cultura barocca
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Agostíno Mandirola ( nato a Castelfidardo, Ancona, morto nel 1661 a Vicenza ) fu un religioso francescano, naturalista italiano che ottenne un un dottorato in teología. Particolarmente in orticoltura si occupò dell'agrumicoltura, investigandone le proprietà medicinali. Il suo libro più famoso resta però il seicentesco Manuale de giardinieri: diuiso in tre libri : che trattano del modo di coltiuare, multiplicare, e conceruare qualsiuoglia sorte di fiori", 168 pp. che nel 1796 (come, in forme, integrazioni e paginazione diversa, avvenute nel corso della sua lunga fortuna ) venne accorpato nell'opera omnia di Cosimo Trinci (XVII - XVIII sec.), "L'agricoltore sperimentato...",Venezia 1796.
Qui di seguito si digitalizza con indici moderni l'opera del Mandirola dal testo citato del Trinci:
"MANUALE DE' GIARDINIERI DIVISO IN QUATTRO LIBRI DESCRITTO DA F. AGOSTINO MANDIROLA"
A - "DEL GIARDINIERE E SUE QUALITA'" [cap. XVI - da p. 357 a p. 367]
I - LIBRO PRIMO - "DELLA COLTURA PARTICOLARE DEI FIORI" [cap. XIX - da p. 368 a p. 391]
II - LIBRO SECONDO - "DELLA COGNIZIONE, E COLTURA DE' FIORI E DELLE RADICHE" [cap. LVI - da p. 392 a p. 425]
III - LIBRO TERZO - "TRATTATO DEGLI AGRUMI" [cap. XIII - da p. 426 a p. 437]
IV - LIBRO QUARTO - "QUANTO SIA NECESSARIO AL GIARDINIERE AVER LA COGNIZIONE DELLE VIRTU' MEDICINALI DE' FIORI, FRUTTI, E RADICHE PER POTER A' SUOI TEMPI FARNE LA RACCOLTA" [20 paragrafi - da p. 438 a p. 448]
A titolo integrativo non potendosi riprodurre il vastissimo numero di piante citate (consultando al fine di una lettura di tutte le voci, scorrendo le pagine, i link sopra proposti) si evidenzia, in merito alla Liguria, quanto scritto dal Mandirola sui garofani, sul garofano d'India, sulle proprietà medicinali che il Mandirola -sulla scorta del Mattioli e con le limitazioni conoscitive di farmacologia dell'epoca- attribuiva al Garofano ed estrapolando dall'altrettanto enorme elenco dell'agrumicoltura da lui steso quanto scritto in relazione a "Il Limone di S. Remo. Quel di Paradiso" (pag. 427) ed ancora a "Quel dolce [arancio] di Genova, che si mangia con la scorza" (pag. 427)