Inf./ripr. B. E. D.

IL COMANDANTE FRANCESCO ANSALDO FRA UN GRUPPO DI EMIGRANTI A BORDO DEL PIROSCAFO LAZIO ["MUSEO DELLA CANZONE DI VALLECROSIA (IM)"]







Cambiata la situazione politica al Plata dopo la caduta del Rosas (3 febbraio 1852) e nel Regno di Sardegna quando Cavour era diventato presidente del Consiglio (4 novembre 1852), si potevano conciliare le esigenze del Plata privo di mano d'opera con quelle della popolazione dell'Italia, ambiziosa d'espandersi. I salari Più alti avrebbero dovuto attrarre, difatti, verso l'America Meridionale coloro che, di solito, migravano negli Stati d'Europa. Ma le condizioni politiche, sociali ed economiche dei vari Stati della pe­nisola non consentivano agli abitanti di ricavare vantaggio immediato dallo squilibrio esistente fra il mercato di lavoro europeo e quello platense. Solamente le popolazioni dell'Italia settentrionale, infatti, erano abituate ad annodare rapporti frequenti con gli Stati vicini.
L'emigrazione degli alpigiani oltre il confine era fatto naturale che nessun rigore di Governo avrebbe potuto impedire; quella dei Lombardi e dei Veneti verso le province austriache non era, d'ordinario, ostacolata, essendo il Lombardo-Veneto unito con l’Austria.
Venezia era in decadenza e conservava scarse relazioni d’affari con quello stesso Oriente nel quale aveva dominato.
Del porto di Genova come occasione e modo d'emigrare usufruivano solamente i Liguri che o si arruolavano negli equipaggi della ma­rina mercantile per poi disertare appena giunti al Plata oppure profittavano della vicinanza e della disponibilità del mezzo di tra­sporto per la benevolenza del capitano o dell'armatore. Ma gli altri Italiani che, superate le difficoltà, avessero raggiunto il porto, dovevano imporsi, con grave sacrificio prima di partire, un lungo sog­giorno a Genova, perché non esistendo ancora la linea transatlan­tica, le navi salpavano quando avevano assicurato un carico suffi­ciente di uomini.
Le condizioni dell'Italia Centrale erano econo­micamente e socialmente abbastanza normali. Si emigrava un po' verso la Dalmazia con la quale correvano rapporti per la pesca, per la vendita delle frutta e delle verdure.
Avevano in compenso maggiore importanza le migrazioni nella penisola anch'esse cagio­nate da necessità agricole. I Marchigiani e gli Umbri si recavano per ragioni di pastorizia o di speciali lavori campestri nell'Agro Romano ed anche nelle Maremme della Toscana.
Caratteristica ed antica era la migrazione della città e della provincia di Lucca che si presenta quasi come un episodio. Si componeva quasi esclu­sivamente di figurinai, rivenditori, piccoli commercianti. E un fe­nomeno singolare che non si spiegherebbe senza l'indole eccezionalmente intraprendente di cui si mostra dotata quella popolazione che differisce dal resto della regione e dell'Italia anche per il tipo antropologico che le è proprio.
Il Regno delle Due Sicilie viveva nell'isolamento più assoluto. Mancava il primo mezzo per circolare: le strade. Lo mise in luce con molto senso della realtà Giuseppe Massari, relatore della Commissione d'Inchiesta sul Brigantaggio, nel descrivere il Napoletano alla Camera nel maggio 1863. Ma­gnifiche strade nelle vicinanze di Napoli, onde ingannare i fore­stieri, mentre nelle province la barbarie, senza velo di sorta alcuna.
La polizia, d'altronde, non permetteva il viaggio neppure verso una provincia limitrofa senza passaporto scriveva l'on. R. Cappelli nella sua Relazione per gli Abruzzi ed il Molise che fa parte dell'Inchiesta Parlamentare sui contadini meridionali: e questo passaporto che doveva venire da Napoli, non poteva d'ordinario ottenersi in meno di un trimestre. In molte province si sarebbero potuti visitare più e più paesi senza trovare chi avesse fatto il più breve viaggio.
La posta non giungeva al capoluogo di provincia che una volta la settimana; il telegrafo a pale non era aperto al pubblico
. Al tempo dei Borboni -scrive con conoscenza di causa Filippo Marincola di San Floro- le nostre plebi ignoravano persino la parola emigrazione; un viaggio fuori dell'antico Reame di Napoli era considerato impresa di gente ardita e ricca; un viaggio fuori di Europa era impresa d'uomini straordinari. A sentir parlare di altri mondi agli antipodi, di viaggi di anni per camminarli, di fiumi navigabili come il mare, i nostri contadini rimanevano tras­ognati ed increduli.
Non uscivano dal porto di Napoli, neppure le navi da guerra; c'era voluto il matrimonio di Teresa Cristina, sorella di Ferdi­nando II, con Pedro II, per mettere nell’obbligo la Divisione na­vale d'accompagnare, nel 1843, in scorta d'onore, la principessa borbonica al Brasile. Ma se si eccettua un viaggio della fregata Urania nell'anno successivo, non s'ha occasione di constatare che l'iniziativa si ripeta.
Il 25 novembre 1853 il Dunoyer aveva ancora scritto al Dabormida insistendo sulla convenienza che i Sardi avrebbero avuto a recarsi in Argentina.
Aveva inviato, a tal fine, più ampi dettagli della qualità dei terreni e dei prodotti argentini ed allegato una minuta di contratto per fondare una colonia agricola nella pro­vincia di Corrientes e nel territorio del Chaco.
Era questa una iniziativa che il Dunoyer, con tutta probabilità, suggeriva per im­pulso di una Società francese di capitalisti che volevano tentare una speculazione coloniale reclutando mano d'opera in Piemonte.
Ma giudicando dal silenzio che i rapporti consolari serbano al riguardo non pare che la proposta abbia avuto seguito a Torino, per l'incapacità, forse, in cui il Governo si trovò d'organizzare una emigrazione continuativa di elementi produttivi.
In luogo dei Piemontesi un certo Brougnes condusse al Plata duecento contadini francesi.
Continuando ad essere scarsa e sporadica l'emigrazione dal Piemonte e dalla Lombardia; scarsissima quella dell'1talia cen­trale; immobile la popolazione meridionale, Genova rimase ancora il centro principale dell'emigrazione della penisola anche perché i Liguri avevano la certezza, partendo, di trovare subito all’arrivo impiego presso conterranei, parenti, od amici, residenti al Plata da parecchi anni.
