cultura barocca
MAGNIFICA COMUNITA' DEGLI OTTO LUOGHI

MACCHINE - MACCHINARI - TECNOLOGIA NELL'ANTICHITA' = VEDI QUI INDICE DELLE VOCI

L' Idraulica svolgeva un ruolo importantissimo nella tecnologia industriale romana oltre che per i servizi di igiene pubblica e privata e di pubblica prevenzione contro la calamità istituzionale degli incendi.
Un esempio eclatante in campo industriale, e in un areale nemmeno lontano da Ventimiglia Romana, era dato dall'imponente complesso dei Mulini in sincrono di Arles che erano la struttura portante sia dell'avanzato aziendalismo delle sette corporazioni che dell' attività marinara propria del mercato aperto dell'Impero di Roma: una tecnologia (con straordinarie punte di vertice) che non sarà recuperata dopo il crollo dell'Impero nel contesto della civiltà cristiana medievale ma semmai di un'altra tecnologia destinata a continuare quella romana vale a dire quella degli Arabi e/o dell'Islam: che in molti settori recuperò il patrimonio scientifico greco-romano (al limite fu il sopravvissuto Impero Romano d'Oriente e/o Bisanzio che continuò e perfezionò molte competenze classiche come nel caso della navigazione da guerra, con la realizzazione del fuoco greco e delle macchine da getto, pesanti e individuali, destinate a farne un' arma micidiale)
Presso i Greci ed i Romani, per citare solo alcuni fra i popoli più celebri dell'antichità, la musica aveva un posto di rilievo: nella formazione culturale, in campo religioso, in quello militare per l'accompagnamento degli eserciti, ma soprattutto e nei tempi più tardi a livello di fenomeno artistico e di puro intrattenimento.
La musica romana era organizzata in verità secondo un sistema diatonico e la notazione uisata fu per lungo tempo alfabetica, anche si in ultimo venne introdotta una notazione musicale neumatica.
I Romani erano appassionati di musica e di canto: la loro tecnologia era giunta al punto di produrre strumenti sempre più sofisticati.
Si sa per esempio che nel III sec. esistevano organi a mantice di cui si conserva un esemplare nel museo di Aquincum.
L'alto livello tecnologico è pure attestato da una statuetta conservata nel museo di Cartagine, la quale rappresenta un tipo di organo idraulico dove due recipienti per l'acqua, in comunicazione con le canne, determinavano il movimento dell'aria.
La produzione del suono attraverso strumenti meccanici conobbe comunque un significativo progresso attraverso i secoli sin alla realizzazione di eccellenti organi nel Medioevo (come quelloqui riprodotto, ripreso da una sua antichissima riproduzione oggi conservata al museo Carnevalet di Parigi).
Un problema diverso era la realizzazione di strumenti automatici capaci di generare melodie, in qualche modo incise su vari supporti, e trasmetterle senza alcun concorso umano in determinate occasioni.
La tradizione attribuisce invenzioni sorprendenti di automi meccanici, mossi da varie forme di energia, a partire sin dal 300 ad opera di scienziati Cinesi o per tornare al mondo classico l'erudizione non manca di riconoscere un'invenzione similare al matematico e fisico Apollonio di Perga vissuto fra il III ed il II secolo a. C. A molti studiosi (ed alle opere quasi sempre divulgative -specie sulle scoperte in materia nell'antichità-) in genere sfuggono i nomi prestigiosi di Filone di Bisanzio e soprattutto di Erone di Alessandria. Filone di Bisanzio, ingegnere greco della metà del III sec.a.C, continuò e perfezionò l'opera del fisico e meccanico Ctesibio di Alessandria. Filone infatti, sulla scia degli studi del predecessore, in un celebre trattato di meccanica, verisimilmente in 9 libri (di cui ci son pervenuti solo il IV (sulla costruzione delle catapulte), il quinto (sulla realizzaione di sifoni e di apparecchiature azionate da aria e fluidi: testo giunto per via di una traduzione araba) e parte del VII e dell'VIIII (riguardanti soprattutto l'edificazione di opere di difesa ed offesa negli assedi).
