, da non essere lecito dic’ egli, porre in contingenza. Ecco tutta la sua teorica della gotta: "La condizione gottosa del sangue è un vizio di sua mistione che intercetta diversamente la formazione naturale degli umori escrementizj, in guisa che la decomposizione spontanea comportata da questi umori vi fa predominare la separazione della sostanza terrosa". Siffatto predominio compartisce agli umori cert’affinità speciale per gli ossi e simili; ma evvi bisogno inoltre della infermità relativa di questi. E’ tal discorso maggiormente chiaro della forza di situazione fissa? Un autore inglese, T. Sulton, citato da Scudamore, scrisse che la causa eccitante e principale della gotta risiede nel tubo alimentare, e dà qual valido appoggio del suo parere la efficacia appalesata dai purganti in codesta malattia. Volendo alcuni autori compartire alla gotta certa sede organica maggiormente positiva, senza ommettere tuttavia di riguardarla qual morbo generale, ne fecero un’alterazione del sistema linfatico. I lavori di Musgrave, quelli più recenti di Soemmering e per ultimo gli altri di Allard, somministrano molti dati interessanti per tale riguardo. Guilbert, che ammette siffatta teorica, osserva, essere dessa indubitatamente quella mediante cui si spiegano più facilmente i numerosi e singolari fenomeni delle affezioni gottose, la loro azione sopra tutta la economia umana. Boerhaave, Cullen ed altri asserirono (per opinione di quell’autore) essere la gotta una infermità di tutti i sistemi, solo considerandola come linfatica. Sciaguratamente però l’anatomia patologica non iscoperse nulla sul sistema linfatico di coloro che perirono di gotta, e tutto ciò che regge questo divisamento riducesi per anco a considerazioni fisiologiche variamente probabili. Senza volerla altramente confutare, osserveremo, che la sede dei dolori artritici più violenti trovasi sempre lontana dai rami maggiormente considerabili del sistema linfatico, e che se questi dolori si propagano, ciò non avviene mai nella direzione dei vasi di tal ordine; finalmente che le malattie linfatiche meglio caratterizzate, e generalmente riconosciute di questa natura, non assumono in verun tempo una varietà di sensibilità analoga a quella presentata dalle affezioni gottose. I fenomeni incontrastabilmente infiammatorj dalla gotta in alcuni casi presentati, e quanto fu detto intorno al legame della gotta col disordine delle funzioni digerenti, doveva condurre i seguaci di Broussais alle loro idee predilette. Per essi non solo la gotta costituisce sempre una flemmasia, ma possede inoltre in ogni caso una sede stabile, una sede primitiva, ch’è lo stomaco; costituisce anch’essa una gastritide, oppure una gastro-artritide. Intendono forse essi per questo vocabolo composto, certa infiammazione concomitante dello stomaco e delle articolazioni? ma pure lo stomaco sembra liberato allorquando ne vengono prese le articolazioni. Oppure costituisce esso certa infiammazione alternativa del ventricolo e delle superficie articolari? ma allora una infiammazione è cosa molto poco organica, e sulle cui tracce non devesi minimamente calcolare se comparisce e muta sede con tanta prestezza. Perché volere che il disordine patito dallo stomaco nell’incominciamento di un attacco di gotta o nel suo corso formi una gastritide? Ogni picciola ferita, qualunque lieve congestione cerebrale, o soltanto certa pena mortale diminuiscono, sconvolgono e talvolta anche sospendono le funzioni dello stomaco; esisterà allora forse sempre la gastritide? SEZIONE I. Delle cause della gotta in generale. I dati eziologici risultano in questo argomento, più che in qualunque altro subbietto patologico, incerti ed oscuri. Tuttavia si possono separare in due ordini le condizioni dalla esperienza dimostrate maggiormente comuni negl’individui gottosi. Le prime sono relative all’età, al sesso ed alla costituzione innata; le altre disposizioni per la gotta nascono dal genere di vita, dal modo di nutrirsi, e per ultimo dalle varie influenze fisiche e morali alle quali può andare l’uomo soggetto. 1°. La età virile è quella in cui più comuni riescono i primi attacchi di gotta. In un calcolo di cento individui ne annoverò Scudamore undici nei quali il morbo appalesossi fra i venti e venticinque anni; ventitre fra i venticinque ed i trenta anni; diecinove fra i trenta e trentacinque anni; ventidue fra i trentacinque ed i quarant’anni; undici fra i quarantacinque ed i cinquant’anni; il restante del numero totale è diviso in tre o quattro frazioni piccolissime come ben puossi giudicare. L’autore da noi citato dice, non avere veduto altro che un solo esempio di primo attacco innanzi dei vent’anni, e niuno dopo i sessantacinque anni. Importa però notare che noi qui parliamo soltanto dell’incominciamento della egritudine; la sua perseveranza e la poca mortalità che induce, congiunte a qualche tardo principio, la rendono tuttavia comunissima nei vecchi. Sesso. Sono gl’ uomini incomparabilmente più sottoposti alla gotta delle donne, sebbene torni difficile dare plausibile ragione di tale fatto. Tuttavia uno de’ più probabili consiste nella frequenza delle gozzoviglie nei primi, e specialmente dell’abuso delle bevande alcooliche. Credettero il maggior numero dei medici, dopo Ippocrate, che lo scolo mensile preservasse le donne dalla gotta. Torna più veridico il dire, che in generale la presenza di questo disagio sembra rendere precoce il cessare dei catamenj. Diciamo in generale, attesoché nel 1824 vedemmo una eccezione evidente a tale asserto, ed all’afforismo "mulier podagra non laborat" con ciò che segue; erano quattro inferme di gotta, nelle quali i corsi lunarj mostravansi regolari, sebbene la loro malattia persistesse già da molti anni. Cullen e dopo lui Scudamore allegano molti esempj nei quali la gotta tiene dietro alla menorragia. Qualità ereditaria della gotta. - Molti fatti sembrano renderla incontrastabile, ma siffatto carattere presenta anomalie curiosissime. Per tal guisa sonvi certe famiglie nelle quali rinviensi un solo gottoso in dieci persone affatto esenti dal morbo di cui si ragiona; altre volte all’opposto questo male coglie il maggior numero. All’oggetto di confermare Guilbert la natura ereditaria della gotta, narra la seguente osservazione considerabilissima. "Un uomo, padre di numerosa famiglia, ebbe otto figli prima di essere attaccato dalla gotta, ed in particolare da una sciatica che lo flagellò per tutto il restante di sua vita; durante codesta malattia divenne padre di un nono figlio; ed è l’unico della famiglia che sia gottoso". Asserisce Scudamore aversi in generale con soverchia asseveranza definita la gotta per ereditaria, ed il suo parere sembra fondato, ove lo si giudichi colla norma di un prospetto annesso alla di lui opera, di cui eccone il riassunto. In trentadue individui la gotta fu ereditata dal padre; in nove dalla madre; in tre da ambidue; sei ebbero soltanto l’avo gottoso; uno unicamente l’avola; quattro il zio o la zia; cinquantotto malati per ultimo non conobbero veruna traccia di gotta nei loro prossimi parenti. Volendo spiegare la trasmissione della gotta per eredità, quelli che non riconobbero con Barthez lo stato gottoso specifico degli umori, ammisero invece, d’accordo con quell’autore, certa costituzione gottosa propria, un temperamento riconoscibile, dicesi, pei seguenti tratti; lo scheletro molto sviluppato, la testa voluminosa, l’estremità degli ossi lunghi di dimensioni considerabili; la pelle bianca, poco coperta di peli; il respiro e la circolazione frequenti. Osservasi da ultimo che gl’individui forniti di siffatta costituzione gottosa hanno le passioni vivaci, e per dirla in breve, lo spirito attivo col corpo infingardo. Affatto però indeterminati risultano gli attributi di tale temperamento costrutto coi principj di teorica ruinosa. E’ però un fatto, che noi vedemmo la gotta maltrattare uomini di costituzione assai diversa; gli uni erano, come dicesi, sanguigni; altri nervosi; i terzi linfatici; il maggior numero però presentavano la costituzione dell’età matura, quella in cui predomina l’apparato digerente. 2°. A. Predisposizione acquisita. - L’abitare sotto di un cielo pregno spesso di acqua, e nel tempo stesso di fredda temperatura, può annoverarsi fra le circostanze che agevolano lo sviluppo della gotta. La frequenza di tale malattia in Inghilterra viene generalmente attribuita a simile costituzione atmosferica. Nelle campagne della Francia si rinvengono pochi gottosi, e se pure ne esiste taluno, egli è particolarmente nelle contrade meno calde, le più irrigate di acqua, e dove le variazioni di temperatura risultano frequenti e repentine. Quell’abitazione che presenta qualcuna di siffatte condizioni insalubri, tanto per la sua costruzione, quanto pel suo sponimento poco favorevole, diventa talvolta l’unica causa riconoscibile in cert’affezione gottosa. B. I vestiti influiscono soltanto in modo affatto secondario sullo sviluppo della malattia che ne occupa. Si vide tuttavia un primo attacco di gotta darsi a sentire dopo l’uso di abiti troppo leggieri per la stagione, o pieni di umidità. Ma anche qui diventa in ispecialità nocevole il rapido cambiamento da essi apportato alla temperatura del corpo. C. Il genere di alimento forma, al dire di tutti i medici, la sorgente più feconda delle affezioni gottose; molti accusano l’uso di qualunque cibo animale; ma la carne di pesce marittimo, i salumi, gl’intingoli aromatizzati, si ritennero ancora più generalmente per valevoli a produrre certa disposizione imminente per la gotta. Niuna causa della malattia che ne trattiene riesce meno dubbiosa quanto l’abuso, od anche il solo uso, dei liquori alcoolici. Il vino che contiene più alcool delle altre bevande abituali, è altresì quello che maggiormente dispone alla gotta. Certi vini possedono in ispecialità siffatta qualità nocevole; come sono quelli delle sponde del Rodano, di Rossiglione, di Portogallo e simili. Linneo presume che alcuni popoli della Svezia, del pari che i Lapponi, sieno estranei alla gotta per ciò solo che lo sono eziandio al frutto della vigna. La osservazione di Van-Svietenio che gli Olandesi conoscevano poco le affezioni gottose fin a tanto ch’essi non tramutarono la birra loro bevanda favorita pel vino, fu nuovamente comprovata da Scudamore. Credettero riconoscere alcuni autori che la coltivazione delle vigne colla calce imprimesse al frutto qualità morbifere. Per tal guisa dice Musgrave, che la gotta era rarissima nel Devonshire prima che si adroprasse la calce a coltivare i campi, e che codesta malattia si sparse insieme con tale nuovo genere di coltivazione. D. La massima parte dei gottosi hanno egestioni rarissime; ma ciò ne sembra piuttosto l’effetto che la causa del loro male; vi ritorneremo più innanzi. La mancanza della traspirazione fu da alcuni medici indicata come causa maggiormente valida della gotta. L’autore di una memoria scritta per sostenere siffatta opinione, vi registrò molte osservazioni interessanti. "La popolaglia (dice De Saulx), gli artefici, vanno meno soggetti alla gotta degli altri uomini, pel motivo che l’esercizio del loro corpo agevola l’azione della propria pelle. Tutto ciò che aumenta la traspirazione vale a guarire da siffatta egritudine; riesce dessa poco grave e meno resistente nei climi caldi. I purganti alla lunga continuati, nuocono nella gotta attesoché scemano la traspirazione". Senza adottare tutti i punti di questa teorica che non possiamo qui riportare, ne bisogna convenire che le funzioni della pelle sconvolte o sospese, possedono molta influenza nello sviluppo della gotta. Un bagno freddo, un semplice piediluvio, possono, sopprimendo di repente la esalazione cutanea, indurre il ritorno di un attacco. Certa secrezione mucosa soppressa, un essutorio rammarginato, o la mancanza di emorragia abituale, vengono di frequente riguardate qual causa di affezione gottosa. Ma quante volte altresì questi effetti sono unicamente accidenti della nuova malattia! E. Il maggior numero dei patologi accusarono la mancanza di esercizio corporale come una delle cause più attive della gotta. E’ poi certo che l’effetto di questa causa trovasi mirabilmente aumentato, qualora essa sia stata preceduta da un genere di vita opposto. Qualora l’individuo davasi in antecedenza a lavori giornalieri, penosi, richiedenti molta riparazione alimentare, se diventi ozioso, gli conviene altresì lasciare gli aulici pasti, e proporzionare per tal modo il nutrimento alle perdite dell’organismo suo. Per detto di alcuni storici e medici, l’artritide rara sotto l’austera repubblica romana, si sparse insieme coi costumi molli e corrotti degli ultimi secoli dell’impero. Il fatto è probabile; ma allora pure, del pari che al presente, la gotta attaccava al certo meno quelli che erano stati allevati nella porpora imperiale che i plebei, ed i generali attivi, i quali giunti agli onori ed alle ricchezze sostituivano la vita cortigianesca alla sobrietà dei campi ed ai penosi travagli guerreschi. F. Sidenamio crudelmente mutilato dalla gotta, diede una consolazione ai suoi compagni di sventura, scrivendo, che questa malattia uccide più gente spiritosa che stupidi; il detto è vero in generale, dappoiché gli uomini di facoltà intellettuali maggiormente elevati, sono altresì quelli che si danno per solito ai lavori di gabinetto, e tal genere di fatica diventa feconda origine di malattie. "Questa causa (sono parole di Scudamore) comprende non solo la mancanza di esercizio, la irregolarità nelle ore di sonno e di riposo, ma inoltre le sue conseguenze, come la debolezza di stomaco e la tardanza dell’alvo; mediante i suoi effetti sul sistema nervoso, ed anteriormente sull’azione del cervello, produce essa quella debolezza d’irritazione che aumenta la suscettibilità della costituzione per la malattia, e quindi per la gotta, se tale è la predisposizione dell’individuo". Anche una triste affezione morale costituisce spesso la causa di un primo attacco di gotta nelle donne, ed in quegli uomini la cui costituzione si riavvicina a quella della donna. Siffatte impressioni del sistema nervoso riescono specialmente temibili durante il lavoro dell’apparato digerente. Ed è allora altresì che la intensa occupazione dello spirito o gli eccessi venerei riescono più capaci di produrre lo sviluppo della gotta SEZIONE II. Delle varietà della gotta I nosologi prodighi nelle divisioni poterono facilmente adottare molte varietà per la gotta, conciossiachè siffatta malattia è certamente una di quelle che più si modificano giusta le diverse costituzioni individuali. Sauvages ne ammise quindici; e se ne rinviene pur anche una lunga serie nel lavoro di Guilbert. Tuttavia il maggior numero di medici, confrontando in casi più evidenti e precisi, ridussero tutte codeste divisioni a due o a tre, ed io seguirò il loro esempio. 1.a Gotta acuta, gotta infiammatoria, regolare o fissa degli autori. Siffatta varietà riesce particolare agli individui di robusta costituzione, ai virili ed ai giovani. Ed al pari di quasi tutte le malattie che si danno a vedere in queste condizioni, presenta essa ad evidenza i fenomeni infiammatorj; segue regolarmente i proprj periodi, nè si rimuove in generale, nè da sè, nè coll’uso dei derivativi; il suo esito ordinario consiste nella risoluzione, la quale talvolta si associa a fenomeni critici. Ma analizziamo queste idee generali. L’invasione della gotta acuta o regolare accade per solito all’avvicinarsi dell’equinozio di primavera, verso il mese di febbraio o di marzo. Dopo alcuni giorni tenebrosi, durante i quali la massima parte degli uomini soffrono malavoglia od altri patimenti, dassi a vedere un cielo più sereno, e sotto quest’ultima influenza, tutte le funzioni riprendono il proprio tipo, e spesso anzi diventano più attive. In tali condizioni per solito nelle quali i fluidi animali sembrano divenire maggiormente abbondanti, od almeno acquistare proprietà più eccitanti, scorgesi fissarsi per la prima volta certa flussione articolare. Un uomo si corica in perfetta sanità, e riputandosi disposto a fruire del miglior riposo; ma verso il mezzo della notte, è colto da dolore variamente acerbo, che simula dapprima quello del crampo, ed assume poscia, esacerbandosi, forme differenti in quasi ogni individuo. Giusta la espressione di taluni consiste in una tanagliatura; secondo altri è una sensazione analoga a quella che produrrebbe l’azione di un succhiello, di un chiodo introdotto nei nostri tessuti; quelli lagnansi di contorcimento, di lacerazione, di morsicatura nella parte più profonda dell’articolazione. Da ultimo siffatto dolore riesce tanto acerbo, che il solo peso dei vestiti, delle coperte esercita sulla parte che n’è sede certa compressione insoffribile. L’incominciamento dell’accesso va in qualche caso congiunto a brivido generale; altre volte tale sentimento si limita all’arto malato; in un periodo maggiormente inoltrato, evvi intenso calore in tutta la superficie del corpo, ma specialmente nella faccia; il polso ed il respiro risultano accelerati. Dopo sei od otto ore di durata, il dolore incomincia a declinare, ma poco a poco e con molta lentezza, sicchè persiste fino al terzo o quarto giorno comportando ogni sera una piccola esacerbazione. Un attacco di gotta regolare acuto può così formarsi di molti accessi o parossismi, il primo dei quali è più il intenso, e l’ultimo il più debole. Il sito che invade il primo attacco della gotta acuta si è l’articolazione del dito grosso coll’osso del metatarso corrispondente, oppure la lunghezza di quest’osso sopra l’uno o l‘altro piede indifferentemente. Avendo fatto Scudamore un prospetto delle diverse articolazioni ammorbate nel primo attacco sopra cento e sette casi, ne riscontrò settanta nei quali la gotta maltrattava la parte per noi indicata; gli altri trentasette erano sparsi sopra quasi un egual numero di regioni differenti. Dopo il primo assalto di affezione gottosa, la parte che ne fu sede presenta poco o verun mutamento osservabile. La temperatura n’è maggiore senza che la pelle appalesi colore più intenso. In alcuni casi le pulsazioni arteriose vi sono più sviluppate. Ma laddove i dolori siansi rinnovati parecchie volte, se gli attacchi furono di lunga durata, tutti i tessuti componenti l’arto soffrono una specie di sviluppo morboso. Il sistema vascolare venoso superficiale singolarmente assunse molt’ampliazione; le vene succutanee si delineano a guisa di cordoni variamente protuberanti, e lasciano soggiornare il sangue contenuto in gran copia dal reticello dermoide. E’ la pelle maggiormente colorita; non di meno tali cambiamenti svaniscono secondo che ci allontaniamo dall’eccesso, e finiscono eziandio col cessare per intiero, eccettuando il caso che il morbo conti la data di parecchi anni: allora aggiungansi a questi altri disordini locali, ed è allora altresì che la gotta dicesi cronica. Confrontando il fin qui esposto colla descrizione data dai nosologi del reumatismo articolare acuto, vi si scorgono molti punti di analogia; e spesso altresì l’artritide gottosa e l’artritide reumatica furono riguardate come una sola malattia. Ecco, secondo i medici che le separano, i dati sui quali cercossi stabilire la diagnosi differenziale di queste due affezioni. E’ la gotta più comune negli uomini: mentre il reumatismo sembra attaccare egualmente ambidue i sessi; questo si sviluppa nei giovani e negli adulti, la prima negli adulti e nei vecchi; nel reumatismo non si sospettò mai della qualità ereditaria, mentre nella gotta, sebbene non sia essa costante, pure risulta generale. L’attacco della seconda seguita spesso uno stravizzo, e di raro puossi riportarlo a certa influenza esterna. L’artritide reumatica si attribuisce sempre alla impressione del freddo e della umidità. La sua invasione si effettua senza sintòmi prodromi, mentre non così avviene della gotta. Il reumatismo prende d’ordinario, giusta il loro parere, le grandi articolazioni, e la gotta le piccole; evvi minore gonfiezza nel primo, ed il dolore vi riesce per consueto maggiormente tensivo e pungente. I dolori gottosi variano all’infinito; talvolta sono lancinanti, vibranti. Qui, dicono essi, decrescono inegualmente, e si esacerbano in qualche caso nella vigilia della loro scomparsa. Nell’altra malattia scemano per gradi, e si accompagna a ciò molte volte i fenomeni detti critici; avviene la vera risoluzione; mentre nella gotta si verifica una specie di delitescenza; il lavoro morboso è incompiuto; la sua durata però risulta maggiormente determinata, se non la si sconvolga con una medicazione intempestiva; si dà a vedere di venti in trenta giorni; quella del reumatismo può non oltrepassare la settimana. Per riguardo alla terapeutica, in questo le evacuazioni sanguigne di rado alleviano, ma però sono sempre innocenti. Nella gotta levano talvolta affatto il dolore, ma in altri casi altresì apportano tristi accidenti consecutivi. I ritorni dell’artritide reumatica sono rari e non periodici; quelli della gotta compariscono quasi regolarmente annui. In siffatto paragone si scelsero due esempj estremi, e se ne riportarono tutte le opposizioni; ma spesso al letto del malato si rinvengono ad un tempo due sintòmi attribuiti alla gotta, e due del reumatismo, oppure dieci dell’una e cinque dell’altra. Come decidersi allora? Confessiamo non avere potuto in molti casi superare tale difficoltà. Vedi REUMATISMO. 