CASTELVITTORIO

Ultimo nome (del 1862 in onore di Vittorio Emanuele II di Savoia) del borgo murato di "Castel Dho" o "Doy" detto nel XIII sec. Castrum Dodi dal personale Dodo, di origine germanica, riferito al fondatore od al capo dell'originario presidio militare.

Già castello dei conti intemeli nel 1261 passò sotto Genova e quindi sotto la Podesteria di Triora: la popolazione, fida a Genova, fu esentata da alcuni obblighi fiscali ed il paese prese nome di "Castelfranco" da "franco" cioè "libero" da doveri fiscali. Era difeso da un castello centrale e da mura con 4 torri: fu Sentinella di Genova contro Pigna dopo che questa passò sotto gli Angioini e quindi i Savoia (VIV sec.).

Al pari di Triora il borgo dava degli ottimi combattenti, irregimentati nella condizione di militi villani, saldi combattenti sui cui a lungo la Repubblica fece conto per salvaguardare i suoi confini, come si ricava da relazioni periodiche di magistrati delegati ad ispezionare questo (ed altri) quartieri di disciplinate milizie popolari.
Osservato dalla "Colla" di Pigna ha aspetto di borgo imprendibile sito su uno sperone di calcare marnoso a 420 m. di altezza. Visto da Sud il paese denota la sua conformazione a cuneo, completata da un'asse che risale il colle sino alla diruta chiesetta di S.Lucia. Nel borgo si riconoscono tracce d'architettura difensivo-militare medievale (specie in via Roma, vicolo che collega la zona alta dell'insediamento con piazza XXSettembre (l'antica "piazza pubblica fuori mura") dove si scoprono diversi portali d'ardesia. Qui in antico esisteva una via ad anello su cui si son poi edificate le costruzioni della parte più recente dell'abitato: le case che son state erette in questa area sorgono sui resti di una seconda cinta di mura poi abbattuta per l'ingrandimento della località.

Per individuare il nucleo del borgo originario, di case di pietra senza intonaco e fra loro addossate, è necessario risalire ad un piccolo centro murato poi fasciato da mura seicentesche: è il paraixu, detto in luogo l'astregu derivato forse dal latino astricum, che comprende la piazzetta ai cui margini stavano la casa comunale, la chiesa e le residenze più antiche che son collegate con la piazza tramite vicoli spesso coperti ad arco, in pendenza o fatti di scalinate (nel XVII sec. si entrava nel paese da 4 porte tuttora esistenti nella cinta muraria: bella è quella sita presso la chiesa di S.Caterina che guarda verso Pigna).

Alludendo alla lunga e complessa vicenda delle PARROCCHIALI DI CASTELVITTORIO scrive N.Allaria Olivieri (Castel Vittorio, notizie storiche-religiose-politiche dal 991 al 750, Chieri [s.d.], p.9) "La vecchia chiesa di N. S. DEL NOGARETO MARIA ASSUNTA che dal 955 era stata la PARROCCHIALE di CASTEL DI DHO, non era in posizione logistica di ottimalità; abbandonata e diruta per azioni vandaliche, aveva cessato di funzionare; ritirati nella cerchia di mura fortificate il nucleo castellese allora potè usufruire della piccola chiesetta costruita nel 1330 alla sommità dell'agglomerato sull'area del giardinetto di casa Rebaudi. La chiesa sorse sulle rovine di un oratorio gentilizio della stessa famiglia e venne dedicata a S. STEFANO PROTOMARTIRE.
Nel 1650 si rovinò e sulle sue fondamenta nel 1749 fu costruita la NUOVA CHIESA per opera di Don Giuseppe Rebaudi"

Alle pp.8-18 del citato suo lavoro N. Allaria Olivieri riporta dati e documenti essenziali per intendere i rapporti della popolazione sia con lo Stato genovese che con la Chiesa ligure, stretta collaboratrice dello Stato; lo zelo e la precisione dell'autore fanno pensare che possa esser cosa giusta, onde rendergli merito, piuttosto che far uno scialbo riassunto delle sue ricerche, registrare compiutamente (anche con rispetto delle scelte grafiche) quanto da lui scritto:

