cultura barocca
MONTE S. CROCE, (L'"ARMANTICA")

MONTE S.CROCE o CIMA DELLA CROVAIROLA: l'"ARMANTICA", la STORIA D'UN PRETE e il QUADRO SCOMPARSO
L'ENIGMATICA ROCHA DELL' ARMANTICA

Altura nel comune di S.Biagio e quasi certamente base di un insediamento rustico romano che non esclude la possibilità vi sia esistita un'azienda estrattiva romana di materiale roccioso per la realizzazione in loco di manufatti, in particolare di strutture a sarcofaco come sembrerebbe esser stato attestato da tanti ritrovamenti sin ad epoca recente: B. DURANTE - F. POGGI - E. TRIPODI, I graffiti della storia: Vallecrosia e il suo retroterra , Vallecrosia/Pinerolo, 1984, capitoli 1 e 2.
Sulla sommità dell'altura della Cima della Crovairola, che fu forse sede di un castellaro preromano, si riconoscono i ruderi di una CHIESA INTITOLATA ALLA S.CROCE da Padre Vitaliano Maccario, religioso d'epoca napoleonica, che per le napoleoniche restrizioni avverso la Chiesa dovette dismettere l'abito talare.
Divenuto laico si arricchì quale docente privato di varie discipline in Ventimiglia e dintorni = mentre i figli del popolo restavano perlopiù analfabeti [ e spesso nei documenti ufficiali il notaio, l'avvocato o lo scrivano dovevano apportare la notazione "lettosi il tutto ad alta e intelligibile voce ed anco spiegato per capi nella lingua del Posto ossia Luogo o Villa dandosi ch'l detto convenuto isconosce sì l'idioma dei latini che l'italico sermone, in presenza di fidi testimoni litterati (cioè capaci di firmare) il suddetto convenuto, per esser di contra illitterato, appone per comprobatione la sua segnatura o sigla che dir vogliasi sotto forma dell'usato costume, val a dire il segno della Santissima Croce" molto spesso i figli dei ceti dominanti potevano avvalersi di un insegnante privato ("aio", "pedagogo" o "precettore") spesso anche ben remunerato come qui si può leggere e che non di rado per il potere economico della famiglia dei cui figli curava l'educazione era in grado di fruire per la sua attività didattica, oltre che dei libri, di strumenti come questi, dei quali la maggior parte della restante popolazione nemmeno conosceva non solo la funzione ma nemmeno l'esistenza
Caduto il Bonaparte Padre Vitaliano Maccario potè riprendere l'abito talare e, a compensazione di un voto fatto a Dio per questa auspicata e insperata evenienza, volle erigere questo edificio religioso.
I lavori permisero d'ampliare la cappella originariamente ideata e costruire una piccola chiesa con sacrestia e riparo per gli officianti dato il rinvenimento di vario materiale archeologico venduto dal Maccario sul mercato antiquario. Si trattava, stando ad un suo manoscritto, di arredi funebri romani, d'altra suppellettile e dei resti di una presumibile cava (donde si sarebbero ricavati sarcofagi e manufatti romani) già individuati da altri nel XVIII sec.
Padre Vitaliano Maccario, nelle parallele iniziative caritatevoli e filantropiche collegate all'erezione dell'edificio sacro, dimostrò un certo interesse per l'acculturazione delle giovani donne -che avevano preso corpo in lui anche per l'esperiena maturata come pedagogo sulla enorme differenza di istruzione tra giovani ricchi e gente del popolo- anche se leggendo le sue disposizioni testamentali si intende che la sua scuola per le fanciulle del paese di San Biagio comportava sì l'istruzione ma continuava a privilegiare quella formazione domestica e professionale nella cura della casa e della famiglia riconosciuta essenziale per ogni buona madre (in definitiva il mito della greca Aracne adattato ad una molto meno tragica visione cristiana) restando da secoli l' istruzione sin ai suoi vertici come qui si vede un privilegio del sesso maschile e specificatamente dei maschi appartenenti ai ceti dominanti.
