GENOVA SESTRI PONENTE (o come si scriveva nel '600 "SESTRI" o "SESTRI DI PONENTE") qui sopra in un' immagine antiquaria di cui si propone qui da fonti, delle quali -per quanto in maniera opportuna integrate avvalendosi della procedura multimediale e ipertestuale- solo parzialmente si son reperiti i nomi degli autori, un
UTILE APPROFONDIMENTO DOCUMENTARIO SPECIE IN RELAZIONE ALLA STORIA SESTRESE DAL XVII SECOLO ("CLICCA QUI").
Dal lato politico, come pare evidente, era una "villa" della "Serenissima Repubblica di Genova" di cui qui si può vedere l'apparato politico-demico-economico-amministrativo-militare (vedi gli indici moderni) mentre, anche questo è ovvio ma può giovare a chi voglia approfondire la tematica, dal lato religioso apparteneva alla "Regione Ecclesiastica Ligure" e specificatamente alla Chiesa Metropolitana di Genova (vedi qui gli Indici Moderni) di cui Padre Semeria ci offre, nel testo qui digitalizzato, sui Secoli Cristiani della Liguria ampio e motivato ragguaglio contestamente alle altre Diocesi liguri = "Sestri di Ponente" era divenuta nel XIX secolo una delle
"ville rinomate per la villeggiatura" (leggi per un approfondimento antiquario) come scrisse D. Bertolotti nel suo Viaggio per la Liguria Marittima detta anche la "Grande Liguria delle 8 Province"
("Sestri" quasi sarebbe superfluo dirlo risultava ascritta alla Provincia di Genova
" A partire dal 1619 il nobile genovese Gio Battista Negrone padre di Ambrogio Negrone, verisimilmente conosciuto da Angelico Aprosio in occasione dei suoi soggiorni a Genova ma anche dei suoi ritorni nella Capitale: acquista terre, case, molini ed edifici nella valle situata tra Palmaro e Sapello, ai margini orientali del bacino Leira, è attraversata dal rio Branega e percorsa da un'antica strada di collegamento tra la costa, le valli di Voltri e il passo del Turchino (approfondisci la disanima scorrendo gli Indici Moderni da noi allestiti con integrazioni documentarie tratti dall'opera di D. Bertolotti dei primi del XIX secolo intitolata Viaggio nella Liguria Marittima: da qui procedevano i pellegrini (in qualche modo eredi degli antichi pellegrini della fede) per raggiungere il santuario dell'Acquasanta celebre per la terapeutica acqua solforosa di cui ci parla con ampi elogi D. Bertolotti nel suo libro
Viaggio nella Liguria Marittima del 1834.
I possedimenti dei Negrone (la cui storia economica fu così legata all'areale tra Voltri e Sestri Ponente) sono descritti molto dopo nel 1736 nel Tipo Geometrico degli Effetti dell'Ill.mo Sig. Ambrogio Negrone q. Gio Batta nel Capitanato di Voltri: la carta topografica rappresenta in modo preciso l'ambito compreso tra il lido del mare e l'alto bacino del Leira. La proprietà ancora nel XVIII secolo comprendeva due palazzi (a Sapello e a Palmaro), case, magazzini ed un'osteria (a Palmaro), quattro molini e tre edifici da carta lungo il Branega, oltre a circa settanta "ville". I Negrone erano magnati nella produzione della carta e della variegata attività commerciale che attorno ad essa stava prendendo sempre più campo = dei "tre edifici da carta" che essi avevano nella valle del Branega il primo, era adiacente ad un molino, si trovava sulla sponda destra in località detta al Ravaro (documentato fin dal XVI secolo) e ospitava fino a poco tempo fa una osteria mentre il secondo e il terzo (XVII secolo) erano siti sulla riva sinistra in località detta alle Casette = indubbiamente interagivano con le cartiere di Voltri e con quell'autentica "città della carta" che era il sito di Fabbriche [oggettivamente come il citato D. Bertolotti nel suo volume fa notare Voltri era da secoli la patria indiscussa della produzione di carta (cosa di cui qui l'autore dà ampio rendiconto) = e qui di seguito si fa notare entro un bellissimo e documentato articolo la grande produzione di carta a Genova, commercializzata in tutta Europa: a puro titolo documentario, anche per attestare la diffusione di tale industria in Liguria, piace qui ricordare nel Ponente di Liguria -a titolo esemplificativo- l'attività di una Cartiera dei Doria ad Isolabona].
