cultura barocca
Vedi INTRODUZIONE ai "Libri Criminali" di Genova del 1556 (1557) STATUTI

STATUTI

CRIMINALIUM IURIUM
CIVITATIS GENUENSIS

LIBRI DUO
ANNO A CHRISTO NATO 1556 (ED. 1557)

[LIBRI DUE DEGLI STATUTI CRIMINALI
DELLA REPUBBLICA DI GENOVA
(SANCITI NEL 1556 - EDITI NEL SETTEMBRE 1557)]



LIBRO PRIMO
DEL MODO DI PROCEDERE
(INTRODUZIONE)
ALL'ILLUSTRISSIMO DOGE ED AI MAGNIFICI GOVERNATORI E PROCURATORI
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NICOLO' GENTILE SENAREGA, FIGLIO DI IACOPO, GIURECONSULTO, STEFANO CATTANEO FIGLIO DI ANGELO, PIETRO GIOVANNI CHIAVICA FIGLIO DI BATTISTA.

I saggi ci hanno tramandato, Illustrissimo Principe e Padri Chiarissimi, che la giurisprudenza, da tempo immemorbile, occupa un posto di previlegio sia fra le cose divine che umane sia ancora fra tutte quelle restanti arti che il genio dei mortali ha saputo creare. Ed in vero, se qualcuno, dubitabondo, vuol investigare su tanta vetustà, ben presto non mancherà di scoprire come nessun artificio umano possa ritenersi più remoto per la genesi e nello stesso tempo maggiormente glorioso, ai fini dell''incivilimento, a fronte di quella straordinaria capacità, nella regolamentazione dell'azione sociale, individuale e collettiva, che noi, senza remore, da sempre attribuiamo al diritto. Ed infatti fu proprio questo che, ai primordi d'ogni consorzio umano, quando neppur sussisteva la benché minima ideazione d'altre scienze, ebbe la possanza di riunire uomini ancora rozzi e primitivi, sparsi fra selve e senza alcun riparo che le fronde d'alberi selvatici, in un unico luogo ove dar forma e vita alla civiltà, per quanto inizialmente fragile e semplice. Ed è ancora il diritto che, guidando uomini dapprima insolenti per l'istinto ferino ma poi meglio avvezzati all'uso della razionalità, fu in grado di rendere miti e mansueti tutti i mortali. Finalmente costrutte delle città, appresa quindi l'arte di prestare e mantener fede, fatta propria la capacità di porre un argine agli istinti ed invece rispettare gli altrui pareri o consigli ed altresì posta una quieta regolamentazione del comportamento reciproco in virtù d'altre leggi, fu ancora l'arte del diritto che mostrò all'uomo civile come dedicarsi ad ulteriori ricerche di tante bellissime cose. Se ben si presta attenzione all'eccellenza del diritto, non è forse vero che la giurisprudenza sembra davvero sfiorare tutti i più svariati aspetti della filosofia, procedendo a guisa del costume che mostrano le api, quello d'assimilare il meglio possibile da ogni genere di soavissimi fiori su cui esse son solite posare. La filosofia, che costituisce nel suo insieme completamento e perfezione dell'anima, ha in sé implicita una duplice possanza, di investigare e conoscere, qualità che praticamente ha in comune con quel tipo di sapienza che si afferma nella pura contemplazione e nella valutazione dei fatti; suo scopo è quindi la ricerca e la conquista della verità pura, laddove invece il fine della giurisprudenza pare semmai costituito dalla proprietà di mettere un argine alla brama altrui, di modo che ogni cosa, qualsiasi affare od azione vien trattato per via d'un intelletto assolutamente libero di fini oscuri e vergognosi. Da questo genere di riflessioni s'evince facilmente che, al di là della sola ricerca della purissima razionalità, la giurisprudenza è fuor di dubbio la prima, per importanza ed onore, fra le discipline dei mortali; e ciò vien confermato dall'Etica di Aristotile, val a dire la disquisizione massima su questo genere di precetti: infatti secondo il costume della scuola Peripatetica, venendo conferto massimo rilievo alla metafisica, fu alla politica che si conferì un posto di rilievo rispetto alle restanti parti del pensiero umano. Ma poi che bisogno v'è di far troppe parole? quasi che noi facciamo adesso delle particolari discriminazioni sì che la civile prudenza, o meglio ancora l'avvedutezza politica, sia soltanto porzione e non piuttosto sublimazione della filosofia morale. E del resto, rigettata quest'ultima, quale giusto ordinamento potrebbe mai sussistere della fondamentale economia o reggimento della cosa pubblica e privata. Come peraltro conferma lo stesso Aristotele, è fuor di dubbio che le parti fondamentali del benessere della famiglia siano principalmente costituite dall'uomo e dal principio del possesso: fra queste due ultime cose, una ha a che fare coll'idea di sussistenza, l'altra colla generazione dei figli e quindi con la perpetuità della specie: del resto non è forse vero che per via delle normative che trattano di nozze e successioni questi argomenti son stati trattati con tanta accuratezza e razionalità da finire per occupare gran parte del diritto civile? Non poco davvero l'autorità delle leggi contribuisce alla regolamentazione degli animi, al