Con tutte le limitazioni ideologiche che aveva occorre comunque riconoscere che l' iniziativa di Vitaliano Maccario può rientrare in uno dei quei dimenticati ma meritevoli "passi avanti" che permisero una vera conquista della vera istruzione pubblica popolare [questa era ormai comunque velocemente destinata ad affermarsi con i "Tempi Nuovi" del "Dopo Rivoluzione Francese" come qui si vede e per la sua affermazione giammai son da trascurare i ruoli in questa conquista assunti da grandi figure del Ponente Ligustico come Pellegrina Amoretti e Gasparo/-e Morardo: specie tenendo conto che ancora nel non lontano XVIII secolo la pubblica scuola di Pompeiana, per quanto destinata ai figli del popolo, era ancora esemplarmente una scuola esclusivamente maschile: per un approfondimento sulla questione si veda comunque B.DURANTE-F.POGGI-E.TRIPODI, I graffiti della storia: "Vallecrosia ed il suo retroterra" , Vallecrosia, 1984, I, 1,p. 38 e note 30 - 33 (per inciso la PRIMA SCUOLA PUBBLICA FEMMINILE IN ITALIA -per quanto caratterizzata ancora da forte spirito confessionle- sorse a VITERBO nel 1685 per opera di ROSA VENERINI, affrontando però rilevanti opposizioni e senza fruire di seguito negli altri Stati Italiani: del resto a fine XVIII secolo, come si evince dalla lettura dell'opera La damigella istruita la formazione culturale delle fanciulle dei ceti piu' abbienti non avveniva e in istituzioni scolastiche ma sempre individualmente sotto la guida di un più o meno selezionato precettore].
Padre Vitaliano Maccario vedeva molte ombre nell'operato di Napoleone I in tutti i campi non escluso quello dell'Istruzione ma, se non aveva torto in assoluto, nemmeno riusciva a cogliere, data la sua postazione ideologica, la potenza dei rinnovamenti e delle modernizzazioni che tale operato avrebbe comportato: e fu inevitabile che sulla scia di tali trasformazioni venissero prima o poi a proporsi anni difficili per quella Chiesa di Roma che egli, tra altre cose, giudicava depositaria dell'Istruzione, difficoltà che si sarebbero vieppiù complicate con la Soppressione dello Stato della Chiesa e l'affermazione di potenti ideologie anticlericali -garantite indubbiamente dall'affermarsi dell'istruzione laica e pubblica- e destinate a portare avanti temi comunque scottanti che dalla critica al vecchio monopolio clericale dell'istruzione si estendevano a disanime anche parziali (non vagliando spesso la "correità" dei Poteri Laici dell'Antico Regime) su Censura, Santa Inquisizione, Tribunali Ecclesiastici ecc. ecc..
Il Maccario, giustificabile e onesto sostenitore di un sistema politico, religioso e quindi culturale destinato però a tramontare diede in effetti prova di autentica volontà caritatevole a vantaggio del popolo ma restò in definitiva un lodevole paternalista.
Egli registrò in questo suo manoscritto o Libro spettante alla Cappella di S. Croce, situata sulla Cima di Crovajrola vicino a S. Biagio che l'intiero complesso cultuale rientrasse in un complesso sistema cultuale ed assistenziale -encomiabile sebbene di retroterra ideologico- la cui manutenzione avrebbe dovuto esser affidata (alla maniera degli antichi quanto pericolosissimi lasciti e legati alle cui spesso rovinose conseguenze proprio il Bonaparte pose un argine) di generazione in generazione, e per l'eternità secondo i voti del religioso, ...ad una Donna proba ed onesta di buona fama e costumi... (di volta in volta eletta a vita tra le donne dimoranti in San Biagio e preferibilmente tra le discendenti del Maccario: a vantaggio di tali "sacerdotesse" si sarebbe poi comprata una casa nel borgo) la quale, sotto il controllo del parroco locale, si sarebbe anche onerata (secondo i criteri didattici delle Scuole Pie di Roma cui apparteneva Padre Vitaliano Maccario che nel secolo si chiamava Giovanbattista Maccario) di "...insegnare alle Zitelle di detta Comune dall'età degli anni quattro sino ai quindici a leggere, cucire, far calzette, e reti per il capo e la Dottrina Cristiana...".