2.a La gotta cronica tien dietro alla gotta acuta dopo certo tempo, la cui durata varia giusta le costituzioni individuali, ma che non può essere minore di uno o di due anni. E’ lecito dividerla in due sotto-varietà; 1.a la gotta cronica fissa; 2.a la gotta cronica mobile. A. La gotta cronica fissa presenta sintòmi infiammatorj poco sviluppati, talvolta eziandio il rossore ed il calore dell’articolazione malata non sono sensibilmente accresciuti. I dolori riescono eziandio più leggieri che nella gotta acuta. La enfiagione, se ve ne ha, costituisce una specie di edema o d’infiltrazione che non si dissipa se non molto tempo dopo gli attacchi. E’ il ritorno di questi frequente, o per dirla più giustamente un attacco si confonde coll’altro che lo precedette, e questo con quello che vi tien dietro. La gotta risulta allora continua, ma con esacerbazioni irregolari, che ritornano dopo trenta o quaranta giorni, due o quattro mesi. I sintòmi generali di siffatti accessi sono poco sensibili; non evvi febbre; i più comuni consistono in spasmi fugaci delle masse carnose, od in crampi variamente prolungati; soffrono certi malati negli organi splancnici una sensazione che li mette in gravissimo abbattimento. Il disordine delle funzioni digerenti, costante nella gotta cronica vagante, riesce quasi di altrettanto frequente in quella che ne occupa. "Appalesansi di frequente in modo alternativo, dice Scudamore, l’appetito vorace e le nausee". In alcuni casi, per ultimo, le funzioni generali sono affatto in ordine, e tuttavia l’affezione locale lascia tracce considerabili. Ecco il luogo più acconcio per esporre l’anatomia patologica della gotta; dacchè nella prima varietà per noi ammessa, le alterazioni organiche sembrano per una parte meno profonde e dall’altra di raro vengono assoggettate ad esame anatomico. Le membrane serose sinoviali presentano nel maggior numero d’individui morti per gotta cronica fissa, lesioni evidentissime. Sono esse quasi sempre injettate di sangue, ingrossate, prive della loro trasparenza naturale, rossastre, e si confondono colle cartilagini articolari che rivestono. Tali membrane serose articolari presentano spesso evidentissima asciuttezza; in altri casi se risultino umettate, lo sono da certo fluido acquoso, privo di coezione, ed assai diverso dall’umore untuoso che le lubrica in istato di sanità. Le alterazioni del liquido sinoviale fecero credere ad alcuni autori ch’esso potesse essere la sede del principio gottoso. La sinovia fu analizzata del pari che le orine, e presentò ora un eccesso di basi alcaline, ora un eccesso degli elementi acidi, e più spesso le proporzioni comuni delle une e degli altri. In donna gottosa morta nell’ospizio della Salnitriera, rinvenemmo, Rostan ed io, molti grumi e del sangue liquido nell’articolo femoro-tibiale; il qual caso è certamente raro. Le concrezioni tuffacee che rinvengonsi nei cadaveri di coloro che patirono alla lunga di gotta, deggionsi probabilmente attribuire ad esuberante secrezione, o per dir meglio alla mancanza di assorbimento della sinovia. Codeste concrezioni sono articolari o non articolari. Le prime si formano nella cavità stessa della membrana sinoviale o fra questa membrana e le cartilagini che essa ricopre, o da ultimo ancora più all’esterno dell’articolazione tra le parti fibrose vicine. Varia il loro volume da quello di un grano di miglio, fin l’altro di grossa noce. La superficie di essi si fa per solito rugosa, ove pur forse si prescinda dai punti che toccano altre concrezioni. E’ in vero cosa comune vedere molti di questi corpi vicinissimi gli uni agli altri, formare linee o specie di cordone da padre-nostro in differenti direzioni. Siffatti tumori riescono per solito visibili sotto della pelle, ed anche superficiali per modo, da logorare questo tessuto membranoso, e da cagionare aperture fistolose, che vengono alla lunga mantenute dalla suppurazione estruditrice. Potremmo per avventura ammettere le concrezioni gottose non articolari, e distinguerle da qualunque altro ammasso cretoso o calcare? Si sa che tali ammassi sono comunissimi negli scrofolosi, e che se ne rinvengono eziandio nei sani ma attempati. Bastò spesso il rinvenire una concrezione tuffacea in uomo gottoso perchè la si dica subito artritica; e quindi si asserì avere osservate tracce di gotta sui polmoni, sulle pareti del cuore e via parlando. Non può l’analisi chimica agevolare tale distinzione; sì nelle une che nelle altre pel fatto di codeste concrezioni, rinviensi sempre il fosfato od il carbonato di calce in gran copia. La presenza dell’acido urico sarebbe, per divisamento di alcuni medici, l’indizio della loro natura gottosa, dacchè si rinviene d’ordinario questo principio unito alla soda od alla calce nei tuffi artritici articolari degl’individui gottosi. Ma d’altronde assoggettaronsi all’analisi parecchi umori animali provenienti da persone in cui non si poteva per niuna guisa sospettare di affezione gottosa, e che presentarono tuttavia maggior o minor copia di acido urico. Ai giorni nostri per ultimo si rinvenne anche tale composto nei fluidi di molti animali scevri da ogni sorta di artritica lesione. Le cartilagini e le fibro-cartilagini delle articolazioni gottose partecipano nel maggior numero dei casi delle alterazioni della membrana serosa che le ricopre; e quindi rinvengonsi ora egualmente variegate di rosa, ora picchiettate di color rosso intenso; altre volte più ingrossate e rammollite, ed in qualche individuo confuse cogli ossi ai quali aderiscono. E’ l’anchilosi talvolta il risultato di queste prime lesioni. Sul cadavere di donna tartassata da gotta cronica, vidi ultimamente le cartilagini dell’articolazione metacarpo-falangica del dito grosso del piede sinistro quasi esulcerate; la estremità dell’osso del metacarpo presentavano uno scavo rugoso i cui orli erano formati dallo strato cartilaginoso; la superficie articolare della falange presentava analoga alterazione, ma meno estesa. Si rinvengono poi negli autori alcuni esempj simili a questo. Nella gotta cronica incontrastabile riesce l’alteramento degli ossi; ma non presenta poi esso sempre gli stessi caratteri; molte volte noi li vedemmo rammolliti: alcuni autori all’opposto assicurano, che spesso essi assumono, in tale infermità, certa spessezza maggiore; è d’altronde per noi provato che dopo cert’affezione gottosa, la quale persistette alla lunga, si rinviene la sostanza spugnosa degli ossi ingorgata di sangue; non sappiamo se questa flussione sanguigna possa essere riguardata come eguale a quella lesione detta infiammazione, ma evvi almeno tra loro i punti di contatto, dell’aumento di volume, dell’afflusso di sangue e del dolore; bastane per ora avere qui indicato tale modificazione organica. Le parti essenzialmente fibrose, le più esterne nel maggior numero delle articolazioni, sono per certo le meno gravemente molestate dal morbo artritico, dacchè dopo morte ne serbano minori traccie di preferenza delle altre. Siffatta asserzione combatte il divisamento di alcuni medici, i quali diedero il tessuto fibroso per sede speciale della gotta articolare; opinione d'altronde atterrata da molte altre considerazioni, come la poca vitalità di codesto tessuto, la lentezza e la lieve irradiazione delle sue malattie, il modo di dolore che inducono e via parlando. Le lamine fibrose che scorgonsi attorno ad alcune articolazioni, sono fra gli organi analoghi le meno di frequente alterate. Presentano talvolta certo addensamento, oppure le loro fibre sono alquanto disgiunte da piccole masse di tessuto cellulare feltrato di serosità. Scorgonsi più comunemente le nodosità proprie dei gottosi formarsi nella grossezza dei tendini, o sulla superficie di tali corde fibrose. Siffatti ingorgamenti possedono un variabile grado di consistenza, che aumentasi colla loro antichità. Fuori degli attacchi risultano indolenti, ma diventano di eccessiva sensibilità anche alcuni giorni prima. Le nodosità addossate ai tendini non presentano sempre la stessa organizzazione di quelle svoltesi nella loro continuità. Queste sembrano essere un gonfiamento del tessuto fibroso; quelle non sono spesso altro che concrezioni tuffacee ricoperte da lame cellulose. Talvolta esse contengono nel centro una piccola quantità di liquido seroso. Tre sono le teoriche manifestate intorno alla formazione delle nodosità estra-articolari ed estra-tendinose. 1.a Pensano alcuni medici che provengano dal deposito di certo liquido linfatico nelle maglie del tessuto cellulare; 2.a altri che sieno il risultato di una cisti serosa svoltasi accidentalmente; 3.a per ultimo, che procedano dal trasudamento della sinovia per la superficie esterna delle cassule serose articolari, o delle cassule che circondano alcuni tendini mobilissimi, e questa costituisce la opinione più generale. La esalazione delle membrane serose per la loro superficie aderente, è un fenomeno patologico poco considerato; eppure l’aracnoide ne presta frequenti esempj; rinvengonsi spesso varie raccolte serose fra tale membrana e la dura madre. I muscoli vicini alle articolazioni gottose rimasero in generale sani; in qualche caso però se l’arto perdette il movimento, si mostrano atrofici. Altre volte presentano certa rigidezza e tanta contrazione che resistono a tutti gli ajuti medici. B. La gotta cronica mobile si ebbe inoltre gli epiteti di vaga, d’irregolare, di nervosa, e via parlando. Tien dietro essa alla gotta acuta che non fu molto infiammatoria, a quella che mostrossi in persone irritabili e di debole costituzione. I suoi attacchi sono per solito assai riavvicinati, e la loro invasione accade indifferentemente di giorno o di notte. I sintòmi prodromi che l’annunciano riescono assai più sensibili di quelli spettanti alla gotta cronica fissa. Qui avvengono certa malavoglia generale, infiniti fenomeni nervosi insoliti tanto nelle funzioni degli organi sensoriali, quanto nelle funzioni digerenti. Alcuni malati patiscono vertigini, stordimenti, nuvole davanti agli occhi, zuffolio d’orecchi insoffribile. Manca nel maggior numero l’appetito da due o tre giorni; il ventre è raggruppato, dolente; accadono frequenti eruttazioni, borborimmi, e frequente emissione di gas per l’ano, i quali gas sono per solito privi di odore, e si combinano a resistente stitichezza; talvolta questa si alterna con copiosissima diarrea. Durante tali fenomeni prodromi le orine si mostrano abbondanti, ma limpidissime; la esalazione cutanea sembra affatto soppressa. Le membra patiscono per crampi acerbissimi, i muscoli per dolori contundenti, i tendini in qualche caso per sussulto. Durante le generali sofferenze che precedono un attacco di gotta irregolare, le facoltà intellettuali ed affettive non sono minimamente alterate. Certuni di questi pazienti trovansi in profondo abbattimento, in crudele melanconia; altri s’incolleriscono per ogni piccola causa. La flussione artritica risulta qui lunga a stabilirsi; ed è specialmente nella presente varietà della malattia ch’essa sembra accadere goccia per goccia; ed ove pure siasi fissata, forma tuttavia soltanto un punto isolato. Il dolore, sebbene nel maggior numero dei casi ferocissimo, è privo d’irradiazione; la enfiagione si mostra circoscritta; il rossore, se esiste, presenta una varietà particolare del violetto; né si distende esso mica come fa nella risipola, nel flemone e simili. I parossismi appalesansi qui meno precisi che nella gotta acuta o regolare; se le sofferenze riescono alquanto meno acerbe, in iscambio non tralasciano mai; possono così persistere quindici e venti giorni, e svanire ad un tratto. Di raro decrescono per gradi, e la scomparsa istantanea non è spesso altro che un mutamento di sede. In tali casi pel fatto la gotta sembra sommamente mobile; passa di repente dall’una all’altra articolazione sicchè ne crucia cinque, sei e più nel medesimo attacco; in certi casi essa sembra abbandonare la sede che le è propria, vale dire le articolazioni, per recarsi sopra altri apparati organici; ed ecco quanto dicesi gotta riascesa, gotta retrocessa, che nel maggior numero dei casi non è altro che la scomparsa della gotta cagionata dallo sviluppo di nuova e più grave infermità. Talvolta eziandio la gotta vagante od irregolare trovasi preceduta da diverse affezioni leggiere o poco locali; ed essa succede loro immediatamente: in altri individui, comparisce prima che desse siano scomparse affatto, e sembra sollecitare tale scomparsa. Siffatto legame, questa coesistenza fece ammettere la identità di natura tra codeste malattie, e chiamaronsi gottose quelle che precedono la gotta, del pari che le altre ad essa susseguenti. Ma mediante quali caratteri potremo riconoscere questa pretesa gotta ab-articolare, larvata mascherata, anomale od altro? Barthez ed alcuni altri autori danno i seguenti, che costituiscono ciò che essi nomarono la cachessia gottosa. "1.0 Le malattie gottose alle quali i genitori del malato andarono soggetti, e la moltiplicazione endemica di siffatte egritudini nel paese che esso abita; 2.0 le forme gottose del corpo; 3.0 lo stato abituale di stanchezza e di sopraccarico degli organi digerenti, specialmente nelle persone dedite alla intemperanza ed alle passioni penose; 4.0 i dolori variamente acerbi, stabili, che occupano alcune parti interne o rimote dalle articolazioni; dolori i cui accessi risultano frequenti, e rinnovansi od aumentano sotto la influenza delle stagioni o per altre cause che molestano singolarmente la traspirazione, e che vengono con meraviglioso successo combattuti dai potenti rimedj antigottosi riconosciuti per specifici. Formano altrettanti indizj rafforzanti mirabilmente questi, le affezioni di gotta e di reumatismo nelle parti esterne, succedenti al supposto morbo gottoso, e la escrezione abituale di molto sedimento cretaceo per le orine". (Barthez, vol. 2, pagina 153.) E’ difficile leggere cosa maggiormente astratta ed insignificante di questa teorica sulla cachessia gottosa. Che cosa è tale sopraccarico degli organi digerenti? Che sono siffatte pretese forme gottose? E quale è colui che ammetterebbe oggidì i rimedj anti-gottosi specifici? Comprendendo gli autori per noi citati tutta la insufficienza dei dati precedenti nello stabilire la diagnosi delle affezioni artritiche larvate, finiscono col dichiarare essere la loro natura in ispecialità discoperta, quando vanno accompagnate o sono susseguite da dolori gottosi articolari; sono esse gottose ogni qualvolta la gotta le precedette o le susseguì; ecco quanto assume maggior certezza; ma allora non sarannovi più dolori articolari primitivi, ed ogni individuo gottoso non potrà più comportare altro che morbi gottosi. Rimarrebbe a cercarsi se i legami esistenti fra la gotta mobile e le malattie pretese gottose sieno indipendenti da una natura specifica. Tutte le infermità così indicate riescono d’ordinario leggerissime, e quasi senza traccie organiche; il quale carattere le riavvicina alla gotta irregolare da cui si fecero dipendere; attaccano esse altresì al pari di quest’ultima, soltanto gli individui deboli e dotati di grande suscettibilità nervosa; ma già si scorge che questi punti di analogia nelle affezioni dei diversi sistemi provengono da certa disposizione generale di tutta la umana economia. Certo individuo trovasi esposto ad infinite affezioni passeggiere, non mica perchè è maltrattato da tale varietà di gotta, ma sibbene pel motivo che la sua disposizione individuale poco energica, la sua scarsa vitalità, se è lecito dirlo, non permettendo mai lo sviluppo compiuto e forte dei fenomeni morbosi, rendono la scomparsa di questi facile e frequente. Vedi per l’opposto se la gotta ed altra egritudine possano in individuo vigorosamente costituito alternarsi insieme, o rimuoversi l’una coll’altra. La storia di tutte le affezioni viscerali gottose degli autori non ne presentano pel fatto altro che fenomeni morbosi poco caratterizzati, e che si credettero per ciò di particolare natura; non sono essi mai, si disse, sintòmi decisamente infiammatorj. Vedi Stoll, Barthez ed altri. Colla denominazione di gotta cronica, s’indica per solito quella che tien dietro alla gotta acuta; è la stessa malattia modificata dalla sua propria durata o da certi soccorsi terapeutici poco efficaci. Adottando siffatta accettazione del vocabolo abbiamo descritta la gotta cronica in seguito della gotta acuta; ma assai volte altresì si applica questo epiteto alla gotta, la quale atteso la influenza di alcune condizioni individuali, si appalesa dapprima con sintomi leggeri, e la cui durata però si prolunga d’assai. E’ dessa la gotta dei vecchi e degl’individui affievoliti dal cattivo modo di vivere o dalle malattie antecedenti; si dà a vedere nel principio con tutti i caratteri della gotta cronica propriamente detta; riesce al pari di tale varietà ora stabile ora mobile; finalmente prescindendo dall’origine costituisce la medesima affezione. Osserveremo soltanto, che in quella non succedente alla gotta acuta, la sottovarietà mobile è la più comune, mentre all’opposto questa sotto-varietà si mostra la più rara nella gotta cronica propria. SEZIONE III. Esame delle principali funzioni della vita nei gottosi. Sebbene in generale gli organi dei sensi non presentino veruna cosa particolare negli ammorbati di gotta, pure vedemmo molti infermi lagnarsi durante i tre o quattro giorni precedenti all’attacco, di durezza dell’udito, o di zuffolio d’orecchie incomodissimo. Ecco poi un fatto più considerabile: un gottoso privato ad un tratto della vista, non iscorgeva più davanti a’suoi occhi altro che fiocchi nebulosi; prescrive Bourdois un piediluvio sinapizzato, il quale cagionò subito certo dolore artritico, che pose fine a tale singolare anomalia. La massima parte di coloro attaccati dalla gotta vagante, furono precedentemente, o sono ancora ad un tempo tormentati da diversi accessi di malinconia penosissimi: scorgonsi in molti casi alternarsi coi dolori gottosi. Altri infermi prevedono il ritorno dei loro attacchi, stante alcune disposizioni particolari del morale; che negli uni consistono nell’insolito sentimento di ben essere e di soddisfazione, e per gli altri in certa profonda tristezza senza verun motivo "Ebbi (dice Van-Svietenio) intimi legami con persona dottissima, e di carattere benigno ed affatto pacifico, la quale sapeva per esperienza quando doveva avere un attacco di gotta, stante che alcuni giorni prima il suo umore alteravasi per ogni nonnulla". Mi disse un malato che taluni de’ suoi parossismi maggiormente funesti erano succeduti immediatamente a violenti trasporti di collera; ed in altri esempio eziandio citansi i dispiaceri come causa degli attacchi. Durante l’accesso, la disposizione alla irascibilità è, dice Scudamore, quasi proverbiale presso tutti gli autori. Costituisce la dispnea uno degl’incomodi che sembra spesso complicare le affezioni gottose. Vedemmo certo malato patire regolarmente dieci o quindici ore prima di ogni attacco di gotta articolare, oppressione penosissima con battiti di cuore grandi e tumultuosi; divenivagli impossibile coricarsi sul dorso od anche eziandio talvolta sui lati, e tutti i mezzi di alleviamento riescivangli infruttuosi fin allo sviluppo del dolore artritico. Molte volte però eziandio nei gottosi attempati si attribuì alla gotta riascesa, retroceduta, e via parlando, ciò che era soltanto l’effetto di una malattia del cuore o dei grossi vasi, spesso antichissima. Cullen, Sidenamio, Brown e tutti i patologi moderni, fecero osservare la frequente coesistenza della gotta e di un’affezione delle vie alimentari, e particolarmente dello stomaco. Siffatto mal essere degli organi digerenti si appalesa mediante un dolore stabile dietro l’appendice zifoide, dolore che risulta in particolare osservabile qualora lo stomaco sia affatto voto, e nella condizione opposta cioè dopo soverchia ripienezza. Durante il lavoro della digestione alcuni malati si lagnano di agrezze, di rinvii acidi; il sintòmo però maggiormente frequente si è una specie di flatulenza di enfiagione gazzosa dello stomaco e talvolta di tutto il tubo intestinale. Siffatto stato non è continuo, ma anche la causa de’ suoi ritorni è indeterminata. Un malato, di cui Bourdois e Lucas mi comunicarono la storia, fu per molti anni di sua vita flagellato dai diversi accidenti gastrici di cui parliamo; ora essi si alternano con certo dolore artritico; è poi cosa singolare che questo comparisce ad un tratto allorquando soffia il vento di est. Il vomito e gli scarichi alvini biliosi sono talvolta, secondo Scudamore, i prossimi precursori di un parossismo. Avendo una persona lavorato nel giardino durante una calda mattina d’autunno, fu preso nella sera dal morbo coléra, e nel giorno dopo appalesossi la gotta in uno de’ suoi piedi. E’ la stitichezza un fenomeno morboso comunissimo nei gottosi, e che forse non risulta estraneo alla produzione degli altri sintòmi gastrici di cui abbiamo favellato. Qualche volta durante i sintòmi prodromi dell’attacco sopraggiunge certa evacuazione alvina diversamente copiosa, di poca consistenza e di colore grigio-biancastro; ha dessa la particolarità di spesso far isventare l’accesso gottoso, od almeno fargli perdere molto di sua forza. Di tale osservazione andiamo debitori ad Alfonzo Le Roy, e noi avemmo l’occasione di comprovarla. Alcuni gottosi prevedono il ritorno dei loro accessi mediante l’aridezza di tutto il sistema dermoide, ed in qualche caso della solo porzione che riveste la sede abituale del dolore. Tale mancanza di azione della pelle sembra indurre in molte circostanze la modificazione organica del suo tessuto. Vedemmo una giovane dama in cui la superficie del membro malato era di colore più carico di quella spettante alle altre parti del corpo, e che il toccarla produceva cert’impressione aspra e spiacevole. In alcuni casi tali asprezze riescono prominenti, e sembrano provenire tanto dall’alterazione della pelle, quanto da una secrezione morbosa di natura terriccia, cretacea. L’analisi chimica del sudore dei gottosi somministrò dati poco interessanti; dacché spesso siffatto fluido riesce in tal morbo pari a quello d’individuo godente perfetta sanità. In pochi casi parve contenere certo principio dominante, ora acido, ora alcalino; ma queste piccole differenze di composizione si rinvengono anche di frequente, come si sa, in individuo esente dalla gotta ed anche di qualunque altra malattia. L’orina dei gottosi conterrebbe sempre, secondo Bertholet, minor quantità di acido fosforico dell’altra appartenente alla comune delle genti; ma tale quantità si aumenterebbe all’avvicinarsi dei parossismi, e mentre durano. Molti medici chimici che dedicaronsi alle stesse indagini n’ebbero risultati pressochè eguali. Tuttavia Scudamore, a cui dobbiamo i lavori più recenti fatti sopra tale proposito, osserva con ragione, che tale diminuzione di copia dell’acido fosforico nelle orine non è mica carattere speciale della gotta; in secondo luogo che il suo predominio momentaneo si scorge in molte malattie del pari che in questa. Un fanciullo, che si trovava nel numero degl’individui sopra dei quali Scudamore praticò le sue ricerche evacuò, mentre lo si reputava di egregia sanità, un’orina contenente molto acido fosforico, e nella sera dello stesso giorno fu attaccato da infiammazione violente e dalla tumefazione della metà della figura. Il pronostico della gotta varia secondo le varietà di tal morbo, o piuttosto giusta le disposizioni costituzionali dell’individuo che attacca. La gotta dei deboli e dotati di molta suscettibilità nervosa è poco grave, sebbene adduca dolori frequenti ed acerbi. Negl’individui di forte costituzione, l’artritide riesce funesta in quanto può ricomparire molte volte sulla stessa articolazione, giacchè allora passando allo stato cronico produce alterazioni organiche variamente profonde. E’ da temersi eziandio maggiormente se il malato serbi un modo di vivere poco esatto, o si assoggetti ad una terapeutica poco razionale. La gravezza della gotta cronica è pure in ragione diretta della sua antichità. La perdita del movimento in un’articolazione costituisce un sintòmo che deve farne predire la sua incurabilità. SEZIONE IV. Del trattamento convenevole per la gotta. Non havvi malattia che al pari di questa abbia tanto comportato i cimenti dell’empirismo; innumerabili risultano i rimedj pretesi specifici contro di tal morbo, che pur non si vince mai; mentre viceversa pochissimi si mostrano i rimedj razionali. Volendo porre qualche ordine nello sponimento degli uni e degli altri, divideremo la terapeutica della gotta 1°. nel trattamento della varietà acuta, che si compone di medicazioni indicate dai sintòmi successivi degli attacchi; 2° in trattamento della malattia passata allo stato cronico; 3° in trattamento generale della gotta, che riunirà alcuni mezzi empirici, ed i soccorsi più efficaci tratti dalla igiene. Trattamento della gotta acuta.