cultura barocca
ARCHIVIO APROSIANA carta storica resa attiva (Durante)

Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale ci ha lasciato la più interessante descrizione dell'AMBRA e dei grandi commerci che si intrattenevano ai suoi tempi attraverso la storica VIA DELL'AMBRA, nel fiorire dell'IMPERO DI ROMA, anche se del prodotto non aveva grande considerazione ritenendolo solo un'ostentazione vana di lusso e scriveva (libro XXXVII, 11):" Il posto immediatamente seguente tra gli oggetti di lusso, anche se finora solo per le donne, è occupato dall'ambra. Tutti questi materiali godono dello stesso prestigio delle gemme: i primi due, sicuramente, per qualche ragione: i vasi di cristallo si usano per le bevande fredde, quelli di murra per le bevande sia fredde che calde, ma quanto all'ambra, nemmeno il lusso è ancora riuscito a escogitare una ragione per il suo uso".
Tuttavia lo scienziato romano, nonostante il suo moralismo permeato di antifemminismo, non potè far a meno di dedicare un'ampia trattazione ad una sostanza che godeva di un grande commercio e, pir dopo aver disperso come sciocchezze le leggende mitologiche elaborate soprattutto dai Greci sulla genesi dell'ambra, così scrisse nello stesso libro di seguito dal par. 42:
"E' certo che l'AMBRA si genera nelle isole dell' Oceano settentrionale e che dai Germani è chiamata gleso " [Come anche in un passo della Germania, 45, 4 di Tacito] ", ed è perciò che anche i nostri compatrioti hanno chiamato Glesaria una di queste isole " [Menzionata già da Plinio per identificare una delle isole Frisone, forse Borkum] ", quando Germanico Cesare conduceva colà operazioni con la flotta " [Forse la missione contro la Germania dal Mare del Nord, nel 16 d. C.] "; i barbari la chiamano Austeravia. Si forma, l'ambra, dal midollo che stilla da un tipo di pino, come la gomma nei ciliegi o la resina nei pini fuoriesce per eccesso di liquido " [L'ambra è una resina fossile essudata da un tipo di pino ormai estinto detto Pinus succinifera, nelle foreste del Terziario]. " Si solidifica per il gelo o per le condizioni atmosferiche o per effetto del mare, quando le onde agitandosi la strappano dalle isole. Allora, come che sia, è rigettata sulle rive, ed è trasportata così facilmente che sembra restar sospesa e non calare a fondo. Che si trattasse del succo di un albero lo credettero anche i nostri antenati, che perciò la chiamarono succino " [L'etimologia proposta da Plinio (sucinum da sucus) è inesatta; l'origine della parola è oscura (le sta vicino il lituano sakas = resina). Il termine ambra è di origine araba, da ambar] ". Che poi l'albero sia un tipo di pino lo indica l'odore di pino che l'ambra produce se la si strofina e il fatto che, ad accenderla, brucia allo stesso modo e con le esalazioni di una torcia resinosa " [Vedi pure Tacito, Germania, 45. 6] ". I Germani la portano soprattutto dalla provincia di Pannonia e di là per primi i Veneti, che i Greci hanno chiamato Eneti, ne diffusero la fama, vicini com'erano alla Pannonia e vivendo attorno al mare Adriatico. La storia è certo associata al Po per una ragione evidente: ancora oggi le contadine transpadane portano oggetti d'ambra a mo' di monili, soprattutto per ornamento, ma anche per le sue proprietà medicinali; si crede infatti che l'ambra sia efficace contro le tonsilliti e le malattie della gola, perché la natura delle acque in prossimità delle Alpi provoca infezioni di vario tipo alla gola degli uomini" [Probabile riferimento al fenomeno patologico del gozzo diffuso, comune appunto in determinate regioni montagnose, tra cui le vallate alpine, e anche oggi da molti ricondotto alla presenza particolari sostanze nelle acque potabili].