componimento delle passioni e delle voluttà, cose che peraltro costituiscono parte fondamentale della filosofia morale. Mentre però la filosofia, coi soli esempi e coll'ammirazione della bellezza oltre che della bontà, che peraltro non tutti ascoltano ed a volte neppur ascoltandola ne vengono davvero conquistati, ha indubbiamente la forza d'abituare alla virtù i mortali, la giurisprudenza, tributando premi agli uomini dabbene e stabilendo al contrario delle pene per i malvagi, ha il gran vantaggio di fortificare gli onesti nelle loro idee e contestualmente d'esercitar coercizione su malvagi e reprobi, di maniera che in alcun modo, per via dei loro perfidi disegni, abbiano potestà di turbare il giusto equilibrio di quel consorzio civile che al contrario debbono saper sempre rispettare. Nella formulazione dei suoi precetti concorrono indubbiamente formule eleganti e regole illustri, sempre adattate alle più disparate esigenze. Indubbiamente per tutelare la giustizia è estremamente importante che, cancellato il vecchio costume da barbari se non da belve, per cui ognuno si può ritenere strapotente e pieno d'arroganza, la giurispredenza educhi gli uomini a rispettarsi reciprocamente, a far sì che ciascuno ami e segua l'ordinamento cui è stato assegnato e che ne osservi i disegni quasi con geometrica precisione e cura, inducendolo a ben guardarsi dall'avarizia, da qualsiasi turpe voglia di possedere senza alcuna regola, in definitiva obbligando chiunque a comportarsi in modo giusto e liberale. La disciplina del diritto sa peraltro educare alla temperanza, alla continenza, ad evitare quei generi infami di piaceri che è da uomini onesti desiderar di fuggire, è altresì in grado di indurre a vanificare le voglie peccaminose, può aiutare a dominare l'ingorda avidità, con saggi consigli sa infine instradare gli uomini lungo i sentieri della rettitudine. Per merito esclusivo del diritto e dei suoi esempi noi tutti, uniti da saggia solidarietà, siamo in grado di sopportare ogni situazione col concorso delle nostre reciproche forze e ricchezze: ed inoltre grazie al concorso della nostra mansuetudine e continenza possiamo facilmente aspirare all'ausilio di fedeli alleati e soci. Il diritto risveglia inoltre gli animi a compiere grandi gesta e rende tutti più saldi di fronte ai rischi perpetui della morte e delle sventure, fortificando in particolare tutti quei giusti che ben sanno come la saldezza civile dipenda non tanto dal numero degli uomini ma soprattutto dall'unione dei cittadini giusti, sì da rendere una pluralità di persone al pari d'un solo corpo saldo e robusto, tanto destinato a resistere nel tempo e ad opporsi ad ogni avversità quanto più saldo e duraturo sapranno essere l'unione e l'armonia delle parti: anzi, colui che avrà saputo prestar sempre fedele alle leggi dello Stato potrà con giustezza ritenere d'aver concorso a salvare se stesso come parte, minima ma pur sempre non da poco conto, del corpo ben più grande della Repubblica. Chi si atterrà al rispetto del diritto potrà addirittura sfuggire ad ogni sospetto di patimento d'ingiurie, avrà anzi giusta facoltà di non temere in alcun modo di cadere prostrato da qualche calamità contro di lui iniquamente perpetrata; a tal punto inoltre la giurisprudenza coinvolge e sostiene la saviezza del governare che anche da sola finisce per istruirla ai limiti della perfezione: ed è oltre ogni ragionevole dubbio che spesso questa intiera facoltà d'esperienza nel governo della giustizia può spesso essere rivolta a beneficio di quelle cose che cadono sotto la nostra consultazione, cose socialmente importanti, che per esempio hanno a che fare con pubblici interessi ed altre consimili attività, il cui perfetto espletamento costituisce senza dubbio l'esaltazione estrema d'ogni negoziazione.
E ciò che sopra ogni altra cosa si può giudicare meraviglioso è quel genere di vantaggio che, per via della giurisprudenza, comporta e promuove in modo elevato la nostra osservanza ed il nostro amore verso Dio ed incrementa lo studio di questa disciplina mentre, ancora, di per se stessa la perizia delle leggi e del governo, conferta eccellente organizzazione alla capitale dello Stato quanto alle sue province, comporta ogni buona istituzione tanto delle più disparate discipline quanto degli studi teologici e filosofici la cui voce non può far a meno d'esser ascoltata con giovamento tanto in periodo di pace che in epoca di guerra e calamità. Dall'epoca remota del suo nascimento e poi grazie a un diuturno, inarrestabile progresso, la giurisprudenza, che contestualmente si esplica anche sotto forma di buon discernimento nella corretta reggenza della cosa pubblica, rese possibile un estremo incremento del benessere dello Stato, con generale applauso e consenso, quando in particolare il vigore delle leggi concorse alla sua possanza, cosa che peraltro sembra derivare senza alcun dubbio da una semplice e razionale considerazione.
