"L'ADE
La struttura del'Ade nella mitologia greco-romana è molto più semplice di quella dantesca a cui si ispira Kurumada.
E' da precisare però che la stessa visione di Dante include diversi elementi pagani (ad esempio Caronte).
Tuttavia, non esiste un'unica versione sulla struttura dell'Ade: questa cambia in base all'autore e all'epoca storica.
A partire da Omero, i vari poeti hanno inserito nuovi particolari, anche in contraddizione: ad esempio, nell'Odissea tutti i morti subiscono la stessa sorte, mentre nell'Eneide c'è la distinzione tra Tartaro (il nostro Inferno) ed Elisio (il nostro Paradiso).
LA NASCITA DELL'ADE
L'Ade (Regno dei Morti, Inferi, Oltretomba, Averno, Orco, Erebo o Tartaro) è un luogo tenebroso situato all'interno della terra, temuto persino dai futuri Dei olimpi.
Secondo la Teogonia di Esiodo, primissimo tra tutti nacque il Caos, poi la Terra (Gea).
Dopo di lei apparvero Tartaro (luogo di punizione delle anime malvagie) ed Eros (l'amore).
Da Caos nacquero Erebo e la nera Notte.
NB: Queste entità, all'inizio, sono considerate sia come elementi naturali (il pianeta terra, i fiumi, il cielo...) sia come divinità.
Successivamente, alcune di queste assumono solo il significato di luogo/elemento.
Questo è il caso di Tartaro.
Zeus, dopo la sconfitta del padre Crono e dopo avere precipitato i Titani nel Tartaro, nominò dio degli Inferi suo fratello Ade (Plutone o Dite).
ENTRATA NELL'ADE
Tutti i morti, fossero stati in vita buoni o malvagi, giungono nell'Ade attraverso una qualsiasi voragine aperta nel terreno.
Quindi, l'Ade comunica con l'esterno tramite tutti quei luoghi della superficie terrestre che amanano vapori sulfurei, ribollono di lava o si spalancano in tetre voragini.
In rari casi, anche i vivi possono accedere al Regno dei Morti, la cui entrata varia a seconda delle leggende e tradizioni.
Ad aver visitato da vivi il regno dei morti sono Ulisse, Enea, Ercole, Orfeo, Teseo, Pirotoo.
L'entrata (nella brillante interpretazione che dà dell'
Ade la studiosa Maria Belponer dalla cui Epica Antica sono tratte queste notizie) può essere situata:
- nella più remota parte occidentale, dove non giungevano i raggi del sole.
- in Sicilia, sul monte Etna.
- il Capo Tenaro, all’estremità del Peloponneso.
- caverne di Colono vicino ad Atene.
- nella costa ionica della Grecia, nella baia di Ammoudia (estendendo l'etnonimo divenuto toponimo sotto forma di idronimo anche al Bosforo e precisamente al Bosforo Cimmerio)
Ora il luogo è cambiato per opera dell'uomo, ma un tempo, vicino alla palude Acherusia, c'era l'Oracolo dei Morti (Necromànteion).
L'oracolo rimase in attività fino alla conquista romana, nel 176 a.C. Secondo gli antichi, la regione circostante, che si allunga tra il golfo, la riva destra dell'Acheronte e le montagne, era popolata dai leggendari CIMMERI, foschi abitanti delle tenebre, usi a vivere sottoterra senza mai uscire alla luce del giorno.
Questo luogo potrebbe corrispondere fisicamente a quello descritto da Omero (Odissea Libro X, XI):
"Non appena avrai attraversato il mare, scorgerai i bassi lidi e, denso di alti pioppi e improduttivi salici, il Bosco di Proserpina: a quella spiaggia battuta dal mare profondo, àncora la nave ed entra nei domini di Plutone. Lì si alza una rupe presso la quale due fiumi si mescolano rumoreggiando e, uniti, si gettano nell'Acheronte: il Cocito, ramo dello Stige, e il Piriflegetonte." "Passato il giorno e d'oscurità ricoperte le strade, dell'Oceano la nave toccò i gelidi confini, là dove vive il POPOLO DEI CIMMERI, avvolti dalla nebbia e dal buio eterno".
- presso Cuma, in Campania, nelle vicinanze del lago Averno, formato dal cratere di un vulcano profondo, circondato da rupi e pieno di esalazioni mefitiche.
Secondo l'etimologia, Averno vuol dire "senza uccelli" ed effettivamente gli uccelli non vi potevano vivere a causa delle esalazioni.