A compensazione del benefattore alla Cappella di S. Croce in perpetuo si sarebbero dovute tenere "...in suffragio di esso Signor Vitaliano Maccario, e dei suoi Genitori due Messe all'anno...il giorno 3 Maggio invenzione della S. Croce e...il quattordici Settembre giorno della di Lei esaltazione...": e, a tutela della sua iniziativa e della sua auspicabile perpetuità, in fine del citato manoscritto ancora annotò: "...termino questo mio avviso col raccomandare che la Chiave della Chiesa non si neghi a nessun Sacerdote, che voglia celebrarvi, e molto meno a quei di casa se ve ne saranno; né il Sacerdote o Maestra cui spetterà la manutenzione della Chiesa ricusi la Chiave dell'abitazione unita alla Chiesa ad alcuna persona onesta che volesse ritirarvisi per alcuni giorni. Vivete felici.".
Dell'opera a pro dell'istruzione delle fanciulle del suo paese di questo Vitaliano Maccario si può leggere qui in una nota a p. 182 di Giacomo Navone nel suo volume Passaggiata per la Liguria Occidentale fatto nell'anno 1827... precisamente nel capitolo o Lettera XIV da Ventimiglia laddove parla dell'entroterra e circondario intemelio e precisamente in merito al paese di San Biagio della Cima ed ai letterati cui questo diede i natali = peraltro non lontano da quella
foce del torrente Nervia che dopo esser stato corso d'acqua privilegiato della città romana d'Albintimilium da secoli vedeva fiorire sulle sue rive la più caratteristica civiltà rustica e contadina dell'estremo Ponente di Liguria: una civiltà che aveva grandi valori tradizionali ma che soffriva di una ricorrente trascuratezza nella cura dell'istruzione dei suoi componenti, spesso abbandonati all'avidità di commercianti ed avventurieri quanto meno smaliziati e soprattutto abbastanza qualificati nel leggere e soprattutto nel computare
Il Navone non conosceva con precisione le fonti storiche e cadeva spesso in errori non essendo preciso quanto lo fu 7 anni dopo un altro viaggiatore ed erudito descrittore di queste contrade come il Bertolotti ma a questo limite compensava in parte registrando utilmente delle fonti orali che non possono discutersi, specie mettendole in relazione a dati di fatto come la citazione del rinvenimento in Ventimiglia di monete e reperti di romanità che i contadini trovavano e erano soliti rivendere a forestieri e viaggiatori (e proprio il Navone ne comprò tra cui una d'oro: d'epoca bizantina prestando fede alla sua citazione) [e se le fonti del Navone latitano, le sue osservazioni dirette sono corrette al modo che si legge sia in merito alla postura in quell'epoca della lapide a Giunone Regina non ancora murata nella cattedrale ma utilizzata quale gradino della stessa sia anche nel riferimento alle reiterate scoperte di reliquie romane dell'antica città di Ventimiglia Romana (Albintimilium) da parte di contadini e non come leggesi anche in una famosa lettera di G. Rossi a T. Mommsen] e come in merito a S. Biagio della Cima e ad altri rinvenimenti che vennero classificati come lampade funerarie, un sigillo, varie monete romane in linea con quelli segnalati da P. Vitaliano Maccario e dei quali si parla subito qui sotto.
Il Maccario dotò l'edificio di vari arredi sacri e, tra tanti, nel suo Libro spettante alla Cappella di S. Croce, situata sulla Cima di Crovajrola vicino a S. Biagio, annotò "...Il Quadro del Crocifisso opera del Vandik...".
