Inform. a cura di Bartolomeo Ezio Durante

Emanuele Filiberto "Testa di Ferro" (1553 -1580 )
Nato a Chambery l’8 luglio 1528, figlio cadetto di Carlo II il Buono e di Beatrice del Portogallo, cugino del re di Francia Francesco I e nipote di Carlo V (1500-1558) ai tempi delle guerre di religione, dell'avanzata dei turchi e della guerra fra Spagna e Francia, sarebbe dovuto diventare cardinale ma morto il fratello maggiore, Ludovico, a sette anni divenne erede al trono e fu educato a fare il duca.
Nel 1536 (guerra franco-spagnola) la Savoia e quasi tutti i suoi possedimenti sono occupati dai nemici e Carlo il Buono si rifugia a Vercelli.
Nel 1543 Emanuele Filiberto chiese di partecipare alla spedizione spagnola contro Tunisi, non gli fu concesso. A 17 anni si mise al servizio di suo zio, l’imperatore Carlo V. Abile condottiero, col suo fascino e con la sua astuzia e prestanza fece rapidamente carriera nell’esercito imperiale. A corte riuscì a condurre una vita dignitosa nonostante le difficoltà economiche.
A diciotto anni divenne comandante della guardia imperiale e della cavalleria fiamminga. Si distinse nella battaglia di Mühlberg, decisiva per la sconfitta dell’esercito protestante di Giovanni Federico, Elettore di Sassonia.
Nel 1551 guidò la difesa di Barcellona respingendo l’attacco della flotta francese. In quella occasione i catalani lo acclamano chiamandolo "Testa di Ferro" (Secondo un'altra versione, peraltro compatibile con questa, il soprannome gli fu dato perché non portava quasi mai l'elmo).
Nel 1553, a venticinque anni, comandante supremo in Fiandra. Nello stesso anno muore a Vercelli il padre Carlo II ed Emanuele Filiberto, non tornò in Piemonte e continuò a distinguersi a corte e nell'esercito imperiale.
Nel 1555 Carlo V abdicò. Filippo II, nuovo re di Spagna, riprese la guerra contro la Francia. Emanuele Filiberto divenne governatore dei Paesi Bassi.
Al comando dell’esercito spagnolo, Emanuele Filiberto sconfisse i francesi a San Quintino (1557), battaglia decisiva in seguito alla quale la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559.
Gli accordi, che garantirono all'Europa una pace duratura, prevedevano, tra l'altro la restituzione al duca della Savoia e del Piemonte anche se alla Francia rimasero Torino, Chieri, Pinerolo e la Spagna Asti. Gli fu inoltre data in moglie la sorella del re di Francia Enrico II, Margherita di Valois, che aveva dieci 10 anni più di lui. La scelta era caduta su di lei anche perché c’erano buone possibilità che la coppia non avesse figli: al momento del matrimonio s'avvicinava alla quarantina, un'età già avanzata per l'epoca.
Margherita si dimostrò una moglie appropriata per il duca sabaudo e, non solo gli diede un erede, Carlo Emanuele , ma seppe anche essergli valida consigliera nella sua opera di statista, soprattutto in fatto di tolleranza religiosa. Margherita era di mente aperta e non esitò a dare la sua protezione perfino a Giordano Bruno. Se non ci fossero stati eredi il ducato sarebbe passato ad un cugino francese. Il figlio ci fu e la dinastia continuò.
Margherita era una donna colta e sensibile era molto, forse troppo attaccata al figlio , su cui riversava l'affetto e le cure che il marito non le dava.
Bisogna dire, però che il rapporto tra i coniugi, quasi nullo sul piano sessuale, fu corretto e forte su quello intellettuale. Dopo la morte di della moglie Emanuele Filiberto portò sempre un gioiello: una croce di margherite con la scritta “chi potrebbe non dirne lodi?”.
Fu focoso amatore, giocatore d’azzardo, cacciatore, nuotatore, bevitore di vini forti, ebbe molte amanti e almeno sei figli illegittimi riconosciuti ufficialmente. Fu uomo colto e si circondò di “tecnici”.
Fu principe machiavellico come quello descritto e proposto dal Machiavelli: accentrò il potere nelle proprie mani ed operò sempre per ingrandire e consolidare il proprio potere.
Tornato in Piemonte nel 1560, con alleanze e trattati si fece restituire da Francia e Spagna le città occupate, e dagli svizzeri Berna, il Genevese, il Chialbese e il Gex (rinunciò a Ginevra, divenuta calvinista, a Losanna e al Vaud).
Signore assoluto di un ducato devastato da guerra e carestie, con una popolazione stremata e immiserita, privo di strutture funzionanti e non senza rischio di guerre di religione, Emanuele Filiberto decise di riorganizzare lo Stato: poiché era ormai preclusa ogni possibilità d’espansione in Francia trasferì la capitale a Torino, dove diede impulso all’edilizia abitativa, i Senati di Savoia e di Piemonte ricominciarono a riunirsi, il Consiglio di Stato fu riformato, e nacque la Corte dei Conti.