Di recente però voialtri Padri coscritti, valendovi di quella prudenza che ben s'adegua alla savia amministrazione e soprattutto d'una esemplare perizia di tipo giuridico, siete però giunti all'onesta conclusione che sia necessario rivedere le attuali leggi del nostro diritto, buone di per sé ma ormai non sempre idonee a dirimere contenziosi in crescente aumento e non di rado intrinsecamente rese vane dalla loro intrinseca vetustà, atteso in particolare il correre quasi a precipizio di tempi nuovi e controversi, tempi in effetti sì pieni di malizie del tutto ignote agli antichi che sembra oggi inevitabile rimetter mano ai codici, onde dirimere le troppe liti peraltro oggi frequentemente alimentate da nuovi e sorprendenti generi d'affari: è peraltro alla vista della ragione e dell'umana consapevolezza che fin troppi anni siano oramai trascorsi, ben centoquarantatre onde esser precisi, da quando Damiano Pallavicino, Giannotto Lomellino, Nicolò Tommaso Squarciafico, Uberto Spinola, Antonio Sergiano, Nicolò Sauli, Giovanni Pino, Giacomo Pico, tutti quanti illustri giurisperiti dell'epoca, in base ad un Senatoconsulto furono scelti per redigere, nel modo migliore possibile e soprattutto in maniera strettamente connessa all'esigenza di quei tempi, il corpo delle leggi criminali.
Scoperta quindi l'ineluttabile né prorogabile esigenza pubblica di surrogare le leggi antiche e di formularne di adeguate alle moderne esigenze, sempre comunque nel rispetto basilare dei fondamenti universali del diritto, per grazia di Dio cacciata dal Dominio ogni forma di tirannide e suscitata la civile concordia tra parti un tempo avverse, sì che attualmente sempre più si infervora per tutta la Repubblica il comune senso della collaborazione fra gli onesti e i giusti, dalla Signoria venne sancita l'elezione di tre probiviri in grado di perscrutare con critica esperienza le leggi della nostra e delle altre città italiane, d'esaminare per bene quello che si chiama diritto comune ed altresì i diritti, le norme giuridiche ma anche gli usi e le costumanze di legge che si posson riscontrare in tutti i codici attualmente in vigore nel territorio peninsulare: ai summenzionati tre giurisperiti, una volta conclusa l'onerosa ricerca e la doverosa rassegna dei casi, sarebbe quindi spettato il compito di dar fondamento alle nuove leggi della Repubblica
[passaranno non molti anni che anche a Genova come già a Venezia, coi privilegi connessi, verrà assegnato per sanzione imperiale il titolo di Serenissima], di modo che poi venissero raccolte e trascritte in un corpo comune di ordinamenti. Dopo che il Senato ha conferto proprio a noialtri tal laborioso compito, noialtri soprascritti, passati in rassegna gli ordinamenti stranieri, disquisito su tutte le leggi, visti i limite dell' antica giurisdizione criminale di Genova, siamo infine riusciti a dare sostanza ad un nuovo codice di leggi, che riteniamo possa concorrere alla pubblica felicità in vigore d'una forza nuova e tempestiva per arginare e punire il dilagare dei crimini: tutto questo nostro lavoro lo sottoponiamo ora alla vostra scienza, non senza preavvisarvi, Illustrissimi, che in alcun punto delle leggi ci siamo fatti scrupolo di deviare con malizia dalle linee istituzionali del diritto e della consuetudine legale solita in terittorio repubblicano: possiamo soltanto affermare che, per quanto resta umanamente possibile al genio di tre mortali qual noi siamo, abbiamo costantemente cercato di adeguare il diritto criminale genovese alle moderne esigenze, in maniera che, come detta la giustizia universale, massime punizioni tocchino ai più gravi reati ed al converso ben lievi siano le ammende pei minimi reati. Noi infrascritti, tuttavia, siamo ben consapevoli che la saviezza, i consigli e gli occhi di molti uomini, giusti e sapienti, hanno alquanta più energia dello sguardo o della scienza di pochi se non d'uno soltanto: proprio per questa ragione formuliamo quindi l'augurio, quanto mai fervido, che voi, Illustrissimi, perscrutiate con attenzione il nostro lavoro, discutendone con estrema cura: se infatti riterrete opportuno che in tal corpo di leggi criminali vi sia qualche cosa da emendare, surrogare od espurgare Vi assicuriamo la nostra collaborazione ed il totale rispetto dei vostri comandamenti. Accogliete ordunque, Ottimi Padri dello Stato, il frutto delle nostre ricerche e discussioni, quelle che per ora possiamo ancora definire primizie del lavoro da noi espletato: ciò che ci segnalerete di correggere e migliorare noi, Ve lo confermiamo, lo eseguiremo con celerità e pronta obbedienza.
In Genova nell' anno di Cristo 1556, al dì 16 del mese di Settembre.

