cultura barocca
La Fanciulla Mummificata scoperta a Roma nel Rinascimento A. Aprosio la "Camera delle Meraviglie" e il "Collezionismo Antiquario" = vedi anche i reperti museali aprosiani individuati (la lampada riprodotta era una fra le molte della alla raccolta romana di G. B. Casali)

Le cose non sono tuttavia semplici in merito all'identificazione di un Museo-Libraria Aprosiano in cui a Venezia i libri interagissero con altre raccolte di antichità: le considerazioni sul materiale di cui sopra nascono peraltro lontano, forse da un evento pressoché esoterico o piuttosto connesso a conoscenze scientifiche alternative (legate ora all'erboristeria interagente con l'alchimia ora ai molteplici temi del prezioso e raro Theatrum Sympatheticum... coinvolgenti voci peculiari come la possanza dell'universo, il magnetismo universale, la cultura del sangue, l'Usnea, la Mummia, l'Erba Moly ecc. ecc. su cui invero Aprosio scrisse molto di suo e in maniera assai documentata come qui si legge leggendo e rileggendo l'esemplare del Theatrum Sympatheticum in suo possesso e ricevuto in dono dall'amico erudito genovese Anfrano Mattia Fransoni, p 401 in fine della "Bibloteca Aprosiana" = argomenti attualizzati dal '500 e divenuti oggetto di dispute, che certo interessarono "il Ventimiglia" e che, per certi aspetti nella radice di fondo, rimandavano al
rinvenimento nel XV secolo a Roma del sepolcro di una fanciulla imbalsamata, in eccellente stato di conservazione: questo fatto e la convinzione che nella tomba fosse stata rinvenuta una lucerna ancora accesa dopo tante migliaia di anni indusse il Pontefice dell'epoca come qui si legge a far disperdere quel reperto temendo la superstizione ed il rinascere di paganeggianti convinzioni.
Molti autori si occuparono del fatto, che fu esteso alla convinzione che gli antichi fossero capaci di sistemare nei sepolcri LUCERNE E LAMPADE con sostanze eternamente o quasi in grado di ardere cosa che
dopo una premessa sul fatto generale entro il Museo Cospiano annesso al famoso Museo di Ulisse Aldrovandi venne con destrezza e razionalità confutata dall'estensore del libro III in cui era trattato l'argomento vale a dire il cremonese ed amico dell'Aprosio Lorenzo Legati
(pare fuor di dubbio che le esternazioni del Liceti e dei suoi sostenitori poggiassero, più o meno implicitamente, sul tema di quella che può esser definita la prima arma di sterminio di massa vale a dire il FUOCO GRECO detto anche FUOCO SACRO o meglio FUOCO BIZANTINO usato dall'Impero d' Oriente contro gli Arabi e la cui formula, nonostante anche gli sforzi di molti, compreso Leonardo da Vinci, e fin a tempi recenti mai è stata "per fortuna" svelata).
Prima di questa corretta postulazione, le opinioni erano però state assai varie e sull'argomento il personaggio che più di tutti si era impegnato era appunto il filosofo e scienziato rapallese Fortunio Liceti nel contesto di un'opera monumentale di cui si è già fatto cenno De Lucernis Antiquorum Reconditis Libri Sex... -in pratica e con traduzione libera sui "Misteri delle Lucerne degli Antichi- = l'autore di matrice peripatetica e certo non estraneo agli influssi della "Magia naturale" divise in sei voluminosi libri la sua fatica che nonostante l'argomento esoterico ottenne l'Imprimatur Ecclesiastico e quindi dei Riformatori del Studio di Padova.
Il Liceti dopo una "Premessa" approntò l'"Indice dei Libri e degli Argomenti" da cui già si può intendere il suo programma di lavoro = nel Libro I il titolo è di per se stesso emblematico: "Sulle misteriose Lucerne degli Antichi, argomento su cui si riportano da vari autori moltissime osservazioni a riguardo di questo tipo di lumi").
Poi nel II libro il cui indice inizia a metà della pagina citata si propongono e, dal Liceti stesso o da altri, si discutono,criticandole o meno, altre ragioni da altri ancora formulate sul tema.
