Scritto in un latino rozzo l'EDITTO DI ROTARI (sopra miniatura del manoscritto dell'XI sec. del Codex Legum Longobardorum, custodito nell'Arch. dell'Abbazia di Cava dei Tirreni: il RE ROTARI restò a lungo tra i Longobardi famoso come conquistatore e legislatore)
è suddiviso in due parti: la prima comprende le antiche consuetudini longobarde, la seconda riporta invece le costituzioni introdotte dal re per far fronte alle nuove esigenze del suo popolo. Tali disposizioni sono raccolte in 388 capitoli, ai quali furono aggiunti in seguito i 153 capitoli delle leggi di Liutprando, i 14 capitoli delle leggi di Ratchis e i 22 capitoli delle leggi di Astolfo. I 388 capitoli relativi alle leggi di Rotari sono così suddivisi (dopo un (Prologo): reati politici (1-14), reati contro le persone (15-144 = ma vedi qui i (capitoli dal 15 al 49 ), reati contro le cose (145-152); diritto familiare ed ereditario (153-226 = ma vedi qui i capitoli 172 - 177 - 194 - 204); diritti reali e obbligazioni (227-252: ma vedi qui il capitolo 244); delitti minori (253-358); procedura (359-388: ma vedi qui il capitolo 376 oltre l'Epilogo).
Nella lettura del codice non può non stupire la rarità del ricorso alla pena di morte, comminata agli uomini liberi solo per pochi reati come la lesa maestà o il tradimento. L'unica forma di "pena" prevista per le altre colpe è il guidrigildo ovvero la riparazione, attraverso il pagamento di una somma che variava a seconda della condizione sociale dell'offeso, dei danni materiali e morali inferti con un reato.
La tacitazione della vittima o dei suoi parenti era del resto indispensabile per preservare la comunità dalle vendette private: in più punti dell'Editto risulta evidente l'intento di Rotari di estirpare definitivamente le "faide": ad es. non sembra un caso che l'assalto a mano armata "per vendicare un'offesa" fosse uno dei pochi reati per cui era prevista la pena capitale.
Per quanto riguarda invece l'entità dei guidrigildi, che nell'Editto è espressa in soldi aurei, è necessario tener conto dei documenti che ci consentono di valutare la capacità d'acquisto del soldo.
In tal senso, va segnalato però che le nostre fonti, costituite soprattutto da contratti d'acquisto e da chartae di donazioni, si riferiscono quasi esclusivamente al mondo della pastorizia e dell'agricoltura e alle vendite di schiavi e di cavalli.
Tenuto conto di questi limiti, si può dunque asserire senza scendere nei dettagli che tali valutazioni mettono in risalto, da una parte, il disvalore della terra e della vita umana e, dall'altra, il prezzo assai elevato dei cavalli: si possono citare a titolo d'esempio i documenti dai quali si evince che un oliveto era venduto per 8 soldi, un fanciullo per 12, un cavallo per 25!
In quest'ottica, non sorprende quindi che il legislatore abbia valutato il taglio della coda di un cavallo quanto l'aborto traumatico di una schiava o che il tentato omicidio di un uomo libero equivalesse al prezzo di una schiava "con il proprio bambino".
Tra i singoli aspetti della vita sociale delineati dalle leggi dell'Editto, meritano poi particolare riguardo le donazioni, ivi comprese le manomissioni degli schiavi (molto più rare, a quanto apprendiamo dalle fonti, nel caso degli schiavi dei monasteri e degli altri istituti ecclesiastici che nel caso degli schiavi dei Longobardi!), le credenze dei Longobardi (in alcuni capitoli si parla di streghe divoratrici di uomini e di erbe incantate) e le ingiurie, che, per evitare lo scoppio delle faide, erano punite duramente con un guidrigildo di 12 soldi.
Questo è in sintesi quanto si ricava dallo studio dell'Editto di Rotari. Si fornirebbe tuttavia un quadro incompleto della mentalità giuridica dei Longobardi, se non si desse cenno di due istituti tipicamente germanici: il giuramento e i "giudizi di Dio" (detti anche "ordalie").
