Informatizzazione a c. di B. Durante

NELL'IMMAGINE TRATTA DA ORIGINALE DELL'ILLUSTRAZIONE ITALIANA (PROPRIETA' DURANTE) SI VEDONO TRUPPE ITALIANE IMPEGNATE IN COMPATTIMENTI IN TRINCEE DELLA LIBIA.













I due governi di Giuseppe Zanardelli e di Giovanni Giolitti che si succedettero dopo le tristi esperienze del 1898 segnarono la rinascita in Italia di un'aperta politica liberale.
L'opera di Giolitti, che domino la vita politica italiana fino al 1914, tendeva alla eliminazione del "sovversivismo", dell'estrema sinistra mediante l'attuazione d'una serie di riforme economico-sociali che appagassero i bisogni più urgenti dei ceti proletari: anche se molti problemi creò all'economia del paese la necessità di soccorrere enormi masse urbane colpite dal devastante
terremoto di Messina
Applicando costantemente questa direttiva si giunse, nel 1911, alla istituzione del suffragio universale (diritto di voto per tutti i cittadini maschi, analfabeti compresi, che avessero compiuto ventun anni) e alla realizzazione d'una serie di iniziative nel campo della legislazione sul lavoro.
Le migliorate condizioni economiche e finanziarie del nostro paese favorirono largamente la politica giolittiana: furono intrapresi grandi lavori pubblici, come la costruzione dell'acquedotto pugliese, il traforo del Sempione (1905), l'ampliamento della nostra rete stradale e ferroviaria, ecc.
Fu raggiunto anche il pareggio del bilancio: in alcuni anni si raggiunse un attivo superiore ai cento milioni, la lira italiana fu talora preferita sui mercati internazionali alla stessa sterlina inglese.
L'empirismo politico di Giolitti, abile amministratore e cauto e prudente uomo politico, rinnovava però gli atteggiamenti, non sempre positivi, del trasformismo di Depretis.
La larga maggioranza su cui poggiavano i governi giolittiani era spesso ottenuta, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, mediante una serie di corruzioni, di favoritismi e di clientele locali.
Contro questa politica giolittiana non mancarono di protestare energicamente quanti vedevano in essa un pericolo per le istituzioni democratiche e per l'educazione politica del popolo italiano.
Fra questi oppositori vanno ricordati l'economista Luigi Einaudi che sarà poi Presidente della nostra Repubblica, lo storico Gaetano Salvemini e Guido Dorso, studioso di problemi sociali e politici.
Fra i partiti italiani acquistavano intanto maggior peso politico i socialisti (nel 1906 fu fondata la Confederazione Generale del Lavoro), i nazionalisti, fautori di una politica imperialista ed autoritaria, e i cattolici che entrarono in questi anni nella politica attiva.
Nel 1904 Pio X revocò la proibizione per i cattolici di recarsi alle urne, proibizione che risaliva al tempo in cui lo stato italiano rivendicò per sé il possesso di Roma.
Questo fatto costituiva il presupposto per il sorgere e l'affermarsi di un grande partito cattolico.
Gli inizi del secolo XX furono caratterizzati, nella nostra politica estera, da un avvicinamento alla Francia.
La nostra adesione alla Triplice Alleanza era stata motivata dal desiderio di tutelare i nostri interessi mediterranei: quando l'alleanza si era costituita, l'Inghilterra appoggiava la Triplice ed era in disaccordo con la Francia, ma dopo il 1899 la politica inglese era andata distaccandosi dalla Germania e si era avvicinata alla Francia; per il peggioramento dei rapporti anglo-tedeschi era quindi necessario un nostro riavvicinamento alla Francia.
Questa mutata situazione veniva ad avvantaggiare l'Italia.
Infatti nel 1908 la nostra diplomazia riuscì a far riconoscere alla Francia la legittimita delle nostre aspirazioni sulla Libia, che era un possesso turco, in cambio del nostro riconoscimento alle aspirazioni francesi sul Marocco, e due anni dopo anche l'Inghilterra prendeva posizione favorevole verso una nostra espansione in Libia in cambio del nostro riconoscimento della posizione inglese in territorio egiziano.
Nel 1903 scadeva il trattato della Triplice Alleanza: esso venne rinnovato, ma l'Italia si trovava in una situazione più favorevole per i cordiali rapporti ora esistenti con la Francia e l'Inghilterra.
La conquista della Libia fu preparata da un intenso lavoro diplomatico.
