riproduzione a cura di B. Durante

Il CEDRO (citrus medica), fu conosciuto dagli antichi come Malus dedica, Malus felix o semplicemente Citrus sarebbe originario, secondo il De Cadolle (la cui ipotesi non è però universalmente condivisa), della regione occidentale dell'Himalaia, in India.
Non si è certi della sua epoca di diffusione nel bacino del Mediterraneo: a proposito dell'epoca di comparsa di tale pianta nel Mediterraneo, alcuni autorevoli studiosi affermano che sia stato Alessandro Magno con le sue truppe ad introdurla, intorno al III sec. a.C. dapprima in Grecia e poi nelle isole dell'Egeo. Di lì la coltura sarebbe, poi, passata in Sardegna, in Corsica e successivamente sui litorali di Napoli, intorno agli inizi del II sec. d.C.,ai tempi dell'imperatore Adriano. Il CEDRO fu comunque l'unico agrume di ambito mediterraneo nell'epoca greco-romana e venne citato spesso sia da poeti come Virgilio che da enciclopedisti al pari di Plinio. Teofrasto, seguendo il magistero di Aristotile, già nel 313 a.C., nella sua Storia delle piante, lo aveva descritto quale melo medico e persico (libr. Iv, cap. IV) offrendo della della pianta una descrizione abbastanza esauriente:
"Questo albero ha foglie simili a quelle del corbezzolo o dell'alloro e spine come il pero selvatico ed il biancospino, ma lisce, assai acute e robuste… Il pomo non si mangia, ma è di splendido odore, simile a quello delle sue foglie…Porta poi frutti in tutte le stagioni…E mentre se ne colgono alcuni, altri fioriscono ed altri stanno per maturare….".
A livello curativo secondo lo stesso Teofrasto il succo, un po’ amaro ed acre, è salutare contro i veleni, mentre Plinio riferirà, alquanto più tardi, (Storia naturale, XII, 15) che con il decotto del pomo è possibile preparare colluttori per sciacqui frequenti e salutari della bocca.
Rutilio Palladio nel De re rustica parla a lungo di questi agrume coltivato in Italia, in Sardegna e soprattutto in Campania, come documentano mosaici e pitture di Ercolano e Pompei.
Il suo impiego in gastronomia è testimoniato da Apicio nel De re coquinaria (IV, 5): il celebre gastronomo imperiale lo consigliatagliato a pezzetti ed aggiunto, assieme al garum (sughetto di pesci crudi sminuzzati in salamoia) ed a piccanti e profumate polpette, sulla spalla di porco selvatico in cottura.
In un'altra ricetta lo stesso Apicio descrive la produzione di un vino di rose confezionato con le foglie di cedro.
Per l'epigrammatista latino Marziale è quindi elegante donare mala citra (piccoli cedri freschi) agli amici (Xenia, Liber XIII): il regalo risulta ancora più prezioso se costituito dagli alberelli dei giardini di Corfù (Corcyraei sunt haec de frondibus horti), piante di gran pregio durante l'Impero di Roma, da cui si ricavava un legno celebrato, nei lavori d'intaglio d'ebanisteria, per le sue elegantissime venature. La lavorazione artigianale di questo pregiato legno risale, secondo alcune fonti, ai Babilonesi che pare coltivassero l'agrume, in Mesopotamia, assieme al salice, in particolare lungo le rive del Tigri e dell'Eufrate e, forse nei giardini pensili di alcune loro città.
In ambito tardomedievale si deve soprattutto alla Scuola Medica Salernitana (XI-XII) il successivo sistematico impiego del cedro in ambito farmaceutico ed alimentare.
Nella visione laica di questa scuola, legata ad una ideologia terapeutica volta più a prevenire la malattia che a curarla, l'uso delle erbe officinali e le virtù curative ed alimentari degli agrumi in generale e del cedro in particolaretrovarono largo impiego sulla scia degli insegnamenti di Ippocrate, di Galeno e della esperienza araba più recente.
La Scuola Salernitana giudicava i semi elemento energetico, la fragranza dei fiori ottima a vincere la nausea delle gestanti, il succo efficace antidoto ai veleni, le foglie repellenti per le tarme e dotate di ottime proprietà antispasmodiche come infuso.
Queste stesse proprietà del CEDRO non vennero ignorate dai monaci basiliani che lo coltivarono presso i loro cenobi sulle coste occidentali calabre ed attorno al Golfo di Policastro, assieme al giuggiolo, alla ruta, alla liquirizia, alla mercurella, i modo che le loro comunità potessero servirsi di fornitissime erboristerie monastiche. In seguito i Normanni, nuovi signori del sud e creatori di una cultura che i modelli delle civiltà nord europee con quella romana, bizantina e mussulmana, come conobbero questa pianta, provvidero a farla coltivare ai contadini dei loro feudi assieme in particolare alla liquirizia, costruendo a tale scopo agili e solidi acquedotti per irrigare le vaste piantagioni.
Nel PONENTE LIGURE la prima menzione del CEDRO risale al 1110 laddove vengono citate le colture di "cetrinis, pomis et ficubus (I,XIII, col.19-20)".
"...ficis et citrinis pomis (I,XVI, col.26-28)" sono quindi citati nel luglio del 1124 riferendosi l'estensore dell'atto, come nel documento del 110, all'obbligo dei sanremesi di versare alla chiesa genovese di S. Siro una parte dei raccolti.
Ancora per il periodo tra il 1215-1220 compare un riferimento ai CEDRI di Sanremo: "possessionem...de orto quodam qui est in plano Sancti Romuli, scilicet de cereis, vitis et terra illius orti" (vedi L.T.Belgrano, Il secondo registro della Curia Arcivescovile di Genova, in "ASLI", 1887, pp.319-324).