Il III libro (indice da metà pagina, colonna II) detta poi "libro in cui l'Autore sulla base del proprio giudizio disquisisce della natura, delle caue, delle proprietà di questo tipo di lucerna diuturna degna di vera ammirazione" (e si capisce che attraverso una formulazioni di ipotesi anche sulle sostanze chimiche e sui modi per alimentare il fuoco il Liceti in questo libro si propone quale possibilista): libro che grossomodo riceve poi un'integrazione, con la citazione di tanti autori, nel successivo libro IV da fine pagina e colonna II ("Nel quale i problemi, gli interrogativi e pure certe osservazioni proposte nel precedente testo vengono dissipati").
libro V (fine pagina, fine colonna II) che detta "libro in cui si replica alle opposizioni Aresiane ed a moltissimi uomini di genio impegnatisi a negare l'ipotesi di una perenne durata d'accensione delle Lucerne degli Antichi"
[ Si tratta di Paolo Arese -scritto anche Aresi o latinizzato quale Aresius o volgarizzato in "Aresio" le cui opposizioni al giudizio del Liceti sulle "Lampade Eterne degli Antichi" suscitarono una polemica accesa dall'Arese e poi confutata con molta fantasia del Liceti].
A tutta questa congerie di trattazioni, postulazioni ed anche polemiche finalmente succede oncludendo l'opera del Liceti il corposissimo
libro VI "In cui delle più antiche Lucerne, e nuovamente di Padova, si propone una spiegazione in merito agli antichi riti e alle storie occulte".
La trattazione del lavoro, dopo una rapida Prefazione/Premessa e quasi subito, al punto 2, il Liceti affronta il tema di cui sopra si è discusso cioè del ritrovamento nel XV secolo di una mummia di una fanciulla romana imbalsamata che egli però tratta in maniera diversa citando
***********una fiamma di lucerna ancora accesa che si sarebbe spenta appena a contatto dell'aria, parlando di un similare prodotto chimico moderno analogo ma poi non usato***********
(addirittura riportando la trascrizione della lapide che avrebbe attestato esser la ragazza Tullia o Tulliola l'amata figlia di Cicerone)

tutto molto più poetico ma assai meno documentato di quanto registrato - come sopra già scritto - dagli eruditi presenti al rinvenimento, che ne descrissero gli eventi e ne disegnarono la forma, compreso l'aspetto della fanciulla per nulla identificata con Tullia non parlandosi di alcuna epigrafe: il carisma del Liceti dovette però funzionare in quanto l'antiquario G. B. Casali parlando dello stesso ritrovamento si rifece -in parte e pur con palesi dubbi- alla narrazione del Liceti o comunque alle voci che la sostenevano = e tuttavia, nel contesto delle varie osservazioni del Casali come di altri, si giunge a quei punti di scetticismo che troveranno sostanza decisa nel "Museo Cospiano" proprio laddove come si è scritto il Legati tratta dell' enigma delle Lucerne Eterne degli Antichi dissipandone la realtà storica.