Il primo istituto rappresentava in definitiva un tentativo di superamento della faida; i giudizi di Dio consistevano invece in prove -l'immersione dell'accusato nell'acqua fredda (se galleggiava era colpevole), l'estrazione di un oggetto dall'acqua bollente, la passeggiata su vomeri arroventati, l'esposizione del cadavere dell'ucciso (se le ferite riprendevano a sanguinare in presenza dell'imputato, questi era colpevole), la sospensione di un oggetto (la colpevolezza dell'accusato era certa se l'oggetto oscillava verso di lui)- con cui si indagava la volontà divina.
La più cruenta delle ordalie era senza dubbio il duello, ovvero lo scontro in un campus tra due "campiones": in origine tale scontro era soltanto un modo concordato per dirimere una lite; con il tempo esso assunse invece le caratteristiche del giudizio di Dio, nel senso che l'esito dello scontro fu interpretato come un inconfutabile verdetto divino.
Per comprendere tali consuetudini, che preesistevano peraltro alla conversione dei Longobardi al cristianesimo, va considerato che i popoli germanici, incapaci di astrazioni razionali e alieni dalla formale ricerca delle prove, sentivano l'esigenza concreta di ricercare con mezzi magici il responso delle divinità. Le credenze superstiziose dei barbari furono quindi alimentate dalla Chiesa con la sua mitologia dei santi e con la sua certezza nell'intervento divino nelle cose terrene e non si può certo dire che gli uomini di fede abbiano scoraggiato tali pratiche: è noto ad es. che gli abati dei monasteri, nelle controversie con privati e comunità, non esitavano a far duellare i propri campioni i quali, vista la larghezza economica delle abbazie, erano sempre i più forti tra quelli disponibili sul mercato [testo da "Cividaleonline" = documenti in proprio]
[Prologo]
Ego in dei nomine Rotari, vir excellentissimus, et septimo decimum rex gentis langobardorum, anno deo propitiante regni mei octabo, aetatisque tricesimo octabo, indictione secunda, et post adventum in provincia italiae langobardorum, ex quo alboin tunc temporis regem precedentem divina potentia adducti sunt, anno septuagesimo sexto feliciter. Dato ticino in palatio.
Quanta pro subiectorum nostrorum commodo nostrae fuit sollicitudinis cura, et est, subter adnexa tenor declarat; precipue tam propter adsiduas fatigationes pauperum, quam etiam superfluas exactiones ab his qui maiore virtute habentur; quos vim pati cognovimus. Ob hoc considerantes dei omnipotentis gratiam, necessarium esse prospeximus presentem corregere legem, quae priores omnes renovet et emendet, et quod deest adiciat, et quod superfluum est abscidat. In unum previdimus volumine conplectendum, quatinus liceat unicuique salua lege et iustitia quiete vivere, et propter opinionem contra inimicos laborare, seque sousque defendere fines.
Tamen quamquam haec ita se habeant, utilem prospeximus propter futuris temporis memoriam, nomina regum antecessorum nostrorum, ex quo in gente nostra langobardorum reges nominati coeperunt esse, in quantum per antiquos homines didicimus, in hoc membranum adnotari iussimus.
Fuit primus rex Agilmund, ex genere Gugingus.
Secundus Laamisio.
Tertius Leth.
Quartus Kildeoch, filius Leth.
Quintus Godeoch, filius Kildeoch.
Sextus Claffo, filius Godeoch.
Septimus Tato, filius Glaffoni. Tato et Winigis filii Claffoni.
Octabus Wacho, filius Winigis, nepus Tatoni.
Nonus Walthari.
Decimus Audoin, ex genere Gausus.
Undecimus Alboin, filius Audoin, qui exercitum, ut supra, in italia adduxit.
Duodecimus Clep, ex genere Beleos.
Terdiusdecimus Authari, filius Clep.
Quartusdecimus Agilulf, Turingus, ex genere Anawas.
Quintusdecimus Adalwald, filius Agilulf.
Sextusdecimus Hariwald, ex genere Caupus.
Septimusdecimus ego in dei nomine qui supra Rotari rex, filius Nandinig, ex genere Harodos.
Nandinig filius Noctzoni, Noctzo filius Adhamund, Adhamund filius Alaman, Alaman filius Hiltzoni, Hiltzo filius
Wehiloni, Wehilo filius Weoni, Weo filius Fronchononi, Fronchono filius Fachoni, Faccho filius Mammoni, Mammo filius Ustbora.
1. Si quis hominum contra animam regis cogitaverit aut consiliaverit, animae suae incurrat periculum et res eius
infiscentur.
