cultura barocca
Informatizzazione a c. di B. Durante

Copertina della prima edizione del LORENZO BENONI pubblicata in Italia (Oneglia, 1855) presso la Tipografia Litografia di G. B. Tasso


























Con il termine dialettale CIARAVUIU (ma anche CIARAVEGHIU = Chiarivari, spesso "italianizzato" in Chiaravuglio) si nomina un'antica usanza ligure e comunque frequente nella Riviera Ligure di Ponente, (peraltro la tradizione in alcuni paesi dell'entroterra si custodisce tuttora: G. Delfino, Usanze nuziali liguri: U ciaraveghiu in "Archivio per le tradizioni popolari della Liguria", Genova, 1975, p. 51, tra altri, descrive un chiarivari del 1975 a Dolceacqua, nominato localmente strumburlada) che consisteva in una rumorosa serenata (indicata con nomi vari: cembolata a Sarzana, trimpellata a La Spezia, e ciocche a Chiavari e in val Graveglia, tenebre a Genova, corni a Finale) sotto le finestre della casa di un vedovo passato a seconde nozze (non a caso quindi nel Ponente ligustico è nota ed apprezzata la commedia dialettale di "Gin de Stefani" emblematicamente intitolata il "Ciaravuiu").
La migliore DESCRIZIONE ARTISTICA di questa espressione folklorica rimane ancora oggi quella che ne fece GIOVANNI RUFFINI nel suo romanzo LORENZO BENONI forse per rammentare indirettamente quanto gli costò fanciullo l'aver partecipato ad un Ciaravuiu contro la volontà dello zio prete, suo educatore, e dalla di lui perpetua (per alcuni giorni fu rinchiuso in un umido e cupo sgabuzzino avendo come sostentamento soltanto una ciottola d'acqua e un poco di pane). Un'interessante RELAZIONE di questa tradizione popolare è invece proposta in un saggio comparso sulla "Riviera dei Fiori" ed opera di Claudio de Prà (I Ciaravugli, annata 1982, pp. 26 sgg.)




Appunto a p. 14 dell'edizione originale del Lorenzo Benoni si legge la seguente descrizione di un Ciaravuiu:
"...Lo spettaeolo era magnifico, la strada principale su cui spaziava la nostra vista e dove abitava, tre sole case discoste dalla nostra, la coppia sfortunata, formicolava di gente. Frotte di cittadini, a tre a tre avanzavano processionalmente, chi agitando rami di pino accesi e fissati in cima a delle pertiche e chi portando piante di malva che parevano alberi, per gentile avvertimento allo sposo che volesse moderare l'ardore giovanile. Nel centro della processione avanzava un carro tirato da quattro asini, su cui erano posti, seduti maestosamente, due maiali, cui serviva da verdeggiante baldacchino un arbusto di malva così sproporzionato che superava con la sua altezza il primo piano delle case. Dietro seguiva una folla di gente, uomini, donne ragazzi; tutti armati di pifferi, corni, palette, tamburi, zappe, bidenti, e insomma di ogni arnese che potesse far rumore.Il carro venne fermato proprio sotto le finestre del fortunato sposo e, a un cenno del direttore di questa multiforme orchestra, gli uomini cominciarono a urlare, le donne a strillare, gli asini a ragliare, i maiali a grugnire, i tamburi a battere, le palette a fare strepito e si levò un tale indiavolato baceano da spezzare le orecchie ai vivi e destare i morti dal loro sonno".
L'indiavolato frastuono sarebbe cessato a condizione che lo sposo avesse quindi saldato il pagamento di una vera e propria taglia più in natura che in denaro ai componenti della processione: nel CIARAVUIU mediamente si ravvisa una consuetudine antichissima, propria dell'economia curtense e comunque medievale, in cui una persona già coniugata e rimasta vedova, risposandosi e quindi sottraendo per la seconda volta alla comunità maschile una potenziale sposa era giudicata in obbligo di compensare la comunità di quella che era ritenuta (per via anche della dote oltre che dei contratti di parentela) una perdita economica ancor più che emotivo-sentimentale.

























