CHIESA DI S. BERNARDO (tracce di influssi celto-liguri e processi di sovrapposizioni cultuali: dalla VAL NERVIA a NOSTRA SIGNORA DELLE FONTANE a BRIGA)

La chiesetta è il II edificio del Convento di Dolceacqua, probabilmente intitolato nel periodo in cui Bernardo di Chiaravalle operò nell'agro intemelio portando il rigoroso messaggio benedettino cisterciense: ha l'abside a sud verso la chiesa madre mentre la struttura originaria, del XIII sec. e con volta a botte, fu inglobata nel perimetro di un edificio del XVI sec. modificato in epoca barocca (l'interno fu affrescato nel '400 dal padre domenicano Maccari di Pigna). Nell'area son visibili tracce di distinte fasi dell' evoluzione cristiana: in due proprietà furono trovati laterizi romani e frammenti di suppellettili del II sec.(interessante una vasca o pozzo di captazione -Roglio- nei cui pressi si riconobbero segni di visitazione umana datati dal I al IV sec. d. Cristo).

In direzione Nord rispetto a San Bernardo, cui si accede da una strada medievale che supera i resti di un tipo monacense di ingresso (porta, recinto, vestibolo), si giunge ad un sito che suggerisce l'idea di sovrapposizioni culturali e religiose.
Su un'AREA NON ESTESA son state scoperte coppelle votive o più correttamente, al modo sostenuto per comparazione da alcuni studiosi, d' ordine vulviforme (FOTO 1) di ascendenza celto-ligure, monoliti di cui uno a testa apotropaica (FOTO 2), una statua Menhir del tipo culturale a Tete de Scheet, con grandi occhi e naso ma senza bocca (280 cm. di altezza per 45 in massima larghezza: FOTO 3), un monolite lavorato ad ara preromana (cm.72 di base per 128 di superficie: FOTO 4), una pseudostele antropomorfica del tipo femminile a grande ventre ed un supponibile calendario lunare, realizzato con tecnica a picchettatura.

Sulla scia di Proinsias Mac Cana (La religione celtica nella letteratura irlandese e gallese in I Celti, Milano, 1991, p.598) è ipotizzabile che il SITO, non lontano dalla Chiesa di S.Bernardo, volto al sole nascente e carico di spiritualità, rispondesse ai canoni panceltici della Dindshenchas o cognizione dei luoghi: il sito è stato "vittima" del filtro ecclesiastico che ne stravolse le geometrie interrando o riutilizzando i monoliti (si vedono segni cruciformi di riconsacrazione cristiana) ma non sarebbe poi tanto incredibile, seguendo le elaborazioni del Dumezil rivisitate da Mac Cana, che tanta complessità magico-simbolica rientrasse in un meccanismo sacrale di corrispondenze cosmografiche sotto forma di centro sacro simboleggiante l'unità culturale trascendentale.

La COGNIZIONE DEI LUOGHI (FAMOSI) ha a che fare con eziologie varie che influenzano la toponomastica dei siti, di modo che, per es. in Gallia, un repertorio di nomi di divinità era coniugato dai CELTI con cime collinari e montane, radure e coltivi, rocce e guadi, confluenze, fiumi e sorgenti.

La valle del Nervia risponde a tali caratteristiche, senza escludere che essa era, come quella di certi santuari celtici in Gallia ed Irlanda, zona confinaria; nel borgo antico di Dolceacqua (anche prescindendo dai reperti linguistici e dai rinvenimenti archeologici) si sublima la centralità geografica, viaria e culturale del sistema vallivo, sorge su una rocca naturale dai connotati magico-simbolici: a parere di qualche studioso veicolerebbe nel toponimo di TERA una correlazione linguistico-etimologica col culto di TARA divinità celtico-mediterranea mentre per altri il nome del luogo sarebbe derivato ed alterato per apocope dell' esito Tara(nis) che indicherebbe un Dio celeste -forse Giove- associato al tuono -in gallico Taran- il cui simbolo è la ruota (V. KRUTA, La Religione in I Celti...cit., p.500 e 504> , p.11).
Dal Convento verso l'alta valle non mancano correlazioni archeologiche tra ambiente e insediamenti celto-liguri: a CIMA D'AURIN son visibili in massi reimpiegati nelle fortificazioni austro-sarde graffiti da interpretare ma che paion rimandare a qualche scrittura celto-greca: incisioni simili si riconoscono, procedendo attraverso la valle del Nervia, a Paù, in Veonegi e Brighetta di Buggio, nel fondo romano di Oggia: a Morgi di Dolceacqua A. Eremita ha scoperte 2 tombe tumuliformi di cui una, dal diam. di 22 m., è sita in posizione solare e dominante sui fondovalle cara alla religione celto-ligure per molte basi sacrali e per inumazioni di Principi (senza dimenticare i relitti linguistici celtici scoperti dalla Petracco in vallata, nel toponimo Nervia, forse nel nome del monte Abeglio -da Belen dio della fertilità- a guardia di val Nervia e Roia, ed in alta valle, fra boschi e sorgenti).

I Benedettini della Regola Mista della Novalesa eran stati, dal sistema montano del Rocciamelone a quello del Cenischia sin a Susa e poi al Rodano, preposti da Gregorio Magno alla lotta contro i ritorni di superstizioni religiose preromane.
Furtive processioni al seguito di canuti sacerdoti si tenevano ancora in qualche Lucus dei riti Liguri: si entrava come da sempre, forse, nell'aria complice di un plenilunio, fra le verbene di qualche laghetto sacrificale, ornato di giunchi votivi, entro un santo bosco, il Lucus deorum. Erano culti innocenti, ricordo di tradizioni antiche che non si voleva abbandonare; presso il Convento di Dolceacqua stavano forse sorgenti taumaturgiche consacrate alle dee MATRES o MATRONAE o MADRI anonime epifanie della madre divina (si hanno alcune immagini da reperti FRANCO-PROVENZALE), il cui culto in parte autoctono aveva radici nella mitologia di tutte le regioni celtiche.
I Benedettini della Novalesa, guardiani della fede, anche in Dolceacqua combattevano i residui pagani, assimilando nell'ecumene cattolico segni d'antiche religioni.
Prescindendo dalla "cultura augurale del vischio", tuttora resistente in vaste regioni, a DOLCEACQUA, come nel vicino borgo di CAMPOROSSO, persiste da secoli una FESTA CELTO LIGURE, propiziatoria della fertilità ad auspicio di abbondante fruttificazione, che da tempo immemore è fagocitata da una celebrazione cristiana: durante la PROCESSIONE DI S.SEBASTIANO (20 gennaio), cui partecipano varie Confraternite (anche franco-provenzali), viene portato, con la statua del Santo, un gran albero di alloro ornato di ostie colorate che allude al simbolismo-magico dell "forze naturali" (l'albero) ed a quello esaugurale delle ostie o sacrifici rituali (Guida di Dolceacqua..., cit., p.88, fotografia di A.Eremita: "si può pensare che l'Albero della Vita rimandi a simili figurazioni simboliche della cultura lateniana del V sec. a.C.").






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