INF. DURANTE NELL'IMMAGINE UNA PAGINA DEL CANONE DI AVICENNA NELL'INCUNABOLO STAMPATO IN PADOVA NEL 1477 DA PETRUS MAUFER E CUSTODITO A ROMA NELLA BIBLIOTECA DELL'ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI

Scrive in un suo bel libro (pp.15 sgg) Giorgio Vercellin: "...Uno dei principali soggetti, nel bene e nel male, della diatriba fu Abu 'A1i Husayn Ibn Sina, noto in Occidente soprattutto come Avicenna, nato nel 980 nei pressi di Bukhara, importante centro carovaniero dell'Asia centrale allora governata dai Samanidi (819-1005).
Pur se di cultura iranica (la lingua che parlavano era il persiano), gli abitanti di queste terre, convertiti all'Islam a partire dall'ottavo secolo, erano parte integrante del vasto mondo musulmano che a quell'epoca si estendeva ormai dall'Atlantico al confine della Cina. In conseguenza di ciò la lingua della cultura e delle scienze anche a Bukhara era l'arabo, ed è appunto in tale idioma che Avicenna scrisse quasi tutte le opere composte durante i suoi viaggi per le terre islamiche, fino alla morte avvenuta nel 1037 a Hamadan.
Impegnato in prima persona nella gestione amministrativa e politica per conto di diversi sovrani (tanto che a un certo punto venne perfino sospettato di tradimento e imprigionato) e attivo nella pratica medica, ciò che maggiormente caratterizzava Avicenna era forse la memoria prodigiosa intrecciata a una grande libertà di pensiero.
Queste qualità, unite a una straordinaria capacità lavorativa, gli permisero di comporre opere fondamentali per la storia della cultura: Georges Anawati ne suddivide la produzione, che comprende 276 titoli inclusi gli scritti incerti e apocrifi, secondo i seguenti settori: filosofia generale; logica; linguistica; poesia; fisica; psicologia; medicina; chimica; matematica; musica; astronomia; metafisica; esegesi del Corano; mistica; morale; economia domestica; politica; profezia; epistolografia e varia.
...il ruolo decisivo di AVICENNA nella storia della cultura (scrive ancora Giorgio Vercellin) non risiede tanto nella quantità delle sue opere: ben più cruciale è stato il suo collocarsi come uno dei punti culminanti della rielaborazione della scienza greca da parte del mondo musulmano e - di conseguenza - come strumento della successiva trasmissione di quella scienza al mondo cristiano medievale [come si evince dallo studio del suo celeberrimo testo medico, il CANONE DI AVICENNA].
E' fin troppo noto infatti come sia stata proprio la traduzione in latino delle opere dei pensatori e degli scienziati musulmani a dare avvio alla Rinascita culturale dell'Europa meridionale dopo il periodo di stasi seguito al crollo dell'impero romano e alle invasioni barbariche.
Bisogna però tenere ben a mente che quest'attività, sviluppatasi nella Sicilia normanna e soprattutto nella Spagna dove convissero fino alla fine del XV secolo Musulmani, Cristiani e Ebrei, non solo permise ai dotti occidentali di riscoprire le fonti greche, ma li mise soprattutto in contatto con le rielaborazioni dei loro corrispettivi islamici.
Non si trattò cioè da parte degli Arabi di una pura e semplice trasmissione passiva (come talora si tenderebbe superficialmente a ritenere), bensì di produzioni originali: basti riflettere sul contenuto del pensiero cosiddetto averroista e sul ruolo che esso svolse nelle Università di tutt'Europa.
Vero è che, come notava ad esempio il Monneret de Villard nel suo saggio su Lo studio dell'Islam in Europa nel XII e nel XIII secolo "tutto questo lavoro [di traduzione], nel suo complesso gigantesco, compiuto nel XII secolo, ha avuto si può dire lo scopo unico di mettere a disposizione del mondo occidentale le traduzioni di opere scientifiche o filosofiche, alla ricerca soprattutto dei perduti capolavori del pensiero greco o di quelle cognizioni tecniche per le quali il mondo islamico di tanto primeggiava sul cristiano. Ma quale fosse veramente l'animo di questo mondo islamico, il suo pensiero intimo, in una parola la sua religione [e la sua vita, G. V.], pochi anzi sembra se ne preoccupassero".
