LA VIA LITORANEA IN LIGURIA

Nel PONENTE LIGURE in forza della conquista napoleonica risultarono incentivati i traffici terrestri dopo che si realizzò (1804, 1810 e quindi conclusa nel 1828) la STRADA DELLA CORNICE (oggi "via Aurelia") di cui in particolare vale la pena di ricostruire con adeguato supporto di immagini le vicende soprattutto per i tratti concernenti l'areale compreso tra
BORDIGHERA ED IL TORRENTE CROSA O VERBONE
e l'areale riguardante il tragitto
VALLECROSIA - VENTIMIGLIA - FRONTIERA ITALO FRANCESE.
La STRADA DELLA CORNICE fu in effetti la I linea costiera di comunicazione ininterrotta in Liguria dai tempi in cui i Goti distrussero la romana JULIA AUGUSTA, con la conseguenza che per tutto oltre un migliaio d'anni e per tutto il periodo dell'amministrazione genovese, tranne che per spazi limitati, gli spostamenti sull'arco regionale ligure avvennero sempre per
VIA DI MARE,
con vari tipi di
NAVI, GALEE, VASCELLI ED ALTRE IMBARCAZIONI,
data anche la strordinaria valenza commerciale e strategica del
PORTO DI GENOVA
Prima della realizzazione della STRADA DELLA CORNICE sull' ARCO LIGUSTICO per secoli ci si dovette spostare sempre via mare e, stranamente, più che da un erudito ligure come
***ANGELICO APROSIO***
è da un letterato grandissimo, cioè
***FRANCESCO PETRARCA***,
che apprendiamo le tante
PERIPEZIE
(cui neppure potè esimersi papa Urbano V recandosi da Avignone a Roma)
cui doveva piegarsi chi volesse recarsi dalla Francia occidentale sin oltre i confini orientali del Dominio di Genova.
Con la realizzazione della litoranea napoleonica una corrente di traffico si sviluppò sul litorale ligure: la parte più vicina alla Provenza fruì di gran transito di merci e viaggiatori. Seguendo quanto ha utilmente scritto Vincenzo Agnesi ne La Riviera non bisogna credere che la STRADA DELLA CORNICE sia "nata" dalle gesta napoleoniche senza problemi.
Il Bonaparte non ebbe a disposizione il lungo tempo che permise ad Augusto di potenziare la Julia Augusta: pur nel contesto di una realizzazione celermente portata avanti, il risultato archiettonico più clamoroso dell'impresa napoleonica con probabilità fu l' edificazione del PONTE SAN LUIGI tra Ventimiglia e Mentone.
La tradizione, avvalorata dagli antiquari, vuole che il Bonaparte onde celebrare fastosamente questa iniziativa, emulando certe gesta trionfali di Ottaviano Augusto, abbia percorsi i tratti resi carrozzabili della nuova strada costiera utilizzando questa
CARROZZA.
Dopo la caduta di Napoleone quella STRADA COSTIERA che era andata a colmare un grave limite viario della Liguria, ancora EVIDENZIATO DA RELAZIONI DEL XVIII SECOLO, cominciò però a CADERE IN ROVINA per l'assenza di manutenzione.
E la turista inglese lady Blessington solo pochi anni dopo la caduta di Napoleone, durante un viaggio per la STRADA DELLA CORNICE nel 1823, mise in risalto la necessità di
PROCEDERE PER QUELLA VIA ANCORA A DORSO DI MULI
se non proprio nel rispetto di una tradizione secolare per via soltanto delle proprie gambe, sì che divenne quasi istituzionale la figura del
PEDONE
identificabile in una sorta di professionista della strada addetto a trasportar missive od oggetti relativamente piccoli per siffatte contrade.
Il recupero dell'
iniziativa stradale napoleonica
non dipese da una vera e propria scelta del restaurato GOVERNO SABAUDO (che per i deliberati del "Congresso di Vienna del 1815" aveva incamerato il terriorio della soppressa REPUBBLICA DI GENOVA) ma dal fatto che nel 1826 si ipotizzò un
VIAGGIO PER LA LITORANEA
dei Sovrani Sabaudi.
Il meccanismo celebrativo dell'Antico Regime impose l'adeguamento della STRADA DELLA CORNICE alle ESIGENZE DI COMODITA' DEI SOVRANI.
Non sembra peraltro un caso che la CITTA' DI SANREMO, come si evince dal MANOSCRITTO BOREA [trascritto da Guido Orazio Borea D'Olmo per i tipi dell'Istituto internazionale di Studi Liguri nel XV volume (anno 1970) della "Collana Storico-Archeologica della Liguria Occidentale" con il titolo de Il Manoscritto Borea - Cronache di Sanremo e della Liguria Occidentale] commemorando la morte del SOVRANO SABAUDO CARLO FELICE, abbia attribuito a questi la RESTAURAZIONE DELLA LITORANEA, nominata nelle iscrizioni funebri dedicate al Sovrano VIA EMILIA.
Il restauro della STRADA LITORANEA partendo dal 1826 (anche se il VIAGGIO REGALE POI NON AVVENNE) fu soltanto in crescendo: anche se, per la sveltezza di certe opere storiografiche, rimasero da compiere diversi lavori che furono completati solo in tempi posteriori.