- Alcuni gottosi, come dicemmo precedentemente, prevedono mediante certe malevoglie anomali l’accesso che deve poche ore dopo colpirli. Conviene approfittare di tale prescienza per diminuire la violenza del movimento morboso; con siffatta mira, mentre prescrivesi l’assoluto riposo, si scema la copia dei cibi, e si sopprime l’uso delle bevande fermentate. Un malato che abbiamo sott’occhio, dice avere così scongiurato più della metà de’ suoi dolori. Si prescrivono nella stessa indicazione i bagni tiepidi prolungati. I medici inglesi e molti medici tedeschi adoprano nell’incominciamento dell’attacco di gotta i narcotici a dosi variamente grandi. Parmi che il loro uso non sia di molto esteso in Francia. Anche i purganti od almeno i minorativi appartengono essi pure maggiormente alla medicina straniera, ma rinvennero fra noi molti partigiani. Conosco alcuni medici i quali non ommettono mai di adoprarli qualora possono presumere un prossimo attacco di gotta; dicono essi insieme collo Stoll, che liberando l’intestino dalle materie biliose, lo si preserva da qualunque trasporto metastatico. Non negheremo questa teorica cotanto vieta, ma dobbiamo dire avere tal metodo apportato direttamente gli effetti che volevansi mediante esso prevenire, vale dire diverse flemmasie addominali. Nella intenzione di sollecitare lo sviluppo della flussione gottosa adopraronsi molti medicamenti dotati tutti della stessa proprietà, di determinare cioè una irritazione variamente forte nei tessuti dermoidi; quali sono i cataplasmi di farina di senape, di verbena cotta nell’aceto, quelli di prezzemolo, e di alcune altre piante aromatiche. Un mezzo efficace e semplicissimo consiste nell’applicazione di pezzi di stoffa di lana, imbevuti di acqua calda pura od alquanto aguzzata coll’alcool. Nominiamo qui inoltre il soleggiamento, e la esposizione dell’arto ad intenso fuoco. Il dolore artritico decisamente fissato richiede l’uso delle medicazioni spesso opposte alle precedenti. In siffatto periodo di malattia il primo scopo da proporsi si è il togliere o moderare le sofferenze. Soddisfaranno dapprima a questa indicazione le applicazioni emollienti, talvolta leggermente narcotiche; in molti casi vi si aggiungono con gran vantaggio gli antispasmodici presi internamente. Quelli che d’ordinario adopransi sono il muschio, la mirra, il belzuino, ed alcune gomme-resine fetide, il castoreo, l’assa-fetida e via parlando. In un attacco però gravissimo di gotta infiammatoria, il calmante più efficace consiste nel salasso. Ne dimostrò da gran tempo la esperienza che le cacciate di sangue locali sono qui infinitamente preferibili all’apertura della vena. Si applicherà anco attorno del luogo dolente le sanguisughe o le ventose scarificate in tanto numero da ottenere una copiosa perdita di sangue, ma non poi tanta da cagionare una revulsione troppo violente. Verso la fine dell’attacco di gotta infiammatoria, risultano assai meno interessanti le indicazioni alle quali uopo è soddisfare; bisogna per altro insistere sull’austerità della dieta, e continuare le applicazioni calde e rilassanti. Adoprano alcuni pratici nell’incominciamento di un accesso di gotta certo metodo particolare, il quale tende a fermare di repente il lavoro morboso; siffatto metodo lo si dice perturbatore. L’applicazione del freddo mediante l’acqua congelata, e quella del calore per mezzo di qualche liquido bollente o di un ferro arroventato, costituiscono forse i primi rimedj perturbatori che si sono usati. L’azione del calore, sebbene meno impiegata di quella del freddo, riesce però più vantaggiosa, ned ha mai così gravi conseguenze. Agirono eziandio producendo una specie di perturbazione, un esercizio violente, una lunga corsa fatta a piedi, che nel principio di parossismo gottoso valsero ad impedirne lo sviluppo. Si comprende però che laddove non si ottenga lo scopo, questa pratica rende i sintomi maggiormente gravi. Tutti i pratici conoscono il metodo perturbatore di Cadet-de-Veaux, che consiste nel bere abbondantemente acqua caldissima. Voleva egli che se ne prendesse senza sosta quarant’otto bicchieri da sei once ognuno; conosciamo poco i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti; pochi sono i gottosi il cui gusto si adatti a tale prescrizione. Dobbiamo eziandio qui nominare le bevande agghiacciate, le quali però hanno un effetto incertissimo; bisogna che il loro uso sia continuato alla lunga. Si suggerì pure qual mezzo perturbatore di un attacco di gotta acuto un copioso salasso praticato sul braccio; può siffatto mezzo riescire meno nocevole dei precedenti; ma tuttavia venne escluso dai pratici maggiormente avveduti. Il modo di trattamento esposto per gli attacchi di gotta infiammatoria richiede importanti modificazioni qualora questo attacco fu già preceduto da molti altri, se il morbo passò allo stato cronico. Le evacuazioni sanguigne di raro giovano nella gotta cronica stabile, e nella gotta vagante o nervosa; qui fa d’uopo spesso al contrario assistere la natura acciocchè renda locale la malattia, o le dia uno sviluppo più compiuto. Per raggiungere tale scopo applicasi sull’articolazione malata i cataplasmi composti di sostanze eccitanti, come sono quelli di sapone cotto e di acquavite, di sapone e di canfora, che è il rimedio di Quarin, l’altro di Pradier, e via parlando. Nel caso di gotta cronica congiunta a debolezza generale, i medici dei secoli precedenti non temevono di somministrare il vino puro, ed in alcuni casi caldo ed aromatizzato, od anche le pozioni alcooliche molto energetiche. I curatori dei giorni nostri prescrivono inoltre in tal morbo alcuni piccoli sudoriferi le calde infusioni di arnica montana, di borraggine, di cina, di salsaparilla, e raccomandano specialmente, anche fuori degli attacchi, il vitto rafforzante. Dobbiamo qui parlare di alcuni mezzi locali adoprati per distruggere le tracce della gotta cronica, di quella che durò molti anni; tali mezzi risultano d’ un interesse affatto secondario, dappoichè essi non possono combattere altro che lesioni organiche lievissime, le quali svaniscono spesso da sé stesse, ove si superi il morbo che le originò. I tumori albumino-gelatinosi possono essere votati mediante una puntura praticata col tre-quarti o col bistorino stretto; si determina la uscita del liquido mediante certa pressione metodica, la quale ove sia continuata possede inoltre il vantaggio di agevolare l’otturamento della cavità cellulare che lo conteneva. Le concrezioni tufacee escono assai volte a lungo andare da sé mediante la corrosione della pelle e degli altri tessuti che la ricoprono; rimane però assai volte nel fondo della ulcera che si formò, certa porzione di materia calcare la quale impedisce la cicatrizzazione. Si cercherà di scuoterla moderatamente con pinzette, ma siccome è contenuta nelle maglie del tessuto cellulare, così non si può toglierla altro che a piccoli frammenti. Preparerà d’altronde profittevolmente le parti malate a questa operazione, l’apponimento giornaliero dei cataplasmi emollienti, ed altre volte detersivi. Le contratture dei tendini resistono nel maggior numero dei casi ai mezzi dell’arte sanatrice. Si raccomandarono fino da tempi remotissimi le embrocazioni oleose, ed anche il bagno parziale di olio. Crediamo debbano arrecare gli stessi effetti i bagni prolungatissimi di acqua semplice, a cui aggiugerassi la continua applicazione di cataplasmi emollienti e narcotici, ed inoltre l’uso delle docce della stessa natura, ed altre volte quelle fatte colle acque termali. Finalmente la pratica che saggiamente adoprata ebbe maggior buon esito, è quella di fare stendere poco a poco l’arto contratto, tanto imprimendogli piccoli movimenti, quanto collocandolo in apparato convenevole. Le nodosità o gl’ingorgamenti nodosi dei legamenti o dei tendini sono assai lievi ed appena meritevoli dell’attenzione del medico. Tuttavia adopraronsi talvolta per dissiparle le fregagioni fatte con linimenti composti o soltanto coll’olio di terebintina pura, coll’alcool e simili. La compressione formerebbe per certo il mezzo più efficace; ma vien reso spesso impossibile, tanto a motivo della sede delle nodosità, quanto pel dolore risultante dal suo uso. L’ingorgamento delle articolazioni spettante alla gotta, richiede l’uso degli stessi mezzi che usansi per qualunque altro ingorgamento di diversa natura. Dominando i sintòmi infiammatori bisogna prescrivere gli emollienti e talvolta la sottrazione locale di sangue; essendo il tumore freddo, come dicesi, converranno i cataplasmi tonici ed alquanto animati coll’aggiunta del vino, dell’alcool, dell’ammoniaca e simili. In qualche caso finalmente converrà ricorrere ai vescicatorj, che si applicheranno in vicinanza dell’articolo malato piuttosto che sullo stesso ingorgamento; anzi per giovarsene converrà aspettare che sia affatto svanita ogni traccia d’infiammazione. Trattamento generale della gotta. - Si compone dei mezzi terapeutici e dei precetti igienici. I primi si possono distinguere in due ordini seconcondo che operano 1. sulle parti ammorbate; 2. sopra punti rimoti, od anche sopra tutto l’organismo. Rimedi locali. - Gli essutorj, come i cauterj, i vescicanti ed il setone, non vanno mai applicati se non che negl’intervalli degli accessi di gotta. Bisogna porli vicini all’articolazione malata, senza per altro che la enfiagione, il turgore flogistico possa stendersi durante il lavoro morboso dell’attacco fin ad essi. La mocsa che opera con maggiore energia, promette altresì più efficacia, e va messa negli stessi luoghi. I medici chinesi che adoperano con tanta frequenza il fuoco, ne fanno giornaliero uso contro della gotta, e sembra che tale affezione gli resiste poco. Nelle nostre contrade però la sua applicazione non riesce punto cotanto fortunata; forse bisogna attribuire questa differenza a quella della stessa malattia. Alcuni medici dei tempi presenti cimentarono la cura radicale della gotta mediante il reiterato uso delle sanguisughe poste nei dintorni dell’articolazione. Paulmier, autore od almeno partigiano zelantissimo di tal metodo, l’adoprava nella gotta atonica del pari che nella gotta infiammatoria. Presenta esso a dir vero pochi inconvenienti, e riportò talvolta felici successi; ma bisogna continuarlo con perseveranza, anche dopo lunghissima mancanza di attacchi. Si avvicina a quest’ultimo il processo del medico alemanno Bauer. Suggeriva egli le ventose scarificate da porsi sulla sede stessa del dolore, e voleva che fossero riapplicate assai di frequente, coll’intervallo di uno o due mesi, e per tutto il resto della vita; ma non prometteva neppur allora la guarigione se non quando la gotta fosse men vecchia di quattro anni. E’ facile comprendere che simile trattamento, seguito con tutta austerità, ed assistito dall’esatta maniera di vivere, può trionfare di ostinata malattia. I cataplasmi irritanti e risolventi, godettero in diversi tempi di molta rinomanza contro della gotta. Ne insegna Luciano, in certo suo scherzo sopra di tale malattia nomato Trapodagra, che i medici di Roma adopravano un cataplasma di radice di elleboro, di quella di fieno greco, e di vino, od altro. Riolan vantò i meravigliosi effetti di cataplasma composto colla farina di fien greco, coll’aceto e col miele. Di presente finalmente si sa quanto risulti encomiato il rimedio di Pradier, che consiste soltanto in un cataplasma di farina di lino coll’aggiunta di poca quantità di alcool saturo di qualche principio delle seguenti sostanze; salvia, china rossa, sarsaparilla, zafferano, e balsamo della Mecca; ecco il modo di usarne. Si versa sopra tre libbre di cataplasma due once circa della tintura indicata; indi lo si applica tanto caldo che il malato lo possa soffrire, e che copra le due gambe fin al ginocchio; lo si rinnova una sola volta nel corso delle ventiquattr’ore. Poco dopo applicato scemano i dolori per foggia da permettere il sonno. Scorsi otto o dieci giorni dall’apponimento di tale rimedio, si svolge, levando l’apparecchio, certo odore fetido, nauseoso, il quale diventa per solito di buon augurio. Prima di questo tempo il malato patì certo dolore di variabile acerbità da lui riportato alla punta del piede ed al tallone; siffatto dolore con o senza tumefazione, risulta qualche volta cruciosissimo; in altri casi costituisce un semplice pungimento. Gli effetti del rimedio di Pradier consistono nel richiamare la flussione gottosa, renderla locale e di corso regolare. Scorgesi però di leggeri, poter esso essere vantaggiosamente sostituito da farmaci semplicissimi, come verbigrazia da un sinapismo, dall’applicazione delle compresse bagnate in certo liquido ad un tempo alcoolico ed aromatico, od altro di simile. Limitossi eziandio talvolta il trattamento della gotta al solo uso alla lunga continuato di semplici cataplasmi emollienti; altre volte si unì loro alcuni piccoli narcotici, come la decozione di teste di papavero, od analogo. Le applicazioni degli empiastri o del taffettà gommato risultano pur essere giovevoli formando un’atmosfera umida attorno all’articolazione malata; si fanno aderire a tutti punti della superficie che ricoprono, oppure soltanto sugli orli, ciocchè risulta preferibile; l’umore della perspirazione cutanea forma allora una specie di continuo bagno a vapore. Rimedj generali. 1° Farmaceutici - Proposero alcuni medici di far scorrere sopra tutto il corpo i medicamenti riconosciuti vantaggiosi nella cura della gotta, e quindi praticaronsi fregagioni, embrocazioni con materie grasse od oleose, nelle quali avevasi incorporato qualche principio attivo, come l’ammoniaca, la canfora, i sali alcalini e simili. Si fece inoltre egual uso di molte soluzioni alcooliche, narcotiche, balsamiche e via parlando. Molte sostanze drastiche costituirono di frequente la base dei pretesi specifici contro della gotta, ed è poi cosa osservabile del come furono essi eziandio spesso proscritti, non solo come poco giovevoli, ma inoltre quali perniciosi. Fu Sidenamio uno di quelli che più scagliaronsi contro i purganti dopo averli cimentati lui stesso. In epoca da noi non lontana videsi un vero drastico ad essere encomiato come eccellentissimo contro le affezioni gottose; questo rimedio secreto, detto specifico, è l’acqua di Husson; si sospetta ch’esso sia qualche estratto alcoolico di alcuni vegetali acri, del colchico o della graziola. Anche oggidì sonvi parecchi medici i quali suggeriscono i purganti; li danno essi a dir vero in un veicolo allungatissimo, ed associati ai calmanti od agli antispasmodici; noi aggiungeremo essere indispensabile aspettare per somministrarli l’assenza totale dei dolori. Adopraronsi contro la gotta i vegetali abbondevoli di principj amari ed aromatici, ora nella mira di agire sugli organi digerenti, ora sull’apparato circolatorio, e quindi vantaronsi successivamente il guajaco, la cina, l’arnica, la cannella, l’alchechengi, la menta pepata, il legno amaro del Suriman, lo zenzero, il pepe, e via parlando. Si addiranno gli amari ogni qualvolta scorgerassi languire le funzioni digerenti, e gli aromatici quando tornerà profittevole eccitare il sudore o destare l’azione generale del sistema nervoso, doppia indicazione frequentissima nella gotta. La polvere amara del duca di Portlandia che usurpossi tanta rinomea nel precedente secolo, è in gran parte composta di vegetali amari aromatici. La china si merita qui un posto importante; combatte essa quella gotta i cui ritorni periodici sono regolari, come qualunque altra malattia avente egual carattere; e se col suo uso non si distrugge quest’affezione, puossi almeno iscansarne molti attacchi. Alcuni pratici e fra gli altri Sidenamio ottennero da tale medicamento osservabilissimi vantaggi; può essere adoprato a grandi dosi nel principio dell’ attacco di gotta atonica, ed al declinare di quella i cui sintòmi infiammatorj furono gravi. Held che fissò in particolar modo l’attenzione dei medici sopra di tale medicatura, lasciovvi il proprio nome, sebbene assai prima di lui si fossero indicati i buoni successi di essa. Le cacciate di sangue generali reiterate parvero a taluni poter formare un palliativo od anche un preservativo della gotta. Galeno e dopo lui Boerhaave celebrarono questa pratica che pur si sparse poco. Gli antichi ricorrevano in particolare al salasso del braccio. Sidenamio e Barthez, che sono i classici moderni riguardo alla gotta, escludono affatto tale rimedio; è però vero che talvolta indusse tristi accidenti, ma si trarrebbe forse dal salasso un partito maggiormente benaugurato, regolando il suo uso e rendendolo derivativo. Medesimamente possono convenire alcune sanguisughe all’ano negl’individui soggetti alle flussioni passeggere, ed il cui sistema circolatorio sembra ingorgato di sangue; bisogna che l’epoca mensuale di tale missione di sangue derivativa si riavvicini per quanto si può ai ritorni dell’accesso gottoso. I narcotici sono in generale poco utili nella gotta. la polvere del Dower, cioè oppio ed ipecacuana, forma quasi l’unico medicamento di tal genere che sia di presente ancora usato; la si può dare durante gli attacchi, ed anche nel loro intervallo; alcuni stupefacienti si ebbero ancor maggior fama, quali sono il giusquiamo e l’aconito. Si prescrivono per l’interno ed all’esterno; siffatti medicamenti si addicono in particolare, al pari di tutti quelli della loro classe, nella gotta vagante o nervosa. 