Come appena sopra scritto i possedimenti dei Negrone patrizi e magnati genovesi la cui storia economica interagì fortemente con l'areale tra Voltri e Sestri Ponente si estendevano come sopra scritto a molti luoghi del Ponente di Genova ed in particolare spiccavano quelli nell'area dell'attuale delegazione di
SESTRI PONENTE ("SESTRI", "SESTRI DI PONENTE": CLICCA E VEDINE UN'IMMAGINE ANTIQUARIA CON ULTERIORI COLLEGAMENTI)
(ove ad Ambrogio Negrone è anche intitolata una via) località nell'immagine sopra proposta
come si presentava nel 1238 vista dal mare in un quadro scoperto in una casa di contadini di San Giovanni Battista dall'erudito reverendo Giuseppe Parodi: come si vede nella sopra proposta immagine antiquaria "Le 25 case allineate lungo la spiaggia, con la porta verso il mare, costituivano la parte superiore della antica Contrada della Paglia: cui si accede da via Casimiro Corradi, a sua volta procedente dalla centralissima via Sestri già via Garibaldi: su tutto domina il complesso dell'allora unica parrocchia di San Giovanni Battista ".
Il quadro ( effigiante sullo sfondo il Monte Gazzo, che avrebbe ospitato sulla vetta, il veneratissimo santuario di Nostra Signora del Gazzo) appartenne al pittore Antonio Rossi e fu donato nel 1670 al suo trisavolo Giovanni Maria Rossi da un francescano, tale Padre Barnaba Mileti, che lo aveva trovato nell’archivio della chiesa di S.Francesco di Sestri .
La Chiesa dell’Assunta si erge nel centro di Sestri Ponente, a metà di Via Sestri, la via dei negozi e delle “vasche”, di fronte a Viale Canepa che collega la parte bassa con la parte alta, a due passi dalla stazione ferroviaria e dalla via che collega il ponente col centro città: ma all'epoca in cui venne eretta costituì anche un pubblico segnale oltre alla valenza religiosa che comportava.
Fu infatti costruita tra il 1610 e il 1620, per motivi di espansione demografica e di spostamento dell’economia sestrese verso il mare = il processo fu lungo, come ovunque in Liguria, ma comunque inarrestabile ed assieme al pur lento sviluppo di botteghe e di opifici artigianali la marineria attirava sempre più un maggior numero di operatori, dediti alla pesca (assai comune alla maniera che in altre contrade liguri), ma altresì interagenti vieppiù con attività mercantili, laddove assieme al tradizionale commercio via nave in forza del potenziamento della rete viaria stradale esso andava sviluppandosi su scala sempre più estesa per tragitti di terra, in gran parte ancora praticato attraverso la vetusta quanto a suo modo gloriosa tradizione dei mulattieri e carrettieri liguri.
Indubbiamente la citata lunghezza era connessa, sempre al pari che in altre ville e luoghi, a fattori contingenti non esclusi i pericoli della pirateria, specialmente della flotta turchesca ma anche la forte presenza di un banditismo organizzato e poi ancora eventi imprevedibili quanto sconvolgenti spesso collegati sin dal XV secolo al farneticante teorema della venuta dell'Anticristo.
Comunque in un contesto sufficientemente quieto all'inizio del XVII secolo, vista l'importanza che il piccolo centro aveva raggiunto, il Senato della Repubblica di Genova smembrò il Capitanato di Voltri e con un decreto legislativo del I maggio 1609 erigeva "Sestri di Ponente" oramai in pieno sviluppo nel nuovo " Capitanato di Sestri con giurisdizione anche su Pegli, Multedo e le loro ville "
"...in tutta Europa altra carta non s'adopra che quella dé Genovesi= si legge in
A.S.G., Archivio Segreto, 2944, 27 maggio 1567. Gli edifici Negrone nella valle del Branega
L'impulso per la costruzione delle cartiere nella valle del Leira nacque grazie al cartaio Damiano Grazioso da Fabriano (luogo dove furono costruite le prime cartiere già nel XII secolo) che fondò a Sampierdarena una fabbrica e poi si trasferì a Voltri nel 1406.