"... nel Medioevo la cultura europea aveva tra le sue componenti costitutive, più o meno esplicitamente riconosciute, anche la cultura prodotta dagli intellettuali musulmani, tra cui appunto primeggiava Avicenna. In particolare poi a quell'epoca, filosofia naturale e medicina si sovrapponevano, avendo in comune quell'ampia area che oggi chiameremmo biologia. Si trattava pero di due tradizioni ben diverse, ognuna con la propria letteratura e le proprie autorità: per la filosofia Aristotele e per la medicina Galeno e, attraverso la lettura di quest'ultimo, Ippocrate. Ebbene, fu proprio nell'opera di Avicenna che quelle due tradizioni, appunto di Galeno e di Aristotele, si intrecciarono nella sintesi più completa e più feconda. Lo scienziato musulmano scrisse infatti sia quello che può essere definito il manuale per eccellenza della medicina galenica (appunto il CANONE, la chiara e ordinata summa delle conoscenze mediche al tempo del suo autore) sia il testo fondamentale per la biologia aristotelica nell'epoca medievale, cioè la sezione intitolata .Hayawan dello Shifa, la prima opera onnicomprensiva della letteratura filosofica che fornisse una dettagliata esposizione delle scienze greche, in primo luogo di quelle di Aristotele.
Qui dunque si trova la ragione per cui ad esempio Dante - che pure colloca nella nona bolgia dell'Inferno tra i "seminator di scandalo e di scisma" Maometto "storpiato" e 'Ali, suo genero e quarto califfo, addirittura "fesso nel volto dal mento al ciuffetto" (XXVIII, 31 e 35) - incontra invece Avicenna nel Limbo (IV, 143), tra "li spiriti magni" (IV, 119) "con occhi tardi e gravi, / di grande autorità ne' lor sembianti" (IV, 112-113), insieme proprio a "'l maestro di color che sanno" (IV, 131), cioè Aristotele.
Il Canone venne dunque considerato per secoli una vera e propria "bibbia dei medici", il testo medico per eccellenza sia nel mondo islamico sia in quello cristiano, nel quale ultimo Avicenna divenne celebre come princeps medicorum... Definizione peraltro più riduttiva rispetto a quella in uso presso i Musulmani, che lo riverirono "sommo consigliere e prova del vero". Per apprezzare la considerazione in cui egli era tenuto nel mondo islamico, si leggano le seguenti righe introduttive del capitolo sulla medicina, tratte dai Quattro discorsi di Nizami 'Aruzi (di poco posteriore ad Avicenna, essendo vissuto tra il 1106 e il 1155):
"I1 medico, dunque, deve essere di fede sicura e venerare i precetti e i divieti della nostra santa Legge. Deve avere a portata di mano [tra le grandi opere] della scienza medica gli Aforismi di Ippocrate, le Questioni di Hunayn figlio di Ishaq, la Guida di Muhammad figlio di Zakariyya' Razi, il Commento di Ni1i, che hanno compendiato i volumi [precedentemente scritti] e deve assimilarli. Dopo che ha studiato con un buon maestro, e dopo che ha approfondito con un insegnante coscienzioso l'analisi di libri intermedi come il Tesoro di Thabit figlio di Qurrà, o il Libro di Mansur di Muhammad figlio di Zakariyya' Razi, o la Guida di Abu Bakr Akhavayni, o ancora Quanto basta [in medicina] di Ahmad Faraj, o I fini [dell'arte medica] del signore Isma'i1 Jurjani, solo allora potrà procurarsi anche opere più vaste come I sedici [volumi] di Galeno, o la Sinossi di Muhammad figlio di Zakariyya' [Razi] o L'arte perfetta o i Cento Capitoli di Abu Sahl il Cristiano, o il Canone di Avicenna, o il Tesoro del Re del Khwarazm, leggendole nei momenti di riposo. [Comunque], chi intende dedicarsi a quest'arte, può a rigore fare a meno di tutti gli altri testi, limitandosi allo studio del Canone. Il Signore dei due mondi, Guida del genere umano e dei geni [Maometto], ha con l'autorità sua affermato: 'tutte le prede [che cerchi] sono nel ventre dell' asino selvatico'; allo stesso modo, tutto ciò che ho detto prima si trova nel Canone, con ben maggiore precisione. Chiunque ne studi il primo volume non resta ignaro di nessun fondamento o principio della scienza medica. Se Ippocrate e Galeno tornassero in vita, dovrebbero [anch'essi] rendere omaggio a una tale opera".