Tuttavia, in Occidente, la realizzazione di automi capaci di svolgere particolari funzioni, non esclusa quella di riprodurre suoni per via di peculiari meccanismi, è da collegare senza ombra di dubbio al grande ingegnere ellenistico del I sec. d.C. Erone di Alessandria che, ispirandosi ai meccanici e fisici che lo precedettero e cui si ispirò apportando però notevoli perfezionamenti alle loro opere, realizzò numerosi apparecchi a pressione, che impiegavano l'energia dell'aria compressa o riscaldata come quella del vapore acqueo o che ancora funzionavano mediante sifoni, valvole, rubinetti, ruote dentate, eliche e cilindri con stantuffi.
Di questi meccanismi fornì una descrizione dettagliata in un'opera di meccanica che restò celebre a lungo sin oltre i tempi del Medio Evo: si tratta degli Spiritali di cui chi scrive conosce una preziosissima edizione a stampa ricca di tavole esplcative risalnte al XVI secolo.
Si tratta del bellissimo volume intitolato Spiritali di Herone alessandrino ridotti in lingua volgar da Alessandro Giorgi..., Urbino, per Bartholomeo e Simone Ragusii fratelli, 1592 (interessantissimo ma meno interessante per il tema della riproduzione automatica del suono, dello stesso autore, è l'opera, parimenti consultata, De gli automati, overo Machine se moventi, libri due, tradotti dal greco da Bernardino Baldi..., Venetia, Girolamo Porro, 1589).
Negli Spiritali Erone di Alessandria propose varie innovazioni tecnologica e d'uso pratico, seppur più adatte all'uso pubblico e del culto: per esempio un suo celebre meccanismo mosso dalla forza idrica permetteva che si aprissero automaticamente le porte di determinati templi.
Ma nel libro la quantità degli apparecchi ideati dallo scienziato alessandrino sono davvero tanti e, fra alcuni di caratteristiche similari, si è voluto riprodurre nell'immagine una tavola del volume stampato nel XVI secolo che riproduce un disegno meccanico di Erone.
Si tratta di un complesso semovente, con funzione ornamentale, per cui la caduta dell'acqua in un contenitore, entro una bacinella popolata di rappresentazioni di graziosi uccelli, faceva in modo da attivare una serie di sifoni e zampogne che regolavano la caduta del liquido sì che potesse attivare un ulteriore meccanismo necessario per far ruotare intorno al proprio asse una finta civetta che dovrebbe risultare attratta dal canto degli uccelli parimenti generato dalle zampogne: la scenografia doveva essere notevole e catturare l'attenzione degli spettatori anche se si trattava di un apparecchio costoso dedito all'uso in case signorili od in sontuose ville.
Tuttavia il principio era interessante ed efficiente: Erone, escludendo cantori e suonatori, ideò delle macchine che, all'esigenza, fossero in grado di produrre, magari in simbiosi, suono e movimento, sì che a livello di principio si può parlare nel suo caso della prima esperimentazione su una sorta di tetrini meccanici capaci di offrire nello stesso tempo il movimento della scena e l'accompagnamento della stessa con una melodia, in genere riproducente fenomeni graziosi della natura, che può ritenersi la prima forma di suono sciente "imprigionato" e liberato in funzione di un comando tecnologico e non di una prestazione d'opera d'un artista prezzolato.
Si tratta di oggetti sperimentali ma straordinari nell'ideazione che li governava: essi davvero costituivano la vera forma di un modo per generare un suono melodioso di cui, entro l'apparecchio, era conservato il meccanismo che ne regolava i tempi e le forme di diffusione e di amplificazione.
A conclusione di queste divagazioni erudite si può affermare che mentre la musica e la canzone hanno una storia antichissima sotto il profilo culturale, al contrario è sostanzialmente molto recente la tecnologia che ne ha supportato la riproduzione al di fuori di esperimenti singolari ed eccezionali oltre che dei processi dell'immediata e momentanea esecuzione.