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Genova Statuti Criminali, 1556 (1557), Tortura, Camera della Tortura, Reo, Rei, Infame, Colonna di Infamia, Diritto Intermedio, Pene, Procedure, Moratorie

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LIBRO PRIMO
DEL MODO DI PROCEDERE

Capitolo I (1)

Sulla giurisdizione e l'arbitrio del Pretore e dei Giudici nelle cause criminali

Il Pretore della Città di Genova ed il Giudice dei malefici abbiano potestà a riguardo di tutti i crimini e delitti pubblici e privati, ordinari e straordinari ritenuti commessi entro la città di Genova e nelle tre Curie pretorie del Bisagno, di Val Polcevera e Voltri, quelle che al giorno d'oggi il popolo è solito chiamare Podesterie.
I suddetti Magistrati abbiano potestà sui misfatti di sopra vien fatta menzione tanto nel caso che si agisca per querela, per denuncia oppure d'ufficio, non correndo alcuna denuncia, se non più estesamente ancora tramite qualsivoglia altro modo. Parimenti abbia potestà come sopra qualunque altro Magistrato e Giudice, sia in Genova che nel territorio soggetto alla città, cui spetta od è demandata la giurisdizione di istruire un processo sui crimini citati e, se necessario fatti tradurre in carcere i rei, sia lecito amministrare la giustizia punendo quelli, che si siano trovati colpevoli, secondo il modo che risulterà pertinente alla giurisdizione dei Magistrati medesimi e naturalmente conforme alle nostre leggi.
Questi Giudici abbiano parimenti totale arbitrio su tutte queste cose, dipendenti, annessi e connessi, nel costante e pieno rispetto della forma degli statuti, contro la quale nessuno mai possa attentare od iniquamente gravare. Inoltre tutti i giorni il Pretore ed i restanti Magistrati debbano recarsi nelle loro Curie e lì amministrare la giustizia dal mattino fin all'ora terza e di nuovo dall'ora nona fin al vespro. Diligentemente, per tutti i giorni dell'anno, assista il Giudice uno scrivano estratto a sorte fra quanti assistono la Curia il quale, in presenza del Magistrato debba trascrivere gli atti della Curia, a meno che non sopravvenga qualche sì grave impedimento che né lui né il Giudice o nessuno dei due possa amministrare il diritto, e fatta eccezione pei dì festivi in cui non sia da da trattare la legge in Curia che sono le Domeniche, i giorni del Natale, compresi i due successivi, dell'Ascensione, della Pentecoste coi due susseguenti, per la solennità del Corpo di Cristo, delle Festività per Natività, Annunciazione, Purificazione e Assunzione della Beata Vergine e per la Natività del Divo Givanni Battista e di tutti gli altri Apostoli ed Evangelisti. Sarà tuttavia lecito sporgere querele e denunce, e per il Giudice, indagare d'ufficio nel caso che sia occorsa qualche urgente necessità od abbia richiesto ciò l'atrocità del delitto che eventualmente sia stato commesso.