Marco Foscarini, ambasciatore veneto a Torino nel 1743, in una operetta manoscritta, parlando della strada litoranea annotò: " La strada alla ripa del mare è angustissima e dominata dagli Appennini, dove s'incontrano frequenti passi impraticabili per una armata e li soli paesani, essendo gente armigera, bastano a guardarli".
Una turista inglese, lady Blessington, desiderando nel 1823 compiere un viaggio da Nizza a Genova scrisse: "Siccome noi sentivamo una grande contrarietà a viaggiar sopra una feluca, determinammo di procedere verso Genova attraverso la strada detta Cornice, che ammette due modi di trasporto: la sedia con portatori o il dorso del cavallo, o meglio il dorso del mulo...Non vi può essere un modo più piacevole di viaggiare che sul dorso dei muli. Il loro passo e l'ambio, un modo intermedio tra il rapido e il trotto. Non è affaticante, gli animali hanno un piede così sicuro che non fanno un passo falso anche sulla peggior strada. La nostra compagnia comprendeva 13 persone e ad esse erano addetti due mulattieri, il cui compito era quello di frustare i muli ed allontanarli da quella parte della strada che era considerata pericolosa. E' penoso vedere questi poveri uomini che trottano su e giù lungo la comitiva sotto i raggi del sote che è realmente bruciante sebbene siamo soltanto alla fine di marzo. La strada talvolta diverge dalla riva del mare e passa su burroni fittamente boscosi il cui tappeto erboso pestato dalle zampe dei muli esala un delizioso odore di timo silvestre e altre piante aromatiche che qui crescono in abbondanza. Ma il mare raramente è perduto di vista per più di quindici minuti ed il ritorno ad esso fa sempre piacere. Fino a che non vidi il Mediterraneo, non avevo altro aggettivo per il mare che sublime, ma qui è bellissimo"(la passione esotico-turistica della nobildonna inglese tendeva ad esaltare la natura ligure-mediterranea ma, sotto il profilo più prosaicamente utilitaristico, permette di evincere oggi che la napoleonica STRADA DELLA CORNICE nei primissimi anni '20 del XIX secolo non aveva la strutturazione di un'arteria di vera utilità: non erano quindi granché cambiate le condizioni viarie da quando PIO VII rientrando in Italia dalla prigionia a Fontainebleau, nel 1814, attraversò la riviera ligure su una portantina).
Quando Napoleone cadde, la strada fu abbandonata e andò abbastanza velocemente in rovina data la carenza di pronte riparazioni. L'occasione di riattarla si presentò tuttavia nel 1826, quando fu prospettata l' eventualità che Carlo Fellce vi transitasse.
Carlo Felice, diventato re di Sardegna dopo l'abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I nel 1821, avrebbe dovuto raggiungere NIZZA partendo da GENOVA: in un primo tempo, tra l'aspettativa generale, si ipotizzò un innovativo viaggio per la strada corriera della Cornice ma quasi subito si apprese ovunque, da lettera del Governatore Generale della Divisione di Genova del 4/XI/1826, che il corte regale avrebbe proceduto su vascelli della flotta, partendo dal porto di Genova.
Nella stessa missiva, seppur fra vari punti interrogativi, si avanzava comunque l'ipotesi che il ritorno per il ritorno da Nizza potesse invece avvenire per via di terra.
In funzione dell'ipotesi di un VIAGGIO REGALE si inaugurarono frenetici lavori per riattare la già cadente strada della Cornice, lavori che, data la ristrettezza del tempo a disposizione, furono portati avanti anche nei giorni di festa e alla domenica stessa.
In data 16/XII/1826, venne tradotta alle autorità di Oneglia un'epistola del Governo Generale della Divisione di Nizza che sembra preludere ad un effettivo viaggio di ritorno di Carlo Felice e della consorte Maria Cristina seguendo la via di terra e conseguentemente il tracciato della Strada della Cornice:
"Sembra fuor di dubbio che le Loro Maestà, partendo da Nizza per far ritorno in Genova, passeranno per la strada del litorale. Quindi con questo corriere raccomando a codesto signor Intendente di dare tutte le possibili disposizioni affinché la strada Provinciale sia sollecitamente riattata in modo che non presenti alcun pericolo ed offra un comodo passaggio in carrozza agli augusti personaggi. Due o tre giorni prima della partenza dei sovrani spedirò questo Signor Ispettore del Genio Civile a riconoscere lo stato delle strade. Intanto io mi lusingo che ta Signoria Vostra Illustrissima di concerto col prefato signor Intendente non lascerà nulla d'intentato, affinché, per quanto è possibile non vi sia alcuna cosa a desiderare. Quanto alle pubbliche dimostrazioni di gioia, che le Comunità della Provincia vorranno senza dubbio esternare per festeggiare la fausta circostanza del passaggio delle Loro Maestà io esorto la Signoria Vostra Illustrissima a non apporvi altro limite che quello dell'ordine, di cui hanno in ogni occasione dato prove ed a secondarne lo slancio in tutto ciò che non potrà essere causa di turbamento o sconcerto. Però siccome la strada Provinciale non è molto spaziosa, e che ogni benché minimo fragore spaventerebbe i cavalli e produrrebbe inconvenienti io Le ingiungo così di proibire severamente ogni sparo di mortaretti, fucili od altra arma qualunque al tempo del passaggio delle Loro Maestà". Il 23 dicembre il senatore Giacomo Antonio Melissano da Nizza scrisse quindi al sindaco di Oneglia d'aver fatta pressione al fine che Carlo Felice optasse per il persorso litoraneo della riviera "potendo col mezzo della portantina supplire in alcuni punti all'incomodo e alla difficoltà della carrozza".
Nella Storia della città e del principato di Oneglia del Pira al proposito di questa circostanza si legge poi: "Questa civica amministrazione assicurata che Sua Maesta avrebbe qui pernottato, tutti i possibili preparativi ordinò per ben riceverla. Fu scelto per suo alloggio il casamento della famiglia Belgrano, siccome avente a mezzogiorno un'ampia loggia, ove lo sguardo piacevolmente si spazia sul mare, e situato sulla piazza S. Francesco di Paola, in facile comunicazione con i casamenti laterali. Non starò ad accennare ad una ad una le dimostrazioni di giubilo a cui preparavasi questo popolo innamorato del suo re. Non devo per altro tacere che una marittima illuminazione formata sopra dei battelli doveva rappresentare la figura del nuovo porto a cui si aspira". A disilludere tutti intervenne però una seconda lettera con cui ancora il senatore Melissano, il 25 dicembre troncò le aspettative da lui stesso suscitate: "...purtroppo il re non passerà per via terra...".
La delusione fu considerevole e solo parzialmente venne dissipata la convinzione di stare realizzando un'importante opera pubblica: così i lavori sulla strada litoranea continuarono sino a quando la Vice Intendenza informò il 24/I/1827 che erano stati ultimati.
Da questa data in effetti si può in effetti datare l'efficienza della moderna STRADA DELLA CORNICE pur riconoscendo i meriti e le intuizioni di Napoleone I, senza la cui moderna capacità di prevedere le esigenze future probabilmente la Liguria avrabba ancora tardato a riavere un'efficiente asse viaria.
E nonostante tutto rimasero vari lavori da completare.
Per esempio nel Ponente estremo il tratto di STRADA DELLA CORNICE che portava dal torrente Nervia al fiume Roia venne CONCLUSO solo anni dopo, precisamente nel 1836.
Parimenti nell'areale di Oneglia sia il TORRENTE PRINO che il TORRENTE IMPERO dovettero ancora essere superati per via di un GUADO (ci vollero ancora 20 anni circa prima che l'impresario Giordano realizzasse il PONTE SUL PRINO e parimenti occorse parecchio tempo affinché il TORRENTE IMPERO risultasse superabile in forza del PONTE SOSPESO costruito da Luigi Bonardet).










La STRADA CORRIERA DELLA CORNICE già qualche anno dopo la CADUTA DI NAPOLEONE denunciava difetti tali da renderne auspicabile (seppur fra opinioni diverse) un opportuno restauro.
A tale proposito è utile leggere quanto scrisse in proposito il VICE INTENDENTE SABAUDO SPINOLA nel 1819 al SINDACO DI VALLECROSIA la cui popolazione stava appunto, in parte, migrando verso la ZONA COSTIERA dove scorreva la STRADA CORRIERA ed ove si andavano sviluppando, molto lentamente, alcuni flussi mercantili:
"...Non ravvisandosi dal Governo conveniente sistemare la strada corriera verso Savona e verso Nizza in altro modo che per renderne il corso meno disagevole ai Corrieri ed a' mulattieri, l'Illustrissimo Signore conte Caccia con sua lettera del 20 Dicembre spirante mi previene che più nel novero delle Comunali che delle Provinciali deve la medesima essere contemplata. In seguito di tale decisione converrà nella formazione del Causato farsi carico di quei restauri che sarebbero necessari per stabilire la spesa, detratti però i lavori eseguibili da Cantonieri...".
Da queste poche parole si intende che il Governo centrale del Regno sabaudo non riusciva ancora ad intuire l'IMPORTANZA VIARIA COMMERCIALE DELLA STRADA COSTIERA: per le autorità, come in fondo per lo stesso Napoleone, l'essenza basilare della VIA DELLA CORNICE sarebbe stata quella di PERCORSO STRATEGICO e comunque funzionale soprattutto a spostamenti celeri fatti su singole cavalcature (da CORRIERI GOVERNATIVI quindi o da MULATTIERI) senza ancora valutare la possibilità e l'importanza del grande TRAFFICO MERCANTILE PER VIA DI CARRIAGGI, di per sè lento, bisognoso di sufficiente ampiezza stradale e di adeguate sovrastrutture (ponti o guadi efficienti per esempio): sarebbero occorsi alcuni anni per giungere alla definitiva visione di una GRANDE ARTERIA DI COSTA davvero degna dell'antica Julia Augusta.

Contestualmente alle tante iniziative portate avanti Napoleone procedette ascrivendo la Repubblica ligure nella compagine del vasto Impero da lui creato si impegnò ad esercitare anche sul suo clero, come su quello dei vari Paesi da lui assimilati [ma peraltro continuando un' OPERA già intrapresa dalla Repubblica rivoluzionaria ligure], una forma di controllo che mirava da un lato a laicizzare il nuovo Stato e dall'altro aveva lo scopo di regolamentare i vari aspetti della vita ecclesiastica, sì da farsene un sostegno irrinunciabile: da qui derivò tra l'altro l'importante
DECRETO CONCERNENTE LE FABBRICHE (CHIESE).
[Per leggere integralmente il documento si inserisca il DISCO SECONDO (TESTI)]
