2. Si quis cum rege de morte alterius consiliaverit, aut hominem per ipsius iussionem occiderit, in nullo sit culpabilis, nec ille nec heredes eius quoquo tempore ab illo aut heredes ipsius requisitionem aut molestia patiatur; quia
postquam corda regum in manum dei credimus esse, non est possibile, ut homo possit eduniare, quem rex occidere
iusserit.
3. Si quis foris provincia fugire timtaverit, morti incurrat periculum, et res eius infiscentur.
4. Si quis inimicus intra provincia invitaverit aut introduxerit, animae suae incurrat periculum et res eius infiscentur.
5. Si quis escamaras intra provincia caelaverit aut anonam dederit, animae suae incurrat periculum, aut certe conponat regi solidûs noningentos.
6. Si quis foris in exercitum seditionem levaverit contra ducem suum aut contra eum, qui ordinatus est a rege ad exercitum gubernandi, aut aliquam partem exercetum seduxerit, sanguinis sui incurrat periculum.
7. Si quis contra inimicûs pugnando collegam suum dimiserit aut astalin fecerit, id est si eum diceperit et cum eum non laboraverit, animae suae incurrat periculum.
8. Si quis in consilio vel quolibet conventu scandalum conmiserit, noningentos solidûs sit culpabiles regi.
9. Si quis qualemcumque hominem ad regem incusaverit, quod ad animae perteneat periculum, liceat ei, qui accusatus fuerit, cum sacramentum satisfacere et se eduniare. Et si tales causa emerserit et adest homo in praesenti, qui crimen mittat, liceat eum per camphionem, id est per pugnam, crimen ipsum de super se, si potuerit, eicere. Et si ei provatum fuerit, aut det animam, aut qualiter regi placuerit conponat. Et si provare non potuerit et cognuscitur dolusae adcusassit, tunc ipse, qui accusavit et provare non potuit, wergild suo conponat, medietatem regi, et medietatem cui crimen iniectum fuerit. l0. Si quis homo liber in morte alterius consiliaverit, et ex ipso consilio mortuos non fuerit, tunc ipse consiliator conponat solidus viginti.
10. Si quis homo liber in morte alterius consiliaverit, et ex ipso consilio mortuos non fuerit, tunc ipse consiliator conponat solidûs viginti.
11. De consilio mortis. Si hominis liberi inter se in morte alterius consiliaverint sine regis consilio et ex ipso tractato mortuus non fuerit, conponat unusquisque, ut supra, solidos viginti; et si ex ipso consilio mortuus fuerit, tunc ille, qui homicida est, conponat ipsum mortuum, sicut adpraetiatus fuerit, id est wergild.
12. Si duo aut tres fuerint hominis seu amplius liberi et homicidium penetraverint et voluerint se adunare, ut in unum conponant, sicut adpraetiatum fuerit, sit eis adunandi licentia. Et si aliquis se de ipsis subtraxerit et non potuerit se
pureficare, sicut lex habet, quod nec plaga nec ferita in ipso homine, qui occisus est, non fecissit, tunc sit culpabiles sicut et alius qui eum conposuit. Et si se purificaverit, sit exsolutus a culpa homicidii. Si tamen in consilio fuit, conponat, ut supra, solidos viginti, aut certe a de ipso consilio se purificit, si potuerit.
13. Si quis dominum suum occiderit, ipse occidatur. Si quis ipsum homicidam defensare voluerit, qui dominum suum occiderit, sit culpabilis solidûs noningentos, medietatem regi, medietatem parentibus mortui; et qui illius mortui iniuriam vindicandam denegaverit solacia, si quidem rogatus fuerit, unusquisque conponat solidos quinquagenta,
medietatem regi et medietatem cui solacia denegaverit.
14. De morth. Si quis homicidium in absconse penetraverit in barone libero aut servo vel ancilla, et unus fuerit aut duo tantum, qui ipsum homicidium fecerint, noningentos solidos conponat. Si vero plures fuerint, si ingenuus, qualiter in angargathungi, ipsum homicidium conponat; si servus aut libertus, conponat ipsum, ut adpraetiatus fuerit. Et si expolia de ipso mortuo tulerit, id est plodraub, conponat octugenta solidus.
15. De grabworfin. Si quis sepulturam hominis mortui ruperit et corpus expoliaverit aut foris iactaverit, nongentos
soledos sit culpavelis parentibus sepulti. Et si parentis proximi non fuerint, tunc gastaldius regis aut sculdhais requirat culpa ipsa et ad curte regis exegat.
