DOLCEDO

DOLCEDO è tuttora il principale centro della VALLE DEL PRINO e la sua storia è molto antica.
Il nome del borgo è un piccolo interrogativo.
Secondo una specialista di linguistica, Giulia Petracco Sicardi, il toponimo si è formato nell'età di mezzo ma non è semplice da interpretare.
Secondo alcune versioni potrebbe avere alla sua base la forma "dolsa" indicante uno "spicchio d'aglio", forma passata quindi per metonimia ad indicare un tipo di pianta; secondo altre interpretazioni il nome "Dolcedo" sarebbe invece da collegare colla forma greca "dolikos" con cui veniva indicata una qualità di legumi: v'è comunque da tenere presente che le forme nominali di paesi e città che terminano in "eto", proprio come Dolcedo, mediamente stanno ad indicare delle specie arboree del genere frassineto, acereto, pineta ecc.
La Petracco (come scrive nel "Dizionario di Toponomastica" (edito a Torino per l'editrice UTET) sostanzialmente si rifà al primo documento in cui è nominato il paese: si tratta di una convenzione del 1194 stipulata dagli homines Dulcedi coi Marchesi di Clavesana.
La vicenda del borgo non può peraltro essere scissa dall'evoluzione del cristianesimo nel suo territorio e in particolare dall'opera dei monaci benedettini che anche qui portarono il loro contributo di fede e di apostolato sia religioso che civile.
Una data fondamentale per la storia della chiesa in Dolcedo è data dal momento in cui il Vescovo di Albenga (in antico il borgo dal lato spirituale apparteneva alla grande DIOCESI DI ALBENGA) cedette la CHIESA DI S.TOMMASO ai MONACI DI LERINO staccandola dal MONASTERO DI S.MARIA ASSUNTA delle MONACHE BENEDETTINE DI CARAMAGNA.
DOLCEDO aveva preso a istituirsi ed a prosperare sotto le BENEDETTINE e tale fenomeno prosperò ugualmente sotto i MONACI DI LERINO: crebbero le case rurali, si formarono aziende ed opifici, presto la COLTURA DELL'OLIVO avrebbe assunto un ruolo vitale tra la popolazione, in definitiva il paese di Dolcedo avrebbe preso a svilupparsi.
Questo stato di cose continuò a fiorire mentre il potere temporale che governava la località raggiungeva il suo acme e poi decadeva per cedere ad altri il proprio possedimento: i naturali antagonisti dei popolani e dei borghesi in piena espansione erano i nobili locali, appunto quei MARCHESI DI CLAVESANA di cui si è scritto e che furono signori di queste contrade dall'XI al XII secolo.
Gli abitanti di DOLCEDO di fronte all'opposizione dei feudatari si trovarono intanto legati per comunità di interessi a agli abitanti di S.GIORGIO DI TORRAZZA e a quelli di PORTO MAURIZIO con cui, allendosi, costituirono nel 1161 il COMUNE TRIPARTITO DI PORTO MAURIZIO.
Questo accordo fu, come in tante altre contrade italiane, un momento storico, alla base della grande vicenda dei LIBERI COMUNI.
Esso infatti traeva origine dall'accordo della COMPAGNE che operavano all'interno del reciproco TERZIERE: tutte e tre già tenevano delle proprietà e gestivano un buon giro d'affari, in particolare quella di DOLCEDO controllava un MERCATO COPERTO PER TRATTARE GLI AFFARI, possedeva una TORRE evarie CASE D'ABITAZIONE e tutti questi stabilimenti si erano sviluppati proprio in vicinanza della CHIESA DI S.TOMMASO che costituiva il vero e proprio centro pulasante dell'economia e della vita sociale del borgo: ed in essa gli uomini della COMPAGNA concorrevano a PARLAMENTO quando si doveva deliberare collettivamente su questioni di capitale importanza
DOLCEDO date queste premesse prese a progredire in modo fruttuoso e la sua prosperità non venne meno dopo che perse la sua autonomia politica entrando, con gran parte del Ponente Ligure, a far parte del DOMINIO DELLA REPUBBLICA DI GENOVA.
