INF. B. DURANTE

VOLUME CUSTODITO IN BIBLIOTECA PRIVATA

















"L'Università di Padova, con Bologna, Parigi, Oxford e Cambridge, è una delle più antiche d'Europa. La sua fondazione risale al 1222, anno in cui un folto gruppo di maestri e scolari abbandonò lo Studio bolognese trasferendosi a Padova, libero comune cittadino, sin dal secolo XII sede di scuole umanistiche e di diritto, che garantiva più larghe e sicure condizioni per il rispetto delle libertà e dei privilegi universitari.
Secondo il modello bolognese, in consonanza con le forme e l'ethos giuridico della civiltà comunale fiorente nell'Italia centro-settentrionale, lo Studio di Padova non era istituito per decreto imperiale, pontificio o regio come altre università (bolle e diplomi vennero in tempi successivi), ma si costituiva autonomamente come universitas scholarium, libera corporazione di scolari che si governava con proprie leggi (statuti), riconosciute dall'autorità civile. Sin dalle sue origini lo Studio ebbe un carattere internazionale. Maestri e studenti provenivano da ogni parte d'Europa e d'Italia; all'interno dell'università gli scolari erano raggruppati in diverse nationes, secondo le rispettive provenienze. Le nazioni "oltramontane erano nove: germanica, boema, polacca, ungherese, provenzale, borgognona, inglese, scozzese e catalana (comprendente tutti gli spagnoli); dodici erano quelle italiane e una "oltremarina".
Il Rettore, eletto dall'Università degli studenti tra i suoi membri, aveva giurisdizione sopra gli scolari e i professori, e vigilava sulla disciplina e sull'osservanza dei privilegi. Allo stesso corpo studentesco spettava originariamente il diritto di eleggere i professori, pagati nei primi tempi con denaro raccolto tra gli scolari. Da parte sua il comune padovano emanava leggi a favore dello Studio e concorreva alle spese; una magistratura cittadina aveva il compito di curare i rapporti con l'università e di sovrintendere al suo buon andamento. Nel secolo XIV la signoria dei Carraresi non modificò sostanzialmente questo ordinamento, e favorì lo Studio, pur ingerendosi più volte nella sua vita interna, specie nelle condotte dei professori.
Venezia confermò poi gli antichi statuti e fece dell'Università padovana lo Studio privilegiato della Repubblica, vietando ai suoi sudditi di studiare in altre sedi. Ma nel promuoverne lo sviluppo, e assumendo a proprio carico le spese, esercitò un controllo sempre più penetrante e rigoroso. In particolare la condotta dei professori passò gradualmente nelle mani del Senato veneto, ben che il voto del corpo studentesco conservasse ancora per tutto il Quattrocento un peso decisivo, finche fu definitivamente soppresso nel 1560. I Riformatori dello Studio di Padova, una magistratura formata da tre autorevoli patrizi veneziani, eletta la prima volta nel 1517 e divenuta in seguito permanente, sostituì i magistrati del comune padovano. Ma per il resto la Repubblica di Venezia conservò i privilegi e le immunità di cui godevano scolari e maestri dello Studio. Con la sua potenza politica ed economica la Serenissima garantiva protezione e prosperità; in virtù della costituzione repubblicana e della tradizione mercantile e cosmopolita di Venezia, si creavano le condizioni perché la patavina Libertas, costituisse un'oasi di relativa libertà di scienza e di cultura neI1'Europa dei principati assoluti e dell'intolleranza religiosa.
Cosi, diversamente da quanto era imposto nelle altre università, gli studenti potevano addottorarsi senza sottostare all'obbligo di pronunciare pubblica professione di fede cattolica, sancito da papa Pio IV nel 1564.