Sicché su duecentoventidue famiglie stabilite a Rosario intorno al 1855, duecentoventuno erano liguri ed una di Como.
Su sessantacinque famiglie stabilite a Paranà, quarantuno erano liguri, undici ticinesi, quattro piemontesi, cinque lombarde, due toscane, una veneta, una di ignota provenienza.
A Santa Fé vivevano venticinque famiglie tutte liguri. A Diamante vivevano tre famiglie italiane delle quali due liguri ed una napoletana.
Il Cerruti, da parte sua, sconsigliava l'emigrazione spicciola, anar­coide, inutile, degli spostati e degli inetti. Egli aveva constatato, vi­sitando le regioni platensi e risiedendo a Buenos Aires, che se evi­denti erano molte fortune, troppo incauti erano i giudizi formulati da lontano sulle risorse dell'Argentina e sul modo di potervisi arricchire.
La divulgazione della notizia che con poco denaro si potesse colà diventare agricoltori indipendenti, poteva attrarre giovani impazienti che non avrebbero trovato lavoro se non appartenessero per caso a quelle categorie di lavoratori specializzati che, mancando in Argentina, trovavano subito impiego.
Altrimenti rischiavano di dover ricorrere ai sussidi del Consolato: Molti giovani che hanno compiuto gli studi universitari, s'immaginano di trovare, venendo quaggiù, un impiego od anche di far fortuna. Ventiquat­tro ore dopo il loro arrivo, cadono nel più completo disinganno; trovano già medici ed avvocati distinti, militari esperti e capaci, giovani di commercio abilissimi. La gioventù è qui dotata di un grado speciale d'intelligenza; nella loro più tenera età tutti i ra­gazzi e le ragazze parlano le principali lingue d'Europa e l'educazione sciolta che regna in Buenos Aires e a Montevideo rende il ragazzo di dieci anni precoce come un giovane di quattordici dei nostri paesi.
Il Plata non era la terra dei miracoli, né il rifugio degli spostati: occorrevano giovani d'ingegno, di cultura, attivi e scaltri.
Se i Liguri s'erano imposti all'universale considerazione, non voleva, ciò, significare che si dovessero umiliare gli Argentini.
I Genovesi esercitavano al Plata una funzione economica ne­cessaria ed insostituibile (commercio e cabotaggio) e s'erano elevati ad un rango tanto alto che nemmeno il Rosas aveva potuto fare a meno di ammirarli. V'era una dignità, quella del nome -prose­guiva il Cerruti- che bisognava conservare. All'arrivo qui di tanti nostri emigrati, io provo un sentimento di dolore, non solo per la difficoltà di trovare loro un impiego, ma eziandio per la ferita che riceve il loro amor proprio nel trovarsi sovente in uno stato d'evi­dente inferiorità intellettuale in faccia agli allievi del paese. Disgra­ziatamente questi emigranti non possono piegarsi a lavori manuali, vengono sempre senza mezzi, anzi il più delle volte dovendo pagare ancora il nolo al capitano che li condusse. Si deve allora ricorrere alle liste di sottoscrizione, agli obblighi di garanzia verso gli albergatori, il che cade a carico delle persone a cui fu raccomandato l’individuo ed in una certa proporzione non indifferente a carico dei Consoli e loro impiegati. Questi sforzi non valgono a trovar loro un collocamento; ma quando costoro, privi di mezzi e di speranza, amano rientrare in patria, non potremmo loro rifiutare il visto al passaporto senza assumerci, per così dire, la responsa­bilità dell'ulteriore loro condotta. Può essere incomodo ad una famiglia di costì il vedere tornare nel suo seno una specie di figlio prodigo, il più delle volte non ravveduto, ma qui nuoce all'onor nazionale l'avere talvolta le prigioni popolate da nostri concittadini, il trovarsi spesso in conflitto colle autorità locali per la cattiva condotta di questa gente inoperosa.
Gli Argentini non volevano professionisti ma operai.
Le cate­gorie economicamente utili che il paese richiedeva erano quelle dei contadini, dei muratori, e capimastri, dei cuochi, dei lavoranti da confetturiere, dei calzolai, dei lavoranti da sarto, delle donne di servizio e dei frabbriferrai.
Ai contadini, e conveniva fossero robusti, s'offrivano d'ordinario le terre dividendo con loro i prodotti e se erano intelligenti, dopo pochi anni, potevano diventare proprietari.
Un buon muratore era pagato sei franchi al giorno; un bon capo mastro, dieci. E se avesse saputo costruire almeno una casa di un piano, poteva guadagnare anche quindici o venti fran­chi.
Un ottimo cuoco di scuola così detta francese come quella dei nostri alberghi primari di Torino trovava al Plata impiego sicuro e poteva crearsi una certa fortuna. Un cuoco discreto come quelli degli alberghi secondari, trova cento franchi al mese oltre all'allog­gio e al mantenimento.
Quanto ai lavoranti quelli da con­fetturiere dovevano essere, sopra tutto, esperti nella confezione della frutta secca, dei canditi, delle composte, delle paste e dei sciroppi; quelli da calzolaio occorreva fossero molto bravi perché a Buenos Aires si lavorava bene come al Palais Royal di Parigi e la classe media non calzava che scarpe eleganti e costose, quelli da sarto dovevano saper tagliare con qualche eleganza e cucire perfettamente secondo il metodo inglese o francese.
Le famiglie argentine preferivano che le donne di servizio per aver cura de ragazzi, per la pulizia della casa ed, in ispecial modo, le cuoche, fossero europee Ma si richiedevano giovani, robuste, intelligenti, con abitudini di nettezza e non soverchiamente brutte. Se sono ma­ritate e vengono col marito hanno maggiore probabilità d'impiegarsi.
I fabbriferrai bisognava fossero di prima capacità, conoscessero un po' di meccanica al punto da rifare un pezzo di mac­china. Per dirle quanto nei nostri paesi s' ignori il vero stato d' in­dustria di queste regioni, mi contenterò di farle sapere che un va­pore francese giunto a Corrientes con un bilanciere rotto, trovò in quel paese un distinto fabbro che gliene rifece uno perfetto come -­quello che era destinato a surrogare.