" La distanza da Carnunto " [scrive ancora Plinio] ", in Pannonia, " [Carnuntum era un'importante roccaforte militare al confine fra Norico e Pannonia (a circa 40 km a sud-est da Vienna sul Danubio, vicino all'odierna cittadina di Petronell). La VIA DELL'AMBRA correva, attraverso Carnuntum, dal Baltico all'Adriatico (Aquileia): la distanza indicata da Plinio (circa 888 km) sembra in effetti corrispondere a questo percorso] " alle coste della Germania, da dove si importa l'ambra, è di circa 600 miglia: il fatto è stato accertato da poco, ed è ancora vivo il cavaliere romano inviato a procurarsela da Giuliano, quando questi fu incaricato di curare lo spettacolo di gladiatori dato dall'imperatore Nerone. Egli attraversò i mercati e le coste e ne riportò una quantità cosi grande che le reti protettive che tenevano lontane le fiere dal podio erano annodate con pezzi d'ambra, e inoltre le armi e le barelle e tutto l'apparato di ciascun giorno (dal momento che lo sfarzoso allestimento ogni giorno cambiava) erano ornati d'ambra. Il blocco maggiore che egli riportò era del peso di 13 libbre " [quindi oltre 4 Kg.] ". E' certo che se ne forma anche in India " [ma secondo alcuni si tratterebbe di una lacca] ". Archelao, che fu re di Cappadocia, racconta che si importa di là allo stato grezzo, con la corteccia di pino ancora aderente, e che si leviga bollendola nel grasso di maiale da latte " [Dal 36 a. C. rimase sotto protezione di Antonio sino al 17 d. C. quando fu annessa da Roma. Archelao fu noto come "il geografo" e risulta citato da Plinio anche ai parr 95, 104 e 107 di questo libro, fu probabilmente autore anche di scritti sui fiumi].
" Che l'ambra stilli in origine come liquido " [continua nella sua dissertazione Plinio il Vecchio] " lo provano alcuni corpi che si vedono all'interno in trasparenza, come formiche zanzare e lucertole, che evidentemente si sono attaccati alla sostanza fresca e poi ne sono rimasti prigionieri quando si è solidificata " [Medesima considerazione si trova in Tacito, Germania , 45.6: GIOIELLI e nei casi più sofisticati o raffinati anche MONILI CONFEZIONATI CON PEZZI D'AMBRA CHE INCLUDEVANO ANIMALETTI erano frequenti e comunque, a testimonianza del gran mercato di siffatti oggetti preziosi, un MONILE D'AMBRA, data la non casuale conformazione sferica o più precisamente ovoidale forse realizato proprio per quella COSTUMANZA FEMMINILE di cui ancora parla Plinio Seniore, venne ritrovato anche dall'ottocentesco CANONICO LOTTI durante gli scavi che permisero di individuare il sito della STAZIONE STRADALE ROMANA DI COSTA BELENI (o BALENAE) nell'area fra TAGGIA e RIVA LIGURE].
" Le varietà di ambra sono numerose. Di esse la bianca ha l'odore migliore, ma né essa né quella color cera ha pregio; la rossiccia è piùpregiata, e piu ancora se è trasparente, purché la luminosità non sia eccessiva: ciò che in essa piace è un'immagine del fuoco, non il fuoco vero e proprio Profumo e generazione di calore erano caratteristica dell'ambra molto apprezzate come si deduce dall'uso delle donne di tenere oggetti di questo materiale fra le mani per scaldarle e sentirne il profumo (cfr. ad esempio Giovenale 6, 573; Marziale III 65, 5)] ".
La varietà più stimata è il Falerno, detta così dal colore del vino " [Vino campano, molto robusto che spesso si beveva sciogliendovi dentro miele (la bevanda ottenuta era detta rnulsurn)] " : e trasparente nella sua dolce luminosità, e in essa si apprezza anche la morbida tinta del miele cotto. Ma anche questo bisogna che si sappia, che l'ambra si tinge in qualunque colore si voglia, col sego dei capretti e la radice della borragine; ora anzi si tinge anche con la porpora. D'altra parte, quando lo sfregamento delle dita introduce in essa un soffio di calore, l'ambra attrae a sè paglie, foglie secche e fili di tiglio, come la pietra magnetica il ferro " [Plinio segue qui da vicino un passo del trattato teofrasteo De lapidibus 28. Sul magnetismo cfr. Plinio, XXXVI, 12 7 ].
" Inoltre i trucioli d'ambra bagnati nell'olio bruciano piu luminosi e piu a lungo che il midollo del lino.