L'edificio da carta assunse, a metà del XVI secolo, un assetto spaziale ben definito che rimarrà praticamente invariato fino al XVIII secolo.
Tra il 500 ed il 700 a Voltri si sviluppò un'industria che per dimensioni, perizia tecnica e mercantile non ebbe uguali in Europa.
Si produceva carta pregiata, fabbricata con cenci di vero filo di lino, resistente ai tarli, e fra i suoi acquirenti c'erano nazioni quali l'Inghilterra e la Spagna.
Sono molteplici i fattori che hanno contribuito al formarsi in queste valli di un importante "sistema di cartiere": la ricchezza di sorgenti, la ventosità, la presenza del porto di Voltri, scalo marittimo e terrestre, la posizione allo sbocco di due valli (Cerusa e Leira) che da sempre rappresentano, insieme con la Valpolcevera, le più importanti direttrici interne dei traffici di collegamento con la Padania.
Per costruire una cartiera erano coinvolte più figure professionali: per le parti in muratura l'architetto o capo d'opra o maestro di casola, il maestro d'ascia per le ruote, i canali, i martelli, le soppresse, le casse ed il banchalaro per gli infissi in legno, le porte finestre, le rebatte (persiane).
L'edificio è situato in un luogo fresco "dominato da vento di tramontana e ponente" che serve per asciugare la carta, e con acque "abbondanti, chiare, con buona caduta, perchè habbia maggiore forza per battere le pile, che pestano le straccie".
G.Domenico Peri, Frutti di Albaro, Genova, 1661.
Non è stato possibile reperire un censimento antico delle cartiere genovesi, ma un accordo del 21 giugno 1675 tra i proprietari delle cartiere di Voltri ci fornisce i dati seguenti:
Bartolomeo Dongo figura per le 5 cartiere (edifizi) che lavorano per lui.
Onofrio Scassi per 4 cartiere.
Nicola Delando per 5 cartiere che ha in affitto, e per altre che farà.
Andrea Gambino per 5 cartiere che affitta e per quelle del Dongo.
Gian Antonio Dongo per 4 cartiere.
Nicola Enrile per 2.
Gian Agostino Grasso 2.
Gian Agostino Ansaldo 2.
Gian Maria Spinola per 2 in costruzione a Voltri.
Francesco Pavia per 2 in costruzione a Voltri.
Giacomo e Agostino Ottoni per 5 in costruzione a Voltri.
Gian Domenico Pavia 3.
Giacomo Avanzino per 3 in costruzione a Pegli.
Gian Benedetto Rovereto 1.
Luigi Francesco 1.
Pietro Salvo 1.
Bartolomeo Carregha 1.
Giovanni Robalo 1 in costruzione.
Giulio Antonio Rovereto 2 in costruzione.
In totale abbiamo 20 cartai che possiedono o gestiscono 51 cartiere, costruite o in costruzione (Archivio di Stato di Genova, Artium).
Queste cifre eloquenti testimoniano la prosperità di quest'industria a Genova nel XVII secolo.
Questa posizione preminente durò e si rafforzò fino alla metà del secolo seguente, tanto che nel 1762 si contavano 40 fabbricanti a Voltri e altri 15 tra Pegli, Arenzano, Cogoleto e Varazze .
Da quel momento iniziarono a manifestarsi dei segni di decadenza: il 10 marzo 1736 i Censori avevano esortato i produttori a curare maggiormente i loro prodotti mentre il 7 dicembre 1762 il Magistrato e i Censori pubblicarono una nuova ordinanza "per fermare la decadenza dell'industria" (Archivio di Stato di Genova, Artium).
Vengono realizzati canali di adduzione dell'acqua (beudi) alla ruota, che riveste un ruolo fondamentale per la cartiera, innescando con il suo movimento l'azione dei macchinari.