Gli Argentini, se ritenevano segno di progresso per la città di Buenos Aires che nel mese di luglio 1854 fossero usciti trecentosettantacinque passeggeri e ne fossero entrati quattrocento, non erano disposti a subire facilmente la superiorità degli stranieri per ogni sorta d’affari e questi, d'altra parte, se soucient fort peu de coopérer a des entreprises dont la condite resterait confine aux ­ gens du pays .
Buenos Aires era, intorno al 1854, un agglomeramento di casupole dove, come in tutti gli aggregati poco progrediti, la violenza e l' astuzia costituivano la suprema legge di vita.
Il Governo dell'Ur­quiza s’ era imposto nella Confederazione e quello del Mitre in Buenos Aires.
Ma la guerra civile dapprima, e poi il contrasto che persisteva fra i due governi, avevano paralizzati gli affari e consentito a certi speculatori di conchiudere ottimi negozi. Il mal con­tento era quindi generale a Buenos Aires.
Les hommes qui sont aujourd’ hui a la tete du Gouvernement -scriveva con una certa contraddizione il Dunoyer al Cavour- sont, sous le rapport de la probité et de l'integrité, à l'abri de toute espèce de reproches; mais dans un pays où les habitudes et le genre de vie de la masse exigent des frais considerables, il serait nécessaire qu'à coté de cette intégrité, ne permettant plus ces gains illégaux, ni ces malversations qu’ autorisaient les administrations antérieures, le Gouvernement sut donneraux affaires et aux entreprises une impulsion capable de les faire marcher et de procurer ainsi aux gens du pays les moyens de se livrer a des spéculations dont les résultats poissent leur permettre de satisfaire leurs gouts; tel est un des principaux motifs du mécon­tentement qui se manifeste aussi et que semble presque justifier l’apaathie dans laquelle reste plongé le Gouvernement.
Agli Italiani immigrati si rivolgevano con simpatia il Governo di Paranà e quello di Buenos Aires.
L'Urquiza, con molto tatto, era riuscito ad attirare a sé molti ufficiali della Legione Valorosa, che avevano mostrata contro lui di tanta arroganza.
La Confederazione Argentina, composta delle sole tredici provinc­e che avevano aderito al patto fondamentale di San Nicolas, andava ogni giorno consolidandosi.
Lo stato di separazione da Buenos Aires le aveva giovato, ed il Governo Federale posto in an­tagonismo con quello della gran città del Plata spiegava modera­zione e saggezza. Una serie di leggi scriveva il Cerruti al nuovo ministro degli Esteri Cibrario il 19 ottobrc 1855 fra le quali primeggiano la concessione della gran strada ferrata da Rosario a Mendoza, lo stabilimento d'una banca, la creazione di quattro ve­scovadi, i depositi franchi per lo spazio di due anni, nelle dogane di Rosario e della Concordia, lo stabilimento di numerose messaggerie­, la circolazione legale delle monete straniere di buon titolo, il progetto d'una strada destinata a traversare il Gran Chaco da Santa Fé ai confini della Bolivia, provano che le lezioni dell'espe­rienza non sono state perdute.
Col Paraguay le difficoltà politiche si erano complicate. Il Congresso aveva rifiutato nel 1855 di ratificare ­il trattato conchiuso il 15 luglio 1852, ed in conformità del quale Santiago Derqui, o meglio Giacomo Derchi, figlio di un Ge­novese nato in Cordoba, attualmente Ministro dell'Interno a Paranà ed allora plenipotenziario, riconosceva al Paraguay la sovranita sopra 1 Gran Chaco dal Rio Bermejo del Nord.
Gli Indi, che il Rosas aveva cacciati sulla riva destra del Rio Negro ­s'erano moltiplicati e fatti arditi. Guidati da disertori argentini, irrompevano e rubavano gran quantità di vacche e cavalli, massacrando molta gente.
E mentre l'Incaricato d'Affari di Prussia, Gullich, visitava i luoghi ad otto leghe al nord di Santa Fé su1 Rio Salado per preparare abitazioni e strumenti agricoli ad una colonia di Tedeschi che ar­rivò nel novembre del 1855, giungeva a Buenos Aires una colonia di savoiardi. Avevano trovato tutti utili occupazioni. Convocati da certo Francois Ravier, avevano formata una Société d'Union et de secours mutuel per assicurarsi l'assistenza medica a domicilio. Con loro v’erano molti Francesi e molti Baschi ma vivevano appartati dagli immigrati liguri, i quali, entrati in gran parte clandestinamente durante il regime del Rosas, s'erano sparsi e sistemati bene nelle province di Corrientes, Santa Fé, Entre Rios e La Plata.
Al­cuni dirigevano un vasto traffico di navi e di merci, altri -ed erano i più- svolgevano con fortuna le più disparate attività.
Erano esercenti, operai, artigiani, contadini, albergatori. Pochi erano gli ingegneri, gli architetti, i farmacisti, gli insegnanti; radi gli artisti, qualche maestro di musica e qualche pittore. In genere erano proprietari.
La città di Rosario, a cagione del già ricordato distacco, era di­ventata il centro delle operazioni commerciali che si compivano nelle industri province settentrionali, e cioè Corrientes, Santa Fé, Entre Rios, Paranà. E mentre nel 1849 contava appena duemila anime, nel 1854 aveva raggiante le ottomila e si sarebbe ancora più popolata quando fosse stata attuata la ferrovia che doveva colle­garla con la capitale. Questo spiega perché vi fossero in Rosario circa cinquecento sudditi sardi, tutti liguri, la meta dei quali aveva una ditta propria, quasi tutti proprietari di un terreno o di una casa costruita con i loro risparmi.
Nelle province dell'interno, quali Tucuman, Salta, San Luis, San Juan, non v’erano ancora emigranti italiani perché i Genovesi non amavano staccarsi dalle rive dei fiumi. Il Cerruti prevedeva che a Còrdoba ed a Santiago dell'Estero si sarebbero recati molti dei nostri quando, come pareva sperabile, si fosse sviluppata la na­vigazione del Rio Salado.
Gualeguaychu, primo scalo dell'Entre Rios, ospitava non meno di mille Italiani e prometteva non poco avvenire al nostro com­mercio.
Il Cerruti consigliava al Cibrario, nell'ottobre del 1855, d'isti­tuirvi un Consolato. Tali G. B. Monteverde e Raffaele Gallino ave­vano raggiunta una posizione economica e sociale di prim’ordine. Emanuele Gianello, già decorato, per censo, della croce mauriziana era benemerito come sottoscrittore dell'Ospedale ed era influente essendo amico dell'Urquiza.