E' noto che il grande pittore fiammingo Anton Van Dyck (Anversa 1599 - Londra 1641), tra il 1625 ed il 1626 operò a Genova e Liguria, ospite dei tanti "mecenati" dell'epoca: la parrocchiale di Moltedo (Im) ad esempio fu ornata di un suo lavoro, LA SACRA FAMIGLIA, passato fra tante vicissitudini.
Il quadro fu asportato dalla chiesetta del S. Croce fra il 1940 ed il 1945, più verisimilmente tra 1944-'45 in un momento di scontri fra forze diverse quando la chiesetta fu interamente spogliata del suo arredo.
Si son individuati diversi testimoni oculari sopravvissuti che variamente si rammentano del quadro: fra questi, uno in particolare (informato ancor più di quanto ammise e comunque restio a scendere in ulteriori particolari e soprattutto deciso a non voler far registrare le sue generalità ipotizzando una misteriosa "ritorsione" di qualcuno) sostenne con decisione che si trattava di una tavola e non di una tela e che l'opera aveva grandi convergenze con una Crocifissione (cm.36,5 x 27,5> dimensione ottimale per giustificare l'impronta lasciata dal quadro asportato sulla parete della chiesetta, impronta peraltro tuttora ben visibile) di ubicazione ignota, già presente sul mercato inglese (W.E. Duitz) e ritenuto opera del 1617> per un approfondimento e la lunga inchiesta sulla questione si veda però B.DURANTE-F.POGGI-E.TRIPODI, I graffiti della storia: "Vallecrosia ed il suo retroterra" , Vallecrosia, 1984, I, 1, nota 34.
Per le ammissioni registrate dallo stesso Maccario in un suo Diario gli fu possibile costruire una chiesa più bella di quanto gli permettevano le finanze a disposizione per il
RINVENIMENTO DI REPERTI ROMANI DI UN CERTO PREGIO CHE ALLORA, PER FINANZIARE E POTENZIARE IL SUO PROGETTO SU SCUOLA E CHIESA DEL SANTA CROCE, ALL'USO DEL TEMPO VENDETTE AGLI ANTIQUARI, IN ISPECIE STRANIERI.
In tempi recenti qualche studioso ha supposto che nel sito esistesse una cava per l'estrazione di materiale utilizzato nelle necropoli della città romana di Ventimiglia [e questo fatto sembrerebbe giustificato dai numerosi sarcofagi vuoti ivi scoperti tra fine '700 e primi '800 da contadini ma anche da parecchi religiosi = Vitaliano Maccario stesso ma pure Giovanni Francesco Aprosio colui che scrisse una lettera puntigliosa quanto trascurata dal Rossi sebbene poi recuperata da N. Lamboglia e che oltre a segnalare una antichissima chiesa di Nervia andata distrutta per la realizzazione della nuova strada corriera fece cenno a ritrovamenti d'oggettistica romana nell'areale tra Vallecrosia e San Biagio.

Secondo il manoscritto del Maccario (in cui è ripresa una vecchia tradizione popolare) questo sito sarebbe stato il baluardo contro i pericoli dal mare di un vasto complesso ligure preromano di Alpintemeli, poi detto Arm'antica, Armantica od Armantiqua, che si sarebbe esteso grossomodo sugli attuali territori comunali di "Vallebona, Borghetto, Camporosso, Sanbiagio, Vallecrosia": per quanto suggestiva -e non del tutto priva di fondamento vista l'esistenza di complessi demici e rurali di Intemeli- l'ipotesi che il toponimo Armantica derivi dalla coscienza popolare di ciò pare discutibile.
E' più probabile invece che tal nome di luogo si sia evoluto, dal VI sec. d.C., per graduale trasformazione indigena del quasi simile *Balma, nell'accezione specifica di riparo eremitico.