16. De rairaub. Si quis hominem mortuum in flumine aut foris invenerit aut expoliaverit et celaverit, conponat parentibus mortui solidos octoginta. Et si eum invenerit et expoliaverit et mox vicinibus patefecerit, et cognuscitur quod pro mercedis causa fecit, nam non furtandi animo, reddat spolia, quas super eum invenit, et amplius ei calumnia non generetur.
17. Si quis ex baronibus nostris ad nos voluerit venire, securus veniat, et inlesus ad suos revertatur; nullus de adversarius illi aliquam in itinere iniuria aut molestiam facere presumat. Tantum est, ut ille, qui ad regem venire festinat, honeste veniat et nul lam lesionem aut damnum cuicumque in ipso itenere ad regem veniendum aut redeundum faciat; nam si ficerit, sicut subter in hoc edictum constitutum est, conponat.
18. Si quis ex adversariis manum armatam super quemcumque ad regem venientem iniecerit suam iniuriam aut qualemcumque culpam vindicandam, nonigentos solidûs sit culpabilis, medietatem regi et medietatem cui iniuria inlata fuerit.
19. Si quis pro iniuria sua vindecanda super quemcumque cum mano armata cocurerrit aut exercitum usque ad quattuor homines in vico intraverit, ille prior pro inlecita praesumptione moriatur aut certe conponat solidos noningentos, medietatem regi et medietatem cui iniuria inlata fuerit. Et illi, qui cum ipso fuerint, si liberi sunt, unusquisque octugenta solidûs conponat, medietatem regi et medietatem iniuriam passo, excepto si in ipso vico casas incenderint aut hominem occiserint, secundum qualiter adpreciatum fuerit, ita conponatur illi, cuius casas incensas aut parentes aut servus occisus fuerit.
20. Si quis de exercitales ducem suum contempserit ad iustitiam, vigenti solidos conponat regi et duci suo.
21. Si quis in exercito ambolare contempserit aut in sculca, dit regi et duci suo solidos XX.
22. Si quis de ipso exercito duci suo ad iustitia persequenda denegaverit solatium, unusquisque conponat regi et duci suo solidos vigenti.
23. Si dux exercitalem suum molestaverit iniuste, gastaldius eum solatiet, quousque veritatem suam inveniat, et in praesentiam regis aut certe aput ducem suum eum ad iustitiam perducat.
24. Si quis gastaldius exercitalem suum molestaverit contra rationem, dux eum solaciet, quousque veritatem suam inveniat.
25. Si quis res suas ab alio in exercitu requisiverit, et noluerit illi reddere, tunc ambulit ad ducem; et si dux illi aut
iudex, qui in loco ordinatus est a rege, veritatem aut iustitiam non servaverit, conponat regi et cui causa est solidos viginti causa manente.
26. De wegworin, id est horbitariam. Si quis mulieri libere aut puellae in via se anteposuerit aut aliqua iniuria intulerit, noningentos solidos conponat, medietatem regi et medietatem cui ipsa iniuria inlata fuerit aut mundius de ea pertenuerit.
27. Si quis homini libero viam antesteterit, viginti solidos ei conponat, sic tamen, ut aliquam lesionem in carnem ipsius non faciat; nam si fecirit, et viginti solidos pro eo, quod antestetit, conponat, et plagas aut feritas si ficerit, sicut subter in hoc edictum adnexum est, conponat.
28. Si quis servum alienum aut ancillam seu aldium aut libertum viam antesteterit, viginti solidos domino eius conponat.
29. Si quis messem suam aut pratum seu qualibet clausura vindicanda homini prohibuerit, id est antesteterit ut non ingrediatur, non sit culpabiles sicut ille qui hominem sempleciter viam ambolantem antesteterit, eo quod laborem suum vindicavit.
30. De marhworfin. Si quis hominem liberum de cavallo in terra iactaverit per quolibet ingenio iniquo animo, octuginta solidûs ei conponat; et si aliquam lesionem ei fecerit, sicut in hoc edictum adnexum est, conponat.
31. De walupaus. Si quis homini libero violentia iniuste fecerit, id est walupaus, octugenta solidos ei conponat. Walupaus est, qui se furtim vestimentum alium induerit aut se caput latrocinandi animo aut faciem transfiguraverit.