In tutto questo risiede anche un destino abbastanza peculiare perché Angelico Aprosio, amico ed ammiratore di entrambi, nel contesto del suo già inedito Scudo di Rinaldo (parte II) li menzionò del pari come autori meritevoli di esser letti da tutti per il piacere della letteratura buona e formativa giudicando Paolo Arese importante autore di Emblemi = ma Arese, colto vescovo di Tortona, gode di ottima reputazione sia come prelato che quale scrittore ed al Liceti per quanto abbia avuto gli auspici dell'Inquisitore per il suo libro e tutte le necessarie autorizzazioni alla stampa si sente evidentemente punto nell'orgoglio intellettuale quale stimato scienziato ma forse anche prova un certo timore di revisione inquisitoriale atteso il fatto che il vescovo Paolo Arese ha messo e mette in discussione le sue postulazioni sulle Lucerne degli Antichi; è per questa ragione che nel Libro V dichiara di difendersi dalle opposizioni fatte alle sue teorie dall'Arese e di questo Libro qui (nell'attesa di proporre in edizione critica tutta l'opera del Liceti) lo scienziato di Rapallo e docente a Padova redige un primo capitolo qui digitalizzato che si svolge in una sorta di dibattito con il vescovo: capitolo piuttosto interessante che sostanzialmente, dopo le motivazioni del Liceti sulla sua ragione come dell'intiero libro, sviluppa in primo luogo le opposizioni dell'Arese (redatte in italiano) cui volta per volta ribatte ma che procedono quasi in sequenza partendo dall'
episodio del ritrovamento della mummia della presunta figlia di Cicerone (pag. 448)
per giungere non senza una pur garbata sferzata intellettuale al Liceti all'asserzione che nessun fuoco può sopravvivere in eterno senza che non si alimenti la quantità di combustibile da ardere (ritornando successivamente sullo stesso argomento come qui si legge a pag.453) e così di seguito non senza citare quelle riflessioni sul presunto liquore dell'Asbesto vale a dire dell'Amianto (pagina 449) che a parere anche di altri e con nomi pure diversi come "Acqua Celeste" e/o latice Scitico" oltre che del "Licore della Pietra d'Amianto" avrebbe indefinitamente alimentato il lucignolo di siffatte lucerne; le opposizioni de Liceti si leggono di seguito alle solide e motivate postulazioni dell'Arese e quindi
lo scienziato rapallese, fondendo (da pag. 469) la sua postazione peripatetica con riflessioni connesse alle proprietà dei 4 elementi fondamentali dell'universo (acqua, aria, terra e fuoco) organizza una prolissa risposta, con molta documentazione bibliografica, la cui lettura qui appena proposta sarà consultabile con adeguato commento sul sito di Cultura-Barocca o prioritariamente previo incontri in cui sarà fornito ai richiedenti la documentazione necessaria.
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Fatta questa doverosa precisazione a riguardo dei problemi che pure il Liceti si trovò ad affrontare val ora la pena di proseguire le riflessioni in merito ai suoi rapporti con l'Aprosio dal momento che, fuor di polemiche scientifiche e piuttosto soffermandosi sulla tipologia degli oggetti, non evita di parlare della Lucerna del Dio Vulcano = esplicitamente egli ritorna alla lettera sopra citata che gli inviò Aprosio sul tema e che riassumendone i contenuti si interpreta in siffatto modo: "Liceti, conosciuto personalmente da Aprosio, gli aveva scritto che se fosse entrato in possesso d'una qualche lucerna gli avrebbe fatto piacere vederla per inserirla nel suo lavoro appunto sulle Lucerne segrete degli Antichi. Aprosio gli comunica di averne avuta ora una di metallo, variamente ornata di icone verosimilmente destinate a significarne la valenza: il frate gli invia un'immagine della stessa, anzi due dell'una e dell'altra faccia sì da averne una qualche spiegazione = E' formata a guisa di Conchiglia marina inserita sul capo di un Delfino che con la coda pare avvolgerla. Dal lato posteriore sta seduto su una sorta di coperchio un uomo nudo con in testa un casco od un elmo di cuoio: egli ha poi una tracolla che parte dall'omero destro sino al petto ed al dorso terminando quindi sul lato sinistro del corpo, con attaccata una certa qual borsa, come di cacciatore. Mentre sta seduto l'uomo con entrambe le mani agita un mantice, con cui sembra voler dar vita ad una fiamma, dacché il terminale del mantice, donde esce l'aria, quasi arriva a toccare l'estremità del lucignolo -----Alla sua sinistra l'uomo seduto ha poi una tenagia da fabbro ed un martello e quindi alla destra come un pezzo di ferro grezzo. Io non riesco a comprendere cosa vogliano dire tutte queste cose. Sono però certo che tu, la cui erudizione non ha pari in Europa, sarai in grado di penetrare i segreti di siffatta figura. E così sperando che possa far tua questa occasione di adornare una Sparta [nel senso di cosa misteriosa come la scomparsa grande città greca] di siffatta maniera grazie a quattro gocce del tuo immortale inchiostro pongo fine a questa mia. Bologna, 28 Maggio 1647"
La risposta del Liceti è invero minuziosa e sembra davvero superflua la citazione finale di pagina 752 qui tradotta: " Queste sono le cose, Chiarissimo Aprosio, che mi son venute alla mente per la spiegazione della tua antica lucerna bella non meno di quanto sia misteriosa. Tu valuta quelle cose per quanto di buono vi sono e amami sempre. Darò alla posta a Padova dal mio Museo il quarto dì dalle Idi di Giugno del 1647 ": Liceti non ha avuto dubbi, con enorme varietà di citazioni erudite, a parlare di una Lucerna effigiante il Dio Vulcano, giovane e nudo, connesso ai suoi misteri sia mitologici che fisologici per giungere poi a soffermarsi su argomenti fisici e chimici connessi ai quattro elementi aria, terra, fuoco e acqua.