A Triora i ciaravugli si festeggiano secondo un preciso rituale: la sera precedente le nozze del vedovo i giovani dcl paese si recano sotto le sue finestre con pentole, sognagli, corni a far schiamazzo.
Il vedovo che in ordine di tempo si e risposato per ultimo, diventato nell'occasione capitano patteggia col successore il tributo: in genere vino per tutti.
Se l'accordo è raggiunto, la sera delle nozze avviene il passaggio delle consegne, altrimenti ogni notte il chiasso puntualmente si rinnova.
La sera delle nozze, il CAPITANO USCENTE con la feluca in testa ed il bastone in mano (a cavallo di un asino) guida i suonatori sino alla casa dello sposo: il vedovo appena maritato diventa il nuovo CAPITANO, dopo aver acccttato i segni del comando e deve salire sull'asina con le spalle rivolte alla testa dell'animale; in questa posizione e condotto per le vie del Borgo.
La festa si conclude col vino offerto dal NEOCAPITANO, bevuto in allegria sullo spiazzo della casa.
...le circostanze, la pressione esercitata dalla società industriale di oggi, che ha spopolato le campagne e modificato i ritmi del lavoro tradizionale, hanno imposto alcune variazioni rispetto al rituale della manifestazione com'era in passato, ma la sostanza è rimasta identica.
Già giorni prima della STAMBURATA il CAPITANO USCENTE si era accordato col vedovo che andava nuovamente sposo ed aveva procurato con non poca difficoltà la cavalcatura: un mulo, poiché gli asini un tempo diffusi sono scomparsi dalla vallata.
Alcuni cartelli con scherzose scritte informavano i passanti dell'esatta ubicazione della casa del neo-capitano cd il giorno stabilito tutta la popolazione presente a Triora era ad aspettare il passaggio delle consegne sulla piazza delle corriere. Tutti si erano procurati bastoni con cui battere pentole e bidoni, corni, campanacci cd ogni tipo di oggetto atto a far chiasso.All'ora stabilita il vecchio capitano arrivò a dorso di mulo recando il bastone come segno di comando, mentre il neo-sposo lo aspettava tra la folla. Con un megafono perché tutti lo potessero udire il CAPITANO USCENTE inizio a leggere una POESIA SATIRICA al NEOCAPITANO ed i versi pungenti e più faceti erano clamorosamente sottolineati dalla folla che, per bocca di qualcuno, lanciava lazzi e battute. La poesia è un brano di storia contadina: si riallaccia infatti a quella poesia popolare che produsse i maggi e le rappresentazioni, ed a quella vena satirica che generò presso le popolazioni rurali le pasquinate come espressione di ribellione nei confronti dei potenti o come pubblica esecrazione dei mal i delle borgate.
I versi sono solo apparentemente scherzo, ma riflettono le esperienze di una vita spesso sofferta, non ricca, ma sostanzialmente vissuta con serenità e sopportazione, costante, questa, del mondo rurale che, da sempre sottomesso alla cultura dominante, ha saputo trovare nella continuità, nella sopportazione e nella tradizione la forza per non essere oppressa, per dare continuità ai propri valori.
Terminata la lettura il capitano uscente, sceso dall'arcione, ha abbracciato il neo capitano e gli ha consegnato il bastone, a sua volta il neo-capitano doveva pronunciare sul dorso del mulo, ornato con fiori di campo e mimosa, il suo augurio e l'invito alla gente di sostare nella sua casa a bere.
Il corteo si è formato subito dopo: il neocapitano alla testa contornato dal baccano della gente che lo seguiva sia a piedi che su furgoni.
Arrivati sull'aia dell'abitazione, ove alcune damigiane di vino e dolci aspettavano i convitati, è iniziato il festino, e la gente si è divisa in crocchi. Rimaneva però una consuetudine da rispettare: una campana appesa ad un ciliegio veniva suonata a turno dai partecipanti; probabile retaggio di un tempo remoto in cui con questo suono argentino si scoraggiava l'anima del defunto ad assistere alla nuova festa.
Il vino, copiosamente mesciuto, i dolci, la 'sardanea', passavano fra i convitati che commentavano la giornata; poi, all'imbrunire la riunione si è sciolta ed il nuovo CAPITANO si è trovato solo con pochi intimi.
Una storia dunque molto semplice, una giornata serena di festa con gli amici, ma al di sotto di questa apparenza, una catena ini nterrotta di eventi, di capitani, di vite che ricollega senza mediazioni il presente al passato pià remoto: alle origini.




La guerra ho fatto da semplice soldato,
posso dire: sono Un veterano;
ma sposandomi un'asina ho montato
e son diventato subito capitano.

Questo fatto è succeso un dì
in quel di Loreto, al Santuario,
quando dissi il fatidico sì:
era meglio che recitassi il rosario.

Stordito anche da tante gente,
pensai, solo per un poco:
Credevi di esser intelligente,
ma sei in trappola come un allocco.

Dicendo quel sì sentito
e fatto poi tutto il totale,
ero diventato subito marito
ed un cornuto potenziale.

Pure padre putativo diventai
e nonno di secondo grado;
una suocera pure acquistai
seppure mio malgrado.

Inoltre un sacco di parenti che
prima non avevo:
generi, cognati non possidenti
che proprio non conoscevo.

A questo punto pregai San Pietro
dicendo alla moglie recidiva:
Vorrei proprio tornare indietro,
ho sposato te o una cooperativa?

Stai tranquillo - rispose lei
con un bellissimo sorriso
ci penso io, affari miei,
tra poco sarai in Paradiso.

Sono passati ormai dieci anni,
contento sì, come si dice,
anche con tanti affanni
posso dire di essere felice.

Un'altra cosa devo pur dire:
Preferisco rimanere solo
che vedere mia moglie soffrire
la mia morte: io mi consolo.

Solo ora, dopo tanti anni
sono proprio demoralizzato:
anche se non ho fatto danni
mi trovo oggi degradato.

Chi sta per prendere il mio posto
è un amico, persona dabbene;
posso dirgli solo, piuttosto:
Prendi il bastone e vivrai bene.

Auguri tanti, neo capitano;
tieni duro, come ho fatto io;
non combinare nessun danno:
dalla moglie ti difenderà Iddio.

IL CAPITANO USCENTE"