Il Cerruti riteneva convenisse farlo Agente consolare di Gualeguaychu destinando a Rosa­rio, a Paranà ed a Corrientes, quali viceconsoli od agenti consolari, Luigi Cassinelli, G. B. Monteverde e Raffaele Gallino.
I coloni francesi che il Brougnes aveva condotti nella provincia di Corrente ­stavano male ed inviavano proteste al loro Console. Cinque di quelli che fuggirono cercando di raggiungere Buenos Aires, s'erano persi.
A San Nicolas de los Arroyos, che aveva ottimo porto, a Zarate ed all'Ensenada de Barragan, v'era qualche suddito sardo; a Bahia Blanca, frequentata da velieri che andavano ad imbarcar grano, non abitavano che le famiglie dei militari incaricati di disperdere gli Indi scorrazzanti sul Rio Colorado; a Barracas, sobborgo di Buenos Aires, non c'erano che Baschi, dediti al saladeros e vicini ai Genovesi che, in numero di ottomila circa, stavano intorno alla Boca.
Per popolare Santa Fé bisognava aumentare nel Rio Salado, che ivi confluisce col Paranà, il numero dei naviganti -tutti nostri- i quali andavano e venivano senza risiedervi. Nell'Entre Rios, tutte le città sui fiumi Paranà ed Uruguay, o sui loro affluenti, erano frequentatissime dai Sardi.
Nella provincia di Corrientes « les deux seuls points importants aujourd'hui sont Corrientes, la capitale, et la, petite ville situee dans une plaine a deux lieues du Parana, sut la petite rivière de Goya, dont les travaux de canalisation sont confiés a un de nos compatriotes, M.r Grondona, qui a été l'objet d’une dépeche de Votre Excellence ».
Nicola Grondona era un ingegnere ligure che aveva studiato il prosciugamento dei terreni alluvionali. Morì il 29 agosto 1877 povero e dimenticato, lasciando il suo nome legato al Dizionario Geografico della Repubblica Ar­gentina ed alle svariate carte geografiche e topografiche da lui eseguite.
Alcuni nostri emigrati cominciavano ad emergere e ad occupare un posto distinto nella società e nell'economia del nuovo mondo.
Quel Palma, che, come s'è visto, era sbarcato per la prima volta, a Buenos Aires quattordici anni prima, aveva chiamato presso di sè i fratelli e s'era stabilito a Paranà dove commerciava su vasta scala e donde comunicava, con una flottiglia bene organizzata, con tutti i porti dell'Entre Rios. Egli aveva monopolizzato l'attività mercantile lungo le riviere.
Bartolomeo Denegri, caduto il Rosas ed avviata la comunicazione fra i fiumi, s’ era stabilito a Bellavista nella provincia di Corrientes, e vi aveva aperto un negozio senza però rinunziare a navigare.
Con il brigantino Carmen attivò in Corrientes lo stesso commercio che i1 Palma aveva felicemente iniziato nell'Entre Rios. Associato a Francesco Arzeno, aperse una grande azienda di importazone presso Bellavista e costruì la grande distilleria La Angelica.
I peones Rocca avevano raggiunta un'eccezionale potenza economica: lo spirito d'iniziativa e quello di osservazione di questi garzoni 1i avevano indotti a tentare un geniale esperimento, atto a far evolvere l'industria dei saladeros.
Nei saladeros, difatti, si com­piva una duplice funzione industriale: oltre alla salatura della car­ne, si sfruttava il grasso vaccino per convertirlo in quel prodotto detto sebo che veniva esportato in Europa come ausiliario necessario alla fabbricazione del sapone. Il processo adottato per la sua manifattura aveva seguito, sino ad allora, il sistema dell'ebollizione. I Rocca pensarono che se alla bollitura fosse stata sostituita la torchiatura, si sarebbe evitato lo sperpero della lavorazione consueta. Chiesta allora al saladerista la concesion di potere usufruire dei ri­fiuti del sebo che conservava ancora molta sostanza, ed ottenutala con estrema facilità, in quanto evitava al donatore il grave dispen­dio del trasporto al Rio dove i rifiuti erano di solito gettati, ini­ziarono la nuova lavorazione, con estrema discrezione e con vecchi torchi da vino richiesti alle cantine della natia Lavagna.
Dai rifiuti della carne, ottenuta contrattualmente in donazione, estraevano una quantità di sebo superiore a quella fornita dalla carne, attraverso il procedimento consueto. In pochi anni, con un costo quasi nullo, non ebbero timore di concorrenza alcuna.
Un giorno la Casa Rocca, Terrarossa e Comp. possederà al Partido de la Magdalena un saladero dove si macelleranno in media, ogni anno, da 130 a 140 m1la bovini e da 65 a 70 mila cavalli. Annessa al saladero vi fu una gran fabbrica di colla e d'olio animale, che, fondata nel 1848, provvide al fabbisogno di tutta la Repubblica. La Casa possedette inoltre una conceria dove le pelli bovine ammontavano in media a 140 mila all'anno. S'aggiuga, a tutto ciò, cinque estancias per l'allevamento del bestiame ­ oltre a due tenute prese in affitto, misuranti un milione di ettari, 110 chilometri quadrati, una superficie pari a tre volte quella della primitiva provincia di Livorno. Pareva un miracolo dell'Eldorado mentre era semplice intuito speculativo.
Il Viale con quel po' di cultura che la patente di capitano am­meteva, oltre che capitali, s'era creato buon nome d'uomo saggio e di gran tatto.
Il
Cerruti l'aveva prescelto a rappresentare la colonia nel Comitato dell'Ospedale ed a presiederlo.
Il Podestà, da stagnaio, era diventato fabbricante di stagno; attività che riassu­meva industrie svariate e redditizie. L'Amadeo s'era così bene colle­gto con l'ambiente di Buenos Aires, che, diventato proprietario terriero, ritenne opportuno, non ostante le raccomandazioni contrarie del Dunoyer, d'arruolare i propri figli nella Guardia Nazionale, affinché combattessero, con i creoli, in difesa della città. Tali nuove quando pervengono ai paesi d’ origine, non costituiscono più una sorpresa; sono tutt'al più uno sprone.
Antonio Devoto segue le orme dei Rocca, e da Lavagna parte con la famiglia per l'America sbarcando a Buenos Aires nel 1854.