Un fatto resta ancora evidente, come sia pervenuta ad Aprosio la Lucerna, un Aprosio soggiornante a Bologna laddove poi Liceti nel libro VI "In cui delle più antiche Lucerne, e nuovamente di Padova, si propone una spiegazione in merito agli antichi riti e alle storie occulte" elenca sì la Lucerna del Dio Vulcano senza suggerire però alcuna idea - nemmeno su vasta scala- della provenienza, del luogo del rinvenimento od anche del dono fatto ad Aprosio, che peraltro come si vede nella lettera è parco di dati e notizie (in teoria avrebbe potuto possedere da tempo l'oggetto ed esser refrattario ad indicarne la provenienza, dal Veneto come da altri luoghi od ancora dallo stesso luogo natale: sembra quasi a leggere che Aprosio si decida, in un momento per lui non semplice, ad accondiscendere il Liceti, magari procurandogli informazioni e dati prima per varie motivazioni non forniti: tutto è possibile, ma tutto è costituito da ipotesi; unica certezza il possesso aprosiano del prezioso manufatto romano) = quindi non pare facile dare né una logistica né una tempistica al momento esatto in cui Aprosio entra o è entrato in possesso della citata Lucerna e del resto è questo l'anno successivo alla pubblicazione della prima parte dello Scudo di Rinaldo (1646) caratterizzato da una serie di vicissitudini e da rapporti complessi con il mondo delle letterate per le dispute femminismo/antifemminismo ma anche da viaggi per prediche e contatti vari in terre anche straniere
per poi
tornare a Venezia ma subito doverne ripartire alla volta di Bologna, sede di un lungo soggiorno, in un continuo interagire con amicizie di ogni sorta -anche come contraltare agli eccessi generati dal polemismo antidonnesco- con letterati ma pure antiquari, senza calcolare le escursioni personali alla ricerca di luoghi nuovi e mai visti.
[Del resto mutatis mutandis e quindi in parziale alternativa a quanto scritto sopra - detto che ancora nel XIX secolo come qui si legge a Ventimiglia e circondario -sulla scorta dell'ottocentesco Navone- come in ogni parte d'Italia non era raro che i contadini trovassero reperti antichi, monete, lucerne, oggettistica varia e, data l'assenza di leggi specifiche sulle competenze in merito, neppure era reato vendere queste "anticaglie" ai turisti - nei secoli precedenti a maggior ragione, a patto di non impegnarsi nell'acquisizione di grandiosi reperti o di voler raccogliere il "massimo delle estravagantie", come ci insegna la lettura del seicentesco Museo Cospiano.... non solo era abbastanza semplice creare senza grossi oneri finanziari raccolte importanti di monete e medaglie ma anche di bassi rilevi sacri e profani (vedi qui l'elenco del libro IV) ma nemmeno risultava troppo costoso sia per le guerre recenti che per le esumazioni di antiche necropoli nemmeno era arduo raccogliere armi di vario tipo (vedi libro III): pur non disponendo di grandi risorse Aprosio era pur sempre un erudito accreditato, un religoso e non mancava di conoscenze (basti pensare ai suoi rapporti con il Museo milanese di Manfredo Settala frequentato, ammirato e studiato grazie all'amicizia personale con Carlo Settala, fratello di Manfredo, e vescovo di Tortona) da cui poteva esser favorito di qualche omaggio antiquario: e poi "il Ventimiglia" viaggiava tanto e non evitata di frequentare la gente umile, quella che trovava reperti che non comprendeva e che sottoponeva alla sua esperta attenzione: come non pensare che nelle tante frequentazioni con persone umili,comuni ed inseperte che gli sottoponevano oggetti rinvenuti e temuti come stranezze e diavolerie attesa la sua