Il poeta latino Ovidio, quando nelle Metamorfosi (o "Trasformazioni", III, 341-401) narrò la vicenda struggente della Ninfa Eco, si era dovuto servire di tutte le sue conoscenze di assiduo e competente frequentatore di teatri, sale di audizione, concerti alla moda: non si può peraltro ignorare che Ovidio visse in uno dei momenti più iridescenti della civiltà romana, al tempo in cui si stava sviluppando una tecnologia altamente sofisticata atta ad integrare e potenziare quanto si stava realizzando sia a livello pratico sia nel campo del puro divertimento (non moltissimi decenni dopo la sua morte, la macchinosa ed efficiente sontuosità del "Colosseo", l'"Anfiteatro Flavio" un colosso da 80.000 posti comodi a sedere, avrebbe dimostrato quanto potesse l'energia applicata ad utili meccanismi onde migliorare la fruizione degli spettacoli. E peraltro esisteva sempre l'incredibile modello dell'antico teatro greco di Epidauro dalla straordinaria acustica resa possibile da una complessa ramificazione di condotti e di amplificatori che -dipartendosi da uno spazio cavo sottostante al palcoscenico- permettevano agli spettatori delle ultime file di udire perfettamente le parole pronunciate sulla scena dagli attori).
La "favola" delle "Metamorfosi" finiva quindi per coniugarsi gradevolmente col discorso sulla trasmissione del suono, non solo per via naturale come "eco" ma qual processo orchestrato dall'uomo tecnologico: una favola quindi che nasconde nelle sue pieghe nostalgiche e delicate una massa di nozioni variamente elaborate sulla trasmissione e non dispersione dei suoni variamente prodotti.
Secondo la narrazione ovidiana la grande dea Era, irritata dai pettegolezzi della Ninfa ciarliera che le impedivano di scoprire gli amori furtivi di Zeus suo sposo e massima divinità greca, avrebbe tolto a questa la possibilità di parlare autonomamente, limitandola a poter ripetere solo i suoni terminali delle voci che sentiva.
In seguito la bella Ninfa, innamoratasi senza speranza del giovane Narciso, prese a sfibrarsi nel dolore fino a ridursi a pura voce mentre le sue ossa andavano trasformandosi in pietra.
Una versione diversa del mito narrava invece che tale Ninfa, dedita alla musica ed al canto, avrebbe avrebbe rifiutato l'amore del dio Pan che, per vendetta, l'avrebbe fatta assassinare dai suoi fedeli, i pastori, che ne dispersero i miseri resti per boschi e monti, così che di lei, per incanto, sopravvisse solo la lamentosa voce.
Per gli antichi le risonanze acustiche finirono così con l'essere l'ultima parvenza terrena di una Ninfa che aveva conferito il suo nome, appunto quello di "eco", ad un fenomeno puramente naturale.
Certo si comprende che il colto ed erudito Ovidio si era sforzato di tradurre in patetica fiaba intuizioni e conoscenze che gli uomini della sua epoca possedevano già da parecchio tempo: fece ciò per gusto di poesia, per amore dell'eccezionale e dello stravagante ma egli comunque ben sapeva la sostanza dei fatti!
La prima idea del principio fisico legato alla percezione dell'eco in effetti l'aveva già elaborata Aristotele "il gran filosofo".
Egli non solo era riuscito ad intuire la funzione dell'aria, quale veicolo di diffusione dei suoni ma aveva anche compreso che l'eco era dovuto al processo di riflessione su un corpo rigido, continuo, pur se non era sempre percepibile (De Anima).
Prima di Ovidio il filosofo epicureo ed atomista Lucrezio aveva peraltro scritto:"...agevolmente potrai sapere per qual motivo i sassi ti riflettano per ordine l'intera forma delle parole...ed una sola tua voce potrai udire per sei o sette volte riflessa di collina in collina" ("De Rerum Natura", IV).