32. De homine libero, si nocte in curte alterius inventus fuerit et non dans manus ad legandum occidatur, a parentibus non requiratur. Et si manus dederit ad legandum se, et legatus fuerit, dit pro se octuaginta solidos: quia non convenit rationi, ut homo noctis tempore in curtem alienam silentium aut absconse ingrediatur; sed si qualecumque utilitatem habet, antequam ingrediatur, clamit.
33. Si servus in curte aliena noctis tempore inventus fuerit et non dans manus occidatur, non requiratur a domino; et si manus dederit et legatus fuerit, liberet se cum quadragenta solidos.
34. Si quis in curte aliena irato animo sagittaverit aut lancia iactaverit aut de foris sepe alium plagaverit intra curtem, conponat solidos viginti; excepto conpositionis placarum aut feritas, si fecerit: sicut in hoc edictum legitur, persolvat.
35. De scandalum. Si quis in ecclesia scandalum penetraverit, quadragenta solidos ipsius venerabilis loci sit culpavelis, excepto plagas aut feritas, cui fecerit. Et predicti quadragenta solidi per sculdhais aut iudicem, qui in loco ordinatus fuerit, exegantur et in sacro altario ponantur, ubi iniuria facta est.
36. Si quis intra palatium regis, ubi rex praesens est, scandalum penetrare praesumpserit, animae suae incurrat periculum, aut redimat anima sua, si optenere potuerit a rege.
37. Si quis liber homo in eadem civitatem, ubi rex praesens est aut tunc invenitur esse, scandalum penetrare praesumpserit, id est, si incitaverit et non percusserit, sit culpabiles solidos duodicem in palatium regis. Nam si perfecerit et percusserit, sit culpabiles in palatium regis solidos viginti et quattuor; excepto plagas aut feritas, si fecerit, sicut subter adnexum est, conponat.
38. Si servus in eadem civitatem, in qua rex tunc invenitur esse, scandalum incitaverit, sit culpabiles in palatio regis solidos sex. Et si percusserit, sit culpabilis in palatium solidos duodicem; excepto feritas aut conpositiones plagarum, sicut in hoc edictum legitur.
39. Si liber homo in alia civitatem scandalum incitare praesumpserit et non percusserit, sit culpabiles in palatio regis solidos sex. Si autem percusserit aut plagaverit, sit culpabiles in palatium regis solidos duodicem; excepto conpositionem plagarum aut feritas, si fecerit, sicut in hoc edictum legitur, conponat.
40. Si servus in alia civitatem scandalum conmiserit, sit culpabiles in palatium regis solidos tres; si autem plagas aut feritas fecerit, sit culpabiles in palatium regis solidos sex; excepto plagas aut feritas, cui fecerit, conponat.
41. De homine libero battuto. Si quis homine libero insidiatus fuerit cum virtute aut solatio, vedens eum inparatum simpleciter ambolantem aut stantem, subito super eum adveniens, et turpiter eum tenuerit et battuerit sine iussione regis, medietatem pretii ipsius, ac si eum occidissit, ei conponat, eo quod in turpe et in derisiculum ipsius eum male tractavit.
42. De homine libero legato. Si quis hominem liberum legaverit absque iussionem regis sine causa, duas partis praetii ipsius, tamquam si eum occidissit, ei conponat.
43. De ferita aut percussura hominis liberi. Si quis hominem liberum subito surgente rexa percusserit et liborem aut vulnus fecerit, pro una ferita conponat ei solidos tres; si duas fecerit, solidos sex; si tres fecerit, solidos novem; si quattuor fecerit, solidos duodicem; si vero amplius duraverit, feritas non numerentur, et sit sibi contemtus.
44. Si quis alium pugno percusserit, conponat ei solidos tres; si alapas, solid. sex.
45. De feritas et conpositionis plagarum, quae inter hominis liveros eveniunt, per hoc tinorem, sicut subter adnexum est, conponantur, cessantem faida, hoc est inimicitia.
46. Si quis alii plagam in caput fecerit, ut cutica tantum rumpatur, quod capilli cooperiunt, conponat solidos sex; si duas plagas fecerit, conponat solidos duodicem; si usque tres fuerint, conponat solidos decem et octo; si vero amplius fuerint, non numerentur, nisi istas tres conponantur.