1831

Per la Morte del Re Carlo Felice seguita li ("data non trascritta") la Città il giorno fecce fare un Funerale nella Chiesa di S. Siro, fecce l'Orazione Funebre il Mastro di Rettoria d. Ant. Valle. Al Catafalco vi erano le Seguenti Inscrizioni:
Dirimpetto all'Altare
Misericor Deus
quesumus
Ut Eternam Beatitutem
Religiosus Princeps
Qui jus vis ergo parentalia
Celebramus
A Sinistra
Aqua lacus nigri
ut
Ex privato in Publicum usum
Derivaretur
Causa Cognita rescripsit
questa Inscrizione fece Testo nella Causa delle Fontane.
A Destra Vetustissimam Viam Emiliam
Negligentia temporum corrupta
Operibus ampleatis
Restituendam curavit
D. O. M.
Karolo Felici Italico
Regi Sardinie
quod viis patefactis
Hypothece legibus ordinatis
Curis Provinciarum Moderatis
Temporum locorum caussa
Regnum ab Augusto fratri datum
Tripolim belli tormentis oppvgnando
Libertatem ("parola non leggibile") vindicando
Non modo Custodierit sed etiam amplivit Argelensis
Mauritanoram Turcharumque Triumphavit
IV ante Cal. Majas MDCCCXXXI
Defuncto pacem adprecatur.
Composti dal R. Antonio Massabò.
Il ("giorno di") di Pentecoste fu Cantato il Tedeum ed Inno di S. Spirito per l'esaltazione di Carlo AlLerto vi fu Orazione Panegirica recitata da D. Antonio Massabò, Illuminazione alla Sera, il Console Francese pose larma ed Albero alla sua Abitazione il Drapo Tricolore, non essendo stato posto in Chiesa Banco per la nobiltà ("la panca riservata agli aristocratici") neè essendo stato invitato il Sottoscritto ("Marchese Tomaso Gio. Batta Bore d'Olmo") ne fece inteso S. E. il Governatore acciò non ne le atrebuisse a mancamento. Scrisse al S. Sindaco che rispose a S. E. che era stata una dimenticanza involontaria del Corpo Civico che avevano tutto il rispetto per il M. Borea d'Olrno che si facevano una premura di porlo in tutte le Commissioni onorifiche.
Il Giorno 26 Maggio all'ore 11 3/4 del Mattino venne una Scossa assai forte, incominciò per Rumore, si Fece Sentire Oscilatorio e poi Ondulatorio e durò 15 Secondi e se durava di più eravamo tutti andati. Fu Reputato un Folgore Terrestre, i Bastimenti lo sentirono e parve che due volte dassero su un Scoglio. Tutti si ritirarono alla Campagna e S. Remo rimase deserto. Il nostro Casamento ("Palazzo Borea d'Olmo") poco soferse se non che una Cantonata della Logetta nel Terasso si spacò ed il Cornicione e si apriron quelle Fisure antiche già turate. Soferse la Chiesa di S. Stefano dell'Ospitale, i due Conventi delle Monache, una Fisura alla Madonna della Costa, varie case nella Città, nella Terra dei Verdea Fizeri, il S. Rinaldi perdette due Stanze, il S. Boeri una casa distruta al mare ed altri danni. Si pretese sentirsi altra piccola scossa all'ore 10 1/2, una ripetesi non così forte alle 11 1/2, altra più forte sicome eravamo in campagna pochi sentirono alle 4 1/2 della Mattina, altra che si sentì egualmente, come altra di piccolo momento il 28 a mezo Giorno e 3/4 una se ne sentì e l'intesi, altra legerissima, alli 29 alle 6 1/2 altra che sembra un vento, altre piccole di poco momento pretendono che continuamente si intesero li 8 Giug.° nel dopo pranzo se ne senti una alle 6 3/4 io ero in Casa ma nel Paese e alla Madonna lo sentirono. Io però intesi per Bufferoni da vento da Tramontana, li 9 alle 4,40 minuti del mattino ne sentii uno pareva un tuono sordo, e finì con sentirsi nel legno delle vetrate come cosa legera; pure a Taggia si dice ne abbiano contate tre e fugati dalle Case, la Processione dell'Ottava si fecce secondo il solito, quella del Corpus domini passò di Piazza senza entrare nelle Chiese e ritornò in Parochia, però questa dell'Ottava non andò nelle Monache Turchine. Il danno soferto da Casa Borea fu che il Muradon verso Ponente e Collonati furono smossi ed è convenuto turarli i punti, un Rondone sotto il Muradon Strapato ed altre fesure di poca moneta anche nella Casa d'Affitto che tanto portarono una Spesa per ventura nulla della Superiore ha sofferto la casa della Braja non ha Sofferto.



In merito ai viaggi da farsi onde attarversare l'arco ligure una straordinaria documentazione proviene da una EPISTOLA di uno dei più grandi letterati italiani di tutti i tempi: FRANCESCO PETRARCA (1304-1374).
La lettera (appartenente al libro delle "Familiari") fu stesa nel 1343 e venne indirizzata a Giovanni Colonna.
Per i letterati essa ha sostanzialmente un alto valore morale volendo biasimare le "turpitudini della corte di Napoli" ma accanto a questo tema primario essa produce altre informazioni.
Visto che nella prima parte costituisce il resoconto del viaggio marittimo intrapreso da PETRARCA, che lasciata AVIGNONE ed ancor più l'amatissima VALCHIUSA , raggiunse il mare della Provenza onde per tal via portarsi a ROMA e quindi a NAPOLI, la LETTERA può essere presa come un assunto delle MOTIVAZIONI DI UN PARTICOLARE tipo di viaggio dalle Gallie sin alla CITTA' SANTA.
Poco importa che il PETRARCA non abbia compiuto il viaggio per ragioni di fede, egli comunque si valse delle stesse strutture e degli identici percorsi che venivano abitualmente compiuti dai PELLEGRINI alla volta di ROMA.
Scrisse in latino il poeta (che qui si legge in traduzione):"...Ti avevo promesso di fare il VIAGGIO PER MARE, non per altro motivo se non per il fatto che mediamente si ritiene che si proceda meglio e con maggior rapidità per via di mare che per i percorsi terrestri".
Aggiunse quindi:"...imbarcatomi a NIZZA presso il Varo, che è la prima città d'Italia a ponente, giunsi a MONACO che il cielo era stellato".
Le notazioni del Petrarca ci ragguagliano su convinzioni storiche assodate: i percorsi di terra -scomparsa in gran parte la VIA ROMANA- erano disagevoli e il porto nizzardo costituiva una base storica per la navigazione verso l'Italia.
La navigazione era -cosa parimenti nota- di cabotaggio, con frequenti approdi per ripararsi e vettovagliarsi: la prima tappa fu però a MONACO e non in VENTIMIGLIA (fatto non del tutto chiaribile ma forse conesso al sopraggiungere di qualche mutamento di tempo, tale da suggerire un pronto riparo).
Subito dopo infatti si legge:"...mi adiravo con me. Sostamme a Monaco di mal animo il giorno seguendte, tentato senza successo di salpare".
Non alludendosi ad avarie di sorta è veramente da credere che il sopraggiungere di qualche fortunale abbia costretto la nave in quel porto.
Ed a comprova di ciò, proseguendo nella lettura, si apprende che "...il giorno seguente, con tempo incerto, salpammo e sbattuti in continuazione dalle onde arrivammo a Porto Maurizio nel pieno della notte".
La sosta al MAURITII PORTUM non dovette essere un espediente, da come scrisse il Petrarca l'attracco sembrava previsto dal programma di viaggio.
Egli aggiunse:"Non ci fu permesso di entrare nel castello. Trovata per caso in un OSPIZIO SULLA SPIAGGIA una cuccetta da marinaio condii la cena con la fame e fui debitore del sonno alla stanchezza"
Ed ancora: "a questo punto fui preso dall'ira e mi resi conto dei gran brutti tiri che fa il mare. Quindi fatti tornare sulla nave i servi coi bagagli, io solo con un compagno preferii restare sul lido di Porto Maurizio. Finalmente mi capitò un poco di fortuna. Fra quegli scogli liguri per qualche inspiegabile caso si vendevano dei CAVALLI TEDESCHI, forti ed agili. Non impiegai gran tempo ad acquistarli e rièpresi così il viaggio senza essermi del tutto liberato dalla nause del tragitto fatto per mare".
Anche se si tratta del PETRARCA qualche considerazione è spocchiosa ma, al pari di altri dati pur venati di letteratura, giunge utile allo storico.
Anche se verisimilmente il PETRARCA soffriva lo scomodo viaggio per nave era questo comunque -nel giudizio di tutti- il modo migliore per giungere a ROMA: i servi ed i bagagli dovettero procedere per nave in quanto il percorso stradale, tanto accidentato, era impraticabile o quasi per chi fosse impacciato da mezzi pesanti od oggenti di ingombro.
Il riposo fu preso sulla spiaggia di PORTO MAURIZIO in un "HOSPITIUM": qualche traduttore corrgge con ALBERGO ed è difficile dire se si fosse trattato di un OSPIZIO PER PELLEGRINI o di uno di quegli OSPIZI RETTI DA PRIVATI di cui talora è giunta notiza.
Il POCO CIBO cui fa cenno il PETRARCA, assieme alla menzione della CUCCETTA, potrebbe far pensare alla TIPOLOGIA DI un OSPIZIO PER PELLEGRINI.
Bisogna però tener conto che si ha pur sempre a che fare con un umanista, per casta dotto quanto narcisista ed abituato a certi lussi avignonesi: quindi non è da escludere il RICOVERO PRESSO UNA SORTA DI LOCANDA PRIVATA al modo che in Ventimiglia tempo prima fece il nobile cortigiano spagnolo GIOVANNI DE PORTA.
Il Petrarca scrive di aver trovato, per caso, in vendita dei CAVALLI DI RAZZA. Se confrontiamo l'episodio con quello di GIOVANNI DE PORTA si direbbe invece che la COMPRAVENDITA DI CAVALLI era quasi un fatto istituzionale nei PORTI, sia a Ventimiglia che a Porto Maurizio.
La ragione non sarebbe poi indecifrabile: i CAVALLI erano lasciati presso gli OSPIZI per varie ragioni: per cambiare a costo minimo animali freschi con altri pronti per il viaggio, erano commerciati per le esigenze dei viandanti che potevano spendere (come GIOVANNI DE PORTA od il PETRARCA) ed ancora venivano allevati localmente da imprenditori e proprietari di ospizi privati" per farne oggetto di vendita o di affitto a quei pellegrini che potessero permetterseli o dovessero come GIOVANNI DE PORTA lasciare il "percorso marino" per addentrarsi lungo una qualche via di penetrazione nell'entroterra.
E' infattibile ricostruire topografia e topologia dell'OSPIZIO visitato dal PETRARCA: l'unica certezza è che si trovava in prossimità dell'approdo: "LITOREUM HOSPITIUM".