Col mutamento di rotta politica neppure la CHIESA ebbe a patire: del resto la popolazione quasi totalmente di PARTE GUELFA se nutriva una storica diffidenza tanto verso la vecchia feudalità quanto nei confronti della nuova aristocrazia "genovese" non aveva certo da mascherare la simpatia per il mondo ecclesiastico e soprattutto verso l'ORDINE BENEDETTINO di cui era debitrice soprattutto per alcune innovazioni agronomiche: dai perfezionamenti colturali legati soprattutto all'introduzione tecnica della GRANGIA al grande sviluppo dell'OLIVICOLTURA.

Tuttavia l'antica chiesa, quasi certamente in stile romanico dovette essere abbattuta!
Ben si intende che a tale iniziativa non concorse alcun atto di ribellione al mondo ecclesiastico, anzi!
L'operazione si era resa necessaria perchè il vecchio tempio, relativamente piccolo, col passar degli anni non risultava più idoneo ad accogliere l'aumentata popolazione di DOLCEDO che ancora nel XVI secolo, secondo i dati del geografo genovese Agostino Giustiniani, era il centro più popoloso della val di Prino, contando una popolazione di 500 fuochi (o nuclei di famiglia) per una stima di circa 2000 abitanti quanti all'epoca neppure aveva Porto Maurizio (che ammontava a soli 300 fuochi).
La nuova fabbrica della CHIESA DI S.TOMASO fu relizzata entro l'anno 1320.
La prosperità del paese perdurò a lungo.
Venne dotato di un OSPEDALE per l'assistenza agli infermi (dove naturalmente si praticavano le terapie possibili -cioè modeste- in rapporto alla limitata CONOSCENZA MEDICA E CHIRURGICA DEL TEMPO.
Vi fu quindi eretta una SCUOLA L'istituzione del MONTE DI PIETA' rese fattibile inoltre incentivare nuove importanti attività come quella della fabbrica del panno arbasino, fatto di lana nostrale.
L'aumentata ricchezza e la possibilità di sfrurùttare discrete risorse finanziarie portò ad ulteriori sviluppi dell'OLIVICOLTURA e all'impianto di nuovi e più moderni FRANTOI.
Il popolo intanto si andava sempre più organizzando in Compagnie, Confraternite o Confrarie con finalità caritatevoli: si ricordano in particolare delle di S.LORENZO o dei BIANCHI e quella di S.CARLO o DELLA BUONA MORTE O DEI NERI.
La CHIESA si trova eretta al centro del ideale del complesso demico nel "quartiere" del Borgo, detto anche Piazza che in definitiva costituisce il punto di incontro tra le varie frazioni che costituiscono il grosso paese.
Le FRAZIONI che appunto costituiscono gran parte del tessuto demico del COMUNE DI DOLCEDO sono COSTA, BELLISSIMI, LECCHIORE, RIPALTA, ISOLALUNGA, CASTELLAZZO, MAGLIANI, TRINCHERI.

Ingrandendosi il paese ha finito per svilupparsi sulle due rive del torrente Prino laddove esso si incontra col Torrente dei Boschi o Tigna: i due corsi d'acqua risultano superati da ben 5 ponti di cui il più antico o Ponte Grande -del 1292- è strutturato ad una sola arcata in declivio.
Ed ancora una volta per DOLCEDO si pone il problema di adeguare all'incremento demopgrafico la Chiesa Parrocchiale: ancora una volta -secondo una consuetudine ligure- la vecchia chiesa tardo gotica fu demolita e fu eretto un edificio ancora più grande.
La realizzazione della CHIESA PARROCCHIALE DI S.TOMMASO, su progetto dell'architetto Marvaldi di Pantasina, avviene in due fondamentali passaggi: nell'anno 1719 e quindi nel 1738 quando l'edificio è realizzato compiutamente nel suo stile barocco-ligure come si evidenzia anche dalla lettura del suo INTERNO che è a tre navate a croce greca (sono da segnalare l'altar maggiore in stile baorocco ed in marmo sul cui frontale spicca un altorilievo che rappresenta S.Tommaso che pone il dito nel costato del Cristo: altre opere di rilievo -stando ai critici d'arte ed agli studiosi locali e non- sono poi alcuni quadri custoditi nella chiesa tra cui in particolare un S.Pietro Martire opera del 1671 di Gregorio De Ferrari].