I Bizantini dell'Impero Orientale, che non avevano potuto impedire l'invasione longobarda del 568, protessero la Liguria marittima con l'installazione di quartieri militari in collegamento ad organismi eremitici sotto loro controllo, utili per il conforto dei soldati ma anche per acquistare le simpatie degli Italici e favorire le conversioni dei disertori Longobardi di fede ariana, così che entrassero nell'esercito bizantino.
La *Balma eremitica, luogo solitario di preghiera, si era già diffusa per la Liguria con l'esperienza di S.Onorato che nel V secolo, ispirandosi alla tradizione ascetica egiziana, aveva condotto vita di estasi contemplativa in una grotta a Nord di Tolone , oggi detta Santo Baumo d'Agay; dal VI secolo i Bizantini avevan preso ad inserirsi su tale sistema religioso, intensificandovi l'innesto di monaci orientali,
*Alma fu l'evoluzione morfo-linguistica del toponimo *Balma (si evidenzia ciò nell' area del torrente Argentina, ove la località di Arma di Taggia ricorda nel nome gli insediamenti ascetici che vi trovarono riparo verso il VI secolo sotto il protettorato del castello greco di Taggia).
Nell'area di Pigna in alta val Nervia, importante antemurale contro gli invasori, si son ritrovate al riguardo interessanti tracce toponomastiche.
In particolare dal vallone delle Arme nella zona di Buggio emergono dati interessanti.
Oltre il vallone delle Arme, ove esistono cavernette, grotte e ripari, si trova l' *Arma Berlena e l'Armauta (rocce e bosco di carpini, termine derivato da *alma alta, dove il toponimo indica una zona bassa del vallone delle Arme, mentre l'aggettivo alto segnala uno dei tanti "ripari" nella zona) e le due Armella (una delle quali è caratterizzata da campi incolti e piramidi di terra che formano dei ripari), l'Armetta (diminuitivo di *Arma, dove ora si trovano boschi di roveri).
Altre *Balme eremitiche erano diffuse per la vallata.
All'imboccatura di questa, sulla sponda destra del Nervia, quasi a fronteggiare la Cima della Crovairola che fu castelliere e sede di un'azienda estrattiva romana, si individua l'altura primigenia della città di Nervia ove, durante l'espansione edilizia e demografica del primo Impero, furono impiantate nuove abitazioni sulle modeste costruzioni repubblicane e liguri.
Per una vasta sezione geografica, da questo sito (Colla Sgarba) sin all'area del Rio Seborrino (donde traevano acqua le due condotte della città romana) e poi ancora alle zone di
Siestro, S.Giacomo e Maule-Maure
esistevano molti ripari ideali per la vita ascetica (ancora a fine del XIX secolo si menzionava l'esistenza a "Colla Sgarba" di una grotta frequentata da eremiti, detta "u sgarbu du preive" o "antro del prete", oggi purtroppo trasformata in magazzino agricolo).

Procedendo sin a Camporosso si incontra un toponimo interessante, quello di *Almablanca dove la prima parte del toponimo ALMA sembra rimandare ad un antichissimo insediamento EREMITICO poi variamente rivisitato, come attestano documenti notarili del XIII secolo, e verisimilmente poi gestito dai MONACI ANTONIANI NOTI PER SAPER SFRUTTARE A LIVELLO TERAPEUTICO VARI ELEMENTI NATURALI, DALLE PIANTE ALLE ACQUE ALLE TERRE CURATIVE.
A questo complesso corrisponde, per un tratto dalla vallicella prossima del Crosa, il termine *ALMANTIQUA.
In entrambi i casi si allude al concetto di riparo a costruzione o forse meglio di "grotta scavata".
Il termine *barma, da cui si evolse Arma-Alma, nel dialetto camporossino indica una "grotta artificiale chiusa con muro" e dai documenti del Duecento si evince che l'Alma Antiqua era caratterizzata da numerosi ripari artificiali, in parte oramai diruti.