Capitolo II (2)

Del modo in cui i Rettori di ville e luoghi debbano fare le denunce

Tutti i delitti di qualsiasi genere, che risultino commessi nelle Podesterie del Bisagno, della Polcevera e di Voltri, dai singoli Rettori vengano segnalati entro due giorni al loro Pretore. Inoltre, nel medesimo arco di tempo, questi depositino presso gli atti della Corte Pretoria cittadina ogni informazione relativa a quei delitti che comportino pene capitali, corporali o comunque l'esilio del reo; abbiano contestualmente il dovere di indicare con zelo e buona fede luogo e momento del crimine, nome e cognome della vittima, del reo e degli eventuali testimoni che abbiano assistito al delitto o ne siano stati a conoscenza: doviziosamente registrino altresì tutte le circostanziate referenze che sian o riusciti a raccogliere sugli eventi accaduti e sulle persone rimastevi coinvolte. In tutti i rimanenti luoghi del Dominio restino invece concessi ai Rettori, per le denunce, non due ma tre giorni di tempo. Chi, però, avrà, a ragion di negligenza o frode, nascosto al Magistrato qualsiasi utile informazione su delitti di qualsivoglia natura pagherà la multa di tre lire genovesi trattandosi di pene nummarie ed un'ammenda e da quindici a cinquanta lire nell'evenienza di condanne corporali:, sempre che il contravveniente abbia addotto ragioni di diritto per cui, ad arbitrio del Magistrato preposto, possa venir giustificato il suo comportamento. Gli abitanti dei luoghi dovranno inoltre sempre sveltamente segnalare ai propri Rettori qualsiasi impedimento loro occorso al doversi far per tempo le denunce [nel XVI secolo si assiste ad un graduale processo di ridimensionamento dell'autorità delle Curie Locali a scapito della Curia Centrale di Genova cui finiscono per spettare tutti i grandi crimini, in particolare quelli comportanti anche pene corporali fino alla morte sul patibolo]

Capitolo III (3)

Sulle notificazioni che dovranno fare i Chirurghi

I medici vulnerarj, che cioè curano ferite corporali e che ormai più diffusamente vengono chiamati Chirurghi, ma in senso ancora più esteso coloro che in qualsivoglia forma pratichino la chirurgia, siano tenuti a notificare alla Curia criminale od ai Giudici quanti feriti o percossi, non fa conto se maschi o femmine, essi abbiano medicato. Detta notificazione debba sempre cadere entro l'ora prima di notte se nel dì precedente abbiano prestati i lor servigi a qualchesia ferito oppure nel giro di due ore dal sorgere del sole successivo alla notte in cui si siano prodigati a curare simili accidentati. Forniscano altresì con zelo i dati più precisi possibile sul numero delle ferite riscontrate, sul tipo e sulla denominazione delle armi che ne furono causa: ragguaglino parimenti se l'individuo ferito o percosso, anche per un sol breve attimo, abbia o no corso qualche pericolo di vita. Contravvenendo a queste normative i suddetti medici vulnerari verseranno entro otto giorni al fisco repubblicano una multa che il Giudice, a suo libero arbitrio, potrà fissare da cinque fino a dieci scudi. Non saldando quest'ammenda i chirurghi restino coartabili sino al punto di pagare quanto sancito: in occasione poi di una loro perdurante resistenza toccherà al Giudice anticipare di tasca propria le ammende inflitte. Questo inoltre stabiliamo, che almeno in Genova e suoi suburbi si debba osservare senza la minima possibilità di remissione.

Capitolo IV (4)

