cultura barocca
FUOCO GRECO

FUOCO GRECO

Miscela incendiaria che si adoperava nelle battaglie navali proiettandola accesa mediante apposite macchine e sifoni a pompa con una tecnica non molto diversa da quella dei moderni lanciafiamme.
Col termine FUOCO GRECO si indicava una miscela incendiaria, una cui formula di composizione doveva essere determinata dalla combinazione di salnitro, zolfo, pece e oli combustibili.
Questa definizione (di Leonardo da Vinci) resta però ancora un pò vaga né si può dire che questa formula corrisponda esattamente a quella del fuoco greco originario ( in merito al fuoco greco è da dire che tale nome gli era piuttosto conferito dai nemici, usando i Bizantini l'espressione miscela di fuoco liquido e fuoco romano - in merito alla composizione oggi si parla spesso di un segretissimo composto di pece, zolfo, nafta, salnitro e calce viva;spegnerlo per i nemici era pressochè impossibile, anche in questo caso il segreto sarebbe dipeso da una formula bizantina= una miscela di urina, aceto o sabbia = l'acqua non serviva a spegnerlo ed anzi per la presenza di calce viva, questa non faceva che alimentare ulteriormente l’incendio) la cui formula fu tenuta gelosamente nascosta come un segreto di stato e la cui potenza distruttrice era indubbia, tanto da rendere a lungo quasi invincibili i vascelli da guerra della flotta di Bisanzio e dell'Impero orientale.
Secondo interpretazioni più recenti non sarebbe infatti possibile etichettare con un'unica formula la miscela incendiaria greco-bizantina inventata forse nel VII secolo: per tale data, che resta comunque discussa, fungono in qualche maniera da discriminanti due opere di STRATEGIA MILITARE NAVALE lo STRATEGICON di Siriano, autore misconosciuto ma vissuto anteriormente al VII secolo, e il DE PROELIO NAVALI dell'imperatore bizantino che, non lontano dalla fine del I millennio dell'era cristiana, fa più volte RIFERIMENTO A TALE ARMA quale dotazione, peraltro oramai convenzionale, della flotta di Bisanzio).
Semmai sarebbe più giusto parlare di diversi tipi di miscele continuamente perfezionate e adattate a diversi scopi bellici.
Di alcuni tipi di miscela usata dai Bizantini si è forse ricostruita la composizione.
La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" come sopra in qualche modo anticipato era nota soltanto all'imperatore e a pochi artigiani specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto. Il fuoco greco - la cui invenzione per quanto concerne la formula base si attribuisce a un greco originario della città di Eliopolis (oggi Baalbek in Libano), di nome Callinico - oggi si ritiene fosse una miscela di pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva, contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta (sìfones) collegato ad un tubo di rame, montato sui dromoni bizantini. La miscela veniva spruzzata con la semplice pressione del piede sulle imbarcazioni nemiche oppure stipata dentro vasi di terracotta che venivano lanciati sul naviglio nemico tramite le petriere, similmente a mortai di artiglieria.
La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi lanciafiamme era che il fuoco greco, a causa della reazione della calce viva, non poteva essere spento con acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in legno, coi "comenti" (il "comento" è quell'inevitabile interstizio che si crea fra le tavole di legno affiancate che costituiscono il fasciame di una nave. Veniva solitamente colmato con pece, eventualmente mista a paglia laddove la maggior larghezza della fessura lo avesse richiesto) dello scafo impermeabilizzati tramite calafataggio e con velatura, sartie e drizze in fibre vegetali, anch'esse intrise di pece, erano destinate a sicura distruzione (a giudizio dello storico Marco Greco, che fornì una sua ricetta di tale miscuglio, l'unico modo per spegnere il Fuoco Greco sarebbe stato quello di usare urina, sabbia o aceto)
Fu proprio l'utilizzo del fuoco greco che fece fallire il secondo assedio di Costantinopoli, condotto dagli Arabi musulmani fra il 717 e il 718. Ma anche in altre occasioni l'arma fornì servigi essenziali a Costantinopoli e ad altre città dell'Impero bizantino per sfuggire ai loro assedianti. Per quanto riguarda i conflitti navali è quasi certo che un tipo di miscela incendiaria fosse costituita da calce viva finemente macinata insieme ad una miscela di petrolio: questa composizione avrebbe garantito l'accensione spontanea una volta che la calce viva reagiva nel contatto con l'acqua salina di mare. L'aggiunta di zolfo aveva poi la funzione di produrre fumi densi ed irrespirabili, capaci di danneggiare le vie respiratorie dei nemici.
Altra miscela era usata per scagliare coi mezzi dell'artiglieria nervobalistica un'altra variante di fuoco greco contro i nemici in occasione di battaglie terrestri.
Il principio di Leonardo di un'unica miscela è quasi certamente inesatto: lo scienziato italiano rinascimentale aveva probabilmente individuato una delle tante formule di fuoco greco di cui i Bizantini si servivano in guerra.
Proprio la variabilità dell'arma chimico-incendiaria, la sua applicazione in vari campi bellici, la straordinaria e spettacolare potenza distruttrice, il mistero stesso col quale era custodita dagli scienziati dell'Impero Orientale rese l'arma del fuoco greco o fuoco sacro quasi mitica se non apocalittica tra i nemici, gli Arabi in particolare contro cui fu usata con molto successo: essa per secoli finì per costituire un deterrente importante per la salvaguardia di Costantinopoli che si ritenne difesa da una forma di fuoco divino: ed ecco il motivo per cui nella tradizione il fuoco greco prese anche nome di fuoco sacro.
BIBLIOGRAFIA = L'uomo bizantino, a cura di Guglielmo Cavallo, Laterza, Roma 1992.
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