I greci che da tempo popolavano le colonie campane non si rassegnarono ad accettare, come dimora dei morti, una terra d'origine ormai troppo lontana (la baia di Ammoudia) e provvidero per tempo a trasferire la sede dell'oltretomba in un luogo più accessibile, scegliendo i Campi Flegrei.
Qui una moltitudine di crateri, la natura selvaggia, il suolo ancora ribollente, la tetra immobilità delle acque raccolte nei vulcani spenti, fornirono gli elementi di una facile identificazione.
Anche questa, quindi, potrebbe, essere la terra del leggendario popolo dei Cimmeri.
Per secoli, i Greci prima, e i Romani poi, venerarono la sacralità del luogo.
Ma i Quiriti badavano al sodo e in epoca augustea, quando si rese necessario un efficiente arsenale vicino a Pozzuoli, Agrippa non si lasciò intimidire dagli Dei Inferi e scelse il lago come sede di un cantiere navale.
Fu allora che Virgilio vide il sito e, suggestionato forse dall'atmosfera misteriosa della ciclopica galleria, lo descrisse nel VI libro dell'Eneide narrando il viaggio oltremondano dell' eroe.
Il lago senza vita fu così immortalato nella grande poesia epica proprio nel momento in cui le devastazioni delle guerre civili e l'irreligiosità crescente gli avevano ormai violato ogni carattere arcano e sacrale.
"C'era una grotta profonda e immensa per la sua vasta apertura, rocciosa, protetta da un nero lago e dalle tenebre dei boschi, sulla quale nessun volatile impunemente poteva dirigere il proprio volo con le ali, tali erano le esalazioni che, effondendosi dalla nera apertura, si levavano alla volta del cielo" - Kurumada colloca un'altra entrata nel castello di Pandora, in Turingia (Germania).
I CORSI D'ACQUA
Un tempo si pensava che tutti i fiumi della terra confluissero sottoterra nel baratro immenso del Tartaro, per poi defluire e assumere aspetto diverso a seconda della natura del terreno.
Alcuni fiumi sotterranei, prima di riversarsi nelle profondità del Tartaro, percorrono numerose gallerie; altri ancora circondano la terra con uno o più giri a spirale, come dei serpenti, fino a scendere al centro della terra (non oltre perchè altrimenti ci sarebbe una salita verso l'emisfero opposto).
Quindi, è cosa certa è che in Ade sono presenti diversi corsi d'acqua, anche se la loro disposizione viene riportata diversamente a seconda delle fonti.
Alcuni corsi d'acqua, che possono essere fiumi o paludi, scorrono lenti e minacciosi, altri avere correnti violente o infuocate.
I principali sono:
- Acheronte, il fiume del dolore o dei guai: nominato per la prima volta nell'Odissea, spesso è descritto come il fiume principale, che circonda l'Ade ed è situato subito dopo l'ingresso. La sua riva è sempre colma della infinita torma dei morti, in attesa di Caronte, il traghettatore.
Questi è un vecchio di orribile squallore, ma dagli occhi fiammeggianti come brace e dalle membra ancor piene di vigore. Per traghettare le anime dei morti sull’altra riva, si serve di una grossa barca, vecchia e malandata. Trasporta solo i morti che possono pagarlo con l'obolo, un'antica moneta greca che i parenti pongono in bocca prima degli onori funebri (secondo Virgilio, trasporta solo quelli che sono stati sepolti); gli altri devono aspettare 100 anni (secondo alcuni, per l'eternità), in una lunga attesa che è per loro causa di indicibile tormento anche se sanno che, al di là del fiume, li attende una pena terribile ed eterna.
- (Piri) Flegetonte, fiume del fuoco: circonda il Tartaro (che secondo alcuni è una sezione dell'Ade) e ogni tanto lo rischiara con le sue vampe di fuoco. Secondo Omero, si unisce al Cocito nel formare l'Acheronte. Secondo Platone, si riversa in una grande pianura arsa da fuoco violento e forma una palude più grande del mare, tutta ribollente d'acqua e di fango; da qui scorre circolarmente, torbido e fangoso e, sempre sotto terra, volge a spirale il suo corso fino a giungere alle estreme rive della palude acherusiade, ma senza mescolare le sue acque; dopo molti altri giri sotterranei, si getta in un punto del Tartaro che è più in basso. Il Piriflegetonte riversa sulla terra torrenti di lava dovunque trovi uno sbocco. I mitografi e i poeti immaginarono che vi si punissero i violenti.
- Stige, fiume dell'odio: esistono più versioni di questo fiume che, secondo alcuni, è invece una squallida palude. Secondo Platone, Stigia sarebbe il fiume, caratterizzato da un colore blu cupo, mentre Stige sarebbe il nome dato alla palude che forma.