Piuttosto agile risulta invece la FACCIATA della chiesa: come detto si conserva della chiesa quattrocentesca il portale datato 1492 che reca un'iscrizione tesa a tramandare la memoria dei due consoli che presiedettero ai lavori: Bernardo Berta e Tommaso Rebuttato.

Nella frazione di LECCHIORE, presso Dolcedo e quindi in un ambiente di straordinarie valenze storico culturali come la VALLE DEL PRINO [quasi in "bilico spirituale" tra antichissime interferenze provenienti dalla Padania, dalle Gallie, dall'area intemelia (con le fondamentali propaggini di val Roia, di Alta e Media Valle del Nervia), dal variegato complesseo territoriale che procede oltre le valli del Maro e dell'Impero sin a quelle dell'Arroscia e del Dianese] sorge il SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELL'ACQUASANTA che al pari di altri SANTUARI (liguri e non) porta nel nome la problematica, a volte oggetto di DISCUSSIONI PERFINO INUTILI, della sua origine come evoluzione/derivazione di un SANTUARIO e di CICLO CRISTIANO dalla potente interferenza storica di una BASE CLASSICA E PAGANA CONNESSA COL CULTO DELLE ACQUE TAUMATURGICHE.
La vicenda storica del SANTUARIO è stata naturalmente sviluppata entro un sistema culturale metastorico: lo sviluppo o la trasformazione di un culto, specie di matrice popolare, deve pur sempre essere innestato in un complesso di riferimenti oggettivi, come peraltro indicava (pur tra qualche enfasi metaforica propria dei suoi tempi), in diversi suggerimenti di apostolato ai BENEDETTINI, lo stesso PAPA GREGORIO MAGNO.
Nel '600 la guerra tra Piemonte e Genova aveva funestato queste terre (è difficile dire se l'estensore della notizia si riferisse al CONfLITTO DEL 1625 od a quello del 1672, ma non ci si dovrebbe discostare da questi due momenti): come sempre avveniva le TRUPPE (sia che fossero nemiche -e questo poteva avere una sua giustificazione- sia che -retaggio di tempi oscuri- fossero alleate o della "patria stessa") avevano saccheggiato le campagne per procurarsi cibo: non era ancora sviluppato il nuovo CODICE MILITARE DEL XVIII SECOLO, redatto per i NUOVI ESERCITI, che avrebbe bandito le ruberie come atti criminali, non giudicandole più forme di autovettovagliamento.
Le popolazioni, scampato il pericolo, ponevano degli ex-voto: questo accdeva ovunque e accadde pure a LECCHIORE.
In una nicchia alpestre fu deposta quindi una STATUA MARMOREA DELLA VERGINE.
Ad un certo punto l'ACQUA prese a zampillare e le si attribuirono quasi subito proprietà medicamentose giustificate da prove e guarigioni.
In tutte le culture la comparsa dell'ACQUA ha una VALENZA POSITIVA: anche se non provvista di qualità curative rappresenta prima di ogni cosa la CURA PRINCIPE PER LA NATURA: un'esperienza millenaria aveva provato ovunque che dove era ACQUA non esisteva la SICCITA' causa prima, in ambiente agro-zzotecnico, della CARESTIA, cause-effetto dell'EPIDEMIA.
In tutte le culture parimenti l'EPIDEMIA ha sempre avuto i connotati di un'espressione di COLLERA DIVINA: così compare nella BIBBIA (per una delle piaghe d'Egitto) così risulta dall'omerica ILIADE (il dio Apollo tormenta con un morbo micidiale gli Achei che lo hanno offeso): togliendo l'acqua agli uomini colpevoli il dio, qualunque dio, toglie loro la prima risorsa per la sopravvivenza.
La MEDICINA evolvendosi attraverso i secoli ha comunque scoperto anche le PROPRIETA' MEDICAMENTOSE DI ALCUNE ACQUE e per farle recepire le ha spesso inserite in un CONTESTO MIRACOLISTICO.
I Greci ma soprattutto i ROMANI, nel massimo fiorire delle loro conoscenze curative, estrassero la TERAPIA DELLE ACQUE dal contesto liturgico in cui per esempio gli Egiziani l'avevano inclusa e la innestarono in una dimensione nuova, del tutto scientifica, sviluppando ovunque, anche in centri relativamente minori come VENTIMIGLIA, il sofisticato MECCANISMO CURATIVO E COSMETICO DELLE TERME.