Ovidio era al corrente di tali notazioni scientifiche eppure elaborò un mito sulla ripetitività, pur casuale e rudimentale, di canto e musica: gli era parso un sogno poter conservare oltre il tempo dell'esecuzione momentanea i pregi musicali e trasformò in un mito, quindi nell'unica fantastica possibilità, l'idea di registrare la precarietà dell'arte musicale.
La sua raffinatezza, il suo spirito sofisticato avrebbero certo ambito ad imprigionare canti e musiche eccellenti: ma dovette accontentarsi delle illusioni senza poter pensare che, in tempi ancora molto lontani, tutto ciò sarebbe diventato una realtà.
Del resto, come si è già accennato, la scienza architettonica romana si curava soprattutto dell'eco e della qualità acustica dei teatri.
L'architetto romano Vitruvio, nel V libro del De Architectura, studiò soprattutto le conseguenze negative dell'eco sull'acustica dei teatri, riassumendole nel principio improprio di "risonanza", contrapponendole quello di "consonanza", che oggi definiremmo di "riverbazione", quale fenomeno per cui la "voce rinforzata acquista superiore pienezza e giunge all'orecchio con accento più chiaro ed eloquente".
I macchinari dei teatri greci e romani rispondevano quindi a programmi legati al conseguimento di un'acustica sempre migliore: Ovidio tuttavia, pur in forma solo poetica, aveva fatto vaghissimo cennop all'esigenza umana di poter risentire la propria voce e la propria musica: la sua fu per certi aspetti una notazione affascinante e curiosa, simbolo di un'aspirazione allora impossibile ma auspicata, seppur in modo empirico e fantasioso.
Il problema del suono -ed anche su ciò si è fatto qualche cenno- continuò a tenere banco durante il Medioevo, ma senza che si andasse olttre alcune considerazioni teoriche.
Sull'argomento acquisì meriti particolari il filosofo Roberto Grossatesta che, grazie anche al contributo dei pensatori arabi ottimi interpreti della grande scienza greca, cercò di sviluppare una concezione correttamente geometrica sulla propagazione delle onde sonore.
Nel suo commento ad un'opera di Aristotele egli scrisse:"...quando un corpo sonoro viene colpito e vibra, nell'aria contigua devono verificarsi una vibrazione ed un movimento analoghi, e questa generazione si propaga in linea retta in tutte le direzioni...le particelle dell'aria, dilatandosi ed urtando contro l'ostacolo devono espandersi nella direzione opposta, e così questa ripercussione è il suono che ritorna e dà l'eco..".
Gli studi sul suono e i suoi misteri di propagazione si intensificano solo col metodo sperimentale del XVII secolo ed in particolare grazie alle ricerche del dotto frate Marin Marsenne.
A proposito del discorso mitico, di imprigionare la musica, è però da menzionare una figura particolare di pensatore e scienziato non sempre fortunato nella ricerca pratica ma comunque capace di sviluppare intuizioni acute.
Si tratta di Athanasius Kircher, professore di matematica nel collegio gesuita di Roma, celebre oggi per un suo lavoro enigmatico e fantastico, il Mundus Subterraneus, dove aveva elaborato ed esposto le più incredibili teorie sull'inafferrabile realtà dell'universo conosciuto.
In un'altra voluminosa opera del 1673, Phonurgia Nova, il Kircher lasciò una serie di progetti acustici in cui l'effetto di focalizzazione del suono venne acutamente indagato nel tentativo di giustificare razionalmente il fenomeno in esame e nella prospettiva, non peregrina, di controllarlo ed elaborarlo meccanicamente.