" [dall'inoltrato XIV sec.] Le decime e gli emolumenti, una volta dovuti ai capitani e a chi faceva giustizia, restano nella comunità; vengono versati per determinati servigi; una parte di essi vanno al rettore spirituale, il quale vive già in mezzo alla comunità di CastelFranco.
Sono gli stessi consoli a redigerne il minuzioso elenco e, in nome dell'autorità che viene loro dalla "munifica [ma forse è da intendere secondo l'uso "magnifica"] comunità" , a tutelarne l'osservanza scrupolosa.
La considerazione dei "focolari" [nuclei di famiglia], in quel primo tempo, non era certo numerosa; si pensi che quattrocento anni più tardi, per l'esattezza il 30 aprile 1631, Gian Vincenzo Imperiale, commissario delle Armi di Genova, in visita all'avamposto genovese aveva a scrivere: "mi fermai in Castel Franco opposto a Pigna, a frontiera al nostro stato, loco da 200 uomini da combattere... ed io stimo il mantenerlo in questa forma presidiato, custodito da guardie di paesani giacché in questo modo essi conservano la disciplina".
Sebbene ristretti nelle cerchia delle vecchie mura, il tenore dei decreti accennati lasciano credere, che già allora, una parte della comunità, comprendeva uomini sparsi nelle campagne circostanti, rese libere dall'ingerenza di Triora. A questo popolo di contadini e di militari era imposto più che dall'autorità religiosa, dall'autorità della Repubblica un rettore, sacerdote o frate. Da qui l'imposizione da parte dei consoli di una parte delle decime dovute e dei censi.
Le notizie riportate e la costruzione della nuova chiesa per la comunità di CastelFranco chiudono un periodo di circa trecento anni. Non è affatto errato pensare che in detto lasso di tempo in CastelFranco, di volta in volta, si siano avvicendati sacerdoti o frati alla direzione spirituale del popolo.
Erano i tempi di rigurgito religioso; ordini religiosi di stretta osservanza, frati o laici passavano di contrada in contrada e non pochi uomini del luogo preferivano il sacerdozio alle armi...
Lo storiografo di Triora, P. Francesco Ferraironi a suo dire, riconosce come obbligo di detta comunità l'inviare in CastelFranco uno dei qualsiasi frati dai locali conventi. E' dunque certo che dal 1280 in poi vi fu una certa continuità di assistenza religiosa e per conseguenza mai furono tolte le decime a cui la comunità di CastelFranco si era sottoposta.

Allora le decime prendevano svariati nomi: la prediale o del grano, dei capretti, del companatico, di Langano, ecc...
Dal documento:
" Cominciamo l'emolumenti dovuti al rettore protempore dal popolo di CastelFranco abimemoraibile consuetudine e si pratica continuamente come si descrive appresso.

Decima Prediale

Chi semina o fa seminare con bovi sui o partecipi di essi, tanto quelli del luogo di CastelFranco, come forestieri nel territorio di detto luogo tanto in terre proprie, quanto in terre comuni sian tenuti, obbligati, costretti pagare il giorno di San Rocco ogni anno al rettore pro tempore moturali tre di fromento alla misura del moturale che tiene il rettore appresso di sé sigillato col sigillo comune.
Ma quelli che seminano o fanno seminare senza bovi siano tenuti a pagare in detto giorno un moturale e mezzo fromento ad esclusione però della canepa et hortaglie; e chi niente semina, niente paga: chi semina e fa seminare fascicoli è tenuto a pagare la decima di fromento; così è stabilito ogni capo di casa.

Decima dei Capretti

Li signori sindaci pro tempore della presente comunità di CastelFranco sono tenuti ogni anno al tempo di detta decima a consegnare al rettore la 4.a parte delli capretti e agnelli che vi esigono da quelli che sogliono pascere bestiame minuto e da norigo sopra il territorio di CastellFranco; è questo sempre praticato senza contradizione alcuna.

Decima del Companatico

Sono tenuti li signori sindaci pro tempore consegnare al rettore etian pro tempore libre due companatico fresco in tutti li giorni festivi, che saranno nel mese di maggio, senza contradizione alcuna.

Decima di Langano

Ogni anno il giorno di S. Gio Batta a di 24 giugno li signori sindaci della comunità di CastelFranco vendano in pupplica collega la decima di Langano, dove seminano o fanno seminare homini di Triora, con obbligazione che il collettore di detta decima sia tenuto consegnare al rettore la quarta parte di quelle vettovaglie che sogliono esigersi dai debitori di detta decima".