Stando alle rilevazioni archeologiche si può pensare che strutture di ricovero per pellegrini nel XIV secolo dovevano trovarsi proprio in "riva al porto" o comunque alla "Marina": peraltro proprio alla foce del torrente Prino e nell'area di BORGO PRINO si son reperite le più antiche testimonianze di insediamenti nella zona.

Una testimonianza di queste sembrerebbe essere data dalla CHIESA DETTA DEI CAVALIERI DI MALTA di PORTO MAURIZIO in cui, nonostante le trasformazioni e le alterazioni, N. Lamboglia lesse criticamente l'abside.
Questa nella parte superiore, che è del XIV secolo, denota consonanze architettoniche con gli edifici di S. PIETRO DI LINGUEGLIETTA e della CATTEDRALE DI ALBENGA.

Tuttavia lo ZOCCOLO dell'abside di questa CHIESA di PORTO MAURIZIO sembra il residuo di un edificio più antico, del XII secolo, su cui sarebbe stata poi costruita la chiesa nel 1362 "IN COMMODUM PEREGRINORUM" secondo un'iscrizione che comunque già vi esisteva (analogamente a quanto fu ritrovato in Ventimiglia da G.Rossi in merito all'iscrizione di una FONTANA che dettava "ad commoditatem navigantium").
L'edificio dei CAVALIERI DI MALTA sito in prossimità del porto e sulla linea del mare costituiva dunque un ricettacolo per viandanti e pellegrini.
E' quindi probabilissimo che la parte più antica appartenesse ad un più vecchio edificio, un OSPEDALE del XIII secolo che già vi esisteva.
E non sembra difficile pensare che questa CHIESA ED OSPEDALE DEI CAVALIERI DI MALTA non sia altro che una ristrutturazione, ampliamento con relativa rinominazione di un originari OSPEDALE del XII-XIII secolo eretto dai CAVALIERI GEROSOLIMITANI cioè di quell'ordine cavalleresco di cui si è individuato anche un RICOVERO ad Ospedaletti.







Nei primi mesi del 1260 Manuele, fratello del Re di Castiglia Alfonso X detto "il Saggio" e quindi figlio di Ferdinando III "il Santo" (colui che aveva edificato S. GIACOMO DI COMPOSTELA ), era giunto al "Porto sul Roia" e s'era poi volto ad una destinazione mai dichiarata (esaminando i lavori storici del Muletti sulle vicende feudali ed ecclesiastiche del saluzzese si può tuttavia ipotizzare che questo viaggio fosse connesso ai contatti intavolati da Manuele, per Alfonso X, con Guglielmo VII, Marchese del Monferrato dal 1253 al 1292, nel periodo in cui questo andava cercando presso la Corona di Castiglia un'alleanza contro i suoi nemici storici, gli Angioini).
GIOVANNI DE PORTA DA PIACENZA che prestava servizio al seguito di Manuele e conduceva con sé due
CAVALLI , uno BAIUS ed uno FERRANDUS, si riposò in un OSPIZIO PRIVATO di Ventimiglia donde ripartì presto per raggiungere Manuele dopo aver lasciato in custodia nella stalla dell'ospizio i due animali ormai sfiniti; questo ricovero era sito nella città di Ventimiglia ed apparteneva ad una certa Beatrice, vedova di Filippone di Gavi: tal struttura privata è prova di quanto stesse divenendo remunerativo per singoli cittadini trar cespiti dalla riscoperta attività di ristorazione atteso che i personaggi di rango od i ricchi mercanti cominciavano a disdegnare la calda ma ruvida ospitalità dei ricoveri religiosi (di Amandolesio, doc.232 = Atti rogati a Ventimiglia da Giovanni Di Amandolesio dal 1258 al 1264, a cura di L. Balletto, Bordighera, 1985).








Conquistata la Liguria Napoleone procedette ascrivendo la Repubblica ligure nella compagine del vasto Impero da lui creato si impegnò ad esercitare anche sul suo clero, come su quello dei vari Paesi da lui assimilati [ma peraltro continuando un'OPERA già intrapresa dalla Repubblica rivoluzionaria ligure], una forma di controllo che mirava da un lato a laicizzare il nuovo Stato e dall'altro aveva lo scopo di regolamentare i vari aspetti della vita ecclesiastica, sì da farsene un sostegno irrinunciabile: da qui derivò tra l'altro l'importante
DECRETO CONCERNENTE LE FABBRICHE (CHIESE).
Di seguito è QUI riproposto un utile
INDICE
per visualizzare i vari aspetti in cui, anche per concedere uniformità alla gestione di legati, lasciti e patrimoni, vengono laicizzati (si veda la TERMINOLOGIA USATA) e ristrutturati vari aspetti della vita ecclesiastica in Liguria ponentina come in ogni altra contrada dell'IMPERO (anche per offrire la lettura del documento nel suo recupero archeolinguistico, l'INDICE INFORMATICO rimanda al TESTO ORIGINALE visualizzato elettronicamente, da far scorrere e analizzare "cliccando" su un apposito comando chiaramente indicato in utile didascalia: essendo la pagina del testo antico più ampia dello schermo si raccomanda di farla sempre scorrere col "puntatore" onde poter visualizzare per intiero il documento).


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INDICE DEL DECRETO CONCERNENTE LE FABBRICHE (CHIESE):
-CAPITOLO I - DELL'AMMINISTRAZIONE DELLE FABBRICHE [INTENDI, SEPPUR IN SENSO GENERICO, CHIESE: DA "CAPPELLE", "ORATORI" "OPERE PIE", ATTRAVERSO I GRADI GERARCHICI SUPERIORI, SIN ALLE "CHIESE CATTEDRALI"]
-SEZIONE I - DEL CONSIGLIO
-PARAGRAFO I - DELLA COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO
-PARAGRAFO II - DELLE SEDUTE DEL CONSIGLIO
-PARAGRAFO III - DELLE FUNZIONI DEL CONSIGLIO
-SEZIONE II - DELL'UFFIZIO DEGLI OPERAI [PER "OPERA" INTENDI "COMPONENTI, DI VARIA ESTRAZIONE, DEL CONSIGLIO DELLA CHIESA"]
-PARAGRAFO I - DELLA COMPOSIZIONE DELL'UFFIZIO DEGLI OPERAI
-PARAGRAFO II - DELLA SEDUTE DELL'UFFIZIO DEGLI OPERAI
-PARAGRAFO III - FUNZIONI DELL'UFFIZIO
-CAPITOLO II - DELLE ENTRATE, DEI PESI E DEL CONTO DI PREVISIONE DELLA FABBRICA OSSIA OPERA
-SEZIONE I - DELLE ENTRATE DELLA FABBRICA [LE RENDITE DELLA CHIESA]
-SEZIONE II - DEI PESI DELLA FABBRICA [LE SPESE CHE LA CHIESA DEVE SOSTENERE PER I SUOI COMPITI RELIGIOSI, SOCIALE, AMMINISTRATIVI: LEGGI ANCHE "ONERI DI GESTIONE"]
-PARAGRAFO I - DEI PESI IN GENERALE
-PARAGRAFO II [SIC! PER "PARAGRAFO II"] - DELLE RIPARAZIONI [SPESE PER RESTAURI]
-PARAGRAFO III - DEL CONTO DI PREVISIONE DELLA FABBRICA O SIA OPERA [BILANCIO DI PREVISIONE PER LA GESTIONE ORDINARIA DI UNA CHIESA]
-CAPITOLO III
-SEZIONE I - DELL'AMMINISTRAZIONE DEI BENI DELLA FABBRICA [NORME VARIE PER LA GESTIONE DEL PATRIMONIO DELLA CHIESA: IN PARTIC. LA CASSA PER CUSTODIRE TITOLI VARI E DENARO LIQUIDO]
-SEZIONE II - DEI CONTI [NORME PER IL TESORIERE E LA TENUTA DEI LIBRI CONTABILI DI CHIESE E EDIFICI DI CULTO]
-CAPITOLO IV - DEI PESI DELLE COMUNITA' PER IL CULTO [NORME PER I PARROCCHIANI VERSO L'AUTORITA' ECCLESIASTICA DI PERTINENZA]
-CAPITOLO V - DELLE CHIESE CATTEDRALI, DELLE CASE VESCOVILI E DEI SEMINARJ [NORME SPECIFICHE PER QUESTI EDIFICI DI CULTO, RESIDENZA E FORMAZIONE CULTURALE E TEOLOGICA DEGLI ECCLESIASTICI]










La storia settecentesca di Bordighera si innesta nella storia degli Otto Luoghi. Fatto grave per queste contrade fu la GUERRA DI SUCCESSIONE. I danni furono notevoli, nonostante la neutralità di Genova, visto che al confine intemelio si affrontarono Austro-Sardi e Franco-Ispani asserragliati in "Ventimiglia" e protetti dalla flotta inglese.
Molti problemi furono connessi al vettovagliamento di piemontesi ed austriaci ma, a fronte delle rovine che patì Ventimiglia, i quartieri di soldati in Bordighera non costituirono un problema.