Del modo di farsi le visitazioni od investigazioni

Appena il Pretore o la sua Curia od anche il Giudice dei Malefici abbiano appreso che qualcuno è stato percosso o ferito gli intimino di presentarsi al lor cospetto, sempre che costui non risulti sì prostrato, per le lesioni patite, da non aver forza bastante ad ottemperare a tal mandato.
Nel caso poi che la vittima si trovi in grave pericolo di vita solo il Giudice dei Malefici, l'Avvocato Fiscale ed il notaro di Curia siano autorizzati a portarsi presso il suo capezzale onde ispezionarne stato e condizioni. Verificandosi però un qualsiasi serio impedimento che trattenga lontano il Giudice o l'Avvocato, basterà la presenza dell'uno o dell'altro, in compagnia del notaro o quantomeno del sottoscrivano, purché sempre notaro: in circostanze sì eccezionali da non poter sovrintendere alla visitazione né il Giudice né l'Avvocato, anche il solo notaro potrà espletare siffatto incarico purché egli sia munito d'una speciale autorizzazione del Pretore.
Chiunque sia incaricato di svolgere questi compiti, prima d'ogni altra cosa, debba interrogare con minuto zelo chi rimase ferito o venne battuto e quindi appurare al meglio il motivo dell'aggressione, le generalità degli stessi aggressori o di quali che siano le persone sospettate dalla vittima, nel caso ch'essa manchi di certezze. L'investigatore analizzi inoltre con attenzione la tipologia di ferite o percosse, sì da poter ricostruire le modalità dell'attentato: eppure tralasci di ricostruire con lodevole esattezza gli estremi cronologici e spaziali del crimine. La vittima reticente possa venir costretta a riferire quanto deve con una pena nummaria da cinque a cento scudi aurei, comminata secondo arbitrato insindacabile del Pretore e dell'Avvocato Fiscale. Nel caso poi sia stato perpetrato un omicidio, l'investigatore esamini con cura il cadavere della vittima ed ispezioni il sito di tal crimine, raccogliendo testimonianze di vicini, persone note, parenti e domestici dell'ucciso e più estesamente di quanti abbia egli scoperto esser stati presenti sul luogo al momento del delitto: si informi con oculatezza delle generalità, condizioni sociali e patrimoniali della vittima, oltre che dei suoi assassini e di quanti furono complici nel misfatto. Lo scrivano dei malefici, seguendo sempre zelante chi vada investigando, per sua parte registri con massima precisione ogni cosa nel Libro delle visitazioni. Allorché si sian rivelati palesemente mendaci o reticenti, i testimoni oculari di questi delitti potranno venir obbligati a parlare nella maniera che è sancita in questo secondo libro delle cause criminali al capo che detta sul modo d'obbligare i testi.
Per quante volte sia stato necessario recarsi in aree cittadine a compiere ricognizioni e visitazioni, venga pagata la somma di trentanove soldi a Giudice, Avvocato Fiscale e Notaro: a quest'ultimo spettino quindi nove soldi, mentre della restante cifra si faccia esatto riparto tra Giudice e Avvocato. Allorquando il sito, ove si verificò un crimine, sorga nei suburbi, dal ponte rotto fin a Genova, compresa l'ampia piana degli orti del Bisagno, e poi ancora dal capo di Faro e dal Castellaccio fin sempre in città, lo Stato debba un compenso superiore a quello precedente, di cinquantadue lire per la precisione, che saranno ripartite in modo tale che ne spettino dodici al Notaio mentre le metà esatte della quota rimanente si assegneranno a Giudice e Avvocato. Fuori città ed all'esterno dei luoghi suburbani sopra menzionati, il compenso aumenterà ancora ed in modo ragguardevole onde giungere al totale di nove lire e quattro soldi, che poi risulteranno ripartite in due lire per il Notaio ed in tre lire e quindici soldi rispettivamente a pro di Giudice ed Avvocato. Accade di frequente che oltre a costoro, per tali visitazioni ed a titolo di custodia e sicurezza, venga convocata una guardia armata, di quelle che ai giorni nostri si dicono del Bargello: sanciamo qui che per compenso le sian dovuti sei soldi in merito d'ogni missione di città, otto per quelle entro i suburbi e ben trenta in occasione di trasferte per visitazione nei Distretti. A questi compensi sarà altresì da allegare quanto dovuto per la cura dei cavalli ed il vitto. Tutte le predette spese resteranno comunque a carico di chi sarà stato incolpato del crimine dalla sua vittima e contestualmente dell'individuo a cui caricosi siano accomulati indizi bastevoli ad istruire un procedimento giudiziale. Può tuttavia facilmente verificarsi che venga accusato un nullatenente o che non sussistano prove sufficienti ad accusare chicchessia: in tali evenienze le spese di cui sopra verranno saldate dai Magnifici Procuratori, non senza però che si sia tenuta un'oculatissima requisizione per accertare l'esistenza d'eventuali proprietà dell'inquisito. Quando, come sopradetto, le visitazioni verranno svolte fuori città, le spese saranno invece a carico dei Rettori di villa e degli uomin delle Rettorie nel cui territorio venne perpretato il crimine: a costoro spetterà naturalmente il diritto di rivalsa contro la persona riconosciuta colpevole sotto forma di confisca dei suoi beni. Quando al contrario il misfatto comporterà esclusivamente una pena nummaria, al momento della visitazione si mettano sotto sequestro i beni dell'incolpato solo per quanto possa occorrere sia in merito alle spese di cui si disse che alla condanna da fissare.
Si confischino per intiero beni mobili ed immobili, finché non si giunga alla pronuncia definitiva, soltanto nell'evenienza di comminare qualche altra condanna: ma se l'accusato non verrà incolpato di tutto, sarà bastante che egli dia opportuna ed esauriente garanzia di sè.