La sua valutazione tra gli oggetti di lusso è così alta che una statuetta d'uomo in ambra, per quanto piccola, supera il costo di uomini viventi e in forze; sicché non basta certo un solo biasimo: nei vasi di Corinto si ammira il bronzo mescolato all'argento e all'oro; nei vasi cesellati, l'arte e l'ingegno; dei vasi di morra " [La myrrha, murrha o murra è forse da identificare con la fluorite, un minerale incolore e di lucentezza vitrea] " e di cristallo abbiamo già detto la bellezza; le perle si portano attorno alla testa, le gemme al dito; insomma, in tutti gli altri oggetti preziosi per i quali abbiamo un debole ci piace o il metterli in mostra o l' uso pratico, negli oggetti d' ambra solo la consapevolezza del lusso. Tra le altre bizzarrie della sua vita, Domizio Nerone aveva adottato questo nome perfino per i capelli di sua moglie Poppea, chiamandoli anche in un suo poema ambrati, giacché non mancano mai nomi ricercati per designare i difetti; da allora, le signore hanno cominciato a volere questa specie di terzo colore per i loro capelli.
Un qualche uso dell' ambra si trova tuttavia in medicina, ma non è per questo che essa piace alle donne; è di giovamento ai bambini che la portano a mo' di amuleto.
Callistrato dice che, ingerita liquida o portata come amuleto, è utile, a ogni età, anche contro gli attacchi di delirio e la stranguria. Egli ha anche introdotto una nuova varietà definendo criselettro un tipo di ambra che è del colore dell'oro e la mattina ha un aspetto delizioso, ma che, se c'è fuoco vicino, vi si attacca immediatamente e brucia in un attimo. Portata al collo come amuleto quest'ambra curerebbe le febbri e le malattie; tritata invece e mescolata a miele e olio di rose sarebbe un rimedio contro le malattie delle orecchie e, se tritata con miele dell' Attica , anche contro l'oscuramento della vista, e ancora contro le malattie dello stomaco, sia presa da sola in polvere sia bevuta in acqua con mastice. L'ambra ha un ruolo importante anche nella creazione delle false gemme trasparenti, in particolare delle ametiste, anche se, come abbiamo detto, la si tinge in tutti i colori ".















Contro le tossicosi, ma anche per le perfette cicatrizzazioni e contro i rischi di infezioni e cancrene delle ferite un esercito di alchimisti, sulla scorta di Plinio (XIX, 39 e 43; XXII, 48-49) e d' altri classici cercavano la leggendaria pianta del SILFIO della Cirenaica (già quasi estinto sotto Nerone) da cui si distillava il Làsere dai tempi di Andrea (III sec. a.C), medico del re d'Egitto Tolomeo IV Filopatore ritenuto cura di molti mali, quello che Plinio definì uno "tra i doni più straordinari della natura...[che] entra in moltissimi preparati medicinali": il Làsere di cui si disponeva nel XVI sec. era estratto dalla pianta del Laserpìzio ("Ombrellifere") di Siria, Parmenia, Media, Armenia (M. MONTIGIANO, Dioscoride Anazarbeo. Della materia medicinale, tradotto in lingua fiorentina, Firenze, 1546 o 1547, p.154) e, oltre a non essere facilmente reperibile, non aveva le qualità attribuitegli da Plinio, riferendosi egli a quello della Cirenaica (scrisse che il Làsere delle regioni orientali - estratto dal Laserpìzio del genere Ferula Asa foetida delle Ombrellifere - "è di qualità molto inferiore rispetto a quello della Cirenaica, e per di più spesso mescolato con gomma o sacopenio [gomma di ferulacea orientale ma anche di una specie italica], o fave tritate": e del resto in Italia delle 30 specie di Laserpìzio conosciute ne crescono 8 (ma senza le supposte proprietà citate da Plinio): fra gli attributi medicamentosi del Làsere ottenuto dal Laserpìzio o Silfio della Cirenaica (che non è di sicura interpretazione e per cui si è supposta l'identificazione con la Ferula tingitana ed a cui Catone, 156-7 attribuì alto valore terapeutico ) si attribuivano poteri cicatrizzanti e la qualità di antidoto sì forte da neutralizzare ogni veleno: possedere o realizzare tal prodotto avrebbe fatta la fortuna di qualsiasi alchimista, speziale o medico ed avrebbe risolto i problemi di intervento, che a volte imponevano l' amputazione dell'arto ferito ed avvelenato, per i Chirurghi.