Per l'estremo Ponente ligure la fine del 1745 e i primi del '46 erano passati tranquillamente escludendo la presenza dei francesi in Ventimiglia e il timore di rappresaglie anglo-sabaude.
Dopo la disfatta di Piacenza (16-VI-1746), l'esercito spagnolo, richiamato da Ferdinando VI, era in ritirata per la Riviera Occidentale. I suoi generali , temendo incursioni piemontesi, avevano occupato i crinali per proteggere il fianco nord dell'esercito. Nulla era possibile contro la flotta inglese e il 7 settembre vascelli britannici bombardarono la cavalleria del conte De Gages ai Balzi Rossi: per riparare a Mentone il contingente dovette deviare per un tragitto montano.
Il giorno dopo gli Inglesi tentarono uno sbarco contro la postazione francese dei Balzi Rossi: questa però, con l'aiuto dei granatieri "corsi di Genova" respinse l'aggressione pur dovendo patire un nuovo cannoneggiamento.

Nel frattempo l'esercito sabaudo, guidato dal Re sin a Finale attaccava i borbonici.
La Signoria genovese aveva intanto inoltrato un dispaccio a Ventimiglia col quale si ingiungeva al marchese Doria di non ostacolare l'entrata in città degli Austro-Sardi nè uno sbarco inglese.
Ciò dipendeva dagli accordi di Sampierdarena per cui la Repubblica accettò di disarmare le truppe accettando il protettorato delle forze di Maria Teresa: nella città di frontiera si sciolsero quindi 2 compagnie di milizia locale costituite l'anno prima ed agli ordini dei capitani Roberto Aprosio e Saverio Rossi.
La ragione ufficiale delle autorità per la smilitarizzazione era di non ritardare, coll'ausilio di truppe nel forte intemelio, l'inseguimento dei Franco-Spagnoli da parte degli Austro-sardi. I francesi ancora in città intimarono quindi la resa della fortificazione e il colonnello Tombeu del reggimento La-Sarra, bloccati gli accessi e le comunicazioni, conquistò il forte. I Gallo-ispani, giudicando importante la conquista, rafforzarono la fortificazione per frenare l'avanzata nemica.
Furono disposte nuove batterie, restaurate casematte e mura: sopravvalutando le capacita difensive del castello i francesi minarono anche il ponte sul Roia: abbatteronole cascine circostanti e scavarono trincee presso la chiesa di S. Giuseppe.
Si realizzò poi un cammino coperto che andava dalla piazza d'armi al bastione del Cavo ove furono posti altri cannoni, ponendo poi nuove batterie a guardia dei 4 lati delle mura . Una forza di 20 battaglioni avrebbe difeso il forte entro uno schieramento che, avendo caposaldo in Ventimiglia coinvolgeva La Turbie, l'Escarene e il crinale sin a Sospello . La popolazione era impaurita dall'idea di una città contesa da 4 eserciti e dalla flotta inglese ma non potè far altro che supplicare patrono S. Secondo con un triduo di preghiere.
Mentre l'esercito sabaudo procedeva sulla costa, altre truppe, provenienti dal Piemonte, scendevano le vallate liguri coi rifornimenti. Il 15 settembre i piemontesi di De la Roque raggiunsero Pietra e quelli di Balbiani la cittadina di Alassio; di persona Balbiani (il 23) prese Diano: Oneglia era stata rioccupata, dai monti, da 100 carabinieri e 4 compagnie di granatieri.
Le vittorie austro-piemontesi sui Franco-Spagnoli crebbero di intensità: il 25 cadde Porto Maurizio ed il 27 il Re di Sardegna occupò San Remo con 4 brigate: le forze di De la Roque conquistarono Taggia e contemporaneamente soldati di Balbiani ripresero Pigna in alta val Nervia: il 29 settembre si arrese Dolceacqua.
Don Filippo infante di Spagna, ormai in rotta verso Nizza, aveva già attraversato Ventimiglia, quando il 29 settembre Carlo Emanuele III con la Guardia e truppe austriache entrò a BORDIGHERA unendosi alle forze del Leutrum e del Gurani (6 compagnie di granatieri e 40 ussari) e a quelle di De la Roque (brigata Savoia, brigata fucilieri).
A Bordighera il Re sabaudo apprese che il forte S. Paolo era stato rinforzato e non volendo tentare un assalto frontale, mandò il brigadiere Martini ad aggirare Ventimiglia da Bevera con 1.000 uomini.
I nemici, intimoriti dalla manovra, lasciati a forte S. Paolo circa 200 / 300 soldati del 3° battaglione svizzero di Vigier, si ritirarono alla volta di Mentone.
Il Balbiani (4 ottobre), per ordine del re, spedì da Dolceacqua 2 contingenti (agli ordini del colonnello Alfieri e dal conte Pampara), per assalire Penna: si trattava di 50 carabinieri, 4 compagnie di granatieri e 5 picchetti ciascuno; i 60 uomini a difesa del PONTE.
Ventimiglia era assediata.
Da Nervia il comando austro-sardo mandò il generale Gurani con 4.000 uomini (6 battaglioni di fanti tedeschi) a posizionarsi sopra Bevera e Seglia.
All'alba del 5 ottobre, sul Magliocca, gli Austro-sardi si scontrarono coi Francesi che proteggevano la ritirata dell' armata gallo-ispana diretta a Mentone e Nizza.
I Ventimigliesi, visto che la città era inerme e temendo un attacco austro-sardo al forte S. Paoloi, inviarono i sindaci Nicolino Galeani, Gio Angelo Orengo e Pietro Rossi al quartier reale di Bordighera per consegnare le chiavi di Ventimiglia a Carlo Emanuele III.
Intanto il tenente colonnello Di Palfi entro in città coi suoi granatieri austro-sardi, ben poco disturbato attraversando il Roia, da alcune cannonate delle batterie gallo-ispane di forte di San Paolo. Le truppe tedesche entrarono con ordine in città, ma occupata la Piazza si abbandonarono al saccheggio.
Il re sabaudo, informato di ciò, richiamò il Gurani coi fanti tedeschi e i granatieri del Di Palfi.

Gli Austro-sardi mandarono quindi il capitano d'Autigher a trattare le resa della guarnigione di FORTE SAN PAOLO, comandata dallo svizzero Dieffenthaller. Costui si rifiutò di cedere le armi, e fece rompere parte dell'acquedotto che transitava sotto il forte privando la città di rifornimento idrico. Carlo Emanuele ordinò allora di assediare il castello al generale Bertola col II° battaglione fucilieri, il battaglione Chablais e l'Aosta. Il 10 ottobre le truppe austro-sarde, guidate dal Re, si mossero da Nervia per Dolceacqua e da lì per Bevera e, tramite la strada di S. Antonio, giunse a Mentone.
Bertola con una batteria da 8 pezzi di cannone calibro 24 e 32, sistemati sulle alture di Siestro, aveva preso a cannoneggiare la fortificazione.
Visto che la batteria non otteneva risultati decisivi, ne venne sistemata un'altra, di 4 cannoni calibro 16 e 2 mortai, sul monte Pedaigo che devastò i muraglioni del ridotto della tenaglia abbattendo la parte superiore del maschio.
Il Diffenthaller, comandante del 3° battaglione reggimento svizzeri di Visier, tentò un'orgogliosa resistenza ma la mattina del 23-X-'46, la guarnigione, decimata, si arrese.