Chi ben osserva, si accorgerà come fossero quantomai onerose dette decime per il popolo non sempre proprietario di terreni e costretto a vivere col solo provento delle terre. Ben presto sorsero contrasti; gli stessi sindaci rifiutarono i loro servizi e la consegna delle decime.
Sorge una vertenza: da un lato il rettore e per lui il senato di Triora, dall'altro i sindaci della comunità a nome del popolo.
Ne è animatore Don Giustino de Beghini, preposito protempore; è un uomo di elevatura intellettuale.
Con lunghissima petizione rivolta ai consoli della comunità in data 1720, a di 30 marzo, il De Beghini rivendica i diritti, immemorabili, del rettore; traccia la storia e ne richiama la ragione.
I consoli a di 30 del mese di aprile, alla ora del mezzogiorno, dalla sede di riunione, rispondono riconoscendo leggi e diritti del Rettore.
Sarà per breve. Lo stesso petizionario dovrà spuntare altre armi in avvenire.
Trent'anni dopo, un certo prete, Nicolò Luppi, annotterà in calce alla risposta dei consoli: "Siamo giunti a tempi, nei quali non solo negano di pagare la decima i contenuti nella controscritta supplica, ma saltano anche la medesima decima la maggior parte, che realmente partecipano ne boi, con dire, in tempo delle raccolte, che non partecipano, conforme è seguito a me in un anno e pochi mesi che mi sono qui trattenuto per non essere a cognizione delle casate del Paese, che però procurino i parroci di star occulti, perchè siamo in tempi di Caino, e sua discendenza".

La decima della "Casa dello Spirito Santo".

Particolare menzione richiede per la sua natura e per la sua origine la decima detta della "Casa".
Col passaggio della Valle ai Doria, nel periodo di lotte di parentela, s'era organizzata una specie di associazione di mutualità detta "Confraternita dello Spirito Santo".
Anche CastelFranco ebbe la sua "Casa". Sono incerte le origini. Il Rossi in "Storia del Marchesato", per sommi capi ne riferisce le formalità; vi dovevano figurare i notabili del luogo e gli uomini del borgo, a cui era fatto obbligo versare contributi sociali in cereali, grano, avena e una certa quantità di vino e castagne in ottobre. La presiedevano i priori e i massari per la custodia del denaro e i magazzinieri per la conservazione dei prodotti. Col denaro si faceva elemosina ai poveri a domicilio; con i prodotti si allestivano banchetti detti "Fraternità".
Documenti da noi ritrovati dimostrano quanto mai incerta fosse la giustizia nella distribuzione dei beni e quali sottrazioni avvenissero in nome di chi fosse più in alto nel borgo di CastelFranco.
Al Rettore si passava annualmente un emolumento quasi a volerlo tacitare e gli si imponevano obblighi d'ufficio, sia di capella che di ministero.
Si legge nel manoscritto: "Ab immemorabili li priori della Casa di Santo Spirito, ogni anno cominciando la vigilia della Pentecoste sono obbligati portare sopra le cancella pani cinque di fromento e una pinta, o sia boccale di vino ad uso del rettore del presente luogo di CastelFranco parimente sono obbligati portare detti pani cinque con boccale di vino sulle cancella della chiesa la prima, seconda e tertia festa di detta solennità et ancora il primo giorno feriale, si che sono in tutto venticinque pani di fromento e cinque di vino.... il rettore in detti tre giorni delle solennità sarà obbligato andare nella casa di S. Spirito a benedire castagne e pane da distribuirsi al popolo terminata la messa grande".
E' indiscusso che questo dare e ricevere trova ostacoli; da parte dei priori si venne meno ai patti del capitolo 5.
L'anno 1650 interviene d'ordine l'autorità pretoria, in favore del rettore di CastelFranco.
Si è di martedì, a di 25 del mese di ottobre; alla presenza del Magnifico Signore "Sanignonus Pretor" "Triore Iudex" di Don Francesco Maria Bodino, rettore, di Giacomo Rebaudi e di Francesco Mauro, sindaci del luogo, stanti e udite le parti contendenti "sub crotis platee colle dicti loci et consules dicere, opponere, et contradicere noluerunt" il pretore conferma "consignari debere annualiter quo descriptum capitolo 5".
I contendenti si placano. Resta loro due mesi prima di adempiere gli obblighi "nisi intra duos menses venturos aliquid in contrarium deluxerint dicti D.D. Sindaci et ni aderit ordo in contrarium Ser.Mi Senatus sive aliorum d.d. superiorum".
Sono testi Pietro Giorgio Fiormaggio e il Signor Reimondo di Giacomo.
Trascorsi i due mesi e non essendo insorte nuove contestazioni copia del decreto venne inviato alla Corte Vescovile di Ventimiglia essendo Vescovo Lorenzo Gavoto.