Qualche renitente lombardo abusa del regime austriaco per giustificare la sua diserzione. Ma si reca, in odio al dominatore, in Ame­rica e non si arruola invece nell'esercito del Lamarmora che va a battersi in Crimea.
Così i lombardi Corti e Francischelli aprono in via Defensa il loro negozio d'articoli navali.
Tomaso Ambrosetti, nato il 4 giugno 1834 a Mortegno, in quel di Sondrio, era stato collocato nel Seminario di Como ove con molto profitto aveva atteso allo studio della retorica e della filosofia. Ma, non sentendo vocazione ecclesiastica, insofferente della dominazione asburgica, era fuggito a Genova ed imbarcatosi su d'un veliero era giunto in Argentina, nel 1855, dopo 94 giorni di navigazione.
Il Genovese Giacomo Rolleri impiega i propri risparmi, messi da parte col lavoro prestato nei più umili uffici, in un orto: è un uomo ardito, ha fiducia nell'avvenire dei sobborghi.
Poiché s'é sparsa la voce che i confettieri siano ricercati, un altro genovese, il Costa, compie un gesto di coraggio, ed apre nel 1855, tra le vie Cangallo e Bartolomé Mitre, in via Florida, una confette­ria: la Confiteria del Aguila, che diverrà celebre.
I fratelli Roverano, liguri anch'essi, aprono la Confiteria del Gas che sarà il più elegante dei ritrovi. Il padre loro Antonio aiuta i figlioli, ma preferisce commerciare per conto proprio in orologi.
Partono anche i ragazzi. Quando Lorenzo Raggio, di Zoaoli arriva a Buenos Aires, nel 1851, ha dodici anni.
Si viene a conoscere che il commercio del latte è ignorato al Plata. Si racconta l'aneddoto che Sarmiento si chiedesse un giorno: Que pais es este en que un litro de leche cuesta màs que una vaca! L'Europeo che ne voglia deve importarlo condensato dall'estero.
A creare il bisogno del latte e del formaggio...fu Giuseppe Magnasco di Santa Margherita Ligure che emigrò con un brick e trovò lavoro come peon in un almacen.
Domizio Lastreto, pure di Santa Margherita, ove era nato nel 1839, ap­pena fu in grado di girare una ruota, era stato messo a fare il fu­naiolo, rude mestiere che voleva dire restare immobili a quello sgabello per otto, dieci, dodici ore sulle ventiquattro. Cresciutegli le forze, passò a fare il corallaro: mestiere anche più rude, che con­sisteva a stare dall'alba al tramonto sotto il sole di Provenza, avendo per tutto ristoro qualche galletta dura ed una brocca d'acqua sal­mastra. Compiuti i dodici anni fu inviato in Sardegna dove ebbe campo di mostrare le sue attitudini al commercio cosicché dopo soli due anni, s'imbarcava per l'America.
Un tale Giovanni Robbio, di Diano Marina, deve difendere a mano armata la propria bottega dalle rapine delle pattuglie ribelli datesi al saccheggio e quando non siano battaglie combattute a colpi di fuoco, sono agguati tesi da malizie speculatrici.
Pietro De Angelis, odiato da tutti perché cercava d'andare d'ac­cordo con tutti, aveva ottenuto per i Napoletani alcuni territori settentrionali della provincia di Entre Rios. Caduto il Rosas, aveva sperato di acquistare il favore dell'Urquiza nel 1852 e quello del Mitre nel 1853. Per incarico del primo aveva scritto un progetto di costituzione per la Repubblica Argentina ed una memoria in­torno al diritti dell'Argentina sulla parte meridionale del continente amcricano. Fu dispregiato e ripudiato quasi come un mazorquero da tutti fuorché da Juan Maria Gutierrez, allievo del Carta e del Mossotti, che pur non ammirando il suo carattere rispettò il suo ingagno. Riconciliatosi pienamente con i Borboni, era stato nominato nel 1856 Console generale del Regno delle Due Sicilie a Buenos Aires. Recatosi nel 1854 al Brasile, aveva scritto per inca­rico di don Pedro de Alcantara una monografia sulla navigazione del Rio delle Amazzoni. Gli Argentini lo accusarono durante qesto viaggio di avere venduto all'Imperatore un'importante colle­zione di documenti trafugati dagli archivi di Buenos Aires. Se djio tambien que el letrado gobernante de Brasil habla sabido apreciar cuantiosamente el valor de esa colecciòn.
Un letterato argentlno pubblicò recentemente alcune lettere inedite scritte dal De Angells al Gutierrez che ci fanno conoscere un De Angelis an­gustiato dalla miseria e sorretto ancora dall'ingegno brillantissimo.
Quando per vivere vendette i libri, volle dare un segno tangibile di gratitudine al Gutiérrez che gli prestava i suoi, e gli mandò il catalogo della sua naufragata blblioteca: l'unica cosa che schietta­mente amò. Guàrdelo Usted como un recuerdo de mi grandeza pasada.Como una mujer -scrive il Morales- antano bella y amada, podria regalar en la ancianidad su retrato de joven a quien le ayudare a soportar su soledad.
Il 5 maggio 1858 cercava di ven­dere al Governo della Confederazione trecento copie, ad un peso l'una, di un Regolamento tattico per la fanteria da lui scritto e precedentemente venduto a venti pesos la copia al Governo di Buenos Aires in guerra contro Paranà. Como los grandes armamentistas modernos, vendia a unos y a otros. Mas disculpable en el, que en esta misma carta confiesa: je suis à sec.
Morì a Buenos Aires il 10 febbraio1859: sul letto d'agonia gli pervenne l'Ordine della Rosa inviatogli da don Pedro. I suoi resti giacciono obliati in un angolo della Recoleta - il cimitero di Buenos Aires- ancora [nel 1940] possono leggersi su una lapide queste parole un po' cancellate dal tempo: Pedro De Angelis - Nàpoles - 20 de junio de 1754 - Buenos Aires, 10 de febrero de 1859.
Lasciò alcune opere costituenti il suo vanto e molti articoli - politici scritti quasi sempre contro il vinto ed il decaduto, a sostegno del vincitore che lo pagava. Non sono questi scritti quelli che gli fanno onore. Non lasciò rimpianti ma pessima memoria. L'ultimo gesto fu quello della mediazione svolta, quale Console Generale borbonico, per far venire al Plata una una colonia di suoi conterranei.