Le ruote più antiche erano in legno e di piccole dimensioni, quelle visibili ancora oggi, in ferro, furono costruite nell'800, ed hanno un diametro di cinque metri ed oltre, con larghezze che arrivano anche al metro.
Il processo di lavorazione avveniva, a differenza di altre manifatture preindustriali, completamente all'interno della manifattura.
Vi sono due tipi di cartiere: quella da bianco e quella da gruzzo, che si differenziano sia per la produzione che per le dimensioni.
L'edificio da bianco produceva carta bianca per i documenti, l'edificio da gruzzo rispondeva alla domanda locale di carta da confezione per stoffe, alimenti, ecc. ...
A differenza dell'edificio da bianco, l'edificio da gruzzo è di dimensioni minori, non ha strutture voltate ma solai in legno e rifiniture meno accurate.
Quando, alla metà del 500, si stabiliscono gli standard produttivi della carta, si delineano anche i caratteri dimensionali, distributivi, formali e tecnico-costruttivi della cartiera genovese.
L'edificio da carta, disposto di solito su tre piani, si distingue dalle case coloniche, padronali o dai mulini, sia per le dimensioni (ha una lunghezza che varia dai venti ai trenta metri, una larghezza di dieci metri ed una altezza di circa nove metri), sia per l'ubicazione presso luoghi impervi, sia per l'essere costruito con materiali poveri e con grezze tecniche costruttive.
È una architettura senza stile, spoglia e asciutta, priva di linguaggio: è espressione della sua funzione, nulla è superfluo e non esistono ornamenti.
Gli stracci di lino, cotone, canapa, provenienti sia dal mare che dal Piemonte e dalla Lombardia, attraverso i passi appenninici, erano portati al primo piano per la cernita, dove venivano divisi per tipo di fibre, e poi per la crolladura che consisteva nel battere gli stracci su un graticcio per togliere la polvere e ridurli in strisce, con un gancio chiamato squarcio.
Gli stracci si trasportavano al piano terreno nella stanza delle pile (vasche di pietra poste in batteria): prima fermentavano in una grossa tina chiamata troglio, successivamente posti nelle pile venivano lavoorati da martelli o mazze di legno con chiodi azionati dalle ruote idrauliche ottenendo una pasta omogenea detta pisto.
A seconda della carta che si voleva ottenere vi erano più o meno pile: ad esempio, per la carta da scrivere erano necessarie dieci pile.
L'insieme delle pile era detta tina che rappresentava la capacità lavorativa ed il valore di una cartiera.
Con l'evoluzione tecnologica nel XIX secolo, quest'ultimo tipo di lavorazione venne eseguita dal cilindro all'olandese, un cilindro dotato di punte e coltelli, che ruota attorno al proprio asse, dentro una vasca contenitore.
A questo punto cominciava la formazione del foglio: nella tina con il pisto si immergeva un telaio di legno delle dimensioni di un foglio di carta, costituito da un'anima in rame con in rilievo il marchio del fabbricante.
Eliminata l'acqua in eccesso si poneva il foglio tra due feltri e poi si passava al torchio per togliere ancora acqua.
Nel XIX secolo il pisto si trasforma in foglio lungo il percorso della macchina continua.
All'ultimo piano (spanditoio) avveniva l'operazione dell'asciugatura: si stendevano i fogli a mazzette su un sistema di cordicelle che attraversava tutto il locale.
La sala asciugatura, priva di tramezze, è dotata di numerose finestre i cui telai fissi racchiudono delle tavolette orizzontali basculanti (rebatte) che si aprono con i venti favorevoli e si chiudono con i venti contrari.
Nel XIX secolo l'operazione di trasformazione e di asciugatura del foglio veniva svolta dalla macchina continua.
Tra ottobre e giugno si effettuava l'incollatura (operazione che venne eliminata nel XIX secolo determinando una minore qualità della carta).
Nella colla calda versata in un troglio si immergeva il foglio poi torchiato nella soppressa piccola, e di nuovo ad asciugare nello spanditoio.
Nella sala lisciatura infine i fogli venivano levigati, battuti, divisi per qualità e legati in balle.