Stige è considerata essa stessa terribile divinità (un'Oceanina figlia della Titanide Teti, oppure figlia della Notte e di Erebo).
Secondo Omero ed Esiodo, la sua acqua ha proprietà magiche e proprio in questo fiume la Nereide Teti avrebbe immerso il figlio Achille per renderlo invulnerabile; e sull'acqua di Stige giurano gli dei, che subiscono castighi terribili se non rispettano il giuramento (per un anno il dio giace senza respiro, avvolto nel torpore e non può avvicinarsi al nettare e all'ambrosia; poi per nove anni non può avvicinarsi agli altri dei). Gli effetti dello spergiuro sono in un branodella Teogonia di Esiodo, che offre altri particolari sulla natura di quest'acqua fatale: essa rappresenta un braccio dell'Oceano, equivalente a un decimo del fiume iniziale, e forma con gli altri nove le nove spire con cui il fiume circonda il disco della terra. Questa cifra delle nove spire si ritrova nella descrizione virgiliana dello Stige infernale, il quale circonda con i suoi meandri il regno degli Inferi. Nell'Odissea lo Stige è più chiaramente definito come fiume; poi, nella tradizione posteriore, la figura della divinità tende a scomparire e prevale un'antichissima tradizione che fa derivare dallo Stige fiumi terrestri, o addirittura l'identifica in corsi d'acqua o paludi, presso le quali sarebbe stato l'ingresso dell'oltretomba.
- Cocito, fiume dei lamenti o del pianto: menzionato già da Omero come affluente dell'Acheronte e ramo dello Stige. In esso sono immersi, secondo la descrizione di Platone nel Fedone, gli omicidi. Il Cocito acquista una corrente violenta a partire dalla palude Stige, si inabissa e scorre a spirale, in senso contrario al Periflegetonte, fino a toccare, dalla parte opposta, le sponde della palude acherusiade; ma nemmeno questo fiume vi mescola le sue correnti e, dopo aver compiuto un largo giro, si getta nel Tartaro dalla parte opposta al Periflegetonte.
Secondo Virgilio, è una palude stagnante di fango nero e canne deformi. Nell'Inferno dantesco, così come in Saint Seiya, il Cocito è la confluenza di tutti i fiumi infernali ed è ghiacciato nell'ultimo girone dei traditori.
- Palude acherusiade: citata da Omero e Platone, è la palude principale situata all'ingresso dell'Ade. E' formata dalla acque dell'Acheronte, del Flegentonte e del Cocito. Secondo Platone, qui si raccolgono le anime di coloro che hanno condotto una vita mediocre.
- Lete, fiume dell’oblio: non nominato da Omero, secondo Virgilio è il fiume che attraversa l'Elisio; chi beve o si immerge nella sua acqua, perde la memoria della sua vita passata e può quindi reincarnarsi in un altro corpo.
In un'altra versione, non c'è il Lete, ma due cipressi bianchi dove sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
LA SORTE DELLE ANIME SECONDO OMERO
In Omero non c'è ancora una distinzione tra i buoni e i malvagi. Salvo eccezioni, tutte le anime subiscono la stessa sorte: non appena muoiono, raggiungono l'Ade, dove vivranno per sempre sotto forma di ombre incorporee, che hanno le sembianze dei loro corpi. Risiedono tutte nel Prato degli Asfodeli, luogo monotono, senza dolori, ma anche senza gioie, senza un futuro e senza la luce del sole. Lo stesso Achille si lamenta per la sua sorte:
Odissea, Libro XI:
"[Ulisse] Ma, o forte Achille, uomo più beato di te non ci fu, ne mai ci sarà. Da vivo, come un dio, ti onoravamo ed ora tu regni sopra i defunti. Come puoi lamentarti di essere morto?" "Non consolarmi della morte" ad Ulisse replicava Achille. "Preferirei piuttosto fare il servo d'un bifolco che campasse giorno per giorno di uno scarso e misero cibo, piuttosto che essere sovrano nel regno dei defunti".
Le anime dei pochi che hanno osato offendere gli dei risiedono insieme agli altri, ma sono costretti a partire in eterno delle pene "personalizzate": ad esempio Tizio, colpevole per aver violentato Latona, sposa di Zeus, è circondato da due avvoltoi che gli rodono il fegato.