La fiaba ovidiana veniva così ricondotta entro schemi razionali, tanto che lo scienziato cercò di giustificare, con qualche ragione, che il celebre "Orecchio di Dioniso a Siracusa" non fosse stata una casualità naturale ma una pur elementare tecnica artificiale onde condurre al tiranno, per quanto sommesse, dei suoi schiavi imprigionati. Kircher non fu quasi mai creduto, a parte le simpatie dell'accademico bolognese Ovidio Montalbani e dell'erudito intemelio Angelico Aprosio come si ricava dalle lettere di questi stravaganti studiosi.
Kircher, a prescindere dalla sua eccessiva fantasia, aveva espresso opinioni giuste: il suono poteva essere trasmesso per fini pratici e un giorno qualcuno l'avrebbe finalmente imprigionato.
Egli amava i "marchingegni impossibili" e pensò ad un'eco che non si disperdesse, ad un canto che si conservasse, a comunicazioni fra genti lontane nello spazio.
Un po' folle e tanto astruso Kircher, fra varie fantasie, elaborò concetti nuovi che le tecniche del suo tempo non gli avrebbero consentiro di realizzare.
All'interno di esoterismo e cabala, le sue sorprendenti "passioni", egli tuttavia aveva intuito alcune inespresse potenzialità umane ed in particolare quelle di imprigionare i suoni e riprodurli.
Per questo, seppure a livello teorico, lo si può considerare l'ideatore di un sogno concretizzabile.
Sulla scia della rivoluzione industriale e, poi di un progresso tecnico ed artigianale, egli aveva posto le fondamenta di una possibilistica evoluzione.
Nel secolo successivo le "macchine parlanti", sulla scia della crescente perizia artigianale nella confezione di meccanismi per orologi, avrebbero aperto la via a inaspettate soluzioni tecnologiche che, in un irrefrenabile susseguirsi di cambiamenti, si sarebbero evolute ininterrottamente, passando per le importanti acquisizioni ottocentesche, sin ancora all'incredibile sviluppo della moderna robotica.
l massimo della sofisticazione fu raggiunta nei primi anni del XIX secolo; a partire da allora i sistemi di riproduzione meccanica si moltiplicarono ed ebbero una discreta diffusione. Ogni periodo, comunque, ha avuto le sue geniali realizzazioni che applicavano, di volta in volta, la tecnologia disponibile dell'epoca. Con l'avvento dette macchine parlanti queste piccole meraviglie furono dimenticate motto presto e praticamente scomparvero dalla circolazione. Oggi una esigua schiera di appassionati collezionisti ne ha salvato una parte di esse e grazie a ciò possiamo ricostruire la storia evolutiva di questi congegni. Il reperimento delle testimonianze comporta notevoli difficoltà, tanto da far diventare questi oggetti dei veri pezzi unici; un accurato restauro dette scatole parlanti permette di perpetuare ancor oggi, nell'era del "compact disc", la meraviglia che esse suscitavano negli ascoltatori di un tempo.
In relazione alla produzione artigianale ottocentesca si possono elencare apparecchi estremamente sofisticati come per esempio alcuni organi automatici ma, mediamente, lo strumento che meglio si presta alla programmazione preventiva è il pianoforte.
I fori, praticati su un supporto cartaceo a nastro che scorre, mettono in azione alcuni meccanismi che agiscono percuotendo le corde e restituendo un suono che imita quello dell'esecutore, senza pero tenere conto dell'intensità delle note; il risultato è costituito da quelle sonorità piatte ed omogenee che fanno la caratteristica di queste macchine.
Una variante a tali congegni, che normalmente erano contenuti nello stesso pianoforte, ci è data dall'autopiano; quest'automa, infatti, era indipendente dal corpo vero e proprio dello strumento, esso veniva accostato ad un normale pianoforte e con un particolare sistema di martelletti agiva direttamente sulla tastiera.
Il movimento di questa serie di dita artificiali era comandato, in corrispondenza di ogni tasto, dal solito rullo di carta perforata.
Sono poi stati costruiti anche pianoforti che, oltre a suonare perché funzionanti meccanicamente, permettevano di essere usati come normali pianoforti da un eventuale esecutore; questi strumenti musicali quando eseguivano i loro brani, secondo gli ordini della banda perforata, mettevano in movimento il bianco ed il nero della tastiera e sembravano suonati da un invisibile musicista.