Da quanto si è scritto si potrebbe pensare che il SILFIO, dalle prodigiose qualità terapeutiche, sia stata solo una leggenda proveniente dal passato remoto: se però, trattando della pianta Ippocrate, Galeno, Dioscoride, Apicio, Plinio Seniore e tanti altri medici ed eruditi, nel campo delle reciproche competenze, parlarono sempre in termini entusiastici, alludendo soprattutto alle straordinarie qualità medicamentose, un fondo di verità nella "leggenda" deve pur esservi stato. E, con probabilità, era ancor più che una leggenda da studiosi e scienziati, se Nerone ne pagò a prezzo elevatissimo l'ultima spedizione, che reclamò per sè alla vigilia dell'estinzione della pianta, e se, già da molto prima, il succo del Silfio veniva conservato, sotto stretta custodia, nel tesoro pubblico e nei templi.
Fatto certo è che il SILFIO, verso il I sec. d.C. scomparve nel nulla: esiste un solo modo per cercare di ricostruirne la struttura botanica, quello di visualizzarla sulle monete, i tetradrammi (come quello qui riprodotti) di CIRENE dove gli antichi incisori e zecchieri lo immortalarono nei suoi frutti, nei germogli e persino nelle dimensioni, che dovevano essere notevoli se la testa di un cavallo giungeva a malapena alla sua cima.
CIRENE (colonia greca fondata forse nel 631 da coloni dori originari di Tera [Santorini] sulle coste settentrionali dell'Africa, donde la regione fu poi detta Cirenaica), a dimostrazione della grande quantità di tali piante così fiorenti nel suo territorio da caratterizzarlo come ne fossero un "simbolo", scelse, per oltre tre secoli (631-300 a.C.) di utilizzare l'immagine della pianta come "marchio della propria identità nazionale": alla stessa maniera di come fecero un pò tutte le altre città stato e colonie greche> celebre e splendido il caso di RODI e della rappresentazione della rosa, caratteristica della pianta, sulle sue monete a decorrere dal tempo (411-407 a.C.) dell'unione (sinecismo) dei tre centri antichi dell'isola ("Lindos", "Jaliso" e "Camiro").













Una particolare medicina -di cui oggi quasi nulla più si ricorda- fu la MUMMIA.
Si trattava di una miscela di bitume, MIRRA, ALOE, zafferano, balsamo e altri aromi, di consistenza cerosa, colore bruno o nero, odore sgradevole che era usata nell'antichità per conservare i cadaveri e che dal Medioevo sin al secolo XVII fu estratta dalle tombe egizie essendo oggetto di un attivo commercio dato che la crdenza popolare -ma anche il parere di svariati medici- le attribuiva delle PROPRIETA' MEDICINALI E MAGICHE: talvolta le veniva aggiunto dell'asfalto ed era prodotta artificialmente con l'essiccamento di corpi morti.
Molti testi di medicina antica riconoscevano reale valore terapeutico alla MUMMIA: per esempio in "PETRO ISPANO VOLGAR." (2-22) si legge "Ardi insieme mummia, sangue di dragone, incenso, mastice, classe, e nella aurora danne a bere con siropo rosato o vero con zuchero rosato"
E parimenti nel FASCICULO DI MEDICINA VOLGARE (18) si trova altra medicina: "Unguento da crepati. Togli pece navale, mastice, pegola, terra sigillata, sangue di drago, scornice di carta rasa, chalidomo arsi ana on. IJ, bolo armenico, mumia armoniaco, colla di pesce ana drag. IJ e fa unguento".
Nel RICETTARIO FIORENTINO (I-C-II) era addirittura proposta una selezione fra le qualità del prodottotto commercializzato: "La mumia buona suole essere di colore nera, lucida, puzzolente, soda e facile a polverizzare, di sapore orribile": e peraltro non era impossibile rinvenire MUMMIE anche in area italiana attesa l'abitudine, pur non frequente e durante il fulcro dell'Impero di Roma, di mummificare alcuni corpi come attestano importanti RINVENIMENTI tanto del passsato che della contemporaneità.
Gli stessi concetti riprese e divulgò con notevole successo il Mattioli nel suo volgarizzamento del medico classico Pedanio Dioscoride: si dovette giungere a MEDICI DEL XVII SECOLO per mettere in discussione la validità di questo medicamento che comunque continuò a trovarsi nelle farmacie sino al XVIII secolo, quando contestualmente iniziarono altre investigazioni scientifiche e antiquarie sul loro segreto iniziando raccolte museali e soprattutto procedendo ad una ordinata apertura dei SARCOFAGI e ad una attenta sfasciatura delle MUMMIE in essi custodite.
La lunghissima tradizone della MUMMIA come medicamento -cosa non molto nota- prese corpo nel Medioevo dall'opera dei mercanti italiani che se ne approvvigionarono nei mercati medio-orientali per commerciarla, ad un prezzo superiore addirittura a quello delle Spezie, nella Cristianità.