Col passare del tempo, gli spiriti dei morti entrano in uno stato di semi coscienza, chi più chi meno. A parte Tiresia l'indovino, nessuno possiede il dono della preveggenza. Ognuno però mantiene i ricordi della vita terrena. Vengono attirati dai sacrifici offerti dai vivi, che consistono in un rituale con preghiere e nel sangue di alcuni animali uccisi: una volta ottenuto il permesso di bere il sangue, riacquistano completa coscienza e, se lo vogliono, possono parlare. E' da precisare che il grado di coscienza varia a seconda delle anime: ad esempio, Tiresia ed Elpenore (il compagno di Ulisse morto da poco) riconoscono e parlano con Ulisse senza bisogno del sangue; gli altri morti (es. Agamennone), invece, lo riconoscono solo dopo aver bevuto il sangue.
Odissea, Libro X:
"Accostati alla rupe, ed una fossa, lunga un cubito e larga altrettanto, scava, o prode, con le tue mani; e miele con vino, e poi puro vino e acqua limpidissima, versavi attorno, in onore dei morti, e di bianche farine cospargi il tutto. [...] E dopo che avrai supplicato con voti le turbe dei morti, sacrifica loro un montone e una pecora nera, rivolgendoli con la testa verso l'Erebo".
Omero non dà una descrizione dell'Ade, in quanto Ulisse rimane solo all'entrata. Accenna solo ad alcune cose che riesce a scorgere: il Prato degli Asfodeli, le pene di alcuni dannati, Minosse, la reggia di Ade, Orione.
Odissea, Libro X:
"Là vidi Minosse, lo splendido figlio di Zeus. Teneva in mano lo scettro d'oro rendeva giustizia tra i defunti stando seduto. Ed essi intorno a lui, il sovrano, chiedevano sentenze, chi a terra e chi in piedi, nella casa di Ade dalle ampie porte. E dopo lui scorsi il gigantesco Orione. Raccoglieva insieme le belve per il prato di asfodeli erano le belve che aveva uccise da vivo nei monti solitari. Teneva in mano una daga di bronzo massiccio, che mai non si spezza".
L'Elisio è separato dell'Ade e viene localizzato da Omero all'estremità del mondo, e da Esiodo, col nome di Isole dei Beati, presso le correnti dell'Oceano; è infatti la sede del dio Oceano, che ha generato con la moglie Teti tutte le acque.
L'Elisio (o Campi Elisi) è il luogo di ogni delizia, non abitato da Ombre, ma da pochi uomini sottratti alla morte e destinati dagli dei a godervi una vita migliore. Loro re è Radamanto.
STRUTTURA DELL'ADE E SORTE DELLE ANIME DOPO OMERO
Successivamente, è stata meglio definita la figura dei tre giudici dell'aldilà ed è stato suddiviso l'Ade in vari settori, in base alle azioni commesse in vita. In base alle testimonianze della scultura attica e della pittura vascolare classica, si riesce a ricostruire il viaggio delle anime:
- E' Atropo (una delle Parche) che decide di tagliare il filo della vita di un uomo. Sono Ipno (il sonno) e Tanatos (la morte), adolescenti alati, ad allontanare il corpo di un guerriero morto sul campo di battaglia.
- Ermes Psicopompo (Mercurio) prende in consegna le anime dei morti e le trasporta alle porte dell'Ade o le consegna a Caronte.
- Caronte traghetta le anime al di là del fiume Acheronte, al prezzo di un obolo (come descritto sopra).
- Oltrepassato il fiume, i morti percorrevano un lungo viale, attraversavano un boschetto di pioppi e di salici ed infine arrivavano ad una grandissima porta da cui tutti potevano passare. Lì c'è un terribile guardiano che veglia rabbioso contro i vivi che tentano di entrare e contro i morti che cercano di uscire: Cerbero, cane mostruoso fornito di tre teste, sempre vigile e pronto a scagliarsi contro i trasgressori delle leggi divine.
Dopo di che, la disposizione delle aree dell'Ade varia leggermente in base alla fonte
. - Varcata la soglia, le anime attraversavano la prateria degli Asfodeli (Asphodelos, da a= non, sphodos= cenere, elos= valle, ovvero valle di ciò che non è stato ridotto in cenere, ossia l'ombra dell'eroe dopo la cremazione). Nella prateria le anime degli eroi vagavano tra altri morti che svolazzavano qua e là come pipistrelli. Il loro unico piacere era bere il sangue delle offerte dei vivi.
- Oltre la prateria si trovano l'Erebo (=coperto), il palazzo di Ade e di Persefone, cinta da possente mura sulle quali stanno le Furie. Le Furie o Erinni sono tre: Tisifone, Aletto e Megera, esse hanno il compito di torturare le anime che si sono macchiate di gravi colpe verso i familiari e gli dei. Solo quando la a pena era stata interamente scontata, la loro persecuzione cessava, ed allora, diventate benevole, erano venerate col nome di Eumenidi. Ai lati della reggia sorgono due cipressi bianchi da cui sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
Un'altra versione narra che, per giungere l'Erebo, bisogna attraversare lo Stige su una barca guidata da Caronte. Davanti alle porte sta Cerbero.