La produzione della carta coinvolgeva numerose figure professionali: le due più importanti erano quelle del mercante (imprenditore proprietario della manifattura) e del maestro che rivestiva un ruolo prestigioso in quanto dirigeva la cartiera (e qui abitava con la sua famiglia).
Si occupava del personale e della sua formazione, veniva pagato dal mercante ma a sua volta versava un salario agli operai e anticipava i pagamenti per la merce.
Vi era poi l'indotto: boscaioli, cavatori, trasportatori di pietre, produttori di calcina, padroni e marinai dei leudi che portavano la carta a Genova e che da qui partiva per l'Europa, commercianti di stracci, legname, corda, grasso: era un mondo ampio, variegato, ricco di interessi, scambi e relazioni.
La classe imprenditoriale, che si contraddistinse nel 500 per la sua intraprendenza e lungimiranza, con l'avvento della rivoluzione industriale non fù più in grado di di rinnovarsi ed adeguarsi alle innovazioni tecnologiche determinando l'uscita dal mercato internazionale della carta genovese.
Le antiche cartiere si rivolsero alla domanda del mercato locale, mantenendo l'antico procedimento di fabbricazione della carta addirittura sino al dopoguerra: è per questo motivo che un gran numero di edifici si sono conservati nell'assetto originario fino ai nostri giorni a memoria dei fasti di un tempo.
[A cura di Angela Rosa
Centro di testimonianza ed esposizione dell'arte cartaria
MUSEO DELLA CARTA, Acquasanta, Comune di Mele]
Il dominio dei Negrone nella valle del Branega rappresenta uno dei più cospicui e precoci esempi di azienda fondiaria basata su criteri di integrazione delle attività agricole e industriali.
Esso andò ad inserirsi in relazione con il complesso delle cartiere di Voltri ed ancora del borgo di San Bartolomeo di Fabbriche.
La valle si trova tra Palmaro e Sapello ai margini orientali del bacino Leira, attraversata dal rio Branega è sede di una antica strada di collegamento tra la costa, le valli di Voltri e il passo del Turchino, da quì passavano i pellegrini per raggiungere il santuario dell'Acquasanta.
La valle si svolge quindi alle spalle di Prà perpendicolarmente alla linea di costa, strettissima nella parte centrale si riallarga verso la linea spartiacque con il canale dell'Acquasanta, le coltivazioni di orti, frutteti e uliveti sono agevolate dalla positiva presenza del mare, sui terreni a fascia sorgono numerosi edifici rurali.
A partire dal 1619 Giò Battista Negrone procede all'acquisto di terre, case, molini ed edifici nella valle del Branega.
L'azienda è descritta e celebrata nel 1736 nel già citato Tipo Geometrico degli Effetti dell'Ill.mo Sig. Ambrogio Negrone q. Gio Batta nel Capitaneato di Voltri, carta topografica che rappresenta in modo dettagliato l'ambito compreso tra il lido del mare e l'alto bacino del Leira, la proprietà comprende due palazzi (a Sapello e a Palmaro), case, magazzini ed un'osteria (a Palmaro), quattro molini e tre edifici da carta lungo il Branega, oltre a circa settanta 'ville' (poderi di medie dimensioni al centro dei quali talvolta è presente un palazzo centro di direzione dell'attività agricola).
Gli edifici da carta del Negrone nella valle del Branega sono tre, il primo con adiacente il (secondo) molino si trova sulla sponda destra in località detta al Ravaro (documentato fin dal XVI secolo)[25], il secondo e il terzo (XVII secolo) in sponda sinistra in località detta alle Casette.
Il primo edificio con annesso molino che ospitava fino a poco tempo fa una osteria risulta in discreto stato di manutenzione (foto), il terzo edificio è riconoscibile sebbene ridotto a rudere (foto). Vedi: P. Cevini, Edifici da carta genovesi. Secoli XVI - XIX, Sagep, Genova 1995, p. 63.
Il borgo di San Bartolomeo di Fabbriche
Il borgo di Fabbriche si trova al centro della Valle del Cerusa, a poche miglia da Voltri, il più significativo borgo industriale antico venne costruito dalla famiglia Dongo tra il 1610 e il 1630.