Proprio negli anni in cui Nizami 'Aruzi scriveva questi entusiastici elogi del Canone, l'opera diventava disponibile anche per gli scienziati occidentali grazie alla traduzione latina portata a termine da Gerardo da Cremona (m. 1187) a Toledo. Questo centro era divenuto una fucina di traduzioni dall'arabo, grazie all'attività dell'arcivescovo Raimondo (1125-115I) e dell'arcidiacono di Segovia Domenico Gondisalvi (più noto come Gundissalinus).
E' utile soffermarsi un attimo sul metodo con cui si svolgeva questa attività, perché esso mette ben in luce il carattere interconfessionale e universalistico delle scienze medievali.
Ecco come lo descriveva il Monneret de Villard: "l'avventuroso studioso europeo che prendeva la via della Spagna ed arrivava a Toledo era completamente ignaro della lingua araba e prendeva i primi contatti con qualche membro del clero cristiano indigeno (mozarabo), che naturalmente parlava il volgare romanico, conosceva più o meno bene l'arabo, ma non aveva nessuna preparazione scientifica che potesse renderlo atto a comprendere le grandi opere islamiche. I due assieme ricorrevano ad uno studioso ebreo: questo ignora il latino, ma sa bene l'arabo ed il volgare ed è uomo di cultura scientifica e filosofica. E' lui che traduce frase per frase il testo arabo in volgare; il mozarabo dal volgare lo rende in latino, naturalmente con tutta la difficoltà della sua impreparazione scientifica, della sua imperfetta conoscenza della lingua e della differenza di pronuncia col latino che parla lo studioso occidentale; questo infine cerca di dare una forma letteraria al testo che gli viene trasmesso col doppio veicolo del mozarabo e dell'ebreo. Si comprende quindi, attraverso un procedimento così travagliato, l'imperfezione di quelle traduzioni latine che sono giunte sino a noi".
La lettura proposta da Monneret de Villard può suonare oggi, alla luce di ricerche più recenti, un po' venata di esotismo romanticheggiante; nondimeno essa conserva una sua validità laddove mette bene in evidenza la complessità dell'opera e la sostanziale collaborazione tra studiosi appartenenti a diverse fedi religiose. Non solo, nonostante simili non trascurabili ostacoli, l'attività era a dir poco frenetica: basti segnalare che a Gerardo da Cremona sono attribuite circa un centinaio di traduzioni, tra cui appunto quella del Canone, un'opera enorme, monumentale, contenente oltre un milione di parole.
A1 fine di esporre con maggior chiarezza una materia così vasta, e di rendere più facilmente accessibile la consultazione dell'opera, già Avicenna stesso l'aveva organizzata in cinque libri , dividendoli a sua volta in sezioni (chiamate anche in Occidente fenn o fen, deformazione latina della parola araba fann [ = disciplina scientifica]). Ogni fen è ancora diviso (secondo una struttura che gli scienziati moderni chiamerebbero "ad albero", o "a cascata" in doctrinae, tractati e summae, a loro volta suddivise in capitoli.
Il primo libro si occupa dei principi generali della medicina teorica e di quella pratica: la costituzione del corpo, le cause e i sintomi delle malattie, la medicina preventiva, ed e completato da uno studio dell'anatomia umana.
Il secondo tratta della farmacologia dei semplici (di quella che fino al secolo scorso si chiamava materia medica, con un termine che si rifaceva all'omonima opera di Dioscoride): vi sono elencate circa ottocento droghe, soprattutto di origine vegetale.
Il terzo tratta delle malattie dei singoli organi, o meglio dei singoli sistemi, partendo dalla testa per giungere alla pianta del piede.
Il quarto, dedicato a quella che chiameremmo la patologia generale (sintomi, diagnosi e prognosi, tumori, ferite, ulcere, fratture ecc.) comprende anche trattati sui veleni, sull'igiene personale ecc.
L'ultimo libro, infine, discute la composizione e la somministrazione dei medicamenti (ossia di ciò che si chiama la farmacopea), e riunisce circa 650 ricette di triache, elettuari, pozioni, sciroppi ecc.
La traduzione di Gerardo ebbe all'epoca un enorme successo non solo per i suoi meriti intrinseci, ma anche per altre ragioni cosi sintetizzabili: innanzi tutto grazie all'immensa quantità di informazioni che racchiudeva, il Canone forniva ai medici occidentali una sintesi completa di tutto il sapere accumulato nei secoli precedenti sia nell'Occidente greco e romano sia nell'Oriente persiano, mesopotamico, ebraico, arabo, indiano ecc.