Una significativa evoluzione della realizzazione artigianale di strumenti sonori automatici data però della seconda metà del XIX sec. Quando si affermarono gli organetti di Barbera a cilindri dentellati e le "boites a musique" a nastro o a disco perforato, chiamate anche "carillon".
Tra questi tipi di macchine sonore vanno ricordate quelle che anticipavano di circa un secolo l'idea del "juke-box".
Si trattava di grandi congegni che applicavano il sistema dei cilindri chiodati o dei dischi perforati; destinati ai locali pubblici, funzionavano previa introduzione di una moneta e offrivano una ricca varietà di brani, che l'avventore poteva liberamente scogliere.
Naturalmente, pur basandosi sugli stessi principi, questi ultimi erano molto più completi degli organi di Barberia: i grandi "orchestrion" (questo era il loro nome) erano in grado di suonare contemporaneamente gli strumenti musicali più disparati, dall'organo allo xilofono, alla batteria completa di nacchere, piatti e campanelli.
Gli organi di Barberia, denominati anche "pianini", furono inventati intorno al 1700 dal modenese Giovanni Barberi.
Il cuore di questi congegni è un cilindro provvisto di punte metalliche, simili a piccoli chiodi, che agiscono, quando viene messo in rotazione, su piccole leve le quali, a loro volta, provocano la percussione o il pizzico delle corde oppure la chiusura e l'apertura delle canne di organo.
Normalmente ogni cilindro, a seconda delle sue dimensioni, aveva diversi ordini di dentellatura in modo da garantire l'esecuzione di più composizioni musicali. A riprova della diffusione e della fortuna che questi organetti a cilindro ebbero, va ricordato che anche musicisti della taglia di Haydn, Mozart e Salieri composero brani specifici ad essi destinati.
Alcuni pianini erano montati su piccoli carri e venivano trainati a braccia dal loro "impresario" oppure da un cavallo; attraversavano i paesi e le grandi città seguiti da un codazzo di ragazzini vocianti, diffondendo la squillante melodia dei loro strumenti che si sovrapponeva a quei pochi rumori che allora erano presenti nei centri abitati.
La divulgazione della canzone a livello popolare deve moltissimo a loro; infatti il repertorio caratteristico dei pianini ambulanti era basato su melodie di canzoni che il più delle volte erano cantate dallo stesso conduttore del carretto musicale. La città che più di ogni altra contava per le sue strade uno straordinario numero di pianini ambulanti era Napoli: una città la cui solare musicalità e la cui aura di poeticità ebbe da sempre molti cultori, non ultimo l'erudito barocco Angelico Aprosio di Ventimiglia che, senza riuscirvi mai, tanto sognò di visitare la città e vederne il bel fiume Sebeto.
Napoli, negli ultimi anni dell'800, divenne in effetti la capitale ufficiale di questo simpatico strumento.
A Napoli il suonatore di pianino non veniva considerato alla stregua di un semplice mendicante, bensì come un vero e proprio commerciante in quanto cedeva, per un paio di soldi, la partitura (quasi sempre per mandolino) e il testo delle canzoni eseguite dal suo organetto.
In conclusione di questa rapidissima carrellata sulle scatole musicali e necessario ribadire ancora una volta che esse, in nessun caso, furono in grado di riprodurre un suono dal vivo e tanto più la voce umana; erano cioè concepite per sostituire il musicista esecutore e non per registrare l'esecuzione musicale.
Questa fondamentale differenza rende molto discutibile il considerarle, da parte di alcuni, come gli antenati del fonografo.
La geniale invenzione di Thomas Alva Edison costituisce pertanto una pietra miliare, o forse meglio dire, l'inizio della storia delle macchine concepite dall'uomo per conservare nel tempo la memoria delle realizzazioni dell'arte musicale.