- Minosse, Radamento ed Eaco sono i giudici infernali, che stanno su un incrocio di tre strade: da qui loro giudicano le anime e le indirizzano verso una delle tre aree. La leggenda narra che Eaco, anche custode delle chiavi, si dovesse occupare delle anime di provenienza europea, Radamanto di quelle di provenienza asiatica e Minosse i casi più difficili.
- Le tre aree in cui risiedono i morti sono:
1) Nella prateria degli Asfodeli si riunivano le anime degli ignavi e di coloro che in vita non si erano macchiati di colpe gravi, ma nemmeno erano stati buoni e virtuosi. La prateria è caratterizzata da un tedio senza fine, dove solo il cacciatore Orione, inseguendo eternamente dei daini, sembra godere del conforto di avere qualcosa da fare. 2) Il Tartaro è destinato agli empi che nella vita si erano macchiati di colpe verso gli Dei o verso i propri simili (ad esempio, i Titani, Tantalo, Issione, Tizio). Il Tartato è immerso nel buio ed ogni tanto è rischiarato dalle vampe di fuoco del fiume Flegetonte. I dannati vengono perseguitati da mostri infernali che rimproverano loro le colpe di cui sono macchiati.
3) I Campi Elisi (o Elisio) sono riservati ai giusti, ai virtuosi, ai saggi e agli eroi, dove essi vivevano eternamente sereni, in luoghi pieni di luce e di fiori, dediti alle occupazioni che più li avevano dilettati in vita. Ad allietare questo luogo ridente ci sono musiche, danze, canti e banchetti. Due figli della Notte abitano in questo regno: Thanatos, il demone della morte, e Hypnos, il sonno. Figli di questi sono i Sogni, che abitano in una grande casa al di là dell'Oceano. Questa casa ha due grandi porte: una di avorio e una di corno. Dalla seconda escono sogni premonitori, dalla prima escono sogni falsi e ingannevoli.
- Oltre l'Elisio vi sono le Isole Beate, riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente.
LA SORTE DELLE ANIME SECONDO PLATONE
Plantone riprende la descrizione di Omero, ma colloca le anime presso i vari fiumi, in base alla vita condotta. Dopo aver scontato le pene, ricevuto eventuali premi e trascorso del tempo negli Inferi, le anime si reincarnano.
Fedone, LXI
"Dalla parte opposta, e con un corso contrario, c'è l'Acheronte che attraversa regioni desertiche e poi prosegue sotto terra per giungere alla palude acherusiade dove si raccolgono le infinite anime dei morti che dopo quel certo tempo a loro destinato, più o meno lungo, vengono restituite alla luce per incarnarsi in esseri viventi.".
Fedone, LXII
"Quando i morti giungono, ciascuno, in quel luogo dove il demone li ha guidati, prima di tutto vengono giudicati e distinti secondo che vissero o meno onestamente e santamente. Quelli che nella vita tennero, invece, una condotta mediocre, giunti all'Acheronte, salgono su delle barche già pronte per loro e arrivano alla palude acherusiade e lì si fermano per purificarsi e scontare le loro pene e liberarsi delle colpe se mai ne hanno commesse, dove però ricevono anche il premio delle buone azioni compiute, ciascuno secondo il suo merito.
Ma quelli che sono stati riconosciuti peccatori senza rimedio, per la gravità dei loro delitti, per numerosi sacrilegi , per ingiuste e crudeli uccisioni o altri misfatti del genere, un giusto destino li precipita nel Tartaro, da dove non escono mai più.
Quelli poi i cui peccati, sebbene gravi, son giudicati espiabili, per esempio chi nell'impeto dell'ira è stato violento contro il padre e la madre, ma poi ha trascorso in pentimento il resto della sua vita o chi ha commesso qualche omicidio sotto lo stesso impulso, costoro precipitano anch'essi nel Tartaro ma vi restano soltanto un anno, perché l'onda li ricaccia fuori, gli omicidi, nella corrente del Cocito, i violenti contro il padre e la madre, in quella del Periflegetonte; così sospinti, giungono alla palude acherusiade e qui chiamano con alte grida e invocano coloro che uccisero e che oltraggiarono, pregandoli di lasciarli passare nella palude e di accoglierli con loro; se riescono a persuaderli, passano al di là e le loro pene finiscono, altrimenti sono risospinti nuovamente nel Tartaro e ancora nei fiumi a patire il loro destino fino a quando non siano riusciti a piegare quelli che hanno offeso: è questa, infatti, la pena che per costoro han voluto i giudici.
