cultura barocca
PORTO

PORTO CANALE DEL ROIA

Per Porto canale o portocanale si intende un porto ricavato nell'ultimo tratto di canali navigabili o di fiumi relativamente piccoli ma di discreta portata opportunatamente arginati e scavati e poco influenzati dalla marea tramite banchine costruite lungo le rive e prolungamenti artificiali verso il mare: strutture più utili per l'intensa navigazione commerciale più esposta, per la struttura stessa delle navi da trasporto, all'esigenza di sicuri approdi rispetto alla navigazione delle squadre da guerra, composte di efficienti, veloci e molto più maneggevoli triremi.
Il PORTO CANALE del Roia nell'età di mezzo prese a SOPPIANTARE il PORTO CANALE DEL NERVIA anche se nel corso dei conflitti con Genova ebbe poi a patire vari danni, compresa una semidistruzione con l'affondamento di grosse barche genovesi cariche di pietrame: il tutto onde impedire alla città conquistata di riorganizzare in questo sicuro approdo fluviale una flotta di galee e con queste, come in passato, tenere testa alle preponderanti forze genovesi.
Per far entrare nel PORTO CANALE le navi e quindi metterle al sicuro da fortunali e aggressioni la parte centrale del PONTE su Roia era MOBILE come si vede da più documentazioni: di modo che volta per volta poteva essere spostata onde permettere l'ingresso di navi non ostili.





















La LIGURIA OCCIDENTALE e la tradizione dei FUOCHI (I FALO' DELLE NOTTI SANTE)

L'etnologia e l'antropologia culturale hanno dimostrato quanto sia stretto il legame del folklore del paganesimo e del cristianesimo in rapporto alle celebrazioni della NASCITA DEL PRECURSORE DEL CRISTO, S. GIOVANNI BATTISTA.
Essa chiude il 24 GIUGNO quando, intorno al solstizio d'estate le giornate prendono a diventare più corte e l'anno agricolo giunge alla sua maturazione.
Alla stessa maniera S. GIOVANNI chiude la serie dei profeti dell'antico Testamento.
In ogni parte della Liguria si accendono i FUOCHI (FALO') con lo scopo di tenere lontane quelle forze malefiche che possono danneggiare i raccolti od uccidere il bestiame.
Un particolare provvedimento dei FUOCHI mira a tener lontane le STREGHE cui, fraaltre cattiverie, viene attribuita lafacoltà di creare calamità naturali e comunque rovinare i LAVORI AGRICOLI DEGLI UOMINI (e così oltre ai FUOCHI PURIFICATORI -specificatamente contro STREGHE, SAGANE e MASCHE- la cultura popolare dell'esorcismo suggeriva da tempo immemorabile di appoggiare all'uscio di casa una SCOPA di modo che l'eventuale MALEFICA DONNA fosse condannata a contare e ricontare gli innumerevoli steli di saggina che formavano la scopa stessa).
I FUOCHI DI S. GIOVANNI BATTISTA nella tradizione popolare medievale erano comunque il principale deterrente contro le FORZE DEL MALE.
Secondo l'annalista genovese BARTOLOMEO SCRIVA non mancavano però di conservare l'antichissima componente pagana con cui erano nati, quando cioè, durante il fiorire della ROMANITA', costituivano uno dei momenti fondamentali della PROCESSIONE ALLA DEA CERERE, protettrice dei campi, che cadeva appunto il 24 giugno.
L'annalista genovese scrisse al riguardo:"...i bambini cantano, le vecchie ballano su un piede solo, gli uomini si comportanto come ragazzini e le fanciulle sono audaci nelle danze".
E' facile riscontare nella FESTA DEL BATTISTA un ROVESCIAMENTO CULTUALE della fasta pagana di CERERE.
Le parole dello Scriba sembrano davvero un ammonimento a non eccedere verso ANTICHI USI di modo che, per eccesso, la santa desta del Battista non assuma i connotati dell'orgia pagana o del SABBA.
Nel Ponente ligure la FESTA DEI FALO' DI S.GIOVANNI BATTISTA è, come detto usanza comunissima (si celebra per esempio a TRIORA a fuochi spenti la tradizione di spargerne le ceneri sui campi) ma,una significatica relazione della FESTA DEL BATTISTA è quella che ci descrive in un suo libro non più comune FRA GINEPRO DA POMPEIANA (1903-1962, al secolo Antonio Conio, cappuccino e letterato) attraverso un RACCONTO che merita qui di essere riproposto.
Parimenti diffusa in LIGURA è poi la tradizione dei FUOCHI DEL S. NATALE (in qualche modo pure essi collegati ad una festa pagana, cioè la celebrazione del SOLE INVITTO che cadeva nella romanità il 25 dicembre).
In questo caso però non si trattava tanto di una purificazione contro eventuali malefici ma era piuttosto -sempre nell'ambiente FILOSOFICO E CULTUALE DEL ROVESCIAMENTO DA MONDO PAGANO A MONDO CRISTIANO- l'annuncio al mondo di un'epoca di PORTENTI caratterizzata dallo scorrere in ogni cosa delle straordinarie ENERGIE DELLA VITA NUOVA.
Ancora una volta FRA GINEPRO è il miglior descrittore di questo straordinario evento popolare.
Il suo racconto dei FUOCHI DEL NATALE DI POMPEIANA può infatti venire assunto a simbolo (fatte logicamente le necessarie distinzioni tra luogo e luogo) dell'essenza stessa di questo importante momento di autentica fede popolare.

