2° Mezzi igienici - Gl’individui attaccati dalla gotta eviteranno la impressione dell’aria fredda ed umida, e l’abitare in paese ed in case esposte a questa costituzione atmosferica. Deggionsi in ispecialità temere i rapidi passaggi dal caldo al freddo, sebbene gli opposti non risultino scevri da pericolo. I vestiti corrisponderanno alla temperatura del paese ed alla stagione; ma vanno in particolare raccomandati i tessuti di lana portati a nudo sulla pelle. Deggiono i gottosi usare la massima attenzione sul metodo alimentare; la dieta vegetabile e l’astinenza dal vino alleviarono maggior numero di malati che non verun altro mezzo farmaceutico. Si sa, e noi lo abbiamo altrove rammentato, che l’uso passeggero dei liquori alcoolici, dei vini generosi e simili, valse a rinnovare un gravissimo attacco di gotta. Importa moltissimo agevolare in tale affezione le escrezioni alvine; certi gravi accidenti che sembrano risiedere negli organi della circolazione o del respiro, vengono patiti dai malati per gotta vagante durante le stitichezze invincibili. Si favorirà l’azione della pelle mediante le fregagioni asciutte o con lozioni aromatiche; si suggerirono pur spesso colla stessa intenzione ai gottosi i bagni caldi o freddi di mare o di riviera. Un ricco di capitali, uomo sanguigno, dedito al lauto vivere, non soffre nella primavera altro che un lieve attacco di gotta che patisce da venti anni, se non fu sospeso quel copioso sudore che ha per solito nella notte. Il proverbio gotta strapazzata per metà è risanata, presenta molto vero, purchè abbiasi la cautela da proporzionare l’esercizio alla forza del male; dacchè ove riescisse troppo penoso, potrebbe anziché giovare rendere gli attacchi più frequenti. In malati già attratti, bisogna sostituire i movimenti generali colle mozioni parziali delle braccia e delle gambe, o colle fregagioni praticate da mano estranea. I lavori smodati dello spirito e le gagliarde passioni sono spesso susseguiti d’accessi di gotta vagante, sicchè conviene evitarli più che sia possibile. Si proibiranno severamente i piaceri venerei, e specialmente agl’individui inoltrati cogli anni. L’esame attento delle cause spettanti all’artritide gottosa deve d’altronde supplire alla imperfezione di queste generalità igieniche; e da quanto vale a produrre tal morbo, giudicherassi ciò che fa d’uopo fuggire o rintracciare per prevenirla e combatterla. (G. FERRUS.) * Sulla gotta e sui gottosi; cenni patologici di G.M. Scavini, professore nell’Università di Torino; Torino 1816 - Un consulto fatto tra il chiarissimo autore dell’opera, di cui un breve sunto si presenta, ed altro celebre personaggio, non è guari di tempo con sommo rammarico dei dotti alla scienza del guarire rapito; per una malattia che era una infiammazione risipolatosa occupante la parte superiore del piede destro, ed attribuita da quest’ultimo ad un’aura podagrica, ivi condotta e deposta da’ vasi particolari, fece nascere allo Scavini il desiderio di occuparsi dello studio di questa malattia, cioè della gotta. Ed ecco appunto ch’egli ci offre in questi cenni le risultanze delle sue investigazioni. Si propone di dimostrare ne’medesimi, contro l’inveterato pregiudizio del volgo medico e non medico, che la gotta non è altrimenti l’effetto di un principio particolare specifico, ma bensì una malattia del solido vivo, segnatamente del sistema fibroso, che i sintòmi di essa primitivi non differiscono da quelli dell’infiammazione di questo stesso sistema, prodotta da altre cagioni più conosciute ed evidenti, e che gli accidenti più o meno allarmanti, e talvolta funesti che si danno a divedere ne’soggetti gottosi, sono un puro effetto del consenso o della simpatia che tra loro connette i varj pezzi del sunominato sistema, e spiegabili soltanto plausibilmente colle leggi di quella proprietà ancor poco avvertita dell’organismo vivente: che la gotta è una malattia curabile ove sia medicata nel suo primo periodo secondo le regole della sana pratica, secondate poi dall’osservazione scrupolosa di quelle della igiene: e finalmente che nella cura ragionata ed efficace della gotta principiante risiede l’unico mezzo di prevenire non solo che rendasi incurabile, ma quello eziandio d’impedirne la trasmissione ereditaria nelle famiglie. Se la gotta sia un effetto d’un principio particolare specifico, o una malattia del solido vivo, crediamo che non ci sia permesso di qui agitarlo. Ci facciamo però lecito di dire, che se la gotta procede da una malattia del solido vivo, come pretende Scavini, potrassi questa, combattuta ragionevolmente ed efficacemente nel principio, correggere bensì di molto, a segno anche di lasciare in qualche caso libero il soggetto per tutto il resto di sua vita; ma non possiamo persuaderci che si arriverebbe ad impedirne la trasmissione nei figli, tanto più perché conviene anch’egli, che la trasmissione delle malattie dette ereditarie debbasi ripetere dall’organica conformazione delle parti tanto interne che esterne; nella quale consiste appunto la vera predisposizione ad alcune malattie. Quindi sembraci che con più ragione potrebbesi al contrario credere di vedere distrutta intieramente la gotta curata saviamente ne’suoi principj e per conseguenza impedita la trasmissione di essa nei figli, ogni qual volta fosse l’effetto d’un principio particolare specifico, com’è la lue venerea, la quale si sa che una volta perfettamente distrutta, prima che la costituzione ne sia stata alterata, torna l’individuo nel primiero stato di sanità, e per conseguenza non evvi pericolo che venga trasmessa ai figli. Ciò premesso, l’autore ragiona alcun poco sull’antichità della gotta. Egli è d’avviso essere la gotta una delle più antiche malattie che l’uman genere siasi procacciata coll’essersi allontanato da quella semplicità di vitto, e da quella purità di costumi, che tanto influiscono sulla robustezza delle costituzioni e sulla lunghezza della vita. Di fatti, attentamente riflettendo alla natura dei mali di cui si lagna in molti luoghi del salterio Davidde, egli ci riferisce ciò che questo penitente re di lamentevole e d’imprecativo pronunciò contro de’suoi nemici, ai fierissimi tormenti dai quali era lacerato negl’insulti podagrosi: non mica ai dolori di venerea infezione, che allora non esisteva. (Che ai tempi di Davidde, diremo noi, non si conoscesse la lue venerea, si è dir bene, ma che non esistesse, è ciò che non si può sostenere.) E fa le maraviglie l’autore, come il Perenotti abbia creduti e dichiarati venerei gl’incomodi i dolori e le deturpazioni cutanee che bruttavano il corpo di Cesare Augusto, mentre Svetonio nella descrizione dei malori cui andava soggetto questo imperatore, chiaramente presenta i sintòmi patognomonici dell’affezione gottosa; e nella esposizione dei rimedj che usava, dà a divedere che quelli non avrebbono potuto che nuocere a chi avesse avuto alcun sintòma di lue venerea. Ignora l’autore chi sia stato prima a chiamare col nome di gotta l’artritide podagra. Egli ha però trovata in Galeno la parola gutta impiegata anonimamente per artritide nel Lib. 2 de dynamidiis, ed in quello de spermate, de natura pueri concepti in horis choleroe rubroe … genua, pedes, et ossa dolent, lasciò scritto: rheuma siccum per corpus saepe currit totum, inde nascuntur guttae, passiones ventris, etc. Questa denominazione in seguito, siccome quella che probabilmente esprimeva l’idea dominante sulla causa prossima di questa malattia, ed aggiugnendosi la brevità e precisione del vocabolo, e la facilità di adattarlo anche a’ varj proteiformi fenomeni di essa, è stata adottata dai medici di tutte le nazioni. L’autore tocca di passaggio le cause predisponenti ed occasionali della gotta: e riguardo alle predisponenti, osserva che gl’individui, i quali più degli altri sono travagliati dalla gotta, sono gl’illustri personaggi e ricchi, i ben costituiti e robusti, quelli d’un abito di corpo rotondo e pingue, di temperamento sanguigno, o bilioso sanguigno, spiritosi e vivaci. (Di rado bensì, soggiungeremo, ma la gotta non rispetta né i magri né i cachetici). L’età in cui questa malattia più di frequente si manifesta è quella nella quale gli uomini, dice l’autore, dato l’addio a tutti i disordini ed a tutti i capricci della gioventù, si occupano con nuova direzione d’idee e di pensamenti di estendere la loro esistenza ed i loro rapporti sociali, e procurano di conciliarsi la stima e la confidenza dei loro simili, usando della massima cautela nelle loro determinazioni e nelle loro intraprese, onde non averne poi a soffrire un tardo inutile pentimento. Laonde accade di raro che gli uomini sieno attaccati da siffatto morbo nella loro adolescenza e gioventù prima del 35 anno di loro età, tranne il caso di gotta ereditaria, ed in soggetti dediti ai disordini. E perciò avvisa l’autore, che debba essere diversamente interpretato da ciò che sembra indicare in senso letterale l’aforismo d’Ippocrate: puer podagra non teneatur ante venereorum usum; e ne adduce per ragione, che se la gotta tormentasse i giovani venerei, la si vedrebbe ben più frequentemente affliggere quei bagascioni, cui una vaga smodata lussuria di tutt’altra fisonomia che quella di cui sono caratterizzati i gottosi, e non pochi di quelli sariano per avventura contenti di poter col pretesto d’un precoce insulto gottoso mascherare l’infermità più sconcia e più meritata; più meritata, perciocchè il principale motivo del poco studio e sapere sulla natura di questa malattia sta nel ribrezzo che provano i gottosi di farsene curare al primo attacco, a cagione di quella censura cui furono sottoposti in ogni tempo i gottosi quasi che si dolessero d’un male turpemente acquistato. E non solo gli uomini, ma anche le femmine, e quelle soprattutto che hanno una ereditaria predisposizione, quelle alle quali cessarono avanti tempo i lunari tributi, o che pel temperamento, pei traviamenti, od altre peculiari circostanze si accostano alla natura virile, sono di quando in quando attaccate dalla gotta: osservazione stata già fatta da Ippocrate medesimo in Namasta, moglie di Gorcippo, ed in altra donna abderitana, di cui diede la storia nel libro sesto dei mali popolari. Quello che vien detto relativamente alle donne gottose, l’autore applica anche agli eunuchi, e riporta un passo di Galeno, il quale disse: Eunuchos podagra non laborare; Hippocratis quidem tempore verum extitit, nunc vero non amplius propter immodicum otium et victum intemperantem … ob hanc igitur causam etiam eunuchi podagra corripiuntur, quamvis nullum habeant usum venereorum: satis enim est eorum desidia, ingluvies, ebrietas, ut etiam sine venereis podagra corripi possint. Circa le cause occasionali ricorda l’autore che la ghiottoneria, l’abuso dei liquori fermentati e dei piaceri venerei sono i principali disordini ai quali gli antichi solevano attribuire i primi assalti di questa infermità: e questa opinione prevalse poi nelle menti dei medici e dei filosofi di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Osserva però egli, esservi molti gottosi non per causa ereditaria, nei quali non si possono accusare le anzidette cause; come vi sono non pochi individui liberi affatto dagl’insulti della podagra, tuttochè insaziabili epuloni e sfrenati libidinosi: la qual considerazione fece a Galeno soggiungere alle enunziate cagioni della gotta: nonnulli vero etsi non in his omnibus, in uno saltem aut duobus delinquunt; atqui peccatum magnum cum fuerit, saepe in uno eorum, quae diximus deliquisse sat est. Anzi Areteo lasciò già scritto, che la gotta lantenter meditationibus longo tempore contrahitur; cagione che sola basterebbe a purgare dai sarcasmi della maldicenza tanti illustri personaggi immaturamente tolti al tempo ed allo stato da questa tremenda affezione. La gotta riconosce di frequente una causa ereditaria; ma l’autore riprende Cullen, il quale collocò l’eredità tra i caratteri essenziali di questa malattia, perché v’hanno molti gottosi i quali non possono accusarne i loro progenitori; come si danno pur anche dei soggetti, i quali ad onta di questo innegabile retaggio ne restano liberi per tutta la loro vita: e qui l’autore si mostra seguace della spiegazione data da Brown della trasmissione delle malattie dette ereditarie, trasmissione spiegata per mezzo di una rassomiglianza nella conformazione organica delle parti tanto interne che esterne. Questa maniera di spiegare, dice l’autore, è la sola che sia ammissibile, e basta a conciliare i varj partiti, ed a terminare le tante quistioni state mosse sulla esistenza o non esistenza delle malattie ereditarie; questioni cui non si sarebbe dato luogo, se i fisiologi ed i patologi, in vece di rendere depositario del principio delle malattie ereditarie l’umore spermatico, si fossero contentati di ravvisare nell’atto della generazione l’istessa influenza dei genitori sullo stato normale dell’organismo dei loro figli, quale l’hanno essi evidentemente sulle loro fisonomie, sui loro temperamenti, e persino sulle loro inclinazioni. Non cercavano più in là i saggi nostri maggiori. Tutta l’eredità delle malattie era da loro spiegata coi termini aptitudo, dispositio, habilitas haereditaria; la quale abbisognava poi dell’azione delle cause determinanti per dare all’affezione dei figli la stessa forma, dond’erano maltrattati i loro padri. Osserva nondimeno l’autore che questo modo di spiegare l’eredità delle malattie e della gotta eziandio non è da tutti abbracciato: imperocchè molti hanno l’idea di un principio specifico come causa immediata della gotta. Ora appunto ci dà egli la esposizione succinta delle varie ipotesi ed assurdità emesse a varie epoche, e colle quali vuolsi ancora difendere l’esistenza d’una causa morbosa della gotta, e spiegarne la natura, la sede ed il modo di agire ne’ corpi viventi. E noi pure seguendo l’autore daremo delle medesime una più ristretta relazione, siccome porta la brevità di un semplice sunto. Finchè la medicina d’Ippocrate regnò incorrotta nelle scuole, la gotta era considerata una flussione cagionata e mantenuta da uno dei quattro umori radicali solo o combinato con altro; sicchè veniva trattata dietro l’indicazione che offriva la predominanza degli stessi umori nella formazione di essa. Collocando Paracelso i principj primordiali di tutte le malattie nei tre esseri chimici, sale, zolfo e mercurio, e nella produzione da questi del tartaro, ripone la podagra fra le malattie che traggono origine da quello: ma ne stabilisce la sede nella sinovia, e siccome questa è diffusa, secondo lui, per tutte le parti del corpo, così la gotta è una malattia universale. Egli ha impugnato il pregiudizio dell’impossibilità di guarire la gotta, e ne ha suggerito una cura assai ragionevole. Secondo Van-Helmont la causa della gotta non risiede nel sangue, perchè questo, come tutti gli umori che ne derivano, trovasi molte volte rinnovato prima dell’attacco di essa, ma bensì nell’archeo; e non altrimenti che Paracelso egli pensava, che tutti li fenomeni interni gravi e talora funesti della gotta fossero mero effetto del consenso delle parti. Silvio De-la-Boe fissò la sede della gotta nelle capsule legamentose, e nei legamenti delle articolazioni; e la cagione immediata di essa, secondo questo autore, è un umore acre-bilioso, abbondante più o meno di sale lisciviale fisso o volatile e sieroso; ma non essendovi alcun ardore, ma solamente un dolore acre, essa dipende soltanto da un umor acido: finalmente quando non v’è il dolore acre, né l’ardore nella parte, allora quell’umore sarà pituitoso solo o combinato coi primi. Silvio crede che l’origine dell’artritide come quella delle febbri intermittenti o catarrali sia la medesima, cioè un fermento successo pella varietà della bile e del sugo pancreatico sia nelle intestina sottili che nel cuore. Il qual fermento, comunicato al sangue, passa attraverso i legamenti membranosi ed aderendovi cagiona il dolore gottoso. Il Villis fa consistere la causa prossima della gotta in una materia salina ossia tartarea separata dal sangue arterioso, e deposta negl’interstizj delle ossa, da lui dette miniere o focolari, e che ivi si unisce colla parte acetosa sovrabbondante del fluido nervoso. Non nega poi che qualche volta un’altra parte ne venga attaccata. L’Etmullero, stabilita la sede di questa malattia nei soli legamenti delle articolazioni tanto capsulari quanto cilindrici, e talora nel periostio presso di quelli, crede che la causa efficiente della gotta sia un acido volatile spiritoso sui generis di sapore specifico, ed unito allo spirito influo, il quale umore guasta la sinovia, e poscia le vicine parti membranose e legamentose; e ripete la prima scaturigine di questo essere malefico dal vizio delle prime strade. Sicchè ne risulta l’indicazione dell’emetico, previa l’amministrazione della polvere di granchi calcinati. Il Fernelio, che aveva esattissime nozioni sulla sede propria della gotta, e sulle concrezioni tuffacee, che vi si formano talvolta, accusa di errore tutti coloro, i quali credevano che l’umore, cagione della gotta, dalle parti interne vada a gettarsi nelle articolazioni. Origo ejus, scrisse, caput est, a quo sane pituitosus humor, isque tenuis profluit in articulos … Non quidem cerebrum aut interiores ejus ventriculi …. sed partes capitis externae, et extra calvariam positae origo sunt arthritidis. Zacuto Lusitano dopo aver combattuta l’opinione di Fernelio e di Willis, conchiude: quare arthritidis causa aliquando colligitur in intima, saepe in extima parte capitis, interdum in intimis visceribus, sed plerumque in jecinore et ventriculo, et capite colligitur. Cum enim frequenter arthritidis causa sit pituita et bilis, haec in jecinore, illa fere in ventriculo, et capite colligitur. Donde l’indicazione de’ purganti drastici. Ai principj patologici emessi sulla gotta da Lusitano molto s’accosta il Riverio, il quale però non osa decidere quale delle varie opinioni sia la più probabile ed ammissibile. Il Pareo stabilisce l’origine della flussione e della materia delle gotte dal cervello e dal fegato. Quanto a me, soggiugne, parmi chè la materia virulenta delle gotte sia nella massa sanguigna, cioè in tutto l’universale del corpo, e che questa sierosità virulenta si muova per certe cagioni che abbiamo rammentate di sopra: ma havvi in questa malattia qualche cosa d’inesplicabile, come nella epilessia, nella quartana, ed in una infinità d’altre malattie. Lo Sthal ravvisò nella gotta un effetto di quei movimenti salutari provvidamente eccitati dal principio intelligente, onde dissipare i ristagni e le congestioni d’altre parti più importanti alla vita. Il Sydenham ci lasciò poche cognizioni sopra la natura della gotta e sua cura; ma soltanto nella storia di questa malattia, quale l’ha patita egli stesso, si dimostra veramente dotto ed accurato. Egli rapporta le cagioni di essa quali erano note fino ab antico, tratte, cioè, dall’abuso delle cose non naturali, per cui indebolite le forze degli organi chilopojetici ne risulta un chilo mal elaborato e proporzionato alle forze abbattute del sistema cui non tarda d’unirsi la lassezza dei muscoli, e delle parti tutte del corpo; unde porta crudis indigestisque humoribus intromittendis panditur, quoties isti ad exteriora protunduntur … et cum non amplius a natura regi possint, prorumpunt in speciem et in articulos depluunt, calore atque acredine dolores exquisitissimos in ligamentis membranisque ossa contegentibus excitantes, quae …. labefactata, laxataque facile humoribus impetum facientibus locum concedunt. L’Hoffmann fa consistere la gotta in un veemente spasimo, da cui vengono irritate, divulse e distratte le parti legamentose attornianti l’articolazione, e riconosce per causa efficiente di questa malattia una materia morbosa, che è un sal tartaro, in cui predomina la figura acuta e tagliente, modificato però qualche volta a tenore delle circostanze dell’infermo e dell’indole della malattia. Il Boerhaave credeva causam proximam hujus mali esse vitiatam indolem minimorum, adeoque nervosorum vasculorum in corpore, tum etiam liquidi, quod nervosas partes alluit; e ripete la sorgente prima di questo malefico umore dall’indebolimento delle forze digerenti ed assimilatrici. Quel malefico umore poi non è che un’aura recondita vitale, e una materia radicale del seme prolifero. Ecco poi quello che ne dice il Barthez intorno ciò: egli fa dipendere la formazione d’ogni malattia gottosa da due cagioni; una è la disposizione particolare della costruzione a produrre uno stato specifico gottoso e nei solidi e nei fluidi; l’altra è una infermità che soffrono relativamente agli altri organi quelli che devono essere la sede della malattia gottosa. Ma siccome la causa prossima della disposizione che ha la costituzione a produrre uno stato specifico gottoso e nei solidi e nei fluidi è ignota, così le ricerche devono essere rivolte a quello che si può sapere sulle alte razioni specifiche nelle quali consiste lo stato gottoso dei solidi e dei fluidi. Lo stato gottoso dei solidi consiste in uno sforzo potente e durevole della situazione fissa, che hanno fra loro le parti del tessuto degli organi affetti dalla malattia gottosa, sforzo che determina un grado costante del movimento tonico delle fibre, diverso dello stato naturale. Lo stato gottoso del sangue è un vizio di sua mescolanza, che intercetta a gradi diversi la formazione naturale de’ suoi umori escrementizj, dimodochè, essendo più o meno alterati, comportano una decomposizione spontanea, che vi fa predominare la sostanza terrosa. Questa sostanza terrosa dà a quegli umori escrementizj una grande affinità coi sughi nutrizj delle ossa e delle parti loro attinenti. Questa natura terrosa dei sughi nutrizj delle ossa e delle parti attinenti è anche motivo che questi sughi sono più suscettibili dell’alterazione gottosa che tutti gli altri umori. Questi sughi mal preparati soggiornanti in quegli organi infievoliti si alterano viemmaggiormente; dessi in seguito vengono assorbiti nella massa del sangue, e v’introducono una nuova cagione di decomposizione gottosa che moltiplicano per via di loro contagio assimilatore. Puossi riguardare la determinazione degli umori escrementizj gottosi, contenuti nel sangue sulle ossa e parti attinenti, come una spezie di secrezione straordinaria che opra la natura. Quando le forze della vita sono molto indebolite nei gottosi, questa forza di secrezione non si fa più compiutamente, e le aberrazioni di questi movimenti salutari cagionano troppo sovente la gotta interna, o quella che si porta sulle viscere. Quanta oscurità non si ritrova nella teorica del citato scrittore! Kirkland riconosce la causa prossima ed efficace della gotta in una materia peculiare, la quale sul fine dell’accesso coagulandosi, e divenendo spessa, forma in seguito i calcoli podagrosi. Considera anche un ordinario attacco di gotta come una espulsione e derivazione naturale della materia gottosa verso le estremità. Attribuisce i fenomeni sorprendenti che si danno ad osservare ne’gottosi, al consenso che lega i varj organi tra di loro. Fa preesistere uno stato morboso dei solidi e degli stessi nervi all’alterazione degli umori. Ammette tra le cause anche l’assorbimento. Propone un metodo di cura diretto all’evacuazione della materia morbosa, al sostenimento e conforto dell’energia nervosa. Lo Swediaur colloca la gotta tra le cacchessie calcolose, e la divide in gotta dei sanguigni e dei deboli, quella regolare, quella aberrante. Fa consistere la causa materiale della gotta in un umor acre di natura peculiare generatosi nel sangue, e poi deposto ai piedi principalmente, dove col suo volume e colla sua acrimonia cagiona dolori atrocissimi: finalmente viene assorbito e portato ai reni od alla cute, ed eliminato dal corpo per queste vie. Nei deboli e vecchj poi questo umore morboso non venendo riassorbito si coagula e forma i nodi, i tuffi ed i calcoli gottosi di natura salina. Il Want finalmente è pure uno degli odierni fautori dell’azione di una causa morbosa nella