Le conseguenze furono brillanti: per centinaia d'anni, prima che i BARBARI scardinassero i complessi meccanismi dell'IMPERO, molte malattie epidemiche furono relegate nelle aride terre dei confini, molto lontani e molto protetti da varie forze e FORTIFICAZIONI: la CULTURA DELLE TERME finì per essere la CULTURA DELL'IDROTERAPIA e contemporaneamente della PROFILASSI visto che per secoli, in assenza di farmaci idonei, l'IGIENE PERSONALE E PUBBLICA fu l'arma principale contro le EPIDEMIE.
In EPOCA MEDIEVALE il sostanziale tracollo della tecnologia determinò il crollo e l'incompresnsione delle antiche tecniche connesse all'IDROTERAPIA ed alla PROFILASSI: nessuno però disconebba mai la VALENZA ESISTENZIALE DELLE ACQUE.
Consolidandosi la compagine sociale l'attenzione della CHIESA, ormai trionfante e finalmente distratta dall'impegno primario di sopravvivere, si volse al possibile recupero di quanto fosse utile della classicità.
Per quanto le codificazioni erudite facciano iniziare la RICONQUISTA DI MOLTI VALORI CLASSICI dal XIV-XV sec. e quindi dall'UMANESIMO, GIOVANNI DI SALISBURY -che possiamo prendere a testimone di un formidabile movimento.


Il paese di DOLCEDO merita quindi una peculiare nozione per esser stato sede di un MONTE DI PIETA' ivi istituito dal predicatore domenicano nell'anno 1537 come si evince dalla lettura della Cronaca di Padre Calvi.
Nella Traduzione di Nilo Calvini (p.281 sgg.) si legge al proposito: "Circa nell'anno 1537 predicava in Taggia il reverendo padre Agostino da Savona che nella seguente quaresima si recò a Dolcedo dove fondò un MONTE DI PIETA' convincendo la gente che numerosa si recava ad ascoltare le sue prediche. Egli sapientemente per il bene di questa santa opera dettò le leggi con cui si doveva reggere: tra l'altro prescrisse che si dovevano eleggere quindici massari ossia amministratori che sorvegliassero e dirigessero quel MONTE e rendessero conto della loro amministrazione ogni volta che fosse necessario. Prescrisse inoltre che i nomi di questi quindici fossero chiusi in due pissidi, scritti su schede; due terzi di essi dovevano saper leggere e scrivere, un terzo poteva essere eletto tra gli analfabeti purché onesti e idonei a quest'ufficio, qualora non fosse possibile nel popolo trovarli tutti capaci di leggere e scrivere. L'elezione di tali uomini doveva avvenire con l'assistenza del reverendo padre priore di taggia o di altro sacerdote del nostro Ordine, come accadde nel 1621 quando per ordine del mio superiore, la domenica prima di Pentecoste, mi sono recato là io stesso, per procedere all'elezione dei 10 uomini, come prescritto dal REGOLAMENTO DEL MONTE, ed ho confermato quelli che mancavano al numero dei 10.
Di questi 15: tre presiedono per due anni, dopo i quali rendono i conti e provvedono all'elezione dei nuovi ufficiali: e così di seguito.
Gli inizi di questo MONTE furono esigui.
Coloro che potevano diedero soltanto tre o quattro piccole misure di fichi secchi e poche libbre di olio; questi beni furono distribuiti ai poveri nei mesi di febbraio in poi, quando maggiormente il popolo manca di viveri.
Ma al tempo del raccolto i GOVERNATORI DEL MONTE dovevano essere pronti a recuperare i viveri prestati e restituire i pegni ricevuti e depositati per cauzione del Monte.
Tutto però gratuitamente.
Ai nostri giorni molti beni furono da quella popolazione radunati gratuitamente per questo MONTE DI PIETA', tanto da superare i mille ducati d'oro.
Vengono spesi per sollevare le miserie dei poveri.
Tutti i pegni sono interamente restituiti gratis, nemmeno è pagata la mercede di quelli che vi lavorano, infatti tutte le spese sono coperte con i proventi di questo MONTE.
A queste leggi si ispirò anche il reverendo padre Gerolamo Malavena di Riva Ligure quando colà predicava
".