Il 9 ottobre 1856, difatti, Ferdinando II, in Gaeta, aveva stabilito con sovrana determinazione che si gettassero le basi di un Trattato che sancisse le migliori possihili condizioni in riguardo allo stabilimento in quella regior~e di una colonia di regi sudditi.
Il provvedimento era stato suggerito al Borbone da motivi politici; motivi che l'indurranno, circa due anni dopo, al decreto del 27 dicembre 1858 col quale, fallito il precedente tentativo, si disporrà l'invio negli Stati Uniti di reclusi politici del 1848-49 sparsi nelle carceri di Montesarchio, Procida, Nisida, Santo Stefano.
Achille Ferrer, Incaricato napoletano d'Affari, aveva molto insistito presso il Ministero degli Esteri affinché anche il suo Governo si valesse dell'emigrazione come del mezzo più spiccio per liberarsi dei condannati politici. I governi europei, egli diceva, dovrebbero favorire le mi­grazioni in America dei democratici; lo confermo adesso, ritenendo che i democratici di buona fede vi si correggono a proprie spese assai meglio che nelle nostre relegazioni; in quanto a quelli di mala fede, peggio per essi: trovano qui gente i di cui argomenti sono ir­resistibili e un bel giorno, se insoffribili, un revolver te li spaccia, o qualche altra specie di giustizia sommaria come a San Francisco .
Questo era il tipo di colonizzazione del quale il De Angelis si era fatto agente!
La colonia napoletana doveva formarsi ed accrescersi con volontari invii di detenuti e di condannati politici al quali sarebbero stati assegnati mezzi sufficienti sia per raggiun­gere il territorio straniero, sia per potersi stabilire all'estero. E ben presto il Carafa, Ministro napoletano degli Esteri, ed il Ministro argentino José Buschental, inviato espressamente a Napoli per tale interessante oggetto, redassero i trentaquattro articoli della Con­venzione, una delle prime in materia coloniale italiana. Il Go­verno delle Due Sicilie, in base a ciò, accettava pertanto l'offerta di mandare a sue spese in Argentina quei regi sudditi che avessero consentito ad emigrare. D'accordo col Console Generale del Regno, si sarebbe scelto un terreno fertile sopra le coste di uno dei fiumi, o l'Uruguay od il Paranà, e nelle vicinanze di un porto di facile ac­cesso ai bastimenti .
Spettavano ad ogni colono dieci jugeri di terreno in proprietà assoluta, una dotazione di cinquanta patacconi o piastre forti per costruire il rancho, sei barili di farina di grano, semi di grano, gran­turco, patate, fagioli ed altri legumi in quantità sufficiente per la semina, oltre due cavalli, due buoi, sette vacche, un toro e gli uten­sili necessari per il lavoro. La colonia e i suoi abitanti divenivano parte integrante della Confederazione, con tutti i diritti e le ga­ranzie che la legge accordava al cittadini: i coloni erano, inoltre, esentati nel primo quinquennio, da qualunque servizio o contribu­zione personale, mobiliare o territoriale. Varie disposizioni, infine, regolavano l'elezione del magistrato principale e delle altre autorità municipali della colonia, la nomina del parroco, del medico, del farmacista, la costruzione della chiesa, l'erezione di una scuola gratuita e di un ospedale.
Il progetto, sottoposto all'approvazione di Ferdinando II, fu re­stituito con parere favorevole l'11 gcnnaio 1857 ed il 13 i due pleni­potenziari sottoscrivevano la Convenzione che non doveva tardare ad essere definita una tratta di hianchi .
Ma il risultato non fu quello che il Governo napoletano si riprometteva. Molti accettarono di partire ma erano detenuti per reati comuni; pochi, fra i condan­nati politici, si lasciarono persuadere ad emigrare.
Nel penitenziario di Montesarchio, l'Intendente di Principato Ultra Mirabelli Centurione, aveva parlato ai reclusi definendo l'allora firmato trat­tato termine di ogni afflizione per i condannati.
Ma nessuno si lasciò persuadere dall'eloquenza del commentatore.
Dal proclamato beneficio vennero esclusi, dal Governo borbonico, alcuni patriotti. Fra questi il Poerio, il Nisco, il Pica ed il Castromediano.
Ben deciso a profittare dell'offerta sovrana di partire, s'era mostrato Silvio Spaventa in una lettera scritta dall'ergastolo di San­to Stefano al fratello Bertrando (22 dicembre 1856) ed in un'altra mandata a Nicola Facella (8 febbraio 1857) barbiere di tutti i patriotti e parrucchiere delle dame di Corte, circostanza, quest'ul­tima, che aveva favorito l'idillio di Silvio Spaventa con una di quelle dame, lettrice della principessa di Salerno: idillio che fu troncato ben presto.
Lo Spaventa, circa l'Argentina, mutò parere nel giugno dell'anno seguente poiché gli parve impolitico acconsentire. Alla prigione -aveva scritto al Facella- succede l'esilio: tra la prigione e 1' esilio (sceglierei) due volte 1' oceano. Bisogna avere coraggio, caro Nicola . La convenzione non s'attuò mai.
Ma non mancò, qual­che anno dopo, un altro tentativo di quella nuova specie di deportazione che il D'Ayala definì la più nefanda ipocrisia del Governo. Il 17 gennaio 1859, difatti, la corvetta Stromboli salpava per Cadice con sessantasei condannati politici che la famosa circolare ministeriale del Pionati lanciava, per breve tempo, sulle disperate vie dell'esilio.
Con la convenzione del 1857 Ferdinando II sperava concludere un decennio di tormentoso governo. La grazia accordata e l'invio in America dei rei politici, costituiva l'estremo tentativo per conciliare i propositi della Francia e dell'Inghilterra con l'assolutismo e la tranquillità del suo Stato. Fra i suoi propositi e quelli degli esuli, egli riteneva naturalmente sufficiente la barriera dell’Oceano.
Appare evidente che se questi patriotti napoletani fossero giunti al Plata, avrebbero forse incontrata la propria rovina, e costituito un inule peso per il Governo argentino. Scrivendo al Cibrario di questa progettata colonia così s'esprimeva giustamente il Cerruti: Se si tratta di compromessi politici, dei quali il Governo siciliano vuol levarsi il peso, si troveranno in questo caso, ben disgraziati perché, non assuefatti alle fatiche agricole, non troveranno assolu­tamente alcun mezzo di sussistenza. Se poi, come mi si fa credere, fossero questi i condannati dell'isola di Ponza invece di emigrati politici, sarebbe allora da compiangersi il paese che li ricevesse e noi stessi non avremmo gran cosa da guadagnare per la riputazione nazionale, poiché ormai in questi luoghi si confondono sotto il nome di Italiani, senza distinzione d'origine politica, tutti i figli della nostra penisola.