L’insieme delle leggi, leggine e norme che regolavano lo stato, il corpo legislativo, fu riunito in un unico testo. Ci fu anche una riforma fiscale, che pose le basi di una solida amministrazione finanziaria. Favorì la ripresa dell'agricoltura e del commercio con una politica di accordi doganali e di editti economici e introducendo le colture del riso e del baco da seta.
Con l’editto di Rivoli del 25 ottobre 1561 abolì la servitù della gleba e creò le Sovrintendenze delle miniere a Chambery e a Torino nel 1570.
Riconfermò parzialmente i diritti degli ebrei anche per favorire l'istituzione a Torino del Monte di Pietà. Dal 1561 tutti gli atti ufficiali adottarono la lingua italiana.
Chiamò a Torino uomini insigni come l’architetto Andrea Palladio, riaprì l’Università e contribuì ad una certa diminuzione dell’analfabetismo incrementando le scuole comunali e parrocchiali. Più tardi fondò l’Università di Mondovì.
Ottimo capitano, organizzò l’esercito, restaurò le fortificazioni, fece costruire la cittadella di Torino per meglio difendere la città e diede un vero e proprio ordinamento alla marina sabauda.
Diede quattro galere a Andrea Provana che prese gloriosamente parte alla battaglia di Lepanto nel 1571. Emanuele Filiberto fu tra i primi ad aderire alla Lega Santa promossa dal papa torinese Pio V, che lo propose come comandante della flotta cristiana, scelta ostacolata da Filippo II che temeva che il duca avanzasse diritti su Cipro, e che diventasse leader di una lega italiana anti-turca libera dalle influenze spagnole.
Convinto che la fede cattolica fosse un ottimo strumento per conservare ed aumentare il potere ("non essere nessun modo migliore né via più certa per la sicura conservatione et augmento delli stati che il trattenere li sudditi nel timore santo di Dio et confirmatione della santa fede cattolica"), Emanuele Filiberto riformò la Chiesa piemontese, trovata in uno stato pietoso.
Fece applicare i dettati del Concilio di Trento per contrastare la diffusione delle idee protestanti: riforma del clero, apertura di seminari, insegnamento della religione nelle scuole e del catechismo nelle campagne, richiesta ai vescovi di predicare nei villaggi. Diede collegi ai Gesuiti. Favorì il sorgere di numerose confraternite religiose di laici. Promosse l’esposizione del Crocefisso negli edifici pubblici e la partecipazione alla Messa. Promulgò leggi severissime contro i bestemmiatori.
Ordinò una sanguinosa campagna militare contro i valdesi; quando ne ottiene la sottomissione, col trattato di Cavour nel 1561 accordò loro libertà religiosa, ma mentre il culto cattolico era consentito nelle valli, al di fuori di esse il culto valdese era vietato. (Soluzione meno cruenta e intollerante di quelle adottate da altri sovrani cattolici dell'epoca).
Nel 1572 Emanuele Filiberto fondò l’Ordine di San Maurizio, con finalità ospedaliera e di impegno crociato contro i turchi.
Ristabilì l’Ordine Supremo della SS. Annunziata.
Il Papa Gregorio XIII riunì l’Ordine di San Maurizio a quello di San Lazzaro il duca ed i suoi successori divennero così Gran Maestri dell’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro. (L'attuale Ordine Mauriziano).
Fece portare la Sindone da Chambery a Torino, dove rimase, sia per allontanarla dai calvinisti che avevano giurato di distruggerla sia per agevolare il cardinale Borromeo, che, durante la peste aveva fatto voto di visitare il sacro lenzuolo a piedi in pellegrinaggio.
I due personaggi s'incontrarono davanti a migliaia di persone, tra cui Torquato Tasso, che definì Emanuele Filiberto "il primo e più valoroso e glorioso principe d’Italia".
Morì a 52 anni nel 1530 rinnegando il vizio e facendo penitenza. Gli ultimi anni della sua vita furono tormentati da malattie fastidiose.
Lasciò uno Stato in pace, ricco e fiorente. E' sepolto nella cappella della Sindone.
Vedi anche:
Pierpaolo Merlin, Emanuele Filiberto, Un principe fra il Piemonte e l’Europa, SEI, 1995
Carlo Moriondo, Testa di ferro, vita di Emanuele Filiberto di Savoia, Bompiani, Milano, 1981
Maria José di Savoia, Emanuele Filiberto, Milano, 1994 P.
Siva, Emanuele Filiberto. Roma, 1928.
Studi in onore di Emmanuele Filiberto.
Studi pubblicati dalla Università di Torino in onore di Emmanuele Filiberto.
Lo stato sabaudo al tempo di Emmanuele Filiberto
. Torino, 1928.