Nel mese di dicembre, attorno al Natale, in numerose località liguri si rinnova l'antico rito del CONFUEOGO (CONFUOCO).
Il confeugo ha origine nella Genova del XIV secolo, ma è probabile che il rito fosse molto più antico.
Il confeugo consisteva in sostanza in un momento di incontro tra il popolo e le autorità con scambio di auguri e doni per il nuovo anno, che nel medioevo iniziava il 25 dicembre, con la nascita di Cristo.
Confeugo era il nome attribuito, oltreché alla cerimonia, ad un grande tronco di alloro, coperto di rami e adorno di nastri bianchi e rossi che , forse già dal 1307, gli “abati del popolo”, rappresentanti delle podesterie del Bisagno, del Polcevera e di Voltri portavano in dono al doge.
Ben presto la cerimonia fu riservata al solo abate del Bisagno.
La pratica fu abolita la prima volta nel 1499, sotto la dominazione di Luigi XII di Francia, fu ripristinata nel 1530 e nuovamente soppressa dal senato della Repubblica di Genova il 30 dicembre 1637 perché arreca una grave spesa agli uomini di questa valle, né si effettua senza confusione.
In ogni caso però, l'abate continuò ad andare a palazzo fino all'anno 1796.
L'ultimo confeugo si svolse il 24 dicembre 1796 e l’anno dopo la cerimonia fu definitivamente soppressa dai giacobini.
Dopo 127 anni Genova rispolverò la cerimonia, il 24 dicembre del 1923, e il confeugo si celebrò fino al ’37.
La guerra impose un’altra sospensione al rito che ai giorni attuali ha ripreso vitalità.
Anticamente, la mattina della vigilia di Natale, l'abate si recava in Val Bisagno, in località Albere, dove si trovavano due grandi pietre conficcate nel terreno a poca distanza l’una dall’altra.
L'abate dell'anno precedente prendeva posto su quella situata a monte mentre l’abate entrante saliva sull'altra.
Il primo consegnava all'altro lo stendardo di San Giorgio e gli riferiva petizioni , invocazioni e proteste.
Poi il nuovo abate scendeva a Genova, a piedi o in portantina, seguito dai notabili del suo villaggio e da una coppia di buoi che trainavano un grande tronco adorno di fronde verdi, il confeugo appunto.
Dietro venivano i contadini più benestanti della zona, gli sbandieratori e gli armigeri, questi ultimi sostituiti in tempi relativamente più recenti da venticinque granatieri con la baionetta in canna.
Giunto a Porta Romana e a Porta dell'Arco il corteo riceveva gli onori militari.
A palazzo Ducale l’abate era omaggiato dalla guardia in armi, lasciava il confeugo nel cortile e si presentava al doge salutandolo con le parole di rito: Ben trovòu messé ro duxe (Ben trovato signor doge).
Il doge allora rispondeva: Ben vegnùo messé l'abbòu (Ben venuto signor abate).
L'abate porgeva al doge un mazzo di fiori finti, gli augurava buone feste e faceva rapporto sulla vita della sua vallata.
Il doge lo congedava dopo avergli donato un biglietto da 100 lire del Banco di San Giorgio.
Nottetempo, il doge e i collegi scendevano nel cortile per dar fuoco al tronco d'alloro, quindi aspergevano il confeugo con vino, zucchero e confetti.
Al falò, e al banchetto che seguiva, presenziava anche l'arcivescovo.
La tradizione popolare attribuiva sacralità al tronco bruciato e per questa ragione la gente si accalcava per aggiudicarsene un tizzone che veniva poi conservato scrupolosamente credendolo sacello di poteri taumaturgici e propiziatori.
L’irruenza dei popolani per impossessarsi dei tizzoni arrivò al punto di spingere l’autorità a distribuirli equamente tra i cittadini.
Nel confeugo, al simbolismo solare del falò si associa il significato di rinascita, dove insieme al tronco si bruciava il vecchio anno con tutto i suoi mali e i suoi acciacchi.
Un altro elemento del rito è connesso alla fertilità, rilevabile nello scambio di doni e nella lotta per i tizzoni.
Il confuoco, che si celebrava non solo a Genova, ma anche nelle due riviere e in Corsica, ha analogie strutturali con celebrazioni tradizionali dei Paesi Bassi e della Francia