A proposito dell'Almablanca, la cui positura ed il cui stesso nome paiono in qualche modo collegarsi al complesso dell'Armantica da un rogito del di Amandolesio (30 aprile 1261, doc.376) si intende che vi erano beni rurali e coltivazioni del latifondista Oberto Intraversati.
Il nome "bianca" dipendeva dal fatto che il riparo o le vecchie costruzioni erano connesse al grande complesso delle "Terre Bianche" (ad Terram Blancam, doc. 14) ove nel 1260 stavano fondi, terre coltivate ad alberi, gerbidi di una o più famiglie Alamano e Macarius (Alamano è etimo germanico,"abitante dell'Alemagna", e dal III sec. a tutto il Medioevo, tal nome ebbe la funzione geopolitica di indicare "uomini di varie stirpi nell'insieme" stanziati per gruppi di parentele su una precisa zona geografica.
Maccario-Macario deriva al contrario da un'elaborazione della voce bizantina "Makarios" = "beato, felice", da connettere probabilmente all' evangelizzazione degli eremiti orientali su gruppi di barbari od indigeni: i Greci col "macarismo" indicavano però anche anche la "Beatitudine Evangelica" e la diffusione antica del nome Macario-Maccario in Occidente talora è da correlare con San Macario l'Egiziano, uno dei massimi esponenti del monachesimo egizio e dell'ascetismo cristiano).


Il termine CROVAIROLA (toponimo alternativo, e verisimilmente più antico, in associazione con l'esito Cima, dell'oronimo Monte Santa Croce) è l'adattamento di una forma dialettale = Varietà di uva nera i cui acini tendono a staccarsi dai tralci: Emilio Azaretti, L'evoluzione dei dialetti liguri, esaminata attraverso la grammatica storica del Ventimigliese, II ed., Sanremo, 1982, § 121, p.107. Nello stesso areale Renzo Villa (Toponimi..., sotto voce) identifica il toponimo ora scomparso di ROCHA CROVAIRA dal dialettale crovu e quindi "rocca dei corvi")








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In forza di un ragionamento un pò faticoso e che in definitiva retrodata alquanto parte sostanziale del toponimo (ROCHA) Renzo Villa giunge all'individuazione di un edificio importante, di finalità sicuramente strategiche e militari, eretto nell'area del Santa Croce ( e quindi nel territorio di San Biagio della Cima).
Tuttavia di quella struttura si era già scritto (Albintimilium..., pp. 254 - 255 e nota 26) riprendendo segnalazioni notarili molto più antiche, per la precisione del XII secolo.
In effetti già l'antico notaio genovese di Amandolesio in un atto del 29 gennaio 1260 (cart. 57, doe. 177) indicò alcune proprietà rurali da Banchi usque ad fossatum Vervonis et usque ad Rocham de Alma Antiqua e poi citò (Id., doc. 614 del 17-IV-1264) un terreno gerbido in Vervono, ubi dicitur Alma Antiqua .
Il passaggio Alma > Arma oltre la metà del XIII secolo non era quindi ancora avvenuto e la presenza di una Rocca, ancora funzionale per scopi militari o comunque ben evidenziata agli occhi degli osservatori nella struttura muraria, induce a credere più al significato di costruzioni precarie o stabili rurali.
Al proposito giunge interessante quanto scrisse al Rossi, il 5-VIII-1891, il Teologo Giovanni Francesco Aprosio: " I primi liguri Alpintemeli (!) abitavano tutte le valli e Monti, che li dividevano dall'ora Piemonte, ed anche nella valle Massabò che lei (il Rossi) lo chiama torrente Vallecrosia, v'era molta popolazione, così la valle Batallo era ben popolata, ora (detta di) Borghetto e Vallebuona, vi si trovava l'antica Arm'antica, ove il signor Rossi Giovanni Battista di Vallebuona in un suo podere l'anno 1839 ritrovava vari sepolcri, scoprendo pure molt'avanzi di antichissime abitazioni. Quest'Arm'antica rimaneva sui presenti territori al levante di Vallebuona e Borghetto, da ponente Vallecrosia e forse un pò Sambiagio...