gotta. Questo autore attribuisce i vantaggiosi effetti ottenuti dall’amministrazione dei drastici nella cura di siffatta malattia all’eliminazione fuori del corpo da essi operata dalla materia acrimoniosa. I vescicanti applicati sull’articolazione infiammata, ed i rimedj atti a neutralizzare l’acido separato nello stomaco e negl’intestini, secondo lui, operano nello stesso modo dei drastici, procurando cioè l’espulsione dell’umor irritante che cagiona la malattia. Malgrado però questi principj il Want tiene la gotta per una malattia senza dubbio guaribile, purchè si adoperino i rimedj convenienti. Esposte le teoriche più famose dei patologi umorali sulla gotta, l’autore accenna ciò che fu scritto intorno a questo soggetto dai più accreditati solidisti. E cominciando dalla teorica del Cullen, la quale al dire dello Sprengel, soddisfa più di tutte quelle immaginate dagli umoristi, fa osservare, che il maggior merito di questo scrittore relativamente alla gotta sta nell’aver combattuto con forti ragioni l’esistenza di una causa umorale qualunque nella produzione di questa malattia. Ed acciocchè venga distrutta ogni idea che ancora potesse sussistere nella mente dei medici di un principio umorale dominante in quest’affezione, cita l’autore per esteso i paragrafi 528, 529 del prelodato Cullen, coi rischiarimenti del traduttore francese: e reca la patologia della gotta del medesimo scrittore tal quale si trova descritta nei paragrafi 533, 534, 535, 536, unendovi anche le note relative di Bosquillon; e finalmente conchiude, che quanto egli rimase convinto dalle ragioni addotte contro la esistenza di una causa umorale morbifica, altrettanto non può non rimanersi confuso per le difficoltà grandissime incontrate a comprendere la sua storia della gotta; non essendo egli persuaso dell’esistenza simultanea nell’organismo vivente di uno stato atonico universale, e di una malattia locale infiammatoria effetto del medesimo, la quale però sia suscitato dalla forza medicatrice della natura, in vigore del consenso che regna fra i nervi dell’estremità e del sensorio, affine di ristabilire l’integrità e l’ordine di tutte le funzioni del sistema. Dal Giannini l’artritide e la gotta sono comprese nel quadro delle malattie neurosteniche . Egli ammette una sola specie di gotta, contro l’opinione di Cullen, che la divide in regolare, in devia, in rientrata, in atonica, in anomala. Stabilisce per causa rimota della gotta il freddo, il quale abbia agito per modo sulle articolazioni degli arti da indurvi un grado notabile e abituale di atonia. Unendosi poi a questa causa rimota tutte quelle cause morbose le quali portano una grave atonia nel sistema generale dei nervi, si potrà svegliare una reazione arteriosa, e "allora l’impeto di questa reazione morbosa per tutto il sistema, lo sarà in ispecial maniera per quelle parti che già si troveranno previamente affette da un’atonia particolare… per le articolazioni in somma degli arti, sulle quali si manifesterà quindi e calore e rossore particolare, tumore e distensione morbosa, donde dolore e immobilità, ed ogni altro sintòma della gotta". Ammette il Giannini una disposizione gottosa ereditaria, cui fa consistere in una costitutiva atonia delle articolazioni, che si può portare impunemente per lungo tempo per dar poi luogo ai sintòmi locali della gotta all’occasione dell’affezione generale, della febbre prodotta dalle indicate cause determinanti. Egli avvisa, che a quella specie di gotta che attacca il pollice del piede, oltre il freddo lento e la disposizione ereditaria, contrìbuisca anche il moto soverchio e la gravitazione della macchina in quell’articolo a preferenza di ogni altra parte, e se le cause morbose della gotta avranno agito con particolarità in qualche organo, e se quell’organo sarà stato previamente affetto da uno stato abituato di gotta, la reazione morbosa si risveglierà in quell’organo medesimo, e quindi nello stomaco, nelle intestina, nella vescica ed in altri visceri. Le indicazioni curative proposte dal Giannini per la gotta sono: correggere l’atonia dei nervi, e contemporaneamente togliere la reazione delle arterie, e quindi l’uso delle immersioni fredde qual divino e pronto calmante del dolore, e l’uso successivo ed energico della chinachina sono i soli mezzi conosciuti per curare questa ribelle affezione. Riflettendo per altro il nostro autore sulla esposta teorica, trova sorprendente, che mentre nell’infiammazione articolare, e come la dice il Giannini neurostenica, consiste il mezzo di cui la provvida natura si prevale per rialzare l’azione nervosa dall’abbattimento, di cui, secondo ch’egli pensa, dipende la malattia, voglia poi scemare anzi soffocare sul momento questo mezzo salutare, perché consistente in una spiacevole tormentosa sensazione. "Non leggiamo per altro, sono parole dell’autore, che sotto le smanie dei più atroci dolori nessun gottoso abbia cessato di esistere, perché l’impegno del Giannini di prevalersi di uno dei più preziosi attributi della nostr’arte divina, quello di levare il dolore, e di levarlo in un istante e nell’istante appunto, in cui è il più grave ed intollerabile, possa essere imitato con tutta quella tranquillità e coraggio ch’ei cerca d’ispirarci, giacchè abbiamo non pochi casi d’asma soffocativo e di apoplessia mortali succeduti alla repentina scomparsa, ovunque avvenuta dell’affezione locale" siccome notarono molti autori. Ed egli stesso, il nostro autore, sebbene non gottoso, avendo applicato un cataplasma freddo di mollica di pane bianco nell’acqua vegeto-minerale sopra di un callo, da cui era molto tormentato, si calmò bensì tosto il dolore; ma poco dopo fu preso da una cardialgia spasmodica, alla quale era soggetto ricorrentemente da più anni, ma che da più mesi non lo molestava, la quale tanto infierì, che a stento giunsero a mitigarla i mezzi ordinarj impiegati per più ore. E proseguendo l’autore, contro la teorica del Giannini, aggiunge, che la complicazione morbosa cotanto predicata dal predetto scrittore, la coesistenza di due stati opposti, atonia ed eccitamento accresciuto, è un paradosso patologico insostenibile tanto riguardo alla teorica quanto rispetto alla pratica. E se in alcuni casi succede che si susciti una vera infiammazione da una diatesi ipostenica, quella flogosi locale è prodotta da qualche rimedio applicato che opera o localmente, o per azione elettiva. Ma analizzando anche le osservazioni dal Giannini riportate, ed il metodo da lui prescritto per le fredde immersioni nella gotta, inferisce l’autore, che siccome per quelle la chinachina doveva essere indicata; così anche per la maniera colla quale inculca che sieno praticate quelle immersioni, ben lungi dall’immaginarsi in queste un topico ripellente, un pericoloso sedativo, devesi piuttosto vedere nelle medesime un cooperativo al facile successo della chinachina. "Ma già fondata questa teorica su d’una base illusoria, non potrà, finisce l’autore, a lungo sonstenervisi; anzi attaccata già in Francia ed in Italia, e recentemente presso di noi, mi sembra minacciata d’una totale rovina". Lo Sprengel colloca la gotta nella classe dei dolori, e la definisce una malattia di tutta la costituzione, e formata principalmente da dolori fissi e pertinaci delle articolazioni. Paragona l’attacco gottoso incompiuto alle febbri intermittenti, appoggiato agli effetti prodigiosi ottenuti dalla chinachina data nell’intervallo degli accessi gottosi. Ripone la guarigione di questa malattia nell’opera della natura, la quale promuove il flusso emorroidale, e l’escrezione d’una copiosa quantità d’orina unita a molto muco contenente della calce fosforica, oppure l’espulsione di qualche esantema accompagnato da un abbondante sudore. Riguardo alla natura della gotta lo Sprengel avverte, che per formarcene una esatta idea è necessario dedurla dall’opportunità o predisposizione, la quale ha la sua sede nell’atonia dei visceri addominali, e nell’ineguale distribuzione della forza nervosa pei medesimi; opportunità che va preparandosi lentamente per opera delle cause remote già cognite, o bene portate dalla nascita. Circa poi alla cagione interna, od all’origine della gotta così egli si esprime: Inaequabilis vis nervosae dispensatio et debilitas dicta officinae digestionis, cum diutius porrigitur, vicariam molitur congestionem, atque secretionibus auctis insignitam efficaciam in velamentis serosis, quae inanticulam articulorum, et bursas mucosas vestiunt; quae sympatica, et secretionibus efficax congestio, e consensus generali lege optime exponitur. Intorno alla enunciata dottrina dello Sprengel sulla gotta fa osservare l’autore, che essendo quella fondata sopra i principj d’una teorica dinamica-nervosa, riesce molto confusa ed inconcludente, sì che reca sorpresa come non ne sieno derivati de’suggerimenti pratici più erronei e più perniciosi. Dall’attento esame delle teoriche esposte intorno alla gotta, le quali possono ridursi: 1° a quella dei Greci ed Arabi loro imitatori fondata sulla dottrina generale delle flussioni dominanti presso i medesimi: 2° a quella dei chimici ed umoristi: 3° a quella dei solidisti, il nostro autore conchiude che la patologia della gotta lasciataci dai primi padri della medicina, tranne i difetti provenienti dalla loro ignoranza nella notomia e nella fisiologia, è quella che più delle altre lo soddisfa, che gli sembra più consona alla natura ed all’andamento di questa malattia, ai singolari sintomi suoi, alle indicazioni che ne risultano; e che le ipotesi dei chimici e degli umoristi sono così assurde, che niuno vi può essere che non rimanga convinto della insussistenza delle medesime; che finalmente i solidisti non presentano che un mascherato stalianismo, col quale è impossibile l’indovinare che cosa finalmente si debba considerare per cagione prossima della gotta, e perché questa non possa né debba venir attaccata con mezzi energici e curativi. In mezzo pertanto a sì desolante labirinto crede l’autore di avere ravvisato il bandolo, e di essere giunto a rendere ragione della natura della gotta, delle sue cause, de’sintomi di essa, del vario modo di trattarla nelle molteplici sue fasi. E per ciò che riguarda la sede della gotta accenna l’autore che gli antichi medici la stabilirono nelle parti bianche attornianti le articolazioni, i legamenti cioè, i tendini, le membrane ad essi contigue, alle quali parti davano coloro il nome di nervi, non tanto forse, come osservò Bichat, per una certa somiglianza di struttura, quanto per l’analogia dei dolori e dei sintomi che le affezioni delle medesime occasionavano. Coll’andare dei secoli e coll’introdursi le varie dottrine sulla causa prossima materiale della gotta, le summentovate parti bianche, essendo state credute insensibili, vennero spogliate della prerogativa di essere la sede della podagra, la quale perciò fu ricercata nell’affezione dei nervi che si trovano dispersi attorno agli organi delle articolazioni. Ma gli ulteriori progressi giunsero ad iscoprire false le idee sulle proprietà vitali di questi organi, giacchè la facoltà di sentire fu attribuita comune a tutte le parti nostre. Le parti legamentose adunque, con tutto il sistema fibroso, costituiscono, giusta il pensamento dell’autore, la sede diretta e primaria della gotta; questa tormentosa affezione domina tutto quell’esteso sistema, siccome altre infermità incrudeliscono particolarmente contro altri sistemi. E siccome si tratta di un sistema organico in cui ha tanto merito il Bichat, ed è impossibile di dare un’idea adeguata degli accidenti della gotta, senza le notizie lasciateci da questo scrittore, così il nostro autore ci riporta qui la traduzione della interessante descrizione che quel francese ha data di tal sistema, la quale, essendo troppo lunga, si ommette di riferire per la necessaria brevità di un semplice estratto. Vedi FIBROSO. Premessa quella lunga citazione, e fatto osservare che i tendini eziandio, ed i legamenti della vescica, il piloro, il cardia e via discorrendo, sono parti spettanti esse pure (come dal Buissan e dal Roux fu ammesso) al sistema fibroso, tra cui avea il Bichat esitato di contemplarle, ritenuto da qualche diversità di prodotti, stabilisce che la gotta è a’suoi occhi, nel suo primo palesarsi, una malattia del sistema fibroso, la quale consiste nell’infiammazione di qualche punto o porzione di esso sistema, che si propaga poi ad altre porzioni o pezzi del medesimo dipendentemente da quelle leggi del consenso o simpatia, che le une coll’altre unisce e collega le varie parti, come di questo, così di tutti i sistemi viventi. Nell’esame poi de’ fenomeni morbosi, che si manifestano nella gotta, propende l’autore a stabilire, che nella massima parte dei casi il tessuto legamentoso sia il primo attaccato in questa malattia, e che gli altri pezzi, non escluso il periostio, il sieno poi in seguito più o meno facilmente, più o meno gravemente, secondo la loro maggiore o minore attitudine, o suscettibilità congenita od acquisita a risentire l’influenza dello stato morboso di quella. E prima di più oltre spingere l’assunto, rammenta alcuni fisiologici e patologici, onde far comprendere più di leggieri il meccanismo dell’assalto gottoso e sue conseguenze. Ei ricorda che i gottosi non ereditariamente sono robusti, sanguigni, irritabili, e per conseguenza più facilmente predisposti alle malattie infiammatorie, e tanto più che l’epoca ordinaria, in cui sono le prime volte attaccati dalla malattia, è verso i 35 o 36 anni, epoca nella quale l’uomo fa un minor dispendio di forze vitali pel genere di vita e di occupazioni ben diverso di quello che seguiva prima della virilità. Questo stato pletorico di tutto il sistema vascolare a sangue rosso si estenderà poscia anche al sistema capillare superficiale e profondo, il quale, eccitato a maggiori azioni dalla presenza di un sangue ricco di materiali vivificanti, diffonderà la sua accresciuta energia ai vasi sanguigni del tessuto fibroso, i quali, pochi di numero e picciolissimi di diametro, ammetteranno una dose di sangue arterioso maggiore del consueto, il quale sangue e per la distensione delle tenui loro tonache, e pei principj stimolanti inusitati che loro apporta, sarà motivo che quel tessuto, non altrimenti che tutti gli altri dell’organismo vivente, trovisi in uno stato d’attitudine, d’opportunità ad una’affezione infiammatoria, pello scoppio della quale basterà una leggiera causa determinante. Nel mentre però, sostiene l’autore, che la gotta è un’affezione del sistema fibroso, non intende di rendere limitata ad esso sistema in ogni circostanza ed in ogni organo la malattia gottosa. Così, per esempio, attaccando la gotta il primo internodio del grosso dito d’un piede, l’infiammazione guadagna il tessuto cellulare che gli è contiguo, poscia la cute, la quale rendesi calda, tumida, rossa, pulsante e dolentissima. Ecco dunque tre porzioni di sistemi organici diversi in uno stato di flogosi, delle quali ciascuna diffonderà lo stimolo infiammatorio ad altre porzioni del rispettivo sistema, ed anche a tutto il corpo, secondo l’energia della flogosi, e la maggiore o minore attitudine di quello a risentirsene. Nella stessa maniera che ove per qualunque cagione la flogosi gottosa non si appalesi all’internodio, oppure scompaja immaturamente, vigenti le condizioni summentovate, quella si farà sentire al collo della vescica, quindi sarà affetto lo sfintere di essa, donde ne verrà l’iscuria o la stranguria: ma la tonaca mucosa che veste lo sfintere, e tutta la vescica all’interno, ed è continua colla cute esterna, e colla sostanza eziandio de’ reni interna, non tarderà a partecipare dello stato di flogosi, d’irritazione dello sfintere: e la tonaca muscolare, avendo anch’essa molti punti di contatto collo sfintere, verrà dunque tratta anch’essa in consenso, e le frequenti, inutili, penose voglie di orinare il manifesteranno; si manifesterà il vomito, il singulto per la comunicazione dell’affezione di quella parte del peritoneo, che veste il fondo della vescica alla tonaca sierosa del ventricolo e simili. Il sistema fibroso adunque, ripete l’autore, è la sede primaria della gotta, come lo sono delle scrofole il sistema assorbente, della rachitide l’osseo, e così parlando. E fa egli osservare, che questo sistema è capace di manifestare sotto certi stimoli, e nel processo infiammatorio, la più viva e tanto tenace sensibilità da divenire un termometro impressionabile dai più leggieri cambiamenti dell’atmosfera. Ed all’alterazione vitale appunto dei varj pezzi del sistema fibroso l’autore riferisce le cefalalgie, le emicranie, la sonnolenza la gravezza di capo, le palpitazioni, la dispnea, l’asma, gli sforzi al vomito e via parlando, da cui sono travagliati i gottosi alcuni giorni prima del solito loro attacco; i quali sintomi precursori vengono riferiti dai medici umoristi alla impressione della supposta materia gottosa aberrante, mentre sono essi dipendenti da quella specie di universale ribrezzo, di spasimo e di costringimento analogo ai brividi del freddo, alle orripilazioni che precedono l’invasione della febbre, pendente il quale periodo il sangue tenta di penetrare nel sistema fibroso, nel caso nostro già predisposto ad ammetterlo, dove svolgesi l’animale sensibilità e dolore che scema e si dilegua al manifestarsi dell’usato parossismo gottoso all’estremità; o questo non comparendo per alcune ragioni da dirsi, determinerà in qualche organo più predisposto, cui si estende il suddetto sistema, una flussione infiammatoria con tutto il corredo dei sintomi che la caratterizzano; il qual fenomeno succederà tanto più facilmente, se le articolazioni pei ripetuti sofferti attacchi di gotta abbiano incontrato nei loro intimi stami quelle mutazioni di tessuto primigenio, dal quale si manteneva viva la loro simpatia con tutte le porzioni del sistema fibroso. Ed a quest’ultima rammentata circostanza attribuisce l’autore la poca efficacia dei rivulsivi cotanto indicati nella cura dei su menzionati accidenti, affine di ovviare le perniciose conseguenze dell’infiammazione negli organi minacciati. Si è ripetuto poc’anzi, che la gotta attacca essenzialmente il sistema fibroso, il quale trovasi in una grandissima disposizione a manifestare la sensibilità animale, e contrarre in conseguenza le forme morbose, che alle varie alterazioni di questa vitale proprietà si uniscono e ne dipendono. E ciò è confermato dall’autore vieppiù colle cagioni predisponenti ed occasionali della gotta, le quali sono valevoli a portare in quel sistema un grado di eccitamento capace di svolgervi lo stato flogistico. E di fatti, sono assaliti dalla gotta gli uomini forti, robusti, sanguigni, dediti ad un vitto abbondante e nutriente, ed ai liquori spiritosi a cagione della particolare energia dei loro visceri chilopojetici. Anzi l’autore ravvisa nell’appetito vorace, nella salacità dei gottosi, nella inclinazione allo studio ed alla meditazione, che eglino hanno tante conseguenze naturali della tempra robusta dei loro organi, cosicchè egli è indotto a credere, che la vita sedentaria e la continenza possano essere annoverate tra le cagioni principali della gotta, e che sia perciò un errore il dire, che un uomo è salace perché gottoso, piuttosto che gottoso perché salace: se non che l’abuso dei piaceri venerei va raramente disgiunto dagli eccessi di altro genere: sine cerere et bacco friget venus. Tornando l’autore a seguire il filo dell’analisi dell’attacco di gotta, onde giungere allo sviluppo ed alla intelligenza della recondita catena dei tanti suoi accidenti, egli era entrato nel sospetto atteso quell’attaccare che fa la gotta per le prime volte l’articolazione metatarso-falangea del pollice di un piede, che la forma delle scarpe usate in addietro colla continua pressione di quella parte del piede, potesse essere riguardata qual cagione determinante il dolore e la infiammazione del tessuto fibroso soprapposto: ma esaminando ciò che fu scritto sul proposito dal Balduino (calceus antiquus), dal Nigroni (de caliga veterum), e dal Camper (sur la meilleure forme des souliers); e riflettendo che la gotta apparisce in una età in cui questa cagione potrebbe difficilmente presumersi, depose ogni sospetto, e s’immaginò in vece, che la cagione di questo singolar fenomeno esser dovesse tutta fisiologica, dedotta cioè dalla maniera con cui si muove il corpo umano, e si appoggia sui piedi nella progressione, come il Barthez parimente s’immaginò e dimostrò. Mi pare, dice questo autore nell’opera Nouvel. mechan. des mouvem. ec., che la ragione per la quale il grosso dito è la prima sede che preferisce comunemente l’accesso della gotta al piede, stia negli sforzi più grandi o più frequenti che fanno le parti vicine delle articolazioni di questo dito. In fatti, in ogni passo le articolazioni dei piedi entrano le ultime in azione, ed i movimenti finiscono per dirigersi sul grosso dito di maniera che pendente la progressione i muscoli di questo dito devono fare e ripetere dei grandi sforzi per resistere al peso di tutto il corpo; e fa osservare il nostro autore che in quell’articolazione del pollice del piede dove poggia sul suolo vi hanno due ossa sesamoidee le quali sviluppandosi nei legamenti di questa stessa articolazione, danno indizio di una maggiore energia vitale nei medesimi, e conseguentemente di una più grande predisposizione ad assumere la sensibilità animale ed infiammarsi. Sulla diffusione dello stimolo infiammatorio gottoso dall’internodio agli altri pezzi del sistema fibroso, espone l’autore la dottrina del Tommasini sopra il carattere diffusibile della flogosi, ed i principii da questo fisiologico essi sopra il consenso. "Ora, prosiegue egli, siccome l’articolazione metatarso-falangea del pollice di un piede, o qualunque altra, su cui cominci l’insulto gottoso, dopo di aver manifestata una squisita sensibilità, un dolore acuto, fassi tumida e tesa; e quindi trasmette per simpatia di