Riproducendo il modello bolognese, anche lo Studio padovano era nato come università dei giuristi. Gli "artisti", vale a dire maestri e scolari delle arti liberali, dediti quindi alle discipline filosofiche, mediche e letterarie, non erano organizzati in una propria corporazione e stavano in una posizione subordinata rispetto all'università del giuristi. Nondimeno proprio in questo ambito si sviluppavano i fermenti più vitali e innovatori, nel clima di fervore intellettuale e di passione civile che animava il preumanesimo padovano nell'ultima epoca del libero comune. Basti ricordare Pietro d'Abano, maestro dello Studio, figura centrale agli inizi dell'umanesimo scientifico e nel rinnovamento della scienza medica, che anticipando di oltre un secolo l'itinerario dell'umanesimo più maturo, riscopriva a Bisanzio gli antichi testi greci. Da lui, tramite l'amico Marsilio da Padova, i Problemata attribuiti ad Aristotele, tradotti e commentati dallo stesso Pietro d'Abano, pervenivano a Parigi nelle mani di Jean de Jandun, maestro dell'averroismo francese.
Finalmente nel 1399, accanto a quella dei giuristi, poteva costituirsi l'Universitas artistarum, per la quale lo Studio padovano diverrà centro universalmente riconosciuto non solo dell'insegnamento del diritto, ma anche della filosofia aristotelica dell'astronomia, della medicina, delle scienze fisiche, naturali e matematiche.
Non è possibile in questo breve profilo neppure semplicemente elencare i nomi dei maestri e degli scolari più famosi, italiani e stranieri, che illustrarono lo Studio padovano nel corso dei secoli. Limitandoci ad alcuni momenti più significativi della sua storia, ricordiamo Giovanni Battista da Monte, che nel 1543 diede inizio alla scuola clinica, tenendo lezione alletto dei malati nelle corsie dell'ospedale e facendo esaminare i casi specifici dai suoi allievi. Veniva cosi rivoluzionato l'insegnamento della medicina, sino allora fondato sulla lettura dei testi classici. Il fiammingo Andrea Vesalio, addottoratosi a Padova in medicina nel 1537, e condotto quindi a leggervi chirurgia e anatomia, compi la prima descrizione sistematica del corpo umano mediante l'osservazione diretta dei cadaveri. Uno degli allievi e continuatori del Vesalio, Girolamo Fabrici d'Acquapendente, fece costruire nel 1594 il primo teatro anatomico stabile, nel quale si tennero le lezioni di anatomia fino a11872, tuttora perfettamente conservato nel palazzo del Bò, sede dello Studio dalla fine del secolo XV. Allievo di Fabrici d'Acquapendente fu William Harvey, qui addottoratosi in medicina ne11602, che muovendo dagli insegnamenti della scuola medica padovana, sulla via tracciata da Realdo Colombo, altro allievo e successore del Vesalio, potrà dare la dimostrazione sperimentale della circolazione del sangue.
Nel contempo al fine di consentire lo studio delle erbe medicinali fu fondato nel 1545 l'Orto botanico, il primo costituito come istituto scientifico universitario e che sia rimasto ininterrottamente attivo sino ai nostri giorni, essendo divenuto in seguito strumento efficace per lo studio della botanica.
Gli straordinari progressi conseguiti negli studi dell'anatomia, della fisiologia e delle materie mediche, al di là della loro importanza nell'ambito delle specifiche discipline, segnavano tappe decisive nella conquista del metodo sperimentale e di un approccio razionalistico alla conoscenza della natura e dell'uomo. Uno sviluppo nel quale confluivano gli esiti del naturalismo filosofico, radicato nella secolare tradizione averroistica dominante nello Studio padovano. Non a caso, va ricordato, filosofia e medicina erano insieme congiunte, secondo i paradigmi culturali del tempo, nella stessa facoltà degli "artisti ".
In questo contesto si colloca la chiamata di Galileo Galilei alla cattedra di matematica. Gli anni del suo magistero padovano, dal 1592 al 1610, sono, com'è noto, il periodo fondamentale di maturazione del suo pensiero, e il momento culminante e decisivo della rivoluzione scientifica. Qui per la prima volta scrutò col cannocchiale la luna e i pianeti, e da Padova parti il suo Sidereus nuncius, che annunziava la nascita dell'astronomia moderna, e insieme una nuova visione dell'universo.