passione, senza ambizioni di lucro ma per ambizione di sapere e vedere il bello dell'antico, si sia tenuto per la propria raccolta quanto gli altri avrebbero cacciato o distrutto e così, per divagazione erudita, vien da pensare a quel suo viaggio, tra agricoltori e buone donne, lungo la via del Piave od ancora a quella sua spedizione in terra straniera -ad Eben nel Nord Tirolo- tra gente semplicissima, che però trovava e mostrava e donava senza nulla chiedere i reperti di un mondo antico che ignorava e i cui resti altrimenti avrebbe disperso ( già assodato che non sarebbe facile orientarsi tra gli antiquari e/o gli eredi e gli amici degli stessi con cui Aprosio ebbe contatti a titolo puramente casuale e quantomeno cronologico un nome sovviene ed è quello del cognato di Arcangela Tarabotti l'avvocato di Bergamo Jacopo Pighetti (vedi fine pag. 168) e quindi vedi pagina 170 che non solo parteggiò per il frate ventimigliese nel contesto della polemica con la suora veneziana ma che, per quanto economicamente dissennato e spesso indebitato, amava raccogliere antichità romane -lucerne specificatamente- che anche sottopose come qui si legge e vede al giudizio di Fortunio Liceti nel caso di una lucerna di soggetto non erotico ma osceno o tragico a seconda dei punti di vista effigiante -a parere condivisibile dell'esperto antiquario- la pena del rafanismo a scapito di un adultero = data la ritrosia aprosiana a denunciare al Liceti la provenienza della "Lucerna di Vulcano" potrebbe anche essere che sia stato il Pighetti o per quietare l'Aprosio già incaricato nel 1644 di riscuotere il denaro di debiti da lui fatti o per compensare il frate ventimigliese di qualche aiuto economico, magari sotto forma di avallo e o garanzia, colui che gli avesse ceduto l'oggetto antico e raro, motivo ed azione, in effetti, di cui un religioso non poteva vantarsi: ma come detto queste sono ipotesi elaborate entro un contesto estremamente difficile da inquadrare e quindi destinate a rimanere mere supposizioni senza fondamento documentario e pure stravaganze erudite o se vogliamo curiose ipotesi = ipotesi che tuttavia non escludono a priori qualche investigazione magari sull'epistolario aprosiano: cosa ben si sa assai ardua data la mole e l'assenza di lettere pighettiane ad eccezione di una editata come si può vedere da Aprosio stesso ) ]
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Riprendendo il discorso sulla Biblioteca/Museo Aprosiana o se vogliamo "Camera delle Meraviglie" o "Wunderkammer" nonostante le cautele di legge prese contro furti e depredazioni è da dire che ben poco purtroppo è rimasto: nulla dei reperti antiquari e alcuni quadri, piccola parte superstite dell'imponente Quadreria, peraltro encomiabilmente restaurati in tempi recentissimi: qui di seguito si possono visualizzare i tempi distinti della sua parziale spoliazione di materiale cartaceo (con pur minima sopravvivenza della Pinacoteca o "Galleria di Ritratti") e della totale spoliazione dei reperti antiquari romani e non = XVIII secolo: Guerra di Successione al Trono Imperiale d'Austria: occupazione austro-sabauda del Convento di S. Agostino e della Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia (notte tra il 13 e il 14 gennaio 1748 = la Battaglia di S. Agostino tra Convento e Biblioteca: i saccheggi di libri, quadri, raccolte antiquarie e numismatiche); altra spoliazione sotto Napoleone I per centralizzare la cultura a Genova vedi qui in dettaglio l'operazione Prospero Semino/-i a scapito del materiale della Biblioteca Aprosiana

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