I fratelli Guglielmo, Bartolomeo e Giuseppe Dongo q. Antonio si inserirono nel settore della produzione cartaria tra la fine del Cinquecento ed i primi anni del Seicento, non possedevano all'epoca tradizioni specifiche ma si avvalsero delle esperienze già maturate da altri.
Guglielmo il più anziano dei tre, diede vita con soci voltresi, fiorentini e spagnoli ad una ricchissima compagnia di negozio che aveva nel suo orizzonte anche il commercio della carta.
Di seguito vi fu il loro ingresso nella manifattura per fornire adeguatamente la compagnia.
Rilevarono lungo il Cerusa alcuni edifici esistenti, ne fecero costruire di nuovi e diedero vita a Fabbriche, una città della carta.
Dai loro edifici la carta prese la via del mare e riempì i magazzini della casa di Siviglia, Alicante, Cadice.
Con gli anni trenta del Seicento Fabbriche era un complesso di 19 edifici da carta, collegati tra loro da una ardita serie di canali, una ramiera, un
mulino, un forno, un palazzo padronale e, dal 1622, una cappella dove si officiava regolarmente.
Lo stesso Bartolomeo dà una descrizione di "San Bartolomeo delle Fabbriche" nel suo testamento (1650) facendone un "fedecommesso" e incaricandone uno dei figli, il cardinale Giò Stefano Dongo, dal cardinale l'amministrazione del "fedecommesso" passava al fratello Antonio e in seguito al figlio di questi, Bartolomeo che, sposo di Maria Adorno, lo lasciava a quest'ultima (1684).
Nel 1704 giunse a Filippo Maria Adorno, fratello di Maria, e da questi al figlio Antonio.
Nel 1798 il "fedecommesso" risultava essere sotto il controllo di Cristoforo Spinola che l'aveva ereditato (1786) da Antonio per parentela.
In un elenco delle cartiere del dipartimento di Genova datato 28 aprile 1812 Cristoforo Spinola risulta proprietario di 17 cartiere sul Cerusa delle quali in funzione soltanto cinque[28], mentre Carlo Dongo risulta proprietario di quattro cartiere nel comune di Voltri, due sul torrente Cerusa di cui una soltanto in funzione e due sul torrente Leira.
Nella prima metà del XIX secolo inizia il processo che, attraverso l'abbandono delle cartiere, la progressiva alienazione degli immobili, la loro conversione d'uso e trasformazione, porta il borgo alle attuali condizioni.
Nel 1833 a Fabbriche risultavano ancora funzionanti 19 manifatture (16 per la carta bianca e 3 per la carta straccia), in affitto a 14 proprietarii.
Nel 1847 il borgo subisce una prima importante trasformazione quando alcuni edifici della parte bassa, quelli più vicini alla strada, vengono trasformati da Giacomo e Giuseppe Westermann in filanda, inizia così una conversione delle risorse locali, e più in generale di tutta l'area voltrese, a favore della manifattura tessile.
La filatura Westermann viene rilevata nel 1851 da Giuseppe Castelli, la cui ditta confluisce dopo 7 anni nella Società Anonima Manifattura di Voltri e Serravalle, quest'ultima estende il proprio controllo ad altre cartiere al di sopra della strada.
Nel 1868 un'altra azienda tessile rileva due edifici nella parte superiore del borgo e vi si insedia, si tratta del cotonificio Revello, poi Cerusa (1920).
Nel 1897 la Società Anonima fallisce dando il via all'ultima grande ristrutturazione: la costruzione dello jutificio Vigo, che occupa tutto il borgo ad eccezione del cotonificio Revello.
Nel 1952 lo jutificio chiude segnando la conclusione di una esemplare e plurisecolare vicenda industriale.
I diciannove edifici da carta del XVII secolo sono tuttora riconoscibili seppur trasformati (solo uno, sotto la strada, è stato rimosso e sostituito), alcuni edifici, dapprima destinati ad abitazioni operaie e dormitori ad uso degli stabilimenti tessili, sono oggi adattati a case di civile abitazione.