Il Presidente della Confederazione, Ur­quiza, comunicando al Congresso le trattative in corso col Regno delle Due Sicilie aveva detto: L'immigrazione forma un altro oggetto d'interesse vitale che il Governo non ha perduto di vista. Gli furono fatte proposte a nome di S. M. il Re delle Due Sicilie per l'invio di seimila emigrati, ed egli le accettò; mandando a Napoli un commissionato (il Buschental) per concertarne il trasporto. Lo stesso commissionato ha incarico ed autorizzazione speciale per ne­goziare in Europa la venuta di colonie agricole ed industriali sulle basi del contratto, fatto dal Governo di Corrientcs già approvato da voi nella passata sessione .
Come si vede, il De Angelis da tanti anni residente al Plata considerava l'Argentina alla pari della Guyana e non aveva orrore di presentare i propri conterranei nella condizione di condannati ai lavori forzati.
Il Governo Confederato si preoccupava anche della necessità di raccogliere missionari da mandare nell'interno. S'incaricò della loro cernita un sacerdote italiano: tale Bonfiglioli, da lunghi anni sta­bilito al Plata che era partito nel giugno 1855 per l'Italia a prendere ventiquattro religiosi italiani per essere proposti alla cura delle anime nell'interno delle province.
Ma occorrevano religiosi che fossero non solo morali e di buona condotta, ma anche di carattere insinuante e pronti alle fatiche del campo per assistere, nel medesimo giorno, degli ammalati ad otto o dieci leghe di distanza l'uno dall'altro. Per qualche tempo ancora non sarà difficile trovare a collocare qualche religioso nell'interno della Con­federazione .
Mentre il capitano nordamericano Page ravigando lungo il Rio Salado con il vapore Genta non riusciva a risalire il fiume che per 150 miglia circa, e doveva retrocedere in fretta nel timore di restare in secca, Giuseppe Lavarello, valendosi della carta tracciata dal Descalzi, ideava, preparava ed attuava due spedizioni, che do­vevano dare risultati definitivi circa l'importanza del fiume. Inviò il Mataco al comando dell’americano Hickman a Corrientes facendogli iniziare il viaggio dalle vicinanze di Salta. Ma prima dei com­pagni dell'Hickman che avevano proseguito il viaggio vendendo con profitto il carico loro affidato, arrivava in Corrientes il Lavarello al comando del Genta. La compiuta esplorazione del Bermejo schiudeva le comunicazioni dirette col ricco Paraguay. L'armatore Bartolomeo Viale, inviava, per primo, un veliero, affinché caricasse legname da costruzione.




Marcello Cerruti di G. Battista, nato in Genova, e ivi a lungo dimorato, divenuto direttore principale delle RR. Poste di Genova il 5 gennaio 1826. Entrato nella carriera consolare prestava giuramento a Torino il 13 settembre 1837 come Vice Console e Can­celliere del Regno Sardo a Milano. Il 24 ottobre 1841 diventava Console di 3a classe. L'8 gennaio 1849 era promosso Console a Belgrado. Cfr. R. Archivio di Stato di Torino - Sez. I Giuramenti.














Sono assai modeste le conoscenze relative alla storia dell'ARGENTINA anteriormente all'arrivo degli europei.
Amerigo Vespucci, nel corso del suo secondo viaggio (1501-1502), costeggià il litorale fino all a Patagonia meridionale e penetrò nell'estuario del Rio de la Plata, seguito poi da J. Diaz de Solis, che vi trovo la morte (1516).
F. Magellano ripetè nel 1519-20 il viaggio di Vespucci prima di attraversare il canale che da lui prende il nome.
Nel 1536 Pedro de Mendoza, con l'appoggio di Carlo V, preoccupato di sottrarre la regione ai portoghesi, fondò presso l'estuario del Rio de la Plata la Ciudad de Santa Maria de los Buenos Aires, primo nucleo della futura capitale.
Gli assalti degli indigeni, la malattia e il ritorno in Spagna del Mendoza, i dissidi fra i suoi luogotenenti decimarono negli anni successivi il gruppo fondatore della città.
Un lungo periodo di terrore e d anarchia favorì la dispersione dei coloni spagnoli nell'interno e la fondazione di varie città, fra cui Santa Fé de la Vera Cruz e Cordoba la Llana (1573).
Nel 1580 si impose, tra i vari comandanti militari (caudillos) l'adelantado Juan De Garay, chediede inizio alla ricostruzione di Buenos Aires, facendone un porto importante, di tramite fra Brasile e fascia interna delle Ande.
Undici anni dopo Buenos Aires fu proclamata capitale del Territorio del Plata.
Verso la fine del Cinquecento agli adelantados succedettero i governator~, impegnatissimi in una lunga e dura lotta contro i creoli, ribelli. Un'opera accorta svolse il governatore e capitano generale interinale Hernando Arias de Saavedra, o Hernandarias, il quale applico con entusiasmo le ordinanze emanate dalla Spagna a favore degli indiani nel 1610, e ottenne nel 1617 la separazione del Rio de la Plata dal Paraguay.
Tutto il sec. XVII vide infttirsi le città all'interno, aumentare la popolazione di Buenos Aires, svilupparsi il volume del traffico e, con successo, la politica di difesa contro le minacce portoghesi.
Nel Settecento il conflitto tra Spagna e Portogallo ebbe come principale posta il possesso del territorio sulla sinistra della foce del Rio de la Plata chiamato Colonia del Sacramento e tocco il momento più aspro col governatore Pedro de Cevallos, che, ottenuta l'elevazione del governatorato al rango di vicereame (1776), riuscì adoccupare il territorio conteso.
I suoi successori dettero un amministrazione più organica e complessa al vicereame: intanto BUENOS AIRES crebbe sin a toccare nel 1778 i 24.000 abitanti. Cordoba divenne invece la città dotta, con la sua universita, e il principale centro cattolico, col Collegio gesuitico di Montserrat.