Capitolo V (5)

Limiti di tempo entro cui si possano istituire accuse, denunce ed inquisizioni

Nessuna accusa, alcuna denuncia od inchiesta su qualche lite e maleficio o vero e proprio delitto, fra quanti sian stati perpetrati nel contesto della città di Genova o dei suoi Distretti, per cui si debba istruire un processo cui possa seguire una condanna per cui un reo di schiamazzi e baruffe debba venir multato in denaro, possa avvenire né essere accolta dalla Curia oltre dieci giorni da quando sia stato commesso il crimine in oggetto. A proposito invece di tutti quegli altri delitti per cui si debbono irrogare pene nummarie, le summenzionate accuse, denunce od inchieste possano venire accolte nel giro di un mese, detratti quei casi particolari in cui si concede fin ad un anno pur di inoltrare un'accusa. Per i crimini commessi alla luce del sole ma di cui si ignora il colpevole non si concedano dilazioni, sussistendo pubblica nomea del delitto: piuttosto una volta che si è venuta a conoscere il nome del criminale si proceda immantinente, sempre che non sia nel frattempo trascorso un triennio dal giorno in cui fu perpetrato il crimine. In tutte le altre circostanze, a ragion delle quali - nel rispetto della forma di questi statuti criminali e del diritto comune - qualcuno dovrà essere punito fisicamente, si proceda, tanto nell'accusa che nella denunzia e nell'inchiesta, secondo i tempi fissati dal diritto ordinario.

Capitolo VI (6)

Sul modo di perseguire i MALFATTORI

Il Pretore di città e tutti i giusdicenti incaricati di criminali inchieste abbiano potestà di perseguire e di incalzare qualsiasi delinquente fin all'auspicabile segno d'assicurarlo alla custodia del carcere: per tal fine resti sempre sancita per questi Magistrati piena ed ampia facoltà d'addivenire all'uso d'ogni mezzo inquisitoriale riconosciuto per lecito in questi nostri capi criminali. Può comunque verificarsi che ad un fra i suddetti inquirenti non spetti giudicare il criminale catturato e in tale evenienza abbia egli il subitaneo dovere di trasmetterlo, assieme ai documenti che lo riguardino, nelle mani del Magistrato che di volta in volta abbia competenza sulla causa; non potrà tuttavia darsi estradizione fuor della giurisdizione genovese se non quando sian da comminare tormenti fisici e comunque ad assoluta condizione che intercorra esplicito mandato senatoriale: in occasione di pene nummarie basterà invece darsi cura che il reo si presenti al Giudice competente entro il giro di legge dei 15 giorni sì che, provvedutosi a tal fine, lo si possa rimettere a piede libero. Per siffatta cagione, nel medesimo arco cronologico poco sopra fissato dal diritto, l'inquirente sarà tenuto a denunciare in iscritto, agli atti di quella Curia ove eserciti il Magistrato della causa, la remissione e la cauzione data in malleveria.
Mancando nel rispetto di quest'ordine, lo stesso Giudice sarà punito coll'ammenda corrispondente corrispondente alla quarta porzione del suo stipendio, sia che l'abbia riscosso o meno.
A chiusa di capitolo sanciamo altresì che a tutti i funzionari della giustizia, ufficiali, guardie o ministri di legge, concorra irrinunciabile dovere di prestare il meglio di sé onde catturare i colpevoli malfattori: resti tassativamente proibito a chiunque, per sue fraudolente motivazioni, intralciare od impedire, con qualsivoglia mezzo od espediente, la missione di gendarmi e servitori della Curia. Chi avrà perpetrato siffatte iniquità non potrà evitar di incappare nei severi lacci del capo criminale, di questi nostri Statuti, ove son dettate le norme da seguire avverso quanti, fuor del lecito, s'affaccendino a pro d'un reo di malefici, sottrarlo alla legge, con forza o frode, prima che, finalmente condannato, espii i suoi crimini od anche si diano da fare per causar moratoria se non addirittura procurare impedimento alle esecuzioni criminali.

Capitolo VII (7)