Un ruolo importante nel traffico di MUMMIA ebbero poi i CAVALIERI TEMPLARI che proprio con essa, oltre che con altri commerci e servizi, si arricchirono in Oriente: la loro fama di MAGHI (fama che fu alla base della loro rovina e che rientrò tra le principali accuse loro mosse al CONCILIO DI VIENNE del XIV sec. che ne segnò la fine) fu alimentata proprio dalla loro riconosciuta dimestichezza con l'ALCHIMIA e la conoscenza di nuove ed ancora misteriose medicine -non completamente giustificate dalla Chiesa- spesso recuperate dal patrimonio culturale del MEDIO ORIENTE e specificatamente dell'EGITTO tradizionalmente venerato e temuto come terra di maghi e di segreti insondabili. La MUMMIFICAZIONE fu importata dai Romani nel modo occidentale e pur non divenendo pratica comune di seppellimento gli scavi archeologici hanno lasciato tracce di un certo significato con ritrovamenti avvenuti nel RINASCIMENTO come in tempi recenti.
Una scoperta eccezionale che confuse Roma tutta e fece vacillare alcune coscienze fu fatta alla fine del XVI secolo nel corso di lavori casuali di sterro e recupero materiale edilizio sulla via Appia.
Nell'aprile del 1485 alcuni operai scoprirono non lungi da Roma durante uno scavo presso la "via Appia" scoprirono un SARCOFAGO dal contenuto straordinario: in esso stava il "corpo mummificato" di una ragazza romana di notevole bellezza: il sarcofago, per volere dei "Conservatori della città" venne esposto per due giorni al "Palazzo dei Conservatori" di modo che una folla enorme (oltre 20.000 persone si recò a visitarlo) spinta dalla convinzione di un fatto miracoloso ed anche dalla superstizione, ritenendosi che presso il corpo fosse stata rinvenuta una lucerna ancora accesa dopo oltre mille anni di inumazione).
Per evitare il crescere della superstizione "Papa Innocenzo VIII" ordinò che il corpo di notte fosse di nuovo portato in luogo segreto e disperso nei dintorni di "Porta Pinciana".
Il DISEGNO DEL CORPO MUMMIFICATO ("disegno a penna colorato all'acquarello, in lettera di B.Fonte a F.Sassetti, Coll. Prof. B.Ashmole, Oxford") è opera di un testimone oculare dello straordinario evento, l'umanista Da Fonte che ne scrisse all'amico fiorentino "Sassetti" che a sua volta fece resoconto del fatto al dottissimo amico "Lorenzo il Magnifico de' Medici". Così annotò il "Da Fonte": "Bartolomeo Fonte al suo amico Francesco Sassetti salute...
Mi hai pregato di dirti qualcosa sul corpo di donna trovato di recente presso la Via Appia. Spero soltanto che la mia penna sia in grado di descrivere la bellezza e il fascino di quel corpo. Se non ci fosse la testimonianza di tutta Roma il fatto sembrerebbe incredibile...Nei pressi della sesta pietra miliare dell'Appia, alcuni operai, in cerca d'una cava di marmo, avevano appena estratto un gran blocco quando improvvisamente sprofondarono in una volta a tegole profonda dodici piedi. Rinvennero colà un sarcofago di marmo. Apertolo, vi trovarono un corpo disposto bocconi, coperto d'una sostanza alta due dita, grassa e profumata. Rimossa la crosta odorosa a cominciare dalla testa, apparve loro un volto di così limpido pallore da far sembrare che la fanciulla fosse stata sepolta quel giorno. I lunghi capelli neri aderivano ancora al cranio, erano spartiti e annodati come si conviene a una giovane, e raccolti in una reticella di seta e oro.
Orecchie minuscole, fronte bassa, sopraccigli neri, infine occhi di forma singolare sotto le cui palpebre si scorgeva ancora la cornea. Persino le narici erano ancora intatte e sì morbide da vibrare al semplice contatto di un dito. Le labbra rosse, socchiuse, i denti piccoli e bianchi, la lingua scarlatta sin vicino al palato. Guance, mento, nuca e collo sembravano palpitare. Le braccia scendevano intatte dalle spalle, sì che,volendo, avresti, potuto muoverle. Le unghie aderivano ancora saldamente alle splendide, lunghe dita delle mani distese; anche se avessi tentato non saresti riuscito a staccarle. Petto, ventre e grembo, erano invece compressi da un lato, e dopo l'asportazione della crosta aromatica si decomposero. Il dorso, i fianchi e il deretano avevano invece conservato i loro contorni e le forme meravigliose, così come le cosce e le gambe che in vita avevano sicuramente presentato pregi anche maggiori del viso.