Verso la fine del secolo e i primi dell'Ottocento crebbe l'influsso culturale europea e si intensificò l'attività economica, proprio mentre lo spirito individualistico dei pastori e dei contadini e il malcontento del basso clero, in grande maggioranza creolo, venivano preparando le condizioni favorevoli allo scoppio rivoluzionario, nel quadro delle grandi rivoluzioni nordamericana e francese.
I precedenti si scoprono nel tentativo inglese di occupare Buenos Aires nel 1806.
Sconfitti una prima volta gli invasori, il francese Jacques de Liniers si impose qual governatore militare della capitale, e, coadiuvato dalla Legion de patricios fondata dall'elite argentina, riuscì nel 1807 a respingerli per sempre sì da conquistare pure Montevideo.
Fattosi nominare vicere e conte di Buenos Aires, il Liniers entrò però in conflitto con i suoi stessi seguaci, che avevano acquistato nel la coscienza delle proprie possibilità.
Espressione della ricca e aperta borghesia cittadina, i creoli della Legion de patricios avevano alla testa uomini di idee liberali di matrice europea quali Mariano Moreno e Manuel Belgrano che su una politica di rivendicazioni nazionalistiche intesa ad avvalersi dei conflitti tra l'Inghilterra e la Francia napoleonica onde dare nuova sistemazione giurisdizionale all'ARGENTINA. Onde eliminare i vincoli posti dagli occupanti e mirare all'affermazione d'un liberismo economico, che intendeva aprire Buenos Aires al commercio inglese, costoro fecero leva sull' interesse dei creoli. Di conseguenza il cabildo o municipalità della capitale divenne il centro delle tante rivendicazioni.
L'apertura del porto, chiesta in forza del memoriale Moreno , diede subito dei frutti per le finanze della città: in dipendenza di ciò i capi del cabildo avanzarono nuove richieste,contando sulla debolezza della Spagna impegnata nel- na guerra con Napoleone. Quando, il 22-V-1810, il Vicerè spagnolo de Cisneros convocò il cahildo abierto sorsero formidabili discussioni tra spagnoli ed esponenti creoli : questi ultimisi elettisi patrioti invasero allora la sala dell'assemblea e proclamarono la Giunta governativa provvisoria delle Province unite del Rio de la Plata. L'assemblea risultò presieduta da Saavedra e composta, fra gli altri, dal Moreno, dal belgrano da J. J. Castelli, da Manuel Alberti e Bernardino Rivadavia.
Questa che passò alla storia come "Rivoluzione di maggio"non ebbe connotati ideologici e anzi per molti aspetti risultò estemporanea di maniera che, quietatisi gli animi, i più moderati fra i conservatori al seguito del Saavedra, i quali si sentivano condizionati dalla politica liberale del Moreno e del Belgrano, non vollero dichiarare l'indipendenza dalla Spagna. Per quanto tardivamente la Spagna reagì all'insurrezione ma senza frutti significativi sin a quando nel 1811-12 presero sempre più piede gli oppositori del Saavedra, sostenitori dell'indipenza. Così il 22-XI-1811 fu emanato uno statuto provvisorio e finalmente nel gennaio del 1813 potè esser convocata l'assemblea costituente che sancì la rottura definitiva dei legami con Madrid. Il Belgrano si portò in Europa assieme al Rivadavia onde ottenere il riconoscimeto dell'indipendenza. Salì allora ai vertici del potere, nel gennaio 1814 , il capace generale Jose de San Martin, che, dopo celebre marcia attraverso la catena andina, debellò gli spagnoli a Chacabuco, prese Santiago ed ancora battè gli spagnoli a Maipù nel 1818 in modo da rendere fattibile pure l' indipendenza del Cile. Confortati dai successi trionafali del San Martin i rappresentanti delle province argentine solennemente, il 9-VII-1816, proclamarono l'indipendenza del Rio de la Plata.
Il congresso dei deputati argentini, l'11 maggio 1819, trasferitosi a Buenos Aires promulgò quindi la nuova costituzione, forgiata sul modello inglese.
Non risultò però mai, pur dopo aver conseguita l'indipendenza semplice, la collaborazione fra BUENOS AIRES, dominata da una borghesia mercantile e marittima assai intraprendente, dai creoli, fautori di un liberalismo unitario, e le PROVINCE DELL'ARGENTINA, dove predominavano media e piccola proprietà agraria, composta di meticci, ed ambiguamente assistite da una marea di indi, contadini poveri e poco più che servi della gleba, tutti comunque assai legati alle autonomie locali e alla conservazione di vecchi privilegi corporativistici corporativistici, che tpoliticamente si identificavano nel "movimento democratico federalista".
Si giunse presto ad uno scontro che divenne anche aspro.
Dapprima ebbero la meglio i liberali della capitale, guidati dal Rodriguez e dal Rivadavia, che nel 1825 divenne presidente.
Però verso il 1827 si affermarono i federalisti che lo costrinsero a dare le dimissioni.
Nel 1829 salì al potere il forse più abile ma anche più spietato esponente dei federalisti, JUAN MANUEL DE ROSAS che ottenne in successione gli incarichi di governatore e capitano generale.
Prese così l'avvio una lunga, sanguinosa dittatura, che, rinnegando le posizioni che l'avevano fatta affermare, diventò gradualmente accentratrice, avvalendosi di ogni mezzo per sterminarei rivali.
L'anno quaranta fu in dettaglio il più spaventoso nel contesto di tale guerra civile fra il dittatore e l'esercito "liberatore" dei suoi awersari. I successi conseguiti nelle guerre contro Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Bolivia e Uruguay e la conqista della Patagonia rafforzarono ancora negli anni seguenti il Rosas, ma la resistenza dei liberali e l'intervento europeo portarono poi alla sua sconfitta il 3-II-1852, nella battaglia di Monte Caseros ad opera del suo stesso luogotenente generale Urquiza.
Il 1°-V-1853 venne proclamata la nuova costituzione e, dopo un periodo di nuovi dissidi interni, finalmente nel 1862 il presidente Bartolomé Mitre riusci ad aprire un lungo periodo di sviluppo pacifico, nel quale l'ARGENTINA conobbe grandi progressi economici, vide la costruzione di ferrrovie e di opere pubbliche, apporto dell'emigrazione europea, regolazione pacifica dei confini, con una relativa stabilità e maturazione politica dei partiti politici rappresentanti i principali gruppi sociali del Paese.