Quelli, invece, che si son distinti per santità di vita, e che son poi coloro che si son liberati da questa terra e se ne sono allontanati come da un carcere, giungono in alto, in una pura dimora e abitano la vera terra. E specialmente quelli che si son purificati attraverso la filosofia, vivono sciolti da ogni legame corporeo, per l'eternità, anzi giungono in sedi ancor più belle
".
SECONDO VIRGILIO NELL'ENEIDE
Orfeo ha suonato la lira per ammansire Caronte e gli altri spiriti infernali che altrimenti lo avrebbero sbranato.
Per questa ragione, Enea ha bisogno di una guida, non tanto per entrare in Ade, che è cosa facile, ma per uscirne illeso. Si rivolge quindi alla Sibilla Cumana, che gli ordina di sacrificare pecore nere e gli indica dove procurarsi un ramo d'oro da donare a Proserpina (nei pressi del lago Averno).
Una volta effettuato il sacrificio, si apre il terreno e compare il passaggio che condice all'Ade.
- Nel vestibolo infernale si trovano: la personificazione dei mali dell'uomo (il Lutto, gli Affanni, le Malattie, la Vecchiaia, la Paura, la Fame, la Miseria, la Morte, il Dolore, il Sonno, i Piaceri, la Guerra, le Eumenidi, la Discordia), un olmo ombroso sotto le cui foglie sono attaccati i Sogni fallaci, e numerosi mostri (i Centauri, le Scille, Briareo, l'idra di Lerna, la Chimera, le Gorgoni, le Arpie e Gerione). In realtà, si tratta solo di ombre senza corpo quindi non sono pericolose.
- Dopo, c'è il fiume Acheronte; qui un gorgo torbido di fango ribolle in una vasta voragine ed erutta tutta la sua melma nel Cocito. Caronte traghetta le anime dall'altra parte (attraversando sia l'Acheronte che lo Stige), ma solo quelle che hanno avuto sepoltura. Le altre devono vagare per 100 anni in quella boscaglia acquitrinosa. Caronte si rifiuta di trasportare persone vive, soprattutto se armate, ma fa un'eccezione quando Enea gli mostra il ramo d'oro.
- All'ingresso di trova Cerbero, che viene fatto addormentare con delle focacce soporifere. Viene anche citato Minosse che fa da giudice, ma non è specificata la sua sede. E' da precisare che le anime sono incorporee e che, a differenza di Omero, sono tutte pienamente coscienti e, riconoscendo Enea, si comportano come avrebbero fatto in vita (Didone piange e non gli rivolge la parola, i Troiani lo avvicinano, i Greci hanno timore...).
- Vicino all'entrata c'è una specie di antinferno, nel quale sono radunate le anime dei morti anzitempo: i bambini e i condannati a morte per un'ingiusta accusa. Lì vicino ci sono le anime dei suicidi, circondati dallo Stige.
- Nei Campi del Pianto, formati da una selva di mirti, si celano coloro che sono stati consumati da un amore crudele (in genere, tutti coloro che si sono suicidati per amore, compresa Didone). Anche dopo la morte, sono tormentati dai loro affanni.
- Quasi alla fine dei Campi del Pianto, risiedono coloro che sono morti in guerra. L'apparenza delle loro anime riporta ancora le ferite di battaglia.
- Dopo i campi, c'è un bivio: la destra tende verso la reggia di Dite ed è la via che porta verso l'Eliso; invece la sinistra tiene vive le pene dei malvagi e conduce all'empio Tartaro.
- Il Tartaro:
"Sotto una rupe a sinistra vede vaste mura circondate da un triplice baluardo che il Tartareo Flegetonte, fiume dalla rapida corrente, lambisce con fiamme roventi e travolge risuonanti macigni. Di fronte si trova una porta enorme e colonne di solido acciaio, che nessuna forza di uomini né gli stessi dèi abitatori del cielo potrebbero distruggere con la guerra; s'eleva ferrea la torre nell'aria e Tisifone sedendo, avvolta in una veste insanguinata, di notte e di giorno è l'insonne custode del vestibolo. Qui si odono gemiti e risuonano crudeli percosse, poi uno stridore di ferro e catene trascinate. [...] Radamanto di Cnosso governa questi regni tanto dolorosi, castiga, ascolta le colpe e costringe a confessare le colpe commesse tra i vivi che qualcuno, lieto dell'inutile frode, rimandò di espiare oltre la morte lontana. Subito dopo la vendicatrice Tisifone armata di un flagello sferza oltraggiando i colpevoli e agitando minacciosa i contorti serpenti con la sinistra chiama la crudele schiera delle sorelle. Allora finalmente si aprono le porte maledette stridendo con orribile suono sul cardine. Vedi quale custode siede nel vestibolo? Quale figura è a guardia delle porte? Più crudele di questa l'Idra immane con cinquanta nere bocche spalancate ha qui dentro la sua sede. Poi il Tartaro stesso si apre come un precipizio e si stende sotto l'oscurità per due volte tanto quanto la vista del cielo si estende fino all'etereo Olimpo. Qui l'antica prole della Terra, la gioventù dei Titani abbattuti dal fulmine, si voltola nel basso profondo.