I Gallo-ispani, nel corso della guerra di successione al trono imperiale, il 17 ottobre 1746 si erano rifugiati oltre il Varo: tennero presidi nei FORTI di MONTALBANO e VILLAFRANCA presto assediati dai nemici.
Carlo Emanuele III il 19 ottobre entrò in Nizza donde i Piemontesi risalirono la riva sinistra del Varo fino alla confluenza con la Tinee.
Dalla Val Roia, liberata dai nemici, transitarono vari reggimenti di cavalleria sabauda alla volta di Nizza.
I Ventimigliesi dovettero dar alloggio a diversi battaglioni tedeschi del generale Novatin in atto di invadere la Provenza con i Piemontesi. Il pomeriggio del I novembre gli Austro-sardi presero il forte di Montalbano catturandone la guarnigione di 70 uomini e 2 giorni dopo presero il castello di Villafranca.
Si formava un corpo di spedizione in Provenza con campo presso il Varo: vi stavano 37 battaglioni di fanti imperiali con 2.000 cavalieri agli ordini del generale Brown: vi si unirono poi 18 battaglioni di fanteria piemontese con 1.000 cavalieri sotto il Balbiani.
Carlo Emanuele III, prima dell'invasione, sfibrato dalla campagna, s'ammalò di vaiolo: era il 19-XI-1746. Nonostante le cure e i soli 45 anni, il Re, che stava a Nizza, pareva dover soccombere alla malattia. Il principe ereditario assunse il comando coadiuvato dal barone Leutrum comandante dei Piemontesi in Riviera. Il 30 novembre iniziarono le operazioni militari austro-sarde oltre il Varo per occupare la Provenza fino a Tolone. L'armata mosse su 6 colonne: l'avanguardia del marchese Novatin, con 16 battaglioni d'imperiali e la brigata Saluzzo, doveva assalire i Gallo-ispani a nord. Altri 12 battaglioni sotto il comando del generale Roth attaccarono il castello di La Gaude: 9 battaglioni d'imperiali del generale Newhaus si spinsero contro St. Marguerite. La IV colonna, del Balbiani, formata dal reggimento Guardie, dal Savoi, e dal Monferrato, avanzò su St. Laurent. Il generale Petazzi, comandante della V colonna formata da Schiavoni e da 7 compagnie di granatieri imperiali oltre che da 10 compagnie piemontesi, procedette a settentrione del villaggio di St. Laurent. Il generale Sorbelloni, sovraintendente alle operazioni della VI colonna, attraversò il Varo tra questo villaggio e il mare, a capo della cavalleria austro-sarda.
Sul mare le fregate inglesi proteggevano l'avanzata dei loro alleati cannoneggiando le basi nemiche così che il I dicembre gli invasori raggiunsero GRASSE.
I Francesi assegnarono il comando al conte Belleisle e richiamarono le forze spagnole d'occupazione in Savoia.
Con 22 battaglioni di rinforzo e l'ausilio del generale Mirepoix, il Belleisle attestò le truppe sul fiume Siagne presso ANTIBES.
Tra il 15 e il 16-XII-1746 gli Austro-sardi, con il soccorso della flotta inglese, conquistarono le isole Lerins e bombardarono ANTIBES per tutto dicembre e gennaio 47.

A Ventimiglia era rimasto un distaccamento piemontese agli ordini del Borea che fece restaurare i muraglioni di forte S. Paolo ed eresse un nuovo muro sul lato occidentale del fortilizio, sì da prolungare la spianata verso sud e realizzare un pozzo d'acqua ai piedi della cittadella. Inoltre si dotarono i magazzini con provviste di legna, olio, candele, vino, carne salata ed altri viveri per 7.000 lire di spesa: si acquistarono 1.000 sacchi (di farina) e 80 botti: per un pò tornò la quiete e presto, senza vinti né vincitori, la Guerra prese la via d'una pur lentissima involuzione

Ma presto sarebbero intervenuti altri gravi eventi ad alterare gli equilibri dell'Antico Regime. Nel 1782 l'espansione urbanistica "fuori delle mura" e "dalla parte di mare" non si realizzò per gli effetti della Rivoluzione francese.
Dal 1789 , fuggendo dalla Francia pervasa dalla RIVOLUZIONE ANTASSOLUTISTICA e ANTIARISTOCRATICA giungevano sempre più numerosi in Nizza sabauda nobili e perseguitati politici.
Molti di loro presero poi la via dei CENTRI DEL PONENTE LIGURE e quindi del territorio della REPUBBLICA DI GENOVA.
In molte località, soprattutto a Ventimiglia, scoppiarono tumulti tra "reazionari" e "progressisti".
Nel '92 la Francia entrava poi in guerra con la Prussia e si costituiva in REPUBBLICA.
Degenerarono presto i rapporti col Regno di Sardegna e i governi non evitarono il conflitto.
Dopo la vittoria di Valmy (20-IX-1792) a capo della truppe francesi il GENERALE MASSENA, passato il Varo, conquistò Savoia e Nizzardo impegandosi in una serie di scontri fin oltre la frontiera ligure e sabauda, nell'attesa di un'invasione ormai inevitabile.
Il Principato di Monaco fu incorporato nel Distretto delle Alpi Marittime (1793).
Nella primavera del '94 i generali Arena e Mouret valicata la frontiera, presero Ventimiglia (6 aprile).
Il 7 passarono per Bordighera e Sanremo occupando (8 aprile) Porto Maurizio e la sabauda Oneglia.
Nel corso delle operazioni, i bordigotti, come i cittadini e i paesani vicini, subirono requisizioni e danni: normalizzatasi la situazione, essi si abituarono al nuovo stato di cose, così che, con tutte le altre genti liguri, sottostavano al dominio francese già da 2 anni prima che iniziasse la campagna d'Italia di Napoleone (primavera 1796).








LA SPEDIZIONE IN ITALIA

LE RAGIONI POLITICO-DIPLOMATICHE DELL'IMPRESA
LE PRIME OPERAZIONI MILITARI
MANOVRE DELLA FLOTTA FRANCESE: IL BOMBARDAMENTO DI ONEGLIA
NUOVE OPERAZIONI FRANCESI: L'ATTACCO AL COLLE DI TENDA E LA SPEDIZIONE TERRESTRE CONTRO ONEGLIA
LA GRANDE INVASIONE: QUATTRO DIVISIONI FRANCESI ALL'ATTACCO DELLE DIFESE AUSTRO-PIEMONTESI
RIPRESA DELL'AVANZATA DEGLI ESERCITI FRANCESI

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La spedizione dell'armata rivoluzionaria francese in Liguria fu per certi versi il perfezionamento delle tattiche militari poste in essere dai generali della GUERRA DI SUCCESSIONE AL TRONO IMPERIALE con il conseguente sviluppo di nuove forme di combattimento e soprattutto di NUOVI ESERCITI.
La causa fondamentale delle operazioni degli eserciti rivoluzionari fu legata alla necessità di consolidare sul fronte occidentale i confini del nuovo Stato,
Per quanto concerne il sud-est dapprima si mosse la diplomazia francese cercando di ottenere dal Piemonte Sabaudo sia Nizza La diplomazia non ottenne però risultati concreti e quando il sovrano sabaudo Vittorio Amedeo espulse l'ambasciatore francese reo di propaganda rivoluzionaria ed antinobiliare, si aprì alla Francia la possibilità di usare questo fatto cene un casus belli e di intervenire in forze sul fronte sud-occidentale.