" (quindi tra la linea del Monte S. Croce, m. 356, de I Banchi, m. 400, del Monte Bauso, sino all'area di Vallebona e Borghetto, fatto che sembrerebbe confermato dai dati del di Amandolesio).
La lettera dell'Aprosio si conserva in Biblioteca G. Rossi, presso l'Ist. Intern. di Studi Liguri di Bordighera, con segnatura IX, 127, entro Miscellanea di corrispondenza; vedi N. Lamboglia, Per la topografia di Albintimilium, in "Rivista di Studi Liguri, XI, 1945, nn. 1-3, pp. 38-39.
Che il passaggio linguistico Alma - Arma non fosse ancora avvenuto nel XIII secolo lo testimonia un altro atto del di Amandolesio (doc. 376, 30-IV-1261) col quale Enrico Fulcone vendette a Giovanni de Volta una terra coltivata a viti e fichi ubi dicitur Almablanca... in territorio Vintimilli.
Se nulla si può dire sulla romanità di quest'ultima zona, bisogna invece riconoscere che col toponimo Alma Antiqua, nel XIII secolo, si indicava un'area agricola dove sorgeva una Rocca, dove si erigevano caselle o ricoveri per i pastori di antica tradizione (ancora visibili nell'area del Monte S. Croce) e di remoteatecnica romana.
Per la zona di Vallecrosia medioevale l'Aprosio, che meglio di tutti indagò sull'Alma Antiqua delineandone l'area, scrisse che nella località "...così dette le Casette non sono grand'anni che si scoprirono costrutioni di antiche case che ritrovansi tra Vallecrosia ed il mare, che vennero distrutte per farne macerie di coltivazioni di viti e ulive, che io ne vidi ancora alcuni avanzi...
".
Dai Piani di Vallecrosia al suo retroterra sino a S. Biagio e poi verso levante sul territorio di Vallebona e Borghetto si sono rinvenute tombe romane, seppur di modesta qualità. Cfr. Not. Sc., 1877, p. 290 e B. Durante F. Poggi - E. Tripodi, I "graffiti" della storia: Vallecrosia e il suo retroterra, Vallecrosia (Pinerolo), 1984, cap. I-II, passim: altre osservazioni di ritrovamenti provengono da una trasmissione orale che, in assenza di reperti sicuri, qui ci si limita a ricordare come utile appunto.
Queste considerazioni portano a pensare che col toponimo Alma Antiqua (come accadde per la via antiqua specificatamente segnata dal di Amandolesio a confronto con una via piu recente per indicare i confini di una terra incolta sita a Ventimiglia sul rilievo ad Cagalupum sulla cui sommità esisteva pure una Rocha: doc. 164 del 15-I-12601` il notaio alludesse ad un sito cui la visualizzazione o scoperta di ruderi vetusti, sui quali si inserivano strutture più recenti, attribuiva il concetto di "costruzione/-i antica/-che": "resti di insediamenti rurali romani, o più verisimilmente tardo romani, disseminati su una vasta area di precedenti stanziamenti liguri incastonati tra le protezioni dei numerosi castellari ivi rinvenuti sulle alture, come quello del S. Croce?".
Può anche essere che, in assenza o per la scomparsa di antichi toponimi prediali, si sia finito per qualificare come antiqua ogni costruzione o struttura in degrado, sufficientemente evidente o radicata nella coscienza e nell'etimologia popolare, però, da conferire nome ad un sito che successivamente, con l'individuazione ottocentesca di reperti archeologici, parve rivelare una lunga tradizione di insediamenti agricoli, dalla romanità all'alto medioevo.









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