[...] Qui si trovano coloro che vendettero la patria, odiarono i fratelli mentre durava la vita o percossero il padre o ordirono qualche frode a un protetto o coloro che da soli guardarono ammassate ricchezze e non le divisero coi loro parenti (questa è la folla più grande), e quelli che furono uccisi per adulterio o seguirono empie armi o non esitarono a tradire il giuramento fatto ai padroni: rinchiusi qui aspettano la pena. Non chiedere di sapere quale pena o quale tipo di scelleratezza o destino abbia sommerso questi uomini. Alcuni rotolano un sasso immenso e pendono legati ai raggi delle ruote
".
- A destra si trova la reggia di Dite, le cui mura sono state costruite dai Ciclopi. Dopo aver offerto il ramo d'oro a Proserpina, Enea può proseguire.
- Eliso: "Qui un cielo più ampio avvolge in una luce purpurea i campi che hanno un sole proprio e proprie stelle. Parte esercitano le membra in palestre erbose, gareggiano nel gioco e lottano sulla fulva arena; parte ritmano danze coi piedi e recitano versi. A terra stanno piantate le lance e cavalli senza briglia pascolano qua e là per il campo. A destra e a sinistra ne vede altri che banchettano sull'erba e cantano in coro un lieto peana in mezzo a un odoroso bosco di alloro, dal quale scorre abbondante il fiume Eridano (il Po), arrivando fin sulla terra".
Nell'Eliso ci sono eroi di guerra, casti sacerdoti, veggenti, artisti, persone meritevoli. Tutti hanno una fascia bianca sulle tempie. Non hanno una dimora fissa, ma gironzolano in giro per i prati, occupandosi delle loro attività preferite.
- I Campi Elisi sono attraversati anche dal fiume Lete, situato in una valle appartata in un bosco isolato. Lì si riuniscono molte anime per bere l'acqua della dimenticanza e reincarnarsi sulla terra in un nuovo corpo.
Anchise spiega ad Enea la teoria della metempsicosi:
"Innanzitutto uno spirito vivifica dentro il cielo e le terre e le liquide distese e il globo luminoso della luna e l'astro Titanio (il Sole) e un'anima diffusa per tutte le parti del mondo muove la massa terrestre e si mescola al grande corpo. Di qui ha origine la stirpe degli uomini e degli animali e le vite degli uccelli e i mostri che il mare produce sotto la distesa marmorea delle acque. Questi semi (ogni essere vivente è un seme, cioè una particella staccata dall'essere universale) hanno un'energia ignea e un'origine celeste finché corpi nocivi non li rendono lenti e non li rendono ottusi gli organi terreni e le membra mortali. Per questo temono e bramano, si dolgono e godono e, chiuse le anime dalle tenebre e nell'oscuro carcere corporeo, non scorgono il cielo. Anzi, quando la vita nell'estremo giorno le ha lasciate, ogni male e tutte le malattie del corpo non si allontanano completamente dalle meschine anime, ma è destino che molti vizi, a lungo induritisi, attecchiscano profondamente in strani modi. Per questo sono gravate dalle pene e pagano le pene di antiche colpe. Alcune sospese sono distese ai venti leggeri, per altre il delitto commesso è lavato sotto un vasto gorgo ed è bruciato dal fuoco; ognuno soffre i suoi Mani; in seguito siamo mandati nel vasto Eliso e pochi occupiamo i lieti campi, finché un lungo giorno, compiuto il grande ciclo del tempo, cancella la macchia contratta e lascia puro lo spirito celeste e il fuoco della luce purificata. Tutte queste anime, quando per mille anni avrà finito di girare la ruota, il dio chiama al fiume Letè in grande schiera, s'intende affinché immemori rivedano le volte celesti e comincino a desiderare di voler tornare di nuovo nei corpi".
Le anime dell'Elisio sono in grado di prevedere il futuro e sapere in chi si reincarneranno tutti.