Questo aspetto, unito alla sistematizzazione organica di ogni argomento all'interno di una struttura teorica ben organizzata, e ancor più rafforzato dalla messa a punto di numerosi indici via via sempre più dettagliati, facilito grandemente l'adozione del Canone come manuale per l'insegnamento, senza contare che una simile struttura soddisfaceva in pieno il gusto scolastico per la classificazione logica.
Infine, ma certo non è meno importante, Avicenna collegava nel Canone la scienza medica di Galeno con la filosofia naturale e la teoria della scienza di Aristotele, il pensatore cioè che dal XII secolo dominò tutta la vita intellettuale occidentale.
Di conseguenza l' opera di Avicenna forniva importanti spunti per le discussioni, tipiche del contesto scolastico, sulle discrepanze fra filosofi e medici, in particolare fra Aristotele e Galeno, e quindi sollecitava nuovi sforzi per il superamento di posizioni precedenti.
Non meraviglia perciò che già nel 1309 nell'Università di Montpellier il Canone venisse raccomandato come uno dei manuali di insegnamento; più singolare forse che ancora nel XVIII secolo un'autorità nel campo della medicina come Gianbattista Morgagni lo commentasse durante i suoi corsi, mentre a Bologna esso conservò una posizione nominale. nei programmi universitari addirittura fino all'Ottocento.
In particolare un ruolo tutto speciale nell'insegnamento universitario ebbe il primo fen (De diffinitione medicinae, et subjectis eius et rebus naturalibus), breve testo che nel suo insieme costituiva una delle più chiare affermazioni disponibili dei principi sottostanti l'intero sistema della scienza medica insegnata nelle università dell'Europa medievale e rinascimentale.
Scontato apparirà a questo punto che l'invenzione dei caratteri mobili abbia avuto effetti positivi anche sul Canone, di cui prima del 1500 si ebbero undici edizioni a stampa complete e due parziali, mentre tra il 1500 e il 1674 ne apparvero almeno altre sessanta (sempre tra complete e parziali), senza contare il numero pressoché interminabile di commenti.
Né bisogna trascurare le edizioni in caratteri non latini, tra cui quelle in ebraico, lingua importantissima perché per lungo tempo rappresento il tramite attraverso cui la cultura occidentale venne a conoscenza della cultura arabo-musulmana.
[Notevole fu] il ruolo degli scienziati ebrei nella Toledo del XII secolo; ebbene, ancora nel 1530, quando a Venezia apparve una nuova traduzione del quarto fen del primo libro del Canone, l'autore, Jacob Mantino, criticando le versioni precedenti condotte sull'originale arabo (cioè quelle di Gerardo da Cremona e di Andrea Alpago) per le troppe oscurità nella resa del significato delle parole, annunciava di averle risolte nella propria opera basata su una variante ebraica!
Comunque sia, oltre a numerosi manoscritti, compendi, commentari ecc. in questa lingua, merita segnalare che fin dal 1491 apparve a Napoli (nella tipografia di Azriel ben Yosef Ashkenazi o Gunzenhauser) un'edizione a stampa del Canone in caratteri ebraici.
Dovrà passare un secolo prima che appaia a Roma, nelle celebre Tipografia Medicea Orientale, la prima edizione a stampa in caratteri arabi del Canone, pubblicato insieme ad estratti dall'opera metafisica ash-Shifa.
E dovranno passare ancora altri tre secoli prima che si abbia una nuova edizione in arabo, questa volta in un paese musulmano: nel 1877 il Canone venne infatti stampato in tre volumi al Cairo, dalla tipografia nota come Bulaq dal nome del quartiere in cui era situata.
Le edizioni dei classici che appaiono a stampa nel Cinquecento mettono in luce tentativi di migliorare la correttezza e la comprensibilità dei testi, caratteristiche non disgiunte dal desiderio di avere a disposizione versioni di maggior pregio, sia formale che sostanziale.
Questo processo, caratteristico di tutto il Rinascimento, legato anche a una più precisa attenzione nei confronti della relazione di Avicenna con le sue fonti greche, venne rafforzato dall'interesse umanistico per gli originali, al punto che si ripropose il problema di avvicinarsi al testo arabo stesso.
Non dimentichiamo infatti che la traduzione di Gerardo, peraltro ormai vecchia di oltre tre secoli, conteneva numerose parole arabe non tradotte ma solamente trascritte in caratteri latini, specialmente nomi di piante e minerali e termini della farmacopea e dell'anatomia.