Diritti dei rettori nella Comunità

Oltre alle decime, sopra descritte, le quali avevano un crisma di autorità, i rettori e prevosti poi, ricevevano aloune particolare elemosini per il servizio prestato al singolo della Comunità.
Di dette elemosini una parte veniva, a libera scelta del rettore, sottratta e devoluta per il decoro del tempio: incenso, banchi, biancheria ecc.
Il susseguirsi di tanti sacerdoti nella cura e la loro encomiabile onestà, in breve temlpo fece sì che la Chiesa [parrocchiale] fosse dotata non solo del necessario, ma di molti oggetti di un enestimabile valore artistico. Fa fede a tale nostra affermazione un minuzioso elenco di beni in data 1513; e ben sarebbe se tanti oggetti fossero pervenuti ai nostri giorni. E' tramite ad un simile elenco che si può stabilire la provenienza e il costo di alcune opere; quadri, crocefisso, lampade, tutt'ora esistenti.
Sebbene l'elemosini fossero libere, per chiarezza e perchè "il fedele non avesse a dire ingiustizia", nella Chiesa, una domenica, vennero stilpulati alcuni Capitoli e sottofirmati dai capi famiglia e dal parroco. Ne è incerta la data; è pur tuttavia certo che il rettore confirmante resse la Comunità fino al 1513.
I Capitoli portano i seguenti titoli: Cap. 6 Li matrimoni; Cap 7 Donne di parti. Cap. 8 Sepultura de li defunti. Cap. 9 Circa li defunti che non si Comunicano.
Stimo di riportarli nella loro integrità per non snervare la meticolosità genovese di quei tempi; anche una sola virgola tralasciata potrebbe uccidere lo spirito che da essi emana.

Capitolo Sesto

"Li sposi sono obbligati il giorno del contrato matrimoniale al Rettore soldi sei, denaro otto monettacorrente, et Chierico denaro otto dare.

Capitolo Settimo

Donne di Parto

"Quando le donne si levano di parto hanno da offerire pani cinque co' un bocale di vino con denari quattro al Rettore, et al chierico una candela con un denaro: (ma per la negligenza dell'illustrissimo mio predecessore è smarrito tale offerta, e solamente pagano al fettore presentemente soldi sei, denari otto monetta corrente).

Capitolo Ottavo

Intorno alla sepoltura di defunti adulti.

"Nella sepoltura di persone adulte tanto homini, come donne, che si comunicano, sono obligati li parenti, o chi ha cura d'essi defonti portare sopra le concella della Parochia o veramente in casa del rettore una minetta di fromento, et offerire a detto rettore una candela con denari sedici, o piu secondo la divotione, e possibilità de parenti di più si fa l'offerta, e l'homini offeriscano pane, quali si contano tre a denaro, e le donne offeriscono candele, e restano al rettore.
Nel giorno della settima chi ha cura del defunto è obligato portare sopra le cancella pani numero sette co' boccale di vino et un moturale farina con alcune grane di sale; di più li parenti offeriscono pane come sopra e le donne candele ad placitum.
Nella trigesima si deve portare sopra le cancella pani cinque di fromento come sopra et un boccale di vino, e le donne solamente offeriscono candele.
Nell'annata si costuma come nella settima, gli homini offeriscano pane et le donne candele e portano sulle cancella pani numero cinque fromento e un boccale o pinta di vino.

Capitolo Nono

Circa li defunti che no' si comunicano.

"Nel giorno della sepoltura de figlioli incapaci di Comunione sono obligati li congionti d'essi portare sopro le cancella della Parrocchia due tasse una di fromento, e l'altra di mistura con alquanti grani di sale, et offerire al Rettore una candela con denari otto, e nell'offerta sei candelle o più secondo la possibilità. Al Chierico che porta la croce sei candele in numero, a quello che porta aspersorio candele quattro, il che si costuma anche nella sepoltura delle persone adulte e così sempre si costuma senza contradizione alcuna da tutti".

Emozioni procura la chiesa benedettina di S. MARIA ASSUNTA già detta di Nostra Signora di Nogareto (del "noceto") eretta presso la fonte terapeutica di LAGO PIGO per eventi giurisdizionali e poi sismico-tellurici rientrata nell'agro pignasco caratterizzandone il sito.