Nel 1909 l'Italia riusciva ad ottenere il riconoscimento delle sue aspirazioni africane anche dalla Russia.
Il patto italorusso, che fu firmato in quell'anno, era diretto a prevenire ogni possibile espansione dell'Austria verso oriente, il che sarebbe stato dannoso sia alla politica italiana sia a quella russa.
Nel 1911, dopo che un ultimatum inviato alla Turchia era stato respinto, le forze da sbarco italiane, comandate dal generale Caneva diedero inizio alle ostilità: tra i marinai della Real Flotta molti erano i liguri e genovesi, spesso scelti per la loro competenza di mare o per le capacità professionali come nel caso di entrambi i nonni di chi scrive queste note, fabbro specializzato quello paterno (Bartolomeo Durante) e meccanico già impiegato presso le industrie navali Odero di Sestri Ponente quello materno (Giovanni Aurelio Traverso): con lo scoppio della I Guerra Mondiale molti fra questi marinai, esperti meccanici, non furono richiamati al fronte ma vennero militarizzati al servizio dell'industria bellica ( nel genovese per esempio presso importanti STABILIMENTI come i cantieri Odero, il grande proiettificio di Sampierdarena od il colosso della siderurgia e dell'industria pesante Ansaldo, sia per prestarvi opera nell'attività cantieristica, che in campo metallurgico che ancora nella realizzazione delle grandi artiglierie ormai necessarie al conflitto) e la cosa, anche per l'inerzia di alcuni sindacati, non giunse gradita, anche perche? non compresa, ai tanti contadini che dovevano combattere al fronte (la cosa divenne per conseguenza ragione di future gravi incompresnioni fra le sinistre e i rurali, ritenutisi traditi da queste e spesso restii, anche in forme severe, ad ogni forma di proselitismo).
Per la guerra in Libia era stato allestito un corpo di spedizione di 34.000 uomini ma la guerra non fu così semplice come si era sperato.
La popolazione araba si alleò con i Turchi che, scacciati da Tripoli, mantennero il controllo di buona parte del territorio dell'interno, impedendo alle truppe italiane di uscire dalle ristrette teste di ponte costruite al momento dello sbarco.
Le ostilità si protrassero a lungo costringendo il governo italiano ad aumentare il corpo di spedizione e ad allargare il conflitto.
Nel 1911 si era costituita in Italia una flottiglia aeroplani e proprio questi vennero impiegati per la prima volta nella guerra di Libia: è cosa poco nota ma proprio durante questo conflitto si esperimentarono molte delle tecnologie belliche che sarebbero divenute abituali nella Grande Guerra, dalla fotografia del territorio nemico al bombardamento, al tiro antiaereo.
Inoltre nel luglio del 1912 la marina italiana occupò Rodi e le isole del Dodecanneso appartenenti alla Turchia.
La Turchia fu ben presto costretta alla resa e la pace fu firmata nell'ottobre del 1912 a Losanna.
In base ad essa la Turchia riconosceva all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica e si impegnava a far cessare la guerriglia.
A garanzia di tale impegno l'Italia conservava il Dodecanneso.
L'occupazione della nuova colonia, cui fu mantenuto l'antico nome romano di Libia, non portò all'economia italiana grossi vantaggi.
Quell'ampia fascia di territorio africano era infatti prevalentemente desertica e assai povera di materie prime ad eccezione di vastissimi giacimenti di petrolio, che però furono scoperti soltanto successivamente all'indipendenza del Paese (1952).
In campo politico per i partiti dello schieramento nazionale l'impresa costituì il "pomo della discordia".
Esaltata dai nazionalisti essa li incoraggiò spingendoli sempre più apertamente contro il governo.
In campo socialista l'impresa portò alla spaccatura del partito: da una parte i riformisti, che avevano appoggiato la spedizione attratti dalle promesse -poi mantenute- del suffragio universale (1912); dall'altra la maggioranza del partito, che l'aveva fieramente combattuta in nome del pacifismo.
La spaccatura divenne irreparabile quando il Congresso di Reggio Emilia espulse i riformisti i quali successivamente dettero vita al Partito Socialista Riformista Italiano.
Il PSI rimase guidato da Benito Mussolini.
Giolitti ne uscì indebolito e fu costretto a cercare nuove alleanze tra i cattolici, stringendo un accordo elettorale con essi (patto Gentiloni).
La sua leadership era tuttavia indebolita e dopo le elezioni a suffragio universale tenute nel 1913 fu costretto alle dimissioni lasciando il posto ad Antonio Salandra.