Sui doveri dello scrivano preposto a redigere atti riguardanto i malefizi

Lo scrivano del Pretore, preposto per via di sorteggio alle registrazioni dei malefici, allestisca con ragguardevole zelo sette libri di carta bombicina o di papiro, ben rilegati uno ad uno entro registri di pergamena. Nel primo di questi libri si trascrivano le accuse mosse a riguardo dei malefici commessi ed i processi istruiti al riguardo. In un secondo volume vengano invece registrate le notificazioni e le denunce esposte su quegli stessi malefici. Nel terzo debbano poi trascriversi tutte le inquisizioni che il Pretore od il Giudice straordinario conducano d'ufficio. Al quarto libro spettino quindi le visitazioni che si dovranno fare, al quinto l'esame straordinario, al sesto la progressione del processo ed infine al settimo le attestazioni e le testimonianze sia favorevoli che contrarie al reo. Lo scriba registri, minuziosamente ed in estrema fedeltà ma sempre in lingua volgare, tutto quanto venga riferito dai testimoni sentiti, riproducendo alla lettera le loro parole, nel massimo rispetto possibile di forma e maniera espositiva oltre che di stato emozionale. Allorquando poi nei luoghi istituzionali si sia verificato qualche incidente di trascrizione, un Notaio vidimi e faccia fede a proposito delle parole cancellate. Lo scrivano inoltre registri profusamente tutte le visitazioni fatte, assista sempre all'interrogatorio dei rei, annotando con puntualità ogni cosa senza mai violarne la segretezza giudiziaria fino al momento in cui sarà stato pubblicato il processo e ne sarà stata data trascrizione negli atti della causa. Lo scriba soccorra continuamente, con zelo e volontà, il Magistrato cui fu assegnato dalla sorte, sovvenendolo in tutte le esigenze della professione e soprattutto sia svelto e celere nel rendersi pronto e disponibile ogni momento che venga richiesto. Allo scrivano spetti pure il compito di trascrivere i testi delle condanne e degli editti promulgati avverso quanti siano stati esiliati. Rediga inoltre in forma pubblica tutti gli atti di sua competenza mai contravvenendo al tempo massimo concessogli, che è di tre giorni, e quindi dopo che quelli siano passati in giudicato, nel giro di 15 giorni, trasmetta gli atti stessi allo scriba e Custode dei libri delle condanne e degli editti. Resti altresì obbligato nel giorno stesso in cui si sian fatte le visitazioni a rendere dettagliata denunzia nella persona del Pretore e del Giudice dei Malefici: in caso contrario la sua negligenza verrà multata per 25 lire.

Capitolo VIII (8)

Sul modo di formare un'inchiesta giudiziaria

Il Pretore, il Giudice dei Malefici o qualsivoglia altro giusdicente, cui spetti far indagini sui crimini perpetrati od investigare su qualunque genere di maleficio, poco conta se questo sia stato denunziato direttamente in Curia o di cui altrimenti sia stata fatta cognizione, possano agire avverso chi abbia commesso il delitto, a patto che non siano passati i limiti di tempo di cui s'è disquisito nel capo criminale precedente che detta "entro qual tempo massimo siano da istruire accuse, denunzie ed inquisizioni" od in casi peculiari fuor della forma e dei tempi sanciti in altri specifici capitoli di questi nostri ordinamenti criminali. Per esser ancora più precisi ordiniamo che un'inchiesta giudiziaria od un processo possano essere intrapresi entro quindci giorni da quello in cui un maleficio sia stato denunziato alla Curia o comunque da quello in cui venne occolto come altrimenti dal giorno in cui un reo sia caduto in potestà della giustizia. La causa venga peraltro decisa entro lo spazio di tempe che risulta concesso secondo quel che detta il capo criminale intitolato "Entro qula tempo debbano venir concluse le cause criminali". In seguito, allo scopo d'istruire l'inchiesta, il Giudice abbia facoltà chiamare tutti i testimoni che voglia e contestualmente la parte offesa, come pure i suoi eredi od ancora chiunque altro abbia licenza di far accusa su un'offesa perpetrata o comunque d'esser presente alla dsicussione di tal causa, possano produrre tutti coloro che siano in grado di concorrere utilmente all'espletamento del processo. Inoltre ad un accusato od inquisito, che si levi innanzi ad un Giudice e si costituisca ai suoi mandati, sia lecito produrre a sua discolpa tutti i testimoni che ritenga opportuno, sempre che ciò non venga espletatato del procuratore del summenzionato reo, in occasione di quel genere di cause in cui, secondo la forma di queste nostre norme statutarie, sia riconosciuta la facoltà d'avvalersi d'un procuratore come si dice qui più espressamente nel capo criminale che detta sul modo di procedere contro quanti non siano in stato di contumacia. Siano tutti quanti tenuti a prestare giuramento e possano venire esaminati secondo le modalità e le forme che vengono menzionate sotto voce del capo penale qui dettante a riguardo dei testimoni chiamati al loro dovere, da espletare conformemente a quanto espresso nel precedente volume riguardante le cause civili.

Capitolo IX (9)

Cosa debba ben ponderare chi inoltra una denuncia od un'accusa

Nell'occasione che qualcuno sia stato accusato d'aver perpetrato un qualche delitto o crimine od il suo nome sia stato deferito ad un Magistrato, l'attore dell'accusa od il delatore o chiunque altro