Nella seconda metà del Seicento, con il prevalere della tendenza filoclericale del senato veneziano, lo Studio padovano conosce un periodo di decadenza, e anche di arretramento degli insegnamenti medici su teorie medievali ormai superate. Lenta e difficile sarà la ripresa nel Settecento, riflesso del ritardo e della relativa timidezza con cui si sviluppa nello stato veneto il moto del riformismo illuministico. Nondimeno la scuola medica padovana conosce un nuovo periodo di splendore per merito precipuo di Giambattista Morgagni, che nel corso del suo lungo magistero (1715-1771) scrive un capitolo fondamentale nella fondazione dell'anatomia patologica. L'astronomia ha nuovo impulso grazie all'opera d I Giovanni Alberto Colombo e Giuseppe Toaldo, ai quali si deve la Specola, l'Osservatorio astronomico costruito sulla torre dell'antico castello di Ezzelino, tuttora sede del dipartimento di astronomia. Pure nella seconda metà del secolo vengono istituiti gli insegnamenti di chimica e di agraria. Sulla cattedra di matematica si succedono scienziati di grande valore quali Giovanni Poleni e Simone Stratico, studiosi di fisica, idraulica e architettura navale, mentre ad essi si affiancano nuove cattedre di analisi matematica e geometria.
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia (1797) e le alterne vicende dell'età napoleonica, sotto il governo dell'Austria (1813-1866) l'ordinamento dello Studio di Padova fu riformato radicalmente. Superata la divisione tra le due Università dei legisti e degli artisti, furono istituite quattro facoltà: politicolegale, medico- chirurgica-farmaceutica, teologica, e filosofico-matematica comprendente un corso d'ingegneria dal quale derivò più tardi la Scuola di applIcazione per ingegneri. Eliminata ormai, di fatto sin dal secolo scorso, ogni forma di partecipazione studentesca, l'Università era presieduta da un rettore magnifico scelto dal governo tra i professori. In questi anni, col diffondersi delle idee liberali e nazionali, s'inizia una lunga tradizione di impegno civile e patriottico dell'Università patavina, focolaio attivo delle lotte risorgimentali, delle quali episodio saliente è l'insurrezione studentesca e popolare dell'8 febbraio 1848 contro il dominio straniero. Sulla linea di questa tradizione l'Ateneo sarà nel 1943 - 45 il centro principale nel Veneto della lotta di liberazione contro il nazifascismo con alla testa il rettore Concetto Marchesi, insigne latinista, e il pro rettore Egidio Meneghetti, farmacologo. Per il suo contributo alla Resistenza l'Università di Padova, unica tra tutte le università italiane, è decorata di medaglia d'oro al valor militare.
Dopo l'annessione del Veneto all'Italia il suo ordinamento fu equiparato a quello delle altre maggiori università italiane. Naturalmente da allora rettore e presidi di facoltà sono eletti dai rispettivi corpi accademici, salvo la parentesi autoritaria del ventennio fascista. Soppressa la facoltà di teologia, esistevano inizialmente le quattro facoltà di giurisprudenza, medicina e chirurgia, scienze fisiche matematiche e naturali, lettere e filosofia, alle quali si aggiunsero via via in diversi tempi le altre facoltà che attualmente la costituiscono. Comincia allora la sua espansione con nuovi insediamenti in diverse parti della città, fuori del palazzo del 80, e anche in altre località vicine, come l'osservatorio astrofisico di Asiago, Il maggiore in Europa quando fu inaugurato negli anni trenta, e i laboratori di fisica e di agraria a Legnaro.
[PROFILO STORICO DELL'ATENEO DI PADOVA]






















"L'Archivio di Stato di Venezia dispone di fonti che, salvo alcune interruzioni, consentono di documentare la produzione veneziana e veneta dal XVI al XIX secolo.