contiguità lo stimolo e l’infiammazione alla cute che la ricopre, la quale perciò mostrasi rossa, calda e dolente; così questo stesso modo di eccitamento accresciuto si diffonde e si propaga a tutto il sistema fibroso, i quali raggi, dirò così, stenizzanti, potranno o rimanere quasi inavveduti, come accader suole nei primi attacchi, oppure accendervi una universale perturbazione, la così detta febbre sintomatica. Ma l’infiammazione cutanea che sovrasta all’articolazione affetta, e s’irradia anch’essa più o meno per tutto il sistema corrispondente, ed i rapporti di questo colle parti mucose gastro-polmonari e genito-urinarie possono essere origine degli accidenti che di frequente si appalesano in alcuno dei visceri da quelle membrane tappezzati; i quali visceri essendo quasi tutti avvolti all’esterno da una produzione del sistema fibroso, potranno poi più facilmente essere fatti centro di una flussione infiammatoria, e sorgente di fenomeni morbosi pericolosissimi, se in essi già preesistano i maggiori gradi della morbosa predisposizione. Intanto nata una volta codesta flogosi gottosa tenace e difficile a sciogliersi, e succedutane quella morbosa suscettività che rimane sempre dopo le infiammazioni, si rende tanto più facile il ritorno di essa, e si ripeteranno per conseguenza le irradiazioni di stimolo stenizzante sui varj pezzi del sistema fibroso, i quali più o meno atti a risentirsene, soffriranno nell’intima loro struttura un principio di quelle alterazioni di tessuto cui soggiacciono in modo particolare gli organi fibrosi; e queste insensibili alterazioni di primordiale tessitura dei varj pezzi del tessuto fibroso essendo accompagnate da una maggiore sensibilità organica facilissima a passare in sensibilità animale, costituiscono la diatesi gottosa accidentale, non differente dalla ereditaria; anzi dai progressi (che non mancano mai nei nuovi insulti gottosi) di questi cangiamenti od alterazioni di struttura o vita specifica, ne risultano poi quelle malattie o degenerazioni organiche, che l’anatomia patologica si scuopre quando in una e quando in molte parti più essenziali alla vita. Non credasi già mera ipotesi questo mio ragionamento. La divisione delle malattie locali in vitali ed organiche, è soltanto ammissibile in astratto, e quando non trattasi di malattia di qualche importanza. Poiché se si vuole penetrare colla mente nei tessuti affetti da lesioni, come diconsi, vitali, qualora siano un po’ gravi, o durino qualche tempo, si ravviserà come inevitabile conseguenza di questo stato preternaturale una condizione cangiata, sia nella posizione, sia nel volume, nella figura e nelle chimiche proprietà delle molecole di materia organizzata, donde risultano le fibre primitive dei tessuti componenti i varj sistemi organici, il quale cangiamento dipende appunto dall’alterata nutrizione ed assimilazione in essi cagionata dalle sole vitali lesioni…. Mentre il gottoso viene più o meno tormentato dai dolori che or l’uno or l’altro articolo assalgono, tutto il sistema fibroso trovasi in uno stato di eretismo, e quelle porzioni di esso che abbiam veduto far parte di organi importanti, trasmettendo anche a questi, come si fa alla cute da quelli, il loro stato d’irritazione, ci danno la spiegazione non solo della febbre più o meno risentita, dei dolori di capo, dell’oppressione, della nausea, dei vomiti biliosi, dei dolori ai reni, al fegato, della stranguria e simili, che compajono in questo periodo: ma ci facilitano eziandio l’intelligenza d’un altro fenomeno, di comprendere cioè come le varie secrezioni e le varie esalazioni che vigente il parossismo gottoso erano state le une diminuite, le altre sospese facciansi poi sul finire di quello di una natura diversa della naturale, e contenenti alcune sostanze, che prima non esistevano, e che sono un effetto delle alterazioni vitali dei varj organi summenzionati, non altrimenti che conseguenza della medesima alterazione vitale od eccitamento pervertito sono le concrezioni tuffacee calcari delle articolazioni, le callosità, lo stato cartilagineo, le ossificazioni stesse ritrovate nei vari pezzi del sistema fibroso dei soggetti gottosi. Quindi le trasudazioni esteriori, e le evacuazioni di umori contenenti grande copia d’acido fosforico e di terra calcare … deggiono considerarsi quali risultati dell’alterato eccitamento dei sistemi esalante e glanduloso sotto l’azione della diatesi gottosa, il qual eccitamento viene poi maggiormente alterato pendente la preparazione e la durata di un parossismo di gotta… In questo stato di cose i gottosi persistendo nel loro vitto tonico e nutriente, sotto l’influenza delle altre cagioni di aumentato eccitamento, trovansi più che mai suscettibili di ogni malattia flogistica, la quale scoppierà in alcuno di quegli organi su cui la diatesi gottosa avrà gettate più profonde radici: anzi per quei rapporti che abbiamo osservato esistere, ed aumentarsi tra i pezzi fibrosi appartenenti a questi varj organi, e agli altri spettanti alle articolazioni, ne risulterà che divenuti quelli il centro di una simpatia attiva, tramandino raggi di stimolo alle medesime articolazioni solite per l’addietro ad essere attaccate, le quali fattesi dolenti apporteranno al malato ed al curante una fugace tranquillità, ma non cesseranno per questo di essere la sede di un ingorgamento infiammatorio, per la risoluzione del quale si esige il più pronto ed il più energico metodo antiflogistico. Altre fiate avverrà che sotto queste medesime condizioni di diatesi gottosa mantenendosi viva la suscettività dei tessuti fibrosi articolari dapprima attaccati, uno stimolo portato sopra alcuno degli organi summentovati ne alteri l’eccitamento, ma in modo soltanto da renderne partecipe l’articolazione solita ad essere assalita dalla gotta, la quale avendo maggiori gradi di predisposizione flogistica, diverrà tosto dolente, tesa e tumida, ed impedirà così la formazione della flogosi nell’organo dapprima minacciato. "E dietro ciò l’autore spiega come nelle profonde riflessioni, nei protratti difficili studj, e via discorrendo, destisi sovente (a cagione della ripetuta tensione della dura madre, e suo accresciuto eccitamento per la turgenza vitale del sottoposto cervello) l’affezione gottosa agli uomini più insigni del tempio e dello stato, e come sotto le medesime condizioni d’organizzazione e di vitto i celibatarj si rendono spesso podragosi a motivo del frequente intenso erettismo, dond’è assalito in essi l’apparato riproduttore, nella composizione del quale entrano pezzi moltiplici di fibroso tessuto, fra quali la guaina tendinea del corpo cavernoso, e la mirabile struttura di questo, non la specifica eccitabilità di entrambi. Intanto, prosiegue l’autore, a proporzione dei progressi che fa la diatesi gottosa per le cagioni più volte citate, si vanno gradatamente allontanando dalla primigenia loro orditura e vitalità l’uno dopo l’altro i varj pezzi del sistema fibroso; e gli organi, alla cui composizione essi concorrono, per quella simpatia di contiguità che vi abbiamo osservata, incontreranno anch’essi una proporzionata degenerazione del loro stato primitivo, e quindi le varie funzioni, cui sono destinati, ne verranno più o meno alterate. Fra queste, la loro propria nutrizione ed assimilazione dee soffrirne la prima. Abbiamo veduto con Bichat, che una parte essenziale del sistema fibroso è la gelatina, e che per l’affinità di essa col fosfato calcare quest’ultima sostanza forma il primo risultamento generale della morbosa eccitabilità del sistema predetto. Niuna maraviglia adunque se elaborato in maggior dose, che non abbisogna pegli usi della vita, la copia di esso divenga eccessiva, e che oltre all’uscirne dal corpo in quantità sorprendente con tutti gli umori escrementizj, come fu notato dai pratici, e dai chimici summenzionati, il sangue stesso, altro comune universale deposito dei materiali assorbiti dai vasi linfatici, venga sopraccaricato, e formisi così quello stato morboso che si chiama cachessia gottosa, come sappiamo formarsi la purulenta nelle lunghe ed abbondanti suppurazioni. Ma non è da credere che la evacuazione della materia morbosa, se è possibile nelle malattie acute, ed in soggetti d’altronde favorevolmente disposti, abbia luogo negli antichi gottosi a cagione delle tante morbose alterazioni che i più volte ripetuti parossismi cagionarono nei principali organi della vita, i quali vengono infine convertiti in altrettante officine o miniere di materia gottosa, e fatti sede della vasta iliade dei mali da tutti gli autori osservati e descritti coi vari nomi di gotta anomala, sintomatica, atonica, interna, retrocessa, sordi ed indifferenti ai molteplici soccorsi di una impotente ragionevole medicina: il malato viene meno addolorato dagli attacchi successivi, che vanno rendendosi meno acerbi, ma più lunghi e più complicati, sicque tandem vitam afflictissimam, et jamdiu non vitalem, cum morte aerumnarum requie feliciter commutat. Mentre per altro l’autore ammette nell’affezione gottosa un periodo in cui circoli col sangue una materia eterogenea morbosa, assorbita per mezzo dei vasi inalanti dai varj pezzi del sistema fibroso, e versata nel torrente della circolazione cogli altri umori escrementizj, alla qual materia, perché separata dagli organi affetti da diatesi gottosa dà il nome di materia gottosa, non intende che questa materia possa divenire mai la causa prossima della gotta; poiché qualora per la sua eccessiva quantità, e per la debolezza dell’azione vitale degli organi secretorj od escretorj non possa più venire eliminata dal corpo, circolerà inavveduta nel sangue come inavveduti vi circolano tanti altri principj, e riportata poscia la detta materia ai varj pezzi del tessuto fibroso universalmente alterato, somministra i nuovi materiali dei varj trasudamenti, e delle varie concrezioni che si osservano alle articolazioni, e fornisce i nuovi elementi alle callosità, agl’induramenti ed alle ossificazioni, che sui varj punti del medesimo sistema si presentano poi al curioso ed illuminato, patologo. Non crede però l’autore, che la gotta, la quale nel suo primo manifestarsi presenta tutti i caratteri di una flogosi attiva con diatesi corrispondente, persista sempre ad essere della medesima condizione; anzi è d’avviso, che questa malattia colle frequenti sue ricorrenze, e con lo scemamento delle forze vitali degeneri dall’indole sua primitiva iperstenica, e si accosti all’ipostenica acuta per poi passare all’ipostenica cronica, intendendo pure, che lo stesso cangiamento nel genio infiammatorio, che succede nei piedi e nelle altre esteriori articolazioni, si operi nei varj pezzi del sistema fibroso interno simpatizzanti colle medesime, se non che questo consenso diminuito già per la scemata energia della reazione vitale, lo diverrà poi maggiormente perché le nuove ripetute orditure, o trasformazioni di tessuto nei varj pezzi di quel sistema, segregandoli sempre più, perdono colla primordiale struttura ed appropriata eccitabilità i naturali vicendevoli rapporti, ed incapaci si rendono di reazione simpatica". A questa circostanza l’autore attribuisce il principale motivo del tenue vantaggio ottenuto dai tonici, dagli eccitanti, dai repellenti, nei tanti casi di gotta interna, ipostenica, irregolare od anomala dei soggetti avanzati in età o maltrattati da quell’affezione. Esposta dall’autore la sua patologia della gotta, che si stimò bene di seguire quasi allo scrupolo, viene poscia a dimostrare come i nostri primi maestri non ravvisando in questa malattia che una flussione infiammatoria, la dichiarassero sanabile al suo principio, ed appo soggetti giovani e d’altronde favorevolmente disposti; e più o meno difficile a sanarsi la giudicassero, ed anche incurabile nei vecchi, nei cachetici, ed in quelle persone nelle quali cagionò di già le concrezioni tuffacee in varie parti del corpo; ripetendo questa insanabilità della gotta dai guasti indotti dagli attacchi ripetuti nelle articolazioni, e dalla viziata abitudine della costituzione: nelle quali circostanze, usando nulladimeno del metodo analetico, riuscivano con esso a recare o meno sensibile o durevole alleviamento ai loro malati, perché questi si sottomettessero alle leggi d’igiene che ad essi prescrivevano. Ma in progresso di tempo avvisandosi alcuni medici di dover considerare la flogosi gottosa dell’estremità come uno sforzo salutare e necessario della provvida natura, onde si liberasse l’ecconomia vivente da una materia morbosa particolare, la giudicavano incompatibile colla sanità e coll’integrità delle funzioni; ed altri tenendo, che l’affezione gottosa fosse effetto di un principio deleterio, specifico, contagioso, estimarono doversi dirigere unicamente le azioni della vita, e le premure dei medici verso di quel solo, cercandone la sua neutralizzazione od espulsione; e quindi s’immaginarono tanti rimedj quali antigottosi specifici; ma caduti poi in discredito, sebbene per avventura molti di essi possano riescire giovevoli se siano diretti ai casi o periodi particolari della malattia nei quali vengono indicati. E tra questi, osserva l’autore, che quelli, i quali procurano straordinarie evacuazioni, come l’acqua medicinale di Husson, possono giovare nella diatesi flogistica, e presso i gottosi robusti e giovani, ma per la debolezza, ed altri sconcerti che da essi derivano, verranno poi tosto lasciati. "Gli eccitanti ed i diaforetici saranno, dice l’autore ricercati ed ammessi dai vecchj gottosi, ed il loro credito si sosterrà per più lungo tempo; tanto più che la scossa da essi cagionata a tutto l’organismo minacciato di succombere alla molteplicità delle alterazioni morbose dei visceri principali, la scossa, dissi, perturbatrice che imprimono, diffondendosi universalmente, dee, almeno temporariamente, scemare l’effetto delle mutazioni organiche cagionate dalla gotta, procurare il riassorbimento di una parte delle congestioni e trasudamenti inorganici formatisi in varie parti, dare conseguentemente alla malattia l’apparenza di una vicina totale risoluzione, all’ammalato la speranza d’un felice ritorno all’antico stato di sanità e di vigore; apparenza e speranza da cui non si lascierà certamente illudere il pratico patologo". Ciò detto in generale dei vantati specifici antigottosi, l’autore fa qualche cenno della china-china, la quale introdotta fino dal 1717 dai medici inglesi, ebbe poscia gli elogi di molti insigni pratici nel trattamento delle malattie gottose. Esaminando l’autore le osservazioni proprie del Giannini, e quelle degli altri pratici, confessa di non aver trovato nè nelle une, nè nelle altre, sufficiente motivo di riguardare l’utilità cotanto vantata della china-china nei casi narrati quale prova di sua attività, meno poi di sua virtù specifica contro l’affezione gottosa. La china -china viene proposta dal Barthez, ma egli consiglia di darla allorquando coll’attacco della gotta si accoppia una febbre di cattiva indole, minacciante di farsi nervosa o putrida, o nel caso della complicazione di una intermittente, o quando nel fine del parossismo gottoso le forze digestive vennero infievolite d’assai. E tale è pure il sentimento dell’autore, anzi egli considerando lo stato dei varj infermidi cui addusse le storie il Giannini non ravvisa in essi che una cronica artritide complicata alla febbre astenica remittente od intermittente cagionata e fomentata dalle loro occupazioni abituali, dal vitto poco nutriente, e dall’aria umida e zeppa di perniciose emanazioni. Così riguardo alle altre osservazioni dei varj autori sui sorprendenti vantaggi di questo farmaco, osserva l’autore, che si trattava sempre di gottosi antichi, la costituzione dei quali era di già molto alterata, ed in alcuni esisteva già la cacchessia gottosa; e che se la china ha potuto abbreviare e troncare l’attacco gottoso, non valse essa ad operarne la cura radicale, nel qual effetto soltanto consisterebbe la virtù specifica di essa. Ora, soggiugne l’autore, se la china che ha fatti tanti progressi nelle mani dei valenti pratici, non può né debb’essere in tutti i casi giovevole per la cura della gotta, che cosa dovrassi dire poi dei tanti segreti che al giorno d’oggi si spacciano quali specifici infallibili contro la stessa malattia? Esamina ora l’autore due scritti di recente pubblicati in Francia sulle malattie gottose, e poi termina questi suoi cenni con alcuni riflessi sopra l’uso dei topici nella cura della gotta. L’uno di quei scritti intitolato Conseils aux goutteux, aux rheumatisans, ec., appartiene a Villette. Egli inculca a quelli a cui dirige il suo grosso volume, l’uso copioso e continuato per lungo tempo di un elisir antigottoso specifico, secondo lui, tonico, sudorifico, depurativo e diuretico; anzi essendo questo elisir dotato eziandio, com’egli dice, delle qualità più desiderate nei più saporiti vini da tavola, inculca alle persone agiate di farne uso abituale e prima, e dopo il pranzo in luogo di quelli. Propone inoltre il Villette un elettuario a cui attribuisce maravigliose proprietà, cioè di accrescere la volatilità dell’elesir, di renderlo più proprio ad attenuare a neutralizzare il principio morbifico di tutte le affezioni reumatiche e gottose, di depurare, di essere giovevole nelle malattie della pelle e via parlando. Finalmente aggiunge due simili topici, l’uno col nome di soluzione attrattiva calmante, l’altro conosciuto sotto il titolo di acido muriatico di Villette. Questo trattamento impiegato dal Villette nella gotta e nei reumatismi venne approvato dalla commissione dei rimedj segreti di Parigi, e dichiarato degno lo scrittore di una ricompensa. Osserva però l’autore nostro, che volendo penetrare nel merito degli esaminati rimedj, e nelle conclusioni della Commissione di Parigi, sembra che col facilitare le ricompense ai posseditori dei segreti, essa abbia mirato a procurarne l’esistenza. Mi pena, soggiunge, l’animo nel fare questo rilievo risguardo ai nomi così rispettabili (dei quali era composta la Commissione); ma come mai scorrere indifferente sopra ad un affare di tanta importanza, interessante egualmente l’umanità e la scienza medica, e non essere indotto a ripetere una verità di fatto sfuggita all’arguto Paracelso: denarius est ipsa veritate sapidior, sic docent Academiae? Lo scrittore dell’altro libercolo è Chaussier figliuolo del presidente della predetta Commissione. Presenta egli nel medesimo un metodo specifico da lui rinvenuto per la gotta all’occasione che dovette trattare sino dal 1797 una violenta ottalmia in un vecchio, il quale dopo la cura di questa restò anche libero della gotta, che da lungo tempo resisteva ai rimedj ordinari. Questo medico oculista credette di aver scoperto la causa della gotta, e non avendo più a combattere un nemico sconosciuto, seppe egli quali armi impiegarvi contro, certo di un costante successo; e quello che fa più maraviglia, giunse ad iscoprire quel principio gottoso di una maniera così positiva da poter svilupparlo negli animali, e determinare a sua voglia la formazione delle concrezioni artritiche. Il metodo dietico viene conceduto da Chaussier ai gottosi alla sua cura commessi colla più grande facilità; la sua massima è: on peut user de tout, mais sans jamais abuser de rien. E un signore travagliato da più anni dalla gotta, e da lui sanato, avendo trasandato un precetto, ne pagò il fio, perché malgrado la distribuzione del principio gottoso soffrì varj incomodi cagionati unicamente dall’aver mangiato una quantità di tartufi, li quali, secondo lui, contengono essenzialmente il principio della gotta, ed in così gran quantità, che un individuo perfettamente sano, il quale ne mangi molti per più giorni di seguito, può risentire istantaneamente un accesso di gotta, e vedersi dei nodi formarsi senza dolore in varie parti del corpo, ma più particolarmente ai piedi ed alle mani. Ed in appoggio di sua asserzione arreca l’osservazione di tre individui francesi, che nel Piemonte, ove i tartufi abbondano, avendoli mangiati per un mese continuo, vennero attaccati alle calcagna da affezioni gottose, volgarmente dette buganze o pedignoni, che loro lasciarono da ambe le parti que nodi della grossezza d’un pisello: mentre tre altri della stessa famiglia che non ne mangiarono rimasero sani. Le persone affette guariscono coi rimedj dal Chaussier impiegati contro la gotta di cui le buganze sono il primo grado. Si potrebbe però rispondere a Chaussier che la osservazione mostra tutto al contrario, ciò è che assai pochi podagrosi sono sottoposti ai pedignoni volgarmente buganze, e che pochissimi individui soggetti a questa malattia vengono attaccati dalla gotta. Intorno a ciò il nostro autore osserva, che la podagra non fu creduta mai propria del Piemonte, come dovrebb’essere, giusta l’osservazione del Chaussier, sebbene ivi sia grandemente desiderato il tartufo sulla mensa delle persone d’ogni ceto. Lo stesso può dirsi del Veronese, e di molti paesi della Romagna, ove i tartufi si trovano in abbondanza. E si potrebbe poi ricercare al Chaussier qual è l’essenziale principio di gotta che contengono i tartufi? Siamo però sicuri che risponderebbe di non poterlo dimostrare, perché sta tuttavia nella sua immaginazione. Ma comunque sia la cosa, rallegriamoci, dice Scavini, che Chaussier possieda il metodo infallibile di curare la gotta, e di farne scomparire i nodi, i tufi, e le concrezioni calcaree. La terapeutica radicale della gotta non giace più sepolta in fondo al pozzo di Democrito, dove tu (parla all’ombra di Sydenham) la lasciasti. Un genio felice della Senna l’ha tratta fuori, e l’ha riposta nella sua guarigione della gotta da esso lui stabilita a Parigi nella contrada di s. Lazaro, donde uscirà fuori sì tosto che numerosi fatti avranno attestata l’infallibilità dell’eziologia, e del metodo curativo da esso ritrovati; allora sì che la gotta, soggiunge, con tutta la sua prosapia scomparirà dalla superficie della terra, e