In breve, deve essersi trattato della fanciulla più bella, di nobile schiatta, del periodo in cui Roma era al massimo splendore.
Purtroppo il maestoso monumento sopra la cripta è andato distrutto molti secoli or sono senza che sia rimasta neanche un'iscrizione. Anche il sarcofago non porta alcun segno: non conosciamo né il nome della fanciulla, né la sua origine, né la sua età." (trad. dal latino dell'originale in "Collezione Prof. B.Ashmole, Oxford").
Uno dei più recenti ritrovamenti in Italia è stato il corpo abbastanza ben conservato di una GIOVINETTA MUMMIFICATA ritrovata in un sepolcro lungo la via Cassia, sempre presso Roma in loc. Grottarossa: la datazione scientifica riporta la mummia a circa 1800 anni or sono, quindi al fiorire di Roma imperiale: il processo di mummificazione era spesso fatto praticare da funzionari imperiali che avevano operato in Egitto ed avevano potuto ammirare la straordinaria tecnica di inumazio nel, tanto da volerne trasferire esperimentazioni anche in Italia.
A tal proposito, per quanto possa far fede l'entusiastica lettera dell'umanista "Da Fonte", in merito al più celebre ritrovamento di MUMMIA in Italia è da registrare il passo in cui egli analizzava il "taglio strano degli occhi" quasi che quella che per lui fu una fanciulla d'alto rango poteva benissimo essere la giovane congiunta orientale, siriana od egiziana magari di nobile schiatta, di qualche funzionario che ne volle portare la salma con sè: ma tutte queste restano comunque ipotesi, salvo la constatazione del rilievo che in certi ambienti culturali e di elevata condizione sociale la pratica della mummificazione fu in uso anche nella romanità prescindendo dal caso celebre delle mummie dipinte di "Fayum".
In'opera di medicina, l'Hortus Sanitatis del 1557 furono ribaditi vari concetti sulla potenzialità terapeutica della MUMMIA: la prima ILLUSTRAZIONE nota del modo abituale di procurarla (saccheggiando i depositi di mummie che affioravano o che erano stati individuati dai profanatori, esistenti sin dalla notte dei tempi) è invece contenuta nell'ultima pagina dell'opera di Joachim Struppe dal titolo Testimonianze dei più famosi dottori, storici e filosofi sui medicamenti esotici più segreti e preziosi, in special modo sulla mummia e su tutto quanto la riguardo; e come essa fu universalmente impiegata nei tempi antichi in Giudea, Egitto, Arabia e altrove.
Nella "Storia generale delle droghe" del 1694 (trad. dal francese), il commerciante e farmacista parigino "Pierre Pomet" sperava di distogliere i suoi lettori dall'uso di medicamenti a base di mummie con la spaventevole raffigurazione in primo piano d'un CADAVERE SBUDELLATO. Espresse il proprio orrore nella parola "gabbaras" riportata in alto a sinistra fra le due mummie, che sopravvive nell'inglese "garbage" il cui significato è "sterco" o "rifiuto".
Nel libro si svela che questa particolare mummia, piuttosto malandata, avrebbe fatto parte del bottino della vittoriosa battaglia navale di tardo '500 dei Cristiani contro i Turchi a Lepanto e che era stata portata nel confliitto navali dai musulmani come una sorta di talismano.
In un'opera famosa, Civiltà al Sole, "C.W.Ceram" scrisse:"Mumiya" è una parola araba che denomina propriamente un asfalto naturale al quale già in epoche precedenti si attribuivano virtù medicamentose. Quest'asfalto fu una delle sostanze con cui, dopo tentativi di ogni genere, le mummie egiziane furono finalmente imbalsamate.
Dalle tombe l'asfalto passò alle farmacie " [ed anche ai laboratori di salute delle infermerie dei patrizi, come i Signori di Dolceacqua
]" d'Europa e vi rimase sin verso il XIX secolo quando la distinzione tra "mummia" e "mumija" andò perduta ed ai malati ricchi furono prescritti medicamenti costosi ricavati dalle salme polverizzate dei sovrani e delle sovrane egiziane.