I caratteri della fonte dipendono ovviamente dalla legislazione sulla stampa del momento e dagli organi a cui competeva la censura preventiva.
L'obbligo della licenza di stampa fu stabilito dal Consiglio dei Dieci con un decreto del 29 gennaio 1527.
In precedenza, le uniche edizioni annotate di cui resta traccia nelle scritture pubbliche veneziane erano quelle a cui era concesso il privilegio, i quali sono stati pubblicati per intero da Rinaldo Fulin nel secolo scorso.
Dal 1527 al 1628 la concessione delle licenze di stampa spettò ai Capi del Consiglio dei Dieci, i quali autorizzavano dopo avere verificato il parere dei
RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA.
Questi, a loro volta, si esprimevano dopo aver ricevuto la "fede" dei tre revisori a cui era affidata la lettura: un segretario ducale, un revisore pubblico e un revisore ecclesiastico.
Nei primi tempi l'obbligo non fu regolarmente rispettato.
Probabilmente l'abitudine di stampare senza particolari formalità non si perdette immediatamente.
Dal 1527 comunque nella serie delle Lettere e nei registri e filze del Notatorio dei Capi del Consiglio dei Dieci cominciarono a comparire le prime registrazioni.
L'obbligo fu più severamente stabilito nel 1542 e da allora sino al 1628 l'archiviazione dei permessi appare molto più regolare.
Dal 1527 al 1550 si hanno 842 registrazioni di privilegi e 474 licenze.
E' evidente come migliore e più completa sia, almeno inizialmente la documentazione sui privilegi, mentre invece molto più frammentata sia quella sulle licenze, molte delle quali sono tuttavia ricavabili in copia dai privilegi.
La situazione risultava mutata a fine secolo, quando annualmente erano rilasciate un centinaio di licenze e una ventina di privilegi.
La legislazione cinquecentesca prevedeva che la licenza fosse concessa al libro e non all'editore (tipografo o libraio che fosse).
Ciò impedisce di avere dati sistematici sull'attività degli editori e sulla frequenza delle ristampe.
Una volta ottenuta la concessione, il libro poteva essere ristampato senza ulteriori formalità da chi aveva ottenuto il permesso o da altri a cui eventualmente l'opera era stata ceduta.
La serie dei privilegi interviene ad aggiungere elementi ulteriori riguardo agli effettivi editori, dal momento che il privilegio era ottenibile dal Senato a seguito di una supplica che abitualmente figura agli atti.
Emergono così figure nuove assolutamente ignote nella storia editoriale.
Molto frequentemente il tipografo che figurava sul frontespizio del libro era solo un prestanome di un finanziatore che per ragioni corporative non poteva figurare in prima persona; il privilegio invece molto di frequente era concesso al reale editore del libro.
Neppure raro era il caso di autori che richiedevano il privilegio a proprio nome.
Dei 95 privilegi richiesti nel 1550: 69 sono richiesti dai tipografi e librai (pressocché esclusivamente grandi imprenditori), 13 dagli autori, 2 da traduttori e curatori, 11 da persone non meglio identificate.
Nel 1628 il sistema di concessione delle licenze venne semplificato.
La responsabilità passò quindi ai Riformatori dello Studio di Padova.
Per un cinquantennio tuttavia la documentazione manca; buona parte dell'archivio seicentesco della magistratura veneziana è andato perduto.
Occorre attendere il 1673 per trovare nuovamente documentazione.
Da quel momento vengono conservate i pareri dei revisori preliminari al rilascio delle licenze.
Per gli ultimi decenni del XVII secolo e per tutto il secolo successivo quindi la documentazione si fa abbondante, tanto più che dopo il 1739 divenne d'obbligo riportare in un registro gli estremi delle licenze, il che consente di seguire con maggiore facilità e precisione l'andamento complessivo della produzione editoriale di tutto lo stato veneto.