l’umanità riconoscente tramanderà alla remota posterità il nome d’un tratto benefattore inscrivendone la preziosa invenzione fra le grandi epoche del mondo. Così sia". Parlando ora dei rimedj topici nella gotta osserva l’autore, che questi sono impiegati e per calmare il dolore già elemento della flogosi gottosa, o per richiamarlo o prevenirlo. Quanto al calmare il dolore, è noto dalla patologia quanto sia fiero il dolore cagionato dalla flogosi del tessuto fibroso, massime nei primi suoi attacchi; e ne’ soggetti vigorosi, come sono i gottosi: egli è dunque necessario di ricorrere ai mezzi di moderarlo per ovviare le disgustose conseguenze, e gli attacchi medici, che attraverso la podagra coi principj della terapeutica delle flussioni, accrescevano l’effetto debilitante di essa coi bagni freddi alla parte affetta, affine di sedare l’acuzie dei patimenti che risentiva l’infermo; ed il loro metodo era coronato di felice evento; ma deve essere stato seguito da funesti effetti, quando, ravvisando nella gotta l’azione di una causa morbosa abbandonarono il metodo antiflogistico universale, e suggerirono a titolo di calmante le fredde non solo ma eziandio le stupefacenti applicazioni. E se il Giannini ha ottenuto alcuni vantaggi dalle fredde immersioni, gli ha ottenuti sì perché quelle immersioni venivano praticate nella forza del dolore di una gotta ancora stenica, ed allora giovar doveano, potendo quelle supplire in qualche maniera agli altri mezzi debilitanti che sarebbero stati opportuni; e sì perché quelle venivano adoperate negli attacchi di gotta sintomatica d’una febbre remittente od intermittente astenica, e nel periodo del caldo. Malgrado però qualche caso di felice riuscita da questa maniera topica di medicare la gotta, ci avverte l’autore di non fidarcene molto, perché non mancano le osservazioni di sinistri e talora micidiali accidenti sopravvenuti alla insidiosa calma ottenuta dal freddo sulla parte dolente. Del medesimo sentimento egli si mostra per le sostanze torpenti o sedative, l’efficacia delle quali sta nello scemare nella fibra sensibile quella insita proprietà di reagire contro lo stimolo. Ma nemmeno dalle fomentazioni, poltiglie o cataplasmi tepidi fatti con le sostanze emollienti e rilassanti, all’oggetto di scemare la somma ferocia dei dolori, vuole l’autore che si debba aspettare un sollievo durevole, sebbene non debbasi temere alcun funesto effetto. Quanto poi al richiamare il dolore coi topici, ciò succede principalmente, quando il dolore dopo aver occupato una qualche articolazione, scompare repentinamente sotto lo scoppio de’ sintomi minaccianti qualche parte interna, oppure quando un gottoso viene assalito da una grave infiammazione in qualche organo essenziale della vita senza la precedenza di una veruna flogosi locale esteriore. Cominciando dal primo caso, fu detto altra volta, che i visceri in ogni attacco di gotta ricevono diversi gradi di suscettività morbosa, la quale può divenir tale, che pochi gradi di stimolo bastino per isvolgervi la flogosi che prima assaliva l’articolazione. Allora l’indicazione primaria sarà diretta a perturbare il processo morboso che minaccia la viscera, e determinarlo alla solita parte. Finchè dunque i sintomi interni, sono soltanto l’irritazione indeterminata, o spasmodici, i forti attraenti i rubefacienti produrranno un ottimo effetto. Ma se esistessero già i sintomi d’infiammazione decisa, questi topici saranno controindicati, potendo accrescere l’universale eccitamento; e qualora coll’ajuto di questi topici, o col metodo curativo indicato nella malattia interna, la risoluzione di questa non fosse sperabile ancora; siccome i sintomi di predominanza stenica sarebbero sufficientemente combattuti, si passerà gradatamente ai topici irritanti, sinchè siasi dato luogo alla flogosi articolare. Nel secondo caso ecco gli avvertimenti dati dall’autore: se il medico giunge nel primo periodo della malattia, prima che la febbre sintomatica abbia preso un carattere serio, l’applicazione d’un ripellente o di un perturbatore stimolante, rubefaciente sulla parte solita a venir attaccata dalla gotta, è ancora permessa, e può concorrere coi salassi risolutivi e cogli altri antiflogistici a trasportare all’esterno una flogosi che potrebbe rendersi funesta: ma se questa ha gettato profonde radici, ed ha cagionato qualche cangiamento organico nella parte affetta con i sintomi di universale eccitamento accresciuto, allora i topici summentovati sarebbero contrarj, anzi nocivi. Tutto al più è lecito d’impiegare in questo periodo i topici ed i bagni ammollitivi e rilassanti. Finalmente per prevenire il dolore, e per dare il tono perduto alle parti maltrattate dalla infiammazione gottosa, consiglia l’autore l’esercizio del corpo, il moto e le fregagioni delle parti gottose con flanella affumicata del vapore di qualche sostanza aromatica, avvalorate dal metodo dietetico convenevole; e biasima i cauteri, la mocsa, i bagni, le doccie, i fanghi termali, i tanti linimenti ed empiastri, siccome quelli che possono eccitare un attacco di gotta, ed anche cagionare per consenso la flogosi di qualche viscera. Riguardo finalmente ai odi, ai tuffi ed altre concrezioni solite a formarsi sulle parti articolari dopo i ripetuti attacchi di gotta, ci avvisa di non essere raro di vederle scomparire assorbite dai linfatici col solo effetto del moto e delle strofinazioni, e se ciò non accade per la disorganizzazione della cute che le ricopre, e la distruzione dei linfatici, allora quei vizi sogliono rimaner stazionarj, o pure uscir fuori da una apertura spontanea od artificiale. L’autore mette fine a questi suoi cenni con un’apostrofe ai gottosi, in cui riassume i punti principali che si era fisso di dimostrare, cioè che la gotta non proviene da verun principio morbifico; ch’essa è sanabile trattata com’è detto; e che se la guarigione non si ottiene, debbesi incolparne i gottosi medesimi non l’arte medica. "Uomini opulenti, ei dice, straziati da questo flagello, ne trovano l’efficace rimedio nella povertà, cui li ridusse la rovina delle loro famiglie. Ciò che operò la necessità, il faccia in voi (gottosi) la ragione e lo spavento de’ mali terribili che vi minacciano, e dei quali vi rendete veicolo nei vostri figli". Consiglia poi i gottosi di tenere appeso al loro cospetto, se non uno scheletro, come gli Egizi usavano di fare, collocando tra i loro triclinj, almeno un quadro rappresentante il gottoso quale è descritto da Galeno, pallido e contraffatto pei dolori che soffre, curvo e rannicchiato, colle articolazioni ingrossate e deformi da tuffi e da nodosità, sostenuto da famigli e forzato di prendere dalle loro mani il cibo e la bevanda, e di riceverne l’assistenza nei primi bisogni della vita. Chi sa, soggiunge, che questa pittura non faccia una più efficace impressione di tutti i nostri avvertimenti, e di tutte le lezioni dei tormentosi insulti? Ma se indifferenti ed indocili a consueta vivendi ratione voluptatibus ad quas natura, ratione sanguinei temperamenti, inclinant, non velint penitus abstinere, sé soli accusino. In quanto poi alle bellissime idee appalesate dal professore Ottaviani sopra di questo medesimo argomento veggasi l’articolo PODAGRA.

























OSSERVAZIONI INTORNO A’ PELLICELLI DEL CORPO UMANO
fatte dal Dottor Gio. Cosimo
Bonomo
e da lui con altre osservazioni scritte
in una Lettera all’Illustriss. Sig. Francesco Redi
Illustrissimo Signore,
Sotto l’amorevole e dotto patrocinio di V. S. Illustrissima e colla sua prudente direzione io vado giornalmente continuando quelle osservazioni che, ella sa intorno all’opere maravigliose della natura, o per dir meglio di Dio, e particolarmente intorno a quei piccoli animalucci che da’ Toscani vengono chiamati insetti ed anticamente dal divino poeta Dante furono con greco vocabolo appellati entomata, allora quando nel canto decimo del Purgatorio ebbe a dire:
Poi siete quasi entomata in defetto,
Siccome verme in cui formazion falla.

Mentre dunque tutto attento mi trattengo in questa curiosa e dilettevole applicazione, e distendone in carta il da me osservato per poterlo un giorno comunicare al pubblico del mondo, se non con gentilezza di stile almeno con pura, semplice e schiettissima verità, mi è venuto casualmente e per fortuna letto nel famoso Vocabolario dell’Accademia della Crusca che i compilatori di esso affermano che i pellicelli de’ quali per lo più è gremita internamente la pelle di coloro che ànno la rogna, sieno altrettanti piccolissimi animaletti; e quest’esse sono le parole del medesimo Vocabolario: “Pellicello è un piccolissimo bacolino, il quale si genera a’ rognosi in pelle in pelle, e rodendo cagiona un acutissimo pizzicore”.
Quest’opinione, come poi ho veduto, fu seguitata da Giuseppe Laurenzio nella sua Amaltea, avendovi scritto: “Acarus. Teredo. Vermiculus exiguus subcutaneus rodens. Pidicello”. E appresso alla lettera T: “Teredo. Vermis in ligno nascens. Caries. Item Acarus rodens carnem sub cute. Pidicello”.
Per cagione di così fatta lettura mi venne gran curiosità di voler rintracciare, coll’iterata e reiterata esperienza, se i suddetti pellicelli sieno veramente animaletti, e ne favellai di buon proposito col Sig. Diacinto Cestoni, la di cui diligenza nell’esperienze a V. S. Illustriss. è molto ben nota; ed egli costantemente mi asserì d’aver molte e molte volte osservato che le donne a i loro piccoli figliooli rognosi traggon fuora colla punta degli spilli un non so che dalle più minute bollicelle della rogna per ancora non ben mature e non marcite; e questo tal non so che lo posano sull’unghia del dito pollice della mano sinistra, e coll’unghia poi del pollice della mano destra lo schiacciano, e nello schiacciarlo par loro di sentire un piccolo scoppietto; il che parimente avea veduto farsi con iscambievolezza di carità tra i forzati e tra gli schiavi rognosi del Bagno qui di Livorno [bagno penale in cui erano reclusi i forzati e gli schiavi barbareschi catturati: attivissimo ai tempi di Ferdinando I de' Medici (1587-1609)]. Quindi soggiunse che in verità non sapeva di certo che i pellicelli fossero bacherozzoli, ma che si poteva prontamente venirne in chiaro, facendone, secondo il mio desiderio, molte prove in qualche rognoso per poter osservare il sì ovvero il no con fondamento di sicurezza. Trovammo con facilità il rognoso, ed interrogatolo dove egli più acuto e più grande provasse il prurito, ci additò moltissime piccole bolluzze, e non ancora marciose, le quali volgarmente son chiamate bollicelle acquaiuole. Mi misi intorno colla punta d’un sottilissimo spillo ad una di queste acquaiuole, e dopo averne fatta uscire, collo spremerla, una certa acquerugiola, ebbi fortuna di cavarne fuora un minutissimo globetto bianco appena appena visibile, e questo globetto osservato col microscopio, ravvisammo con certezza indubitata che egli era un minutissimo bacherozzolino, somigliante in qualche parte alle tartarughe, bianco di colore, con qualche fosco d’ombra sul dorso, insieme con alcuni radi e lunghi peluzzi, snello e agile al moto con sei piedi; acuto di testa con due cornicini o antennette nella punta del grugno, come si può vedere nella Fig. I e nella Fig. III.
Non ci fermammo a credere, né ci contentammo di questa prima veduta, ma ne facemmo molte e diverse altre esperienze in diversi corpi rognosi di differente età e complessione, di differente sesso, ed in differenti stagioni dell’anno, e sempre riconoscemmo la stessa figura de’ pellicelli. E questi così figurati animalucci si trovano quasi in tutte le bollicelle acquaiuole. Ho detto quasi in tutte, perché alcune volte non ci è stato possibile il trovarvegli.
Ancorché sopra l’esterna superficie del corpo umano sia cosa difficilissima lo scorgergli per cagione della loro minutezza e del loro colore, simile a quello della cuticola, nulladimeno molte volte ne abbiamo veduti camminare esternamente sopra di essa superficie, e particolarmente nelle articolazioni e piegature grinzose, e ne’ minuti solcherelli della pelle, dove coll’acuto della testa cominciano prima ad introdursi, e tanto razzolano e tanto si agitano, cagionando fastidiosissimo pizzicore, finché il loro corpo tutto sia penetrato sotto la cuticola. Sotto di essa cuticola non ci è stato difficile il vedere che vanno facendo straducole da un luogo ad un altro col rodere e col mangiare; ed un solo di essi arriva talvolta a fare più tubercoletti acquaiuoli. E qualche volta ancora ne abbiamo trovati due o tre insieme, e per lo più molto vicini l’uno all’altro. Andavamo bramosamente cercando se questi pellicelli facessero uova, e dopo molte reiterate ricerche, finalmente la fortuna volle essere favorevole; conciossiecosaché avendo posto un pellicello sotto il microscopio, acciocché il Sig. Isach Colonnello ne facesse la figura colla sua gentilissima penna,egli nel disegnarla vide scappar fuori dalle parti deretane di esso un certo minutissimo e quasi invisibile uovicino bianco, quasi trasparente e di figura lunghetto a simìlitudine di un pinocchio, come si può vedere nella Fig. II e nella Fig. IV.
Da tale avvenimento animati, replicammo con ansietà le ricerche di quest’uova e ne trovammo in diversi tempi molt’altre; ma non ci si porse mai più la congiuntura di vederle nascere sotto il microscopio.
Da quest’uova, Sig. Redi gentilissimo, parmi che si possa affermare che i pellicelli facciano la loro generazione come la fanno tutte quante le razze d’animali, cioè per via di maschio e di femmina, ancorché né al Sig. Cestoni né a me per ancora ci sia sortito di riconoscere qualche differenza di figura tra i maschi e le femmine de’ suddetti pellicelli. Forse il caso o altre piùlunghe e più minute osservazioni, ovvero migliori microscopi, come sono quegli inventati in Roma con tanta sua gloria dall’impareggiabile Sig. Giuseppe Campani, e quegli altri che dicono aver ultimamente trovati il Sig. Carlantonio Tortoni ed il Sig. Marcantonio Cellio, ci faranno conoscere questa differenza.
Per le sopraddette cose, ben considerate e senza passione, si potrebbe forse mettere in dubbio l’opinione degli autori di medicina nell’assegnare le cagioni della rogna. Tra la moltitudine degli antichi, alcuni con Galeno l’ànno creduta nascere dall’umore melanconico; il qual umor melanconico per ancora, non si sa ben bene in qual parte del nostro corpo abbia il proprio e vero domicilio. A Galeno parve che aderisse Franco Sacchetti antico poeta fiorentino allorché nelle sue Rime si compiacque di dire:
Di gran maninconia sarei fuori, La qual con molta rogna m’ha assalito.
Altri coll’arabo Avicenna la crederono prodotta dal solo sangue, ed altri dall’atrabile mescolata colla pituita salsa:
Benché non so se questi autor fur giusti,
E se dissero il ver ne’ lor quaderni
.
Imperocché tra gli scrittori del nostro presente secolo alcuni, con Silvio Delaboe [Frans de la Boe, latinamente Sylvius, Hanau 1614 - Leida 1672, docente all'Università di Leida, autore di opere di impostazione iatrochimica tra cui gli Opera Omnia di cui furono celebri le Exercitationes de primariis corporis humani functionibus edite ad Amsterdam nel 1679], ànno poi data la colpa della rogna ad un acido mordace svaporato dal sangue. Altri, con Vanelmonte, ad un loro particolare fermento; altri a’ sali acri ed irritativi contenuti nella linfa, o nel siero, e per i diversi canali e andirivieni del nostro corpo trasportati nella cute. Or tra tante opinioni qual misfatto mai mi sarebbe se ancor io andassi opinando diversamente da questi dottissimi uomini? O per ischerzo che si sia, o pure, com’è più facile, per da vero, io per ora mi sento inclinato a voler credere’ che la rogna, da’ Latini chiamata scabies, e descritta per un male cutaneo ed appiccaticcio, non sia altro che una morsicatura o rosicatura pruriginosa e continua fatta nella cute de’ nostri corpi da questi soprammentovati bacolini. Onde per le minime aperture di essa cute trasudando qualche porzione di siero o di linfa, vengono a farsi le bollicelle acquaiuole, dentro le quali, continuando quei bacolini la solita rosicatura, son forzati gli uomini a grattarsi, e nel grattarsi avanzandosi lo struggimento ed il prurito, rinforzano la fastidiosaggine dell’opera e rompono non solamente le bollicelle acquaiuole, ma ancora la cute istessa e qualche minutissimo canaluccio di sangue, il perché ne avvengono pustulette, scorticature crostose ed altri simili fastidi.
Dal detto fin qui, Sig. Redi, non mi sembrerebbe totalmente impossibile il comprendere per qual cagione la rogna sia un male tanto appiccaticcio. Imperocché i pellicelli col solo e semplice contatto d’un corpo coll’altro possono facilmente passare da un corpo all’altro, essendo meravigliosa la velocità di questi molestissimi animalucciacci, i quali non istanno sempremai tutti al lor lavoro intanati sotto la cuticola e nelle grotticelle e passaggi cutanei, ma se ne trovano altresì alcuni sopra l’ultima superficie o cuticola del corpo, pronti prontissimi ad attaccarsi ad ogni cosa che loro si accosti, nella quale, per pochi che arrivino a prendere il domicilio, vi multiplicano grandemente per l’uova che vi fanno. E non è ancora da maravigliarsi se il contagio della rogna si faccia per mezzo di lenzuoli, di sciugatoi, di tovagliolini, di guanti e d’altre simili robe usuali servite a i rognosi, essendoché in esse robe può rimaner appiccato qualche pellicello. Ed in verità i pellicelli vivono fuor de’ nostri corpi fino a due e tre giorni, come mi è avvenuto di poter oculatamente farne la sperienza più volte. Non mi sembrerebbe anco impossibile comprender la cagione del guarir della rogna per via di lavande rannose, di bagni e di unzioni composte con sali, zolfi, vitriuoli [vetriolo od elemento base della polvere simpatetica], mercurii semplici, precipitati e solimati, e con altre robe di questa fatta corrosive e penetranti; perché esse vagliono infallibilmente ad ammazzare i pellicelli intanati anco nelle più riposte loro grotterelle e laberinti della cute; il che non può mai avvenire col grattarsi, ancorché si faccian sovente sdruci non piccoli; perché i pellicelli son di così dura pelle che non arrivano così facilmente ad esser offesi, ed anco per la lor minutezza ad esser trovati dall’unghie, siccome non arrivano ad essere offesi da tanti e tanti medicamenti interni che da’ medici son dati a’ rognosi per bocca, bisognando sempre, dopo un lungo uso di essi medicamenti interni, ricorrer finalmente per necessità alle unzioni sopraddette se voglion conseguire la total guarigione. E se in pratica spesse volte si vede che, essendosi unto un rognoso, e sembrando in dieci o dodici giorni guarito, contuttociò in breve la rogna suol tornare a rifiorir come prima, non è da meravigliarsene perché l’unguento avrà bensì ammazzati i pellicelli viventi, ma non avrà guaste e corrotte l’uova depositate, per così dire, ne’ nidi della cute, dove elle posson poi nascere e far ripullulare il male. Per la qual cosa alcuni dopo il vedersi guariti continuano prudentemente per qualche altro giorno di vantaggio le unzioni, il che tanto più facilmente possono eseguire quanto che le unzioni per la rogna possono manipolarsi gentilissime e di buon odore, come appunto è quella fatta con manteca gialla di fior d’aranci o di rose incarnate mescolata con una conveniente porzioncella di mercurio precipitato rosso.
Qui avea pensato di terminare lo strano paradosso di questa lettera; ma essendomi improvvisamente venuto capriccio di volerlo dare alle stampe, prego la bontà di V. S. Illustriss. a permettermi che io ci aggiunga uno abbozzo compendioso di spiegazione per quell’altre poche figure che son delineate in compagnia di quelle del pellicello.
Nella Fig. V è rappresentato nella sua natural grandezza il tarlo che abita ordinariamente ne’ legni duri e per suo nutrimento gli rode. Questo così fatto tarlo è generato da quegli scarafaggi grandi e neri morati che in cima al capo ànno due corna o antenne lunghissime fatte a nodi, come si può vedere nelle Fig. VI. Da’ contadini livornesi son chiamati scarafaggi peraiuoli perché volentieri mangiano le pere, e per lo più ronzano intorno a’ loro alberi e ad altri di simil natura. Quando adunque dallo scarafaggio maschio sono state gallate l’uova alla scarafaggessa femmina, ella se ne va a depositarle, come in un nido, non solamente sopra le fessure e gli screpoli de’ grossi tronchi del legname di già tagliato, e che in qualche parte abbia cominciato a guastarsi e corrompersi, ma ancora nelle fessure del legname morticino ed anco in quelle delle scorze de’ medesimi alberi verdi e vegetanti. Da ciascuno di questi mentovati uovicini in breve tempo, cioé in tre o quattro giorni al più, nasce un piccolo vermicciuolo o tarlo, il quale da principio va rodendo appoco appoco secondo le piccole sue forze e secondo il suo bisogno, che sempre colle forze gli va crescendo; e col rodere si fa larghe e profonde aperture nel legname. Ogni due mesi in circa, e particolarmente la state, suol gettar la spoglia, e continuando a rodere va sempre crescendo la mole del suo corpo finché arrivi ad un anno e qualche volta a due e talvolta a tre anni interi, come pure fino a questo tempo ne ha conservati vivi più d’uno la diligenza premurosa del Sig. Diacinto Cestoni. Ma contuttociò, secondo il solito, si suol misurare il suo tempo più lungo o più breve dal legno più duro o men duro che il tarlo deve consumare, mentreché subito che egli sia arrivato alla sua naturale e conveniente grandezza si trasforma in crisalide, e stando immobile in questa figura intorno a venti giorni, finalmente di nuovo si spoglia, ed uscendo dalle spoglie si fa vedere alato, come sta nell’accennata Fig. VI.
Nella Fig. VII è delineato il verme o tarlo che poi si trasforma in scarafaggio pillulario ed in scarafaggio stercorario, siccome nella Fig. VIII è rappresentato esso scarafaggio stercorario, e nella Fig. IX lo scarafaggio pillulario.