Il primo bersaglio, rapidamente conquistato, fu la Savoia.
L'armata piemontese ripiegò allora verso meridione attestandosi alla difesa dell'ASSE VIARIA DEL TENDA.
Senza ostacoli concreti le forze rivoluzionarie occuparono quindi la stazione portuale di NIZZA ed invasero tutto il territorio, sin alla ROCCA MILITARE DI SAORGIO e alla VALLE DEL ROIA premendo conseguentemente sulla PORZIONE DI QUESTA VALLE spettante al neutrale DOMINIO DI GENOVA.
Mentre la diplomazia cercava, invano, di comporre le vertenze i francesi completarono varie operazioni militari.
I preparativi di un massiccio attacco ai Piemontesi si concretizzarono nelle successive conquiste di MONACO, MENTONE e Roccabruna.
Ai primi del 1793 (11 febbraio) i francesi attaccarono i piemontesi rinforzati dagli alleati imperiali le cui truppe erano state dislocate sulla linea difensiva che correva dal colle di Raus, all'Auton, al Bruis sino a SOSPEIL.
Le operazioni dei Francesi non ottennero però i risultati sperati.
Il loro attacco fu infatti respinto e le loro stazioni miltari nel nizzardo cominciarono ad essere disturbate, con una sorta di guerriglia dai Barbetti i temuti valligiani valdesi.
Con l'avvento della bella stagione, in giugno, l'armata francese riprese le operazioni sistemandosi su un fronte d'attacco che comportava la simultanea avanzata di tre grandi colonne: il comando dell'Armata d'Italia era adesso nelle mani del generale Brunet.
Ma gli Austro-Sardi respinsero questa nuova ondata dopo un combattimento ininterrotto protrattosi per tre giorni.
La sconfitta -nei tempi sempre tempestosi delle Rivoluzione- costò Brunet la messa sotto stato d'accusa: pagò il fallimento all'opinione pubblica con l'esecuzione capitale alla GHIGLIOTTINA.
I Francesi temendo una controffensiva degli alleati si rafforzarono nel nizzardo assumendo una posizione di difesa.
Tentando di spostare il conflitto su altri fronti i Francesi intervennero sul mare e una loro SQUADRA NAVALE DA LINEA puntò direttamente su ONEGLIA E SUO TERRITORIO col pubblicizzato programma di indurre la popolazione ad insorgere contro il regime monarchico dei Savoia.
I Francesi tramite una lancia inviarono a terra per parlamentare, preceduti dal segno convenzionale della bandiera bianca, circa venti uomini privi di armi.
Da parte degli Onegliesi non si "ascoltò" quel segnale di non belligeranza: il fuoco serrato, secondo le nuove tecniche dei FUCILIERI falciò quasi tutti gli "ambasciatori".
Per reazione le navi aprirono il fuoco e molte BOMBE ESPLOSIVE o solo DIROMPENTI furono sparate contro la CITTA' dai cannoni dei vascelli da guerra [qui in una "Veduta dal mare del 1793 di G.Bagetti cons. a Torino-Galleria Civica].
La devastazione fu tale che se ne ebbe eco in tutta Italia: il celebre poeta Vincenzo Monti compianse la città ...che ancor combatte e fuma.
Dopo il ritorno degli abitanti ed il parziale riparo dei gravi danni subiti la città fu protetta dalla flotta inglese vera dominatrice del mare.
Presero in quel tempo ad agire, col nome di TIGRI DI ONEGLIA, alcuni EQUIPAGGI CORSARI della sabauda Oneglia che, per ostacolare l'armata di Francia per la conquista dell'Italia colpirono sia le navi francesi commerciali che le imbarcazioni genovesi destinate al traffico mercantile con lo Stato transalpino.
La pubblica ammissione di voler annientare i Corsari di Oneglia, che costituivano un temuto ostacolo per i traffici francesi, fu la ragione nuova di un intervanto francese contro il COLLE DI TENDA e ONEGLIA.
GENOVA di fatto era neutrale ed allora i Francesi per attraversare legittimamente i territori del DOMINIO GENOVESE, diedero alle pubbliche stampe un manidesto con cui affermavano di trovarsi nell'obbligo strategico di "...far passare le truppe su parte del territorio di Genova..." precisando però che tutto sarebbe avvenuto "secondo le leggi della più rigorosa neutralità ed altresì sottolineando che i Genovesi avrebbero trovato in ogni Francese "...un amico ardente e sincero...".
Un abile ufficiale originario di Nizza, il GENERALE MASSENA fu posto a capo dei 20.000 uomini che componevano l'ARMATA D'ITALIA: al GENERALE NAPOLEONE BONAPARTE fu invece affidata la limitata ARTIGLIERIA.
Come accadeva quando si muoveva un esercito rivoluzionario francese (anticipazione di quanto sarebbe accaduto in URSS) esso era accompagnato, per evidenti ragioni propagandistiche ma anche di controllo, da COMMISSARI POLITICI: in occasione di questa impresa si accompagnarono alle forze armate, tra i RAPPRESENTATI DEL POPOLO il giovane Agostino, fratello di Massimiliano Robespierre mentre l'alta carica di COMMISSARIO era ricoperta da Filippo Buonarroti.
Le operazioni militari si sarebbero dispiegate su un fronte di quaranta Km.
Quattro divisioni avrebbero dovuto partecipare all'impresa.
La prima, la "Saorgio", sotto il generale Macquard partendo da cima Abeglio avrebbe raggiunto il Monte Giove e si sarebbe schierata in posizione d'attacco contro la fortezza sabauda di SAORGIO.
La divisione "DEL TANARO" agli ordini del generale MASSENA avrebbe fatto marcia su CIMA GRAI nell'ALTA VALLE DEL NERVIA partendo dal PASSO MURATONE laddove iniziava l'ALTA VALLE DEL NERVIA.
La divisione ONEGLIA comandata dal generale Mouret, quasi replicando l'infelica marcia di 50 anni prima del generale Las Minas, avrebbe puntato nel cuore dei possedimenti sabaudi in Liguria cioè il PRINCIPATO DI ONEGLIA.
esisteva quindi una IV divisione di riserva, sotto il generale François, il cui scopo era di prendere possesso delle alture sopra dolceacqua: evidentemente per evitare una manovra austro-sarda in direzione del complesso fortificato da loro utilizzato durante la Guerra di Successione vale a dire il Sistema fortificato Guibert-Leutrum.
All'opposto gli Austro-Sardi controllavano una linea difensiva che aveva i suoi cardini in Saorgio - Cima d'Anan - Cima Marta - Cima Grai - Colle Sanson - Collardente - Monte Saccarello - Frontè - Tanarello, tenendo altresì molte trincee e ridotte a S.Dalmazzo di Tenda e a Briga.
Essi avevano quindi altri punti di difesa a Carpasio, a Rezzo, sul Monte Grande e sul Pellegrino: complessivamente dovevano proteggere 20 Km. di fronte ma disponevano soltanto di 6000 soldati mentre alla difesa di Oneglia e di Saorgio erano state distaccate varie batterie di cannoni con non più di 1000 soldati per città.
L'inizio delle operazioni data al 6 aprile 1794.
Le operazioni procedono non senza difficoltà: per esempio una colonna francese trova una buona opposizione dei Piemopntesi al PASSO MURATONE e conquista il MONTE GIOVE due giorni dopo quanto previsto.
La "Tanaro" di Massena deve procedere a fatica nella neve e finalmente da MARGHERIA DEI BOSCHI un suo distaccamento riesce a conquistare il GRAI.
Non v'è tempo per celebrare la vittoria: il cattivo tempo obbliga i francesi a ripiegare verso Gouta raggiunta il 10 dopo varie imboscate nemiche.
MASSENA riesce però a sconfiggere i Piemontesi e ad occupare saldamente il Passo di Teglia.
Su Oneglia, praticamente indifesa, da Porto Maurizio si avventa la Divisione Oneglia il giorno 9 aprile: le poche resistenze nemiche -salde solo a S.Agata- vengono sgominate sì che il 16 deve essere chiesta la resa.
Gli 8000 soldati francesi si danno al saccheggio, catturano 12 cannoni e molte munizioni, neppure risparmiano la case private e pubbliche della Repubblica di Genova che pure ha dichiarato la sua neutralità: un distaccamento della divisione procede anzi alla volta di Loano dove viene attaccato il porto, scalo fondamentale per le navi da corsa allestite da Oneglia.

Nonostante i successi ottenuti i Francesi devono predisporre una nuova campagna di invasione non essendo stati in grado, a causa della stagione nevosa, di occupare tutti gli obiettivi di guerra.
Interviene quindi la DIVISIONE DI RISERVA con lo scopo di occupare TRIORA e l'ALTA VALLE ARGENTINA cercando contempareanemente di conquistare i passi di Collardente, della Mezzaluna e la dorsale della VALLE ARROSCIA.
Dopo la conquista francese di CIMA GRAI dell'11-IV-1794 gli Austriaci ripiegano avendo come scopo di rinforzare le difese su NAVA stendendo uno schermo protettivo sin a S.Bernardo di Garessio.
La DIVISIONE ONEGLIA conquista però il COLLE DI NAVA il 16 aprile, quindi si spinge fin ad Ormea e successivamente occupa Garessio.
Le operazioni tendono a diventare incalzanti: si va delineando un vasto PIANO DI OPERAZIONI.
Viene occupata PIEVE DI TECO quindi il 25 aprile il MASSENA raduna le sue forze in MOLINI DI TRIORA al terminale strategico della VALLE ARGENTINA.
Mentre altre truppe curano dei diversivi una colonna della DIVISIONE SAORGIO cerca di raggiungere CIMA MARTA punto vitale dei percorsi di ALTA VAL NERVIA.
Successivamente le forze guidate dal Lebrun tentano uno sfondamento partendo dall'area di PASSO MURATONE.
senza trovare grossa resistenza i soldati francesi procedono verso il TORAGGIO, l'ALTA VALLE e la Gola dell'Incisa in direzione di CIMA GRAI.
Finalmente la colonna agli ordini dello Hammel raggiunge la vetta del Grai attaccandone la ridotta che i Piemontesi difendono blandamente preferendo subito una ritirata tattica: l'ufficiale francese li insegue però e li sconfigge a Testa di Nava ( sul campo restano 400 Francese e 150 Austro Sardi, ma di questi 250 vengono fatti prigionieri).
Le vicende diventano però incerte vista l'improvvisa forte resistenza austro-piemontese.
La colonna Bruslè assieme al MASSENA partendo da Testa di Nava conquista Colle Sanson e si avvicina a Collardente.
La DIVISIONE del Francois viene sconfitta e bloccata sul fronte destro vista la vittoriose resistenze nemiche del monte Saccarello e del Frontè.
Il Massena, senza i dovuti rinforzi, tenta comunque di prendere il forte di Collardente ma i suoi due assalti falliscono con perdite di una certa rilevanza.
La DIVISIONE SAORGIO procede invece le sue operazioni verso CIMA MARTA che costituisce una postazione davvero importante nell'ALTA VALLE ma che è -proprio per questo, ben difesa dagli Austro-Sardi che vi hanno eretto forti DIFESE di cui tuttora avanzano rilevanti tracce.
Mentre intanto il generale Macquard si impegna ad attaccare i Sabaudi sul fronte destro, le forze del generale Banquier assalgono il forte della Beola (Milleforche) che viene abbandonato dai Piemontesi di cui 250 cadono prigionieri del nemico.
Nella difesa austro-sarda si è comunque aperta una falla e per questo varco si fanno affluire dai Francesi le truppe di riserva che si avvicinano a SAORGIO che perlatro il generale Marquard sta già tentando di accerchiare.
Mentre i Piemontesi si ritirano sulle posizioni del COLLE DI TENDA, i Francesi prendono possesso delle postazioni abbandonate dal nemico,
SAORGIO il 28 aprile è soggetta ad un massiccio attacco ma, grazie anche alle buone fortificazioni, non cede fin a quando, sorprendentemente, nella notte il suo difensore, generale Saint-Amour comandante della guarnigione di Saorgio, si arrende aai Francesi senza lottare.
Sarà per i Piemontesi magra consolazione l'accusa di tradimento mossa al generale Saint-Amour: il 2 maggio Saorgio è ormai in mano francese e seguirà lo stesso destino Tenda il giorno 7 dello stesso mese.
Massena ottiene altre vittorie, investendo la sempre minore resistenza dei nemici: le sue operazioni si estendono ormai a Limone e a Borgo S.Dalmazzo.
A Limone però egli si arresta per i gravi eventi che sconvolgono la Francia dove cade il Regime del Terrore e dove Robespierre viene ghiglittinato con il fratello già al seguito dell'Armata d'Italia: anche Napoleone conosce un periodo di carcere (14 giorni) ad Antibes fin a quando non si dimostra che non aveva particolari connivenze coi capi della rivoluzione.
La vittoria francese nel Ponente ligure è comunque un dato acquisito, evidente per la consistenza dei territori occupati e delle importanti stazioni militari.