- Ai confini dell'Elisio, per uscire dagli Inferi, ci sono le due porte del Sonno: la porta fatta di corno è riservata alle vere ombre dei morti, per permettere loro di manifestarsi ai propri cari e tramettere sogni veritieri; l'altra porta è di candido avorio, destinata ai sogni fallaci e ai corpi viventi.
LA VITA ULTRATERRENA SECONDO CICERONE
Cicerone affronta la tematica della vita ultraterrana nell'opera filosofica De Republica; nel VI libro, del quale ci è pervenuta solo la parte conclusiva, intitolata Sogno di Scipione, Cicerone, proseguendo il ritratto del principe perfetto, collega gli ideali politici al cielo: dopo una giornata trascorsa con Massinissa, re di Numidia, a Scipione l’Emiliano appare in sogno l’avo Scipione l’Africano, che gli predice le future imprese e la misteriosa morte.
Cicerone non nomina nè il dio Ade nè il suo Tartaro nè l'Elisio. Più precisamente, l'Elisio, inteso come paradiso, si trova nella Via Lattea: è lì che si dirigono le anime dei virtuosi. Gli altri, prima di raggiungere la Via Lattea, sono costretti a vagare per la Terra per diverse generazioni. Il modo per guadagnarsi più facilmente un posto nella Via Lattea è quello di impegnarsi in politica e svolgere il proprio dovere verso lo Stato.
Una volta in "paradiso", le anime possono contemplare l'intero Universo, osservare la Terra dall'alto e rendersi conto di quanto sia piccola. Cicerone, quindi, ne apprifitta per descrivere l'Universo secondo la concezione geocentrica dell'epoca e di rapportarla alla morale e agli ideali politici. Questo messaggio fu particolamente apprezzato da Dante, al quale si ispirò durante la stesura del Paradiso.
"Ma perché tu, Africano, sia più sollecito nel difendere lo Stato, tieni ben presente quanto segue: per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della patria, si siano adoperati per essa, l'abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna. A quel sommo dio che regge tutto l'universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla base del diritto, che vanno sotto il nome di città.
[...]
(riferendosi ai defunti) Al contrario, sono costoro i vivi, costoro che sono volati via dalle catene del corpo come da una prigione, mentre la vostra, che ha nome vita, è in realtà una morte.
[...] «Se questa è la vera vita, come mai indugio sulla terra? Perché non mi affretto a raggiungervi qui?». «No», rispose. «Se non ti avrà liberato dal carcere del corpo quel dio cui appartiene tutto lo spazio celeste che vedi, non può accadere che per te sia praticabile l'accesso a questo luogo. Gli uomini sono stati infatti generati col seguente impegno, di custodire quella sfera là, chiamata terra, che tu scorgi al centro di questo spazio celeste. Scipione, coltiva la giustizia e il rispetto, valori che, già grandi se nutriti verso i genitori e i parenti, giungono al vertice quando riguardano la patria; una vita simile è la via che conduce al cielo e a questa adunanza di uomini che hanno già terminato la propria esistenza terrena e che, liberatisi del corpo, abitano il luogo che vedi, che voi, come avete appreso dai Greci, denominate Via Lattea.
[...] Sì, impegnati e tieni sempre per certo che non tu sei mortale, ma lo è questo tuo corpo: non rappresenti infatti ciò che la tua figura esterna manifesta, ma l'essere di ciascuno di noi è la mente, non certo l'aspetto esteriore che si può indicare col dito. Sappi, dunque, che tu sei un dio, se davvero è un dio colui che vive, percepisce, ricorda, prevede, regge e regola e muove il corpo cui è preposto, negli stessi termini in cui quel dio sommo governa questo universo; e come quel dio eterno dà movimento all'universo, mortale sotto un certo aspetto, così l'anima sempiterna muove il fragile corpo.
[...]
(a proposito dell'anima che è eterna) Tu esercitala nelle attività più nobili. Ora, le occupazioni più nobili riguardano il bene della patria: se la tua anima trarrà stimolo ed esercizio da esse, volerà più rapidamente verso questa sede e dimora a lei propria; e lo farà con velocità ancor maggiore, se, già da quando si troverà chiusa nel corpo, si eleverà al di fuori e, mediante la contemplazione della realtà esterna, si distaccherà il più possibile dal corpo. Quanto agli uomini che si sono dati ai piaceri del corpo, che si sono offerti, per così dire, come loro mezzani e che hanno violato le leggi divine e umane sotto la spinta delle passioni schiave dei piaceri, la loro anima, abbandonato il corpo, si aggira in volo attorno alla terra, e non ritorna in questo luogo, se non dopo aver vagato tra i travagli per molte generazioni".
[testo di Maria Belponer, Epica Antica, Principato]"