Moltissime sono le razze degli altri tarli che stanno ne’ legni, nelle radiche ed in altre simili cose. E tutti, come i sopraddetti, diventano a suo tempo scarafaggi volanti. Tra questi ho trovato vero quello che l’anno passato V. S. Illustris. mi disse di essersi certificata che in capo a un anno diventano ancor essi scarafaggi volanti quei bachi grandi, rossi e pelosi, che si trovano talvolta rodere sotterra le barbe delle bietole rosse e di capi d’aglio, de’ quali bachi ella fece menzione nel suo Libro della generazione degl’insetti. E che si cangiano altresì in scarafaggi quei vermi che si trovano nelle nocciuole fresche, mentre che elle stanno sull’albero, o che di poco sono state colte dall’albero e non ancora sgusciate, del che ella non si era ancora certificata quando stampò il suddetto Libro della generazione degl’insetti. Il verme suddetto è figurato al num. 10 e lo scarafaggio al num. 11 ed al num. 12. Ho detto que’ vermi che si trovano nelle nocciuole fresche non per ancora sgusciate, perché i vermi che nascono nelle nocciuole secche, nelle mandorle, ne’ pinocchi, ne’ semi di popone, di cocomero, di zucca e d’altri simili semi oleaginosi, sono vermi d’un’altra razza, cioè della razza de’ bruchi e de’ vermi da seta. Imperocché certe piccole farfallette depositano in quei semi oleaginosi le loro uova; dall’uova nascono i bruchi, i quali al tempo determinato se ne fuggon via e, se non possono fuggirsene, fanno quivi il loro piccolo bozzoletto di seta. E se possono fuggirsene vanno a nascondersi come e dove a loro insegna la naturale inclinazione, e quivi pure si fabbricano i bozzoli, da’ quali in due e talvolta tre settimane scappan fuora le minute farfallette che tornano a depositare le nuove loro uova su quei mentovati frutti oleaginosi. E rinnuovano la generazione due ed anco tre volte l’anno, secondo le stagioni che corrono. E da queste bestiuole avviene che le frutte oleaginose si guastino e tarlino; e non perché elle sieno invecchiate, come il volgo si crede. Io ho potuto conservarle molti anni sane e salve ne’ vasi di vetro e di terra ben serrati, senza che mai mai vi sieno intarlate, se ve le ho riposte subito che sono state cavate dal guscio. E lo stesso è avvenuto al Sig. Diacinto Cestoni, il quale di più, col tener la sciarappa ben custodita e serrata, l’ha mantenuta senza verun pericolo di tarli per dieci e per dodici anni. E non solamente ha conservata la sciarappa, ma ancora altre droghe, come il mecioacan, la cina, il rabarbero, il rapontico, gli emiodattili, e tutte l’altre cose che nelle spezierie si adoperano e che sono suggette all’intarlatura. Ma i tarli delle droghe non sono della razza de’ vermi che guastano i frutti oleaginosi, ma sono della razza degli scarafaggi, differenti però nella grandezza e nella figura.
Egli è però vero che le droghe portateci da paesi lontani si rendono molto difficoltose a poterle mantenere, per aver passato lungo tempo nel viaggio senza le dovute diligenze: né si può aver sicurezza alcuna che in esse non sieno di già state depositate l’uova de’ tarli. Onde a volersene certificare vi si ricerca un anno; e se in quest’anno, mentre la droga sia stata ben serrata, non ne nasce alcuno animaletto volante, allora vi è certezza più che certa che ella non tarderà mai, purché si vada proseguendo la diligenza nel custodirla. Quello che dico delle droghe, lo dico altresì de’ canditi, i quali, se non sieno tenuti in buona custodia, vengono guasti non solamente da alcuni tarli, che si trasformano poi in quegli scarafaggi, de’ quali mostrò ella, o Sig. Redi, la figura nel suo Libro della generazione degl’insetti alla Tav.XVII, ma ancora da certi altri minutissimi bacherelli che nascono ancora nel formaggio, come appresso dirò.
De’ vermi che nascono nel formaggio fresco, e come vi nascano ed in quali animalucci o moscherini volanti si trasformino, ne ha V. S., o Sig. Francesco, veridicamente parlato nel suddetto suo Libro della generazione degl’insetti. Ma ella sa che alcuni anni sono insieme col Sig. Diacinto Cestoni, mentre la corte era quivi in Livorno, ne osservammo più volte nel formaggio secco un’altra razza differente da’ mentovati; e di questa razza se ne vede la figura al num. 13 ed al num. 14, siccome al num. 15 quella dell’uovo de’ medesimi bachi, i quali gli ho rappresentati come gli ho potuti vedere co’ microscopi che presentemente mi trovo, ed anco un poco ingranditi. La loro figura è un pochetto differente da quella che l’anno prossimo passato ha data fuora in Roma il Sig. Tortoni per osservazione del Sig. Giuseppe Teutonico, ma il mio povero microscopio non mi mostra altramente.
In vero non si può dìstinguere questo minuissimo insetto per la sua somma piccolezza se non col benefizio del microscopio, ed i miei non me lo mostrano se non della grandezza di una lente o poco più. Egli è bianco, diafano e quasi tondeggiante. Ha otto piedi ed il suo capo è aguzzo. Curiosi da vedersi in lui sono alcuni, per così dire, radi e lunghi pungiglioni, de’ quali tien guarnito il dorso a foggia d’un’istrice. Questi pungiglioni si sollevano da esso dorso ben dritti e intirizzati, mantenendosi sempre ugualmente distanti come per guardia dell’animale; e per quanto ho veduto posso credere che non si abbassino mai, come sogliono abbassarsi i peli degli altri animali pelosi. Non vi è dunque alcuno che coll’occhio nudo possa distinguer bene queste bestiuole per animalo viventi, ancorché si trovino in tanto e così gran numero nel formaggio vecchio,
Che meglio conterei ciascuna foglia
Quando l’autunno gli arbori ne spoglia
.
Ed in esso formaggio rodendo e mangiando fanno talvolta le buche così grandi che se ne potrebbe cavar un’oncia di essi tarli, che arriverebbono al numero di molti milioni. Questi tarli non istanno solamente nel formaggio, ma ancora sopra tutte le frutte dolci e seccate, come fichi, zibibo, uve passe, susine, mandorle, pinocchi, semi di popone mondi, riso ed altre cose di simil genere, infettando ancora i canditi, le conserve, i cotognati, i lattuari e tutte l’altre congetture degli speziali che, se non sono bere tenute serrate e e ben costudite e bene spesso riviste, servono a’ tripudi e gavazzarnenti di queste bestiolucciacce invisibili che si annidano quasi sopra tutto il commestibile.
I caciaiuoli questa così gran quantità di animalucciacci, non ne sapendo altro, la chiamano la polvere del formaggio, e veramente credono che sia polvere. Ed è, o Sig.Redi, cosa degna di riflessione che a queste bestiuole non solo non è punto nocivo il sommo caldo della state, ma né meno la più rigorosa freddura della vernata; e sempre in tutte le stagioni tirano avanti francamente il lor vivere e la loro infinita moltiplicazione. E moltiplicano col solito natural modo col quale moltiplicano tutti quanti gli altri animali, cioè coll’unirsi i maschi alle femmine, e per questa unione gallate l’uova, e poscia lasciate dalle femmine in ogni luogo a benefizio di natura, da quell’uova ne nascono i piccoli animalucci di quella stessa figura che conservano tutto il tempo della lor vita; perché questi del formaggio secco non si trasmutano mai in animali volanti. E quell’uova sono così minute che col microscopio stesso non è così facile il ravvisarle subito. Elle sono però bianche e diafane come le madri, e della figura sopraccennata al num. 15. Ma ne parlerò più distesamente a suo tempo quando darò alle stampe tutto il da me osservato intorno agl’insetti, camminando per quella strada che da V. S. Illustriss. fu negli anni passati aperta e spianata con tanta sua gloria. E non solamente favellerò degl’insetti terrestri, ma ancora di alcuni di quegli di mare, e particolarmente di quelle brume da lei mentovate nel suo Libro degli animali viventi che si trovano negli animali viventi, che sono tarli esterni de’ navigli; e parlerò ancora de’ dattili, che son tarli de’ sassi marini e degli scogli, e spero di poter mostrare evidentemente che questi ed altri simili animaletti appellati zoofiti o piantanimali ànno per multiplicarsi una loro particolare generazione di semenza simile a quella delle piante, nelle quali non vi è necessaria distinzione, ovvero unione di maschio e di femmina. E qui supplicando V. S. Illustriss. a gradire il buon desiderio che ho di scoprire qualche verità, le faccio insieme col Sig. Diacinto Cestoni divotissima riverenza.
Di Vostra Illustrissima
Livorno, 18 luglio 1687
Divotissimo servitore Gio. Cosimo Bonomo


























GIACINTO [DIACINTO] CESTONI: (M. Giorgio 1637 - Livorno 1718), Naturalista. Iniziò la professione di farmacista a Roma e quindi a Livorno. Dopo un breve viaggio in Francia e in Svizzera, tornò a Livorno ove rimase come titolare della " Spezieria di Via Della Greca" fino alla sua morte. Molto stimato e ben voluto dai cittadini, la sua spezieria divenne ritrovo di dotti e fu frequentata anche dal Granduca di Toscana Ferdinando II. Nel 1687 insieme con il livornese Giovanni Cosimo Bonomo studiò la scabbia e affermò essere l'acaro la vera ragion della malattia, aprendo cosi la strada agli studi sull'origine parassitaria delle malattie contagiose. Tenne corrispondenza col Redi, Malpighi, Vallisneri, con i quali scambio idee ed esperienze. Tra i suoi studi ricordiamo quelli farmacologici sulla china e sulla salsapariglia, e quelli per affermare l'animalità del corallo.


























GIOVANNI COSIMO BONOMO (Livorno 1663 - Firenze 1696). Allievo di Giovanni Maria Lancisi a Roma e poi di Francesco Redi, il quale lo propose, nel 1691, per l'incarico di medico di Anna Maria de' Medici alla corte di Neuburg. Insieme a Cestoni e Redi, il medico livornese comprese l'eziologia acarica e contagiosa della scabbia e la descrisse nell'opera Osservazioni intorno a' pellicelli del corpo umano, pubblicata a suo nome nel 1687. Difese le nuove acquisizioni mediche e terapeutiche contenute nel suo scritto contro coloro, tra i quali lo stesso Lancisi, che si richiamavano alla medicina galenica e all'autorità aristotelica.


























FRANCESCO REDI (con cui A. Aprosio ebbe, ma senza grandi frutti, una certa CORRISPONDENZA EPISTOLARE) nasce il 18 febbraio 1626 ad Arezzo, primogenito di otto figli, di cui 5 femmine, che prenderanno tutte i voti, da Gregorio e Cecilia dei Ghinci; dopo aver fatto i suoi primi studi a Firenze, si laurea a Pisa in Filosofia e Medicina nel 1647. Dal 1650 al '54 è a Roma, ospite del Cardinal Colonna, dove continua gli studi e stringe amicizia con molti letterati e uomini di scienza dell'epoca, facilitato anche dal suo carattere socievole, gioviale e pronto nell'aiutare gli amici. Tornato a Firenze, viene accolto al servizio dei Medici, coi quali sembra essere stato uno dei promotori dell'Accademia del Cimento, di cui fu comunque uno dei primi e più brillanti membri, e comincia a studiare le più importanti lingue europee (francese, tedesco, inglese e spagnolo) che riuscirà a possedere abbastanza bene; successivamente intraprende a studiare perfino l'arabo e il greco, di cui si accinge perfino a scrivere un vocabolario, che non è stato mai pubblicato; l'amore per le lingue lo aiuterà nella sua opera di compilatore del Vocabolario della Crusca, opera condotta insieme ad altri Accademici e che verrà pubblicata nel 1691. Nel 1655, il 23 dicembre, come ebbe a scrivere lo stesso Redi in una lettera inviata all'amico Egidio Menagio nel 1678, fu nominato Accademico della Crusca, anche se non aveva ancora scritto né pubblicato niente, e quindi non poteva avere una fama di Letterato tale che potesse permettergli la nomina stessa; ma sicuramente molto gli giovò il fatto che fosse figlio del Primo medico del Granduca Ferdinando II, gli studi condotti e superati brillantemente a Pisa e una certa notorietà acquisita come erudito presso celebri Letterati e uomini di scienza, che in quegli anni aveva conosciuto sia a Roma che a Firenze. Tre anni più tardi, nel '58, fu incaricato insieme ad altri della correzione e dell'ampliamento delle voci del Vocabolario della Crusca, facendosi fautore di una lingua viva, lontana da ogni pedanteria, tutta basata sulle cose e sull'osservazione dei fenomeni linguistici operata con razionalità. Il Redi si mostrò favorevole all'accettazione non solo delle parole usate dai grandi scrittori del Trecento, ma anche di quelle consacrate dalla pratica quotidiana della lingua parlata dagli eruditi e dai cortigiani raffinati, anche se talvolta, per confermare l'uso di certi vocaboli, nei suoi lavori di compilazione del Vocabolario inventava addirittura degli autori, che affermava di possedere manoscritti nella sua ricca biblioteca, da cui riprendeva degli esempi calzanti o, nella migliore delle ipotesi, riportava a memoria brani di autori conosciuti, quindi in maniera del tutto personale, in modo che confermassero le sue idee: questo suo modo di procedere verrà messo in evidenza due secoli dopo da uno studioso della stessa Accademia. Questo incarico venne portato avanti in modo più vivo e impegnato dal momento in cui fu nominato Arciconsolo dell'Accademia, il 27 giugno 1678, succedendo a un illustre personaggio, l'amico Vincenzo da Filicaia, che verrà nominato anche nel Ditirambo; manterrà l'Arciconsolato fino al 1690, quando gli subentrerà il Gentiluomo fiorentino Manfredi Macigni. Il suo impegno come Accademico della Crusca e l'amicizia col Granduca, determinata anche dal fatto, come abbiamo detto, che suo padre era Primo medico della corte medicea, gli permisero di partecipare, nel '57, alla fondazione dell'Accademia del Cimento, della quale fu uno dei rappresentanti più attivi: comincia così quella sua attività di ricercatore più o meno scientifico che lo porta al possesso non solo di una vasta e solida cultura medica per quei tempi notevole, ma anche ad affermare un principio che sempre avrà presente nella sua produzione, anche poetica: quello di attenersi ai fatti e alla realtà, di sperimentare le verità e le affermazioni anche in prima persona, come farà con il veleno delle vipere, ingerito per dimostrare che questo diventa praticamente innocuo se bevuto ma è mortale se iniettato nel sangue. Come Accademico del Cimento scriverà la maggior parte delle sue opere scientifiche e delle sue lettere che avranno come argomento osservazioni naturalistiche ed esperimenti vari di anatomia. Nel 1663 viene nominato Lettore di Lingua Toscana dello Studio Fiorentino, ed ha come discepoli personaggi che assumeranno un posto di notevole importanza nel campo letterario verso la fine del secolo, tra i quali i più importanti furono il Filicaia, il Menzini ed il Salvini. Del 1664 è la sua prima opera, un opuscolo di storia naturale, le Osservazioni intorno alle vipere, con la quale egli afferma una posizione di raggiunto prestigio non solo come medico e ricercatore scientifico, ma anche presso la corte granducale, tanto che tre anni più tardi, nel 1666, gli viene affidato l'incarico di sovrintendente della Fonderia e della Spezieria, e soprattutto di Archiatro, cioè Primo medico, da Ferdinando II, succedendo in pratica al padre che aveva mantenuto questa carica per molti anni, un incarico che continuerà a mantenere anche sotto il successore Cosimo III, divenuto Granduca di Toscana alla morte del padre nel 1670. I suoi scritti nascono, secondo alcuni critici, da osservazioni occasionali, non in un preordinato campo di ricerca; il Redi mette comunque da parte superstizioni e dicerie e porta il suo lavoro sul piano della sperimentazione razionale e sensista, scindendo, per quanto possibil,e la scienza dalla morale cattolica e dai princìpi religiosi, spesso legati a una lettura acritica della Bibbia e che talvolta non tenevano conto dell'evoluzione lenta e faticosa della ricerca scientifica; anzi princìpi religiosi e morale cattolica spesso si mettono in violento contrasto con la scienza, basti pensare alla vicenda emblematica di Galileo, della teoria eliocentrica, della distinzione fra sostanza e accidente, ecc. In lui, come nei ricercatori che vivono e operano a cavallo fra il Seicento e il Settecento, non interessano tanto le grandi questioni generali della Fisica o dell'Astronomia, quanto la realtà naturale del microcosmo, delle piccole cose, indagate con senso naturalistico e razionale, non privo di intuizioni geniali, che negli ultimi tempi stanno venendo alla luce grazie agli studi di appassionati studiosi di quella vasta attività di "appunti" che giace per lo più inesplorata. Da questo nascono le sue già citate Osservazioni intorno alle vipere (1664), le Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668), le Esperienze intorno a diverse cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dalle Indie (1671), e infine, solo per citare le più importanti, le Osservazioni intorno agli animali viventi che si trovano negli animali viventi, pubblicate nel 1684. Proprio nel campo della ricerca Redi acquistò una fama che lo rese celebre in Europa. I Principi Mecenati trattavano allo stesso modo scienziati e artisti, letterati e poeti, mettendo a disposizione di tutti larghi mezzi per esprimere al massimo livello la propria personalità sia come elemento per vedersi onorare e soddisfare l'ambizione di essere ricordati dai posteri, sia come semplice e pura liberalità. Nel 1685 pubblica il Bacco in Toscana, la sua opera letteraria più celebre, e viene chiamato a far parte dell'Accademia di Camera di Maria Cristina di Svezia e col nome di Anicio Traustio è tra i primissimi accademici dell'Arcadia, nella quale porta la sua esperienza non solo di letterato, ma anche di ricercatore naturalista, di persona lontana da ogni ampollosità marinista, legata ai fatti e alle espressioni chiare e semplici. Dal 1690 la sua salute comincia a peggiorare, affetto da una malattia che si può approssimativamente identificare con l'epilessia, come afferma il Giacosa. Negli ultimi mesi della sua vita, l'uomo che con tanta sobrietà aveva curato i suoi ammalati con buon senso e realismo, lontano dalle superstizioni e dai consueti farmaci privi di benefici effetti, invocava tutti i giorni Gesù e si mostrava nel privato, perché non osava dichiararlo pubblicamente, fiducioso in pratiche un po' arcane e irrazionali, come quella di farsi ungere di olii di devozione o di credere nel potere di guarigione delle fettuccie che avevano toccato le ossa o la testa di S. Ranieri. Negli ultimi tempi fu, quindi, un po' bigotto, come il Granduca Cosimo III, di cui era il cortigiano affettuoso e il confidente. Nel 1697, mentre si trovava a Pisa insieme alla corte di Cosimo III, la mattina del primo marzo fu trovato morto nel suo letto. Così scrive l'abate Salvino Salvini (Opere di Francesco Redi, vol. I, Milano, Società tipografica de' Classici italiani contrada di Santa Margherita n. 1118, anno 1809, pag. XX e seguenti) nella sua breve biografia di Redi: "In mezzo a queste sue glorie (le opere che letterati e scienziati gli dedicavano, ndr), ad onta di sua piccola complessione debilitata bene spesso dalle malattie, che lo travagliavano, come fu il mal caduco, da lui pazientemente negli ultimi anni di sua vita sofferto, mantenne sempre indefesso l'amore alle Lettere, e l'affezione agli amici, i cui parti d'ingegno volentieri tutto dì ascoltava: e sopra tutto l'assiduo servigio, che egli prestava alla Casa Serenissima di Toscana, colla quale portatosi finalmente a Pisa l'anno 1697. Fu la mattina del dì primo del mese di Marzo dall'Incarnazione del Salvatore trovato nel proprio letto, esser passato, a cagione delle suddette sue indisposizioni, da un breve e placido sonno agli eterni riposi del cielo, dove il suo buon costume, e la sua religiosità ci persuadono, che egli sia andato sicuramente." Il cadavere, imbalsamato nella stessa Pisa, venne trasportato per sua espressa volontà ad Arezzo e tumulato in un ricco mausoleo nella Chiesa di San Francesco fattogli edificare dal nipote Gregorino, anch'egli Accademico della Crusca, erede di tutti i suoi beni e unico familiare cui il celibe Redi fu legato da affetto. Sul sepolcro furono scolpite solamente queste parole: FRANCISCO REDI PATRITIO ARETINO GREGORIUS FRATRIS FILIUS. La 'Casa Serenissima di Toscana' per pubblico decreto "collocò il suo ritratto come suol fare degli illustri suoi cittadini, nel palagio pubblico; imitando in ciò il glorioso esempio di Cosimo III, che non solo in foglio, ma in bronzo lui vivente, fece imprimere in tre artificiose medaglie con ingegnosi rovesci, alludenti alle tre facoltà, che in eccellente grado possedeva di filosofia, Medicina e Poesia. L'Arcadia, di cui fece parte col nome di Anicio Traustio, gli tributò particolari onori; e l'Accademia della Crusca di Firenze il 13 agosto 1699 gli celebrò un particolare onore, con la lettura di numerosi componimenti poetici e un'orazione funebre, che riportiamo in altra parte, scritta e recitata dall'Abate Salvino Salvini, che mise in luce come tutta la vita del Redi fosse stata un "continuo esercizio di letterata amicizia". Note biografiche a cura di Giuseppe Bonghi [testo tratto da NULLUS AMICUS MAGIS LIBER QUAM LIBER = Liber Liber promuove il progetto Manuzio, biblioteca telematica ad accesso gratuito].