Nel '97, sulla scia dei SUCCESSI DI NAPOLEONE E DELL'ARMATA D'ITALIA si costituì a Genova il GOVERNO PROVVISORIO DELLA REPUBBLICA LIGURE che subito intraprese una assidua CAMPAGNA PUBBLICITARIA A FAVORE DELLE NUOVE IDEE, DEL NUOVO REGIME POLITICO E IN AVVERSIONE ALLA VECCHIA NOBILTA' GENOVESE.
Gradualmente si soppressero le amministrazioni locali, fra cui la "Magnifica Comunità di Ventimiglia" e quella degli "Otto Luoghi": il 26-VI-'97 la deputazione degli "Otto Luoghi", ratificandosi a Genova la Costituzione della Repubblica, pronunciò un discorso che celebrava la fine dell'antico regime.
Il vecchio territorio repubblicano fu distinto in 28 distretti e Bordighera risultò fusa in quello del Roia di cui era capoluogo Ventimiglia.
Nel '98, domata una CONTRORIVOLUZIONE a Genova e pacificati in Ventimiglia rivoluzionari e conservatori, l'ordinamento repubblicano fu dimensionato in 20 distretti e i paesi di quello del Roia entrarono in quello delle Palme con capoluogo Sanremo: Bordighera divenne Capo Cantone con Giudice di Pace di I classe. Nel 1800, dopo che gli Austro Sardi ebbero riconquistata la Liguria, la nobiltà intemelia spinse il Generale Elnitz a restaurare il vecchio regime e la dipendenza degli "Otto Luoghi" da Ventimiglia (20-V- 1800). Napoleone, vincendo a Marengo (14-VI-1800) riaffermò il dominio francese e nel 1802 attuò un III ordinamento della Repubblica Ligure in 6 distretti: Bordighera con Ventimiglia, Sanremo, ed i paesi vicini, fu inserita in quello degli Olivi.
Con l'Impero napoleonico, la Repubblica Ligure fu soppressa e divisa in 4 dipartimenti francesi (1804): Bordighera rimase ascritta, fin alla Restaurazione(1815), a quello delle Alpi Marittime, circondario di Sanremo.
Durante la dominazione francese, nel Ponente serpeggiava uno stato di disagio, sia per timore di invasioni che per il rallentamento dei commerci, a causa dei corsari francesi e onegliesi.
Nel '93 una carestia colpì, con la Liguria occidentale, anche Bordighera, costretta a rifornirsi di "granaglie e commestibili per la popolazione ": la situazione si aggravò negli anni seguenti specie fra aprile '94 e primavera '96 viste le requisizioni di guerra del fieno per le bestie. Ad aumentare la crisi nell'estate '94 giunse un'epidemia. Il ventennio francese in Liguria occidentale fu distinto da difficoltà economiche ma è doveroso ricordare che proprio i Francesi crearono le basi per l'incremento di traffici e commerci.
Nel PONENTE LIGURE risultarono incentivati i traffici ed in particolare il commercio dell'olio dopo la realizzazione (1804, 1810 e quindi conclusa nel 1828) della STRADA DELLA CORNICE (oggi "via Aurelia") voluta dal BONAPARTE: l'interazione di questo NUOVISSIMO E COMPLETTO TRAGITTO COSTIERO con le realizzazioni della moderna tecnologia, come saranno decenni dopo i compimenti della COMUNICAZIONE DEL TELEGRAFO A FILI e la STRADA FERRATA, contribuiranno al rapido sviluppo socio-economico della MODERNA REGIONE LIGURE.
In particolare la STRADA DELLA CORNICE (l'attuale statale AURELIA) fu la I linea costiera di comunicazione ininterrotta in Liguria dai tempi in cui i Goti distrussero la romana JULIA AUGUSTA. Una corrente di traffico si sviluppò sul litorale ligure: la parte più vicina alla Provenza fruì di gran transito di merci e viaggiatori. In Bordighera la nuova strada dopo l'Arziglia non saliva al paese sul Capo, ma correva nella piana, fiancheggiando la spiaggia. Il vecchio paese, con le strette porte, non rispondeva più alle nuove esigenze: gli abitanti della villa, attratti dai traffici lungo la Strada della Cornice , vi si trasferirono, fabbricando case ai suoi margini: poco per volta strutturarono, ai lati della via, il I nucleo di una moderna città.
Seguendo però quanto ha utilmente scritto (con uso di documenti d'epoca) Vincenzo Agnesi ne La Riviera [autore poi ripreso in modo competente da N. Drago (pp.78-80)] non bisogna credere che la STRADA DELLA CORNICE sia "nata" dalle gesta napoleoniche senza problemi.
Il Bonaparte non ebbe però a disposizione il lungo tempo (la celebre PAX) che permise ad Augusto di potenziare la Julia Augusta: quasi certamente, pur nel contesto di una realizzazione celermente portata avanti, il risultato archiettonicamente più clamoroso dell'impresa napoleonica con probabilità fu soprattutto la edificazione del PONTE SAN LUIGI tra Ventimiglia e Mentone.
Il regno del generale corso durò relativamente poco e, in effetti, dopo la sua caduta quella STRADA COSTIERA che senza dubbio era andata a colmare un grave limite viario della Liguria, ancora EVIDENZIATO DA RELAZIONI DEL XVIII SECOLO, cominciò celermente a CADERE IN ROVINA per l'assenza di qualsiasi decorosa manutenzione.
Non è un caso la relazione della turista inglese lady Blessington che solo pochi anni dopo la caduta di Napoleone, durante un viaggio per la STRADA DELLA CORNICE nel 1823, pur ammirando i paesaggi e descrivendo il fascino di quell'escursione, mise in risalto la necessità di PROCEDERE PER QUELLA VIA ANCORA A DORSO DI MULI.
Solo una casualità permise il recupero dell'iniziativa stradale napoleonica e cioè il fatto che nel 1826 si ipotizzò un VIAGGIO PER LA LITORANEA dei "restaurati" Sovrani Sabaudi.
Il meccanismo celebrativo dell'Antico Regime, del tutto restaurato, impose l'adeguamento della STRADA DELLA CORNICE alle ESIGENZE DI COMODITA' DEI SOVRANI [non sembra peraltro un caso che la CITTA' DI SANREMO, come si evince dal MANOSCRITTO BOREA, commemorando la morte del SOVRANO SABAUDO CARLO FELICE, abbia attribuito a questi la RESTAURAZIONE DELLA LITORANEA (nominata nelle iscrizioni funebri dedicate al Sovrano VIA EMILIA)].
Da siffatta ostentazione di servilismo (e magari di fedeltà, dipende dai punti di vista) emerse comunque un opportuno riadattamento della STRADA LITORANEA la cui storia dal 1826 (anche se il VIAGGIO REGALE POI NON AVVENNE) fu soltanto in crescendo: anche se contrariamente a quanto si dice, per la sveltezza di certe opere storiografiche, rimasero da compiere diversi lavori che utilmente furono completati solo in tempi posteriori.