A differenza inoltre dal XVI secolo l'obbligo della licenza era stabilito esplicitamente anche per le ristampe.
Questa era rilasciata nomitavamente a un tipografo o libraio iscritto alla corporazione, che poteva cederla dopo aver registrato il passaggio.
Mediamente nella seconda metà del secolo erano licenziati circa 350 titoli annui.
Alla registrazione non erano soggetti solo gli opuscoli e i fogli volanti.
Le fonti archivistiche consentirebbero peraltro di proseguire l'opera anche oltre la fine della repubblica, per lo meno sino al 1848.
Nei sei mesi di municipalità democratica (1797), eliminata la censura preventiva, venne istituito un sistema di registrazione dei libri usciti a fini di tutela della proprietà letteraria che, anche se non documenta l'intera produzione dell'epoca, tuttavia attesta l'intensissima produzione libellistica filogiacobina.
Il sistema censorio venne ripristinato nel corso della prima dominazione austriaca (1798-1806) e ulteriormente rafforzato e burocratizzato durante la seconda, tra 1815 e 1848.
La documentazione rimasta è perciò in grado di fornire abbondanza d'informazioni circa la produzione delle province venete dell'epoca.
Imponente è la quantità di scritture prodotte dal Dipartimento di censura, attivo alle dipendenze del Governo generale: 315 pezzi archivistici per gli anni 1815-1848...."
b Bibliografia:
M. Infelise,L' editoria veneta tra XVI e XIX secolo: una base di dati, "La fabbrica del libro", 1/1995, pp. 5-8.
I documenti principali sulla legislazione veneziana in materia di stampa sono in:
H. F. Brown, The Venetian Printing Press, Nimmo, London 1891.
Per i privilegi antecedenti al 1527 si veda:
R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana, "Archivio veneto", XXIII (1882), pp. 84-212, 390-405.
Sulle vicende della censura veneziana nel ‘500:
P. F. Grendler, L'inquisizione romana e l'editoria a Venezia 1540-1605, Il Veltro, Roma 1983.
Sulla censura veneziana nel '600:
P. Ulvioni, Stampa e censura a Venezia nel Seicento, "Archivio Veneto", s.
V, CVI (1975) n. 139, pp.45-93;
M. Infelise, A proposito di imprimatur. Una controversia giurisdizionale di fine '600 tra Venezia e Roma, in Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Il Cardo, Venezia 1992, pp. 287-299;
M. Infelise, Libri e politica nella Venezia di Arcangela Tarabotti, in atti del Convegno Arcangela Tarabotti, A Literary Nun in Baroque Venice, Chicago, 18-19 aprile 1997.
Sulla censura veneziana nel ‘700:
M. Infelise, L'editoria veneziana nel '700, Angeli, Milano 1989;
Sulla censura nel corso delle dominazioni austriache:
M. Gottardi, L'Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca, Milano, Angeli, 1992, pp. 214-239;
G. Berti, Censura e circolazione delle idee nel Veneto della Restaurazione, Venezia, Deputazione Editrice (Miscellanea di Studi e Memorie, XXVII), 1989".
[Saggio "on line" licenze di stampa di Mario Infelise]
























Torretti, Giovanni Battista, La vita del b. Iacopo da Beuagna, descritta da Gio. Battista Torretti dedicata al molt'illustre signore, il signor capitano Propertio Antici In Siena, Bonetti, 1643.
Ma qui interessa soprattutto per quanto scrive Aprosio:
Torretti, Giovanni Battista, Panegirici di Gio. Battista Torretti all'ill.mo signore Gio. Girolamo Marini In Siena: Gori, Ercole, il primo di nove = poi in Buoninsegni, Francesco, Del lusso donnesco satira manipea. Del signor Francesco Buoninsegni ... Con l'
antisatira apologetica di Gio. Battista Torretti .., In Venetia, Sarzina, Giacomo, 1638.