47. Si quis alium plagaverit in caput, ut ossa rumpantur, pro uno osso conponat solidos duodicem; si duo fuerint, conponat solidos viginti et quattuor; si tres ossas fuerint, conponat solidos trigenta et sex; si super fuerint, non numerentur. Sic ita, ut unus ossus tales inveniatur, qui ad pedes duodicem supra viam sonum in scutum facere possit, et ipsa mensura de certo pede hominis mediocris mensuretur, nam non ad manum.
48. De oculo evulso. Si quis alii oculum excusserit, pro mortuum adpretietur, qualiter in angargathungi, id est secundum qualitatem personae; et medietas praetii ipsius conponatur ab ipsum, qui oculum excusserit.
49. De naso absciso. Si quis alii nasum absciderit, medietatem pretii ipsius conponat, ut supra.
172. De thinx quod est donatio. Si quis res suas alii thingare voluerit, non absconse, sed ante liberos homines
ipsum gairethinx faciat, quatinus, qui thingat et qui gisel fuerit, liberi sint, ut nulla in posterum oriatur intentio.
175. De launegild. Si quis rem suam cuicumque donaverit et postea, qui donavit, launegild requisiverit, tunc ille, qui accepit, aut heredes eius, si ausus non fuerit iurare, quod conpositum sit, reddat ei ferquido, id est similem, quales in illa diae fuit, quando donatum est; et si iuraverit, sit exsolutus.
177. De homine libero, ut liceat eum migrare. Si quis liber homo, potestatem habeat intra dominium regni nostri cum fara sua megrare ubi voluerit, sic tamen si ei a rege data fuerit licentia, et si aliquas res ei dux aut quicumque liber homo donavit et cum eo noluerit permanere vel cum heredes ipsius: res ad donatorem vel heredes eius re vertantur.
194. Si quis cum ancilla gentile fornicatus fuerit, conponat domino eius solidos viginti; si cum romana ancilla, conponat sold. duodicem.
204. Nulli mulieri liberae sub regni nostri ditionem legis langobardorum viventem liceat in sui potestatem arbitrium,
id est selbmundia, vivere, nisi semper sub potesta tem virorum aut certe regis debeat permanere; nec aliquid de res
mobiles aut inmobiles sine voluntate illius, in cuius mundium fuerit, habeat potestatem donandi aut alienandi.
244. Si quis per murum de castro aut civitate sine noticia iudecis sui exierit foras aut intraverit: si liber est, sit culpabiles in curtem reges solidos vigenti; si autem aldius aut servus fuerit, sit culpabiles sold. decim in curtem reges. Et si furtum fecerit, sicut in hoc edictum legitur, poena furti conponat.
376. Nullus presumat aldiam alienam aut ancillam quasi strigam, quem dicunt mascam, occidere, quod christianis mentibus nullatenus credendum est nec possibilem, ut mulier hominem vivum intrinsecus possit comedere. Si quis
de cetero talem inlecitam et nefandam rem penetrare presumpserit: si aldiam occiderit, conponat pro statum eius
solidos LX, et insuper addat pro culpa solidos centum, medietatem regi et medietatem cuius aldia fuerit. Si autem ancilla fuerit, conponat pro statum eius, ut supra constitutum est, si ministiriales aut rusticana fuerit; et insuper pro culpa solidos LX, medietatem regi et medietatem cuius ancilla fuerit. Si vero iudex huic opus malum penetrare iusserit, ipse de suo proprio pena suprascripta conponat.
[Epilogo]
386. Praesentem vero dispositionis nostrae edictum, quem deo propitio cum summo studio et summis vigilis a celestem faborem praestitis inquirentes et rememorantes antiquas legis patrum nostrorum, quae scriptae non erant, condedimus, et quod pro commune omnium gentis nostrae utilitatibus expediunt, pari consilio parique consensum cum primatos iudices cunctosque felicissimus exercitum nostrum augentes constituimus, in hoc membranum scribere iussimus; pertractantes et sub hoc tamen capitulo reservantes, ut, quod adhuc annuentem divinam clementiam per subtilem inquisitionem de antiquas legis langobardorum, tam per nosmetipsos quam per antiquos homines, memorare potuerimus, in hoc edictum subiungere debeamus; addentes, quin etiam et per gairethinx secundum ritus gentis nostrae confirmantes, ut sit haec lex firma et stabelis, quatinus nostris felicissimis et futuris temporibus firmiter et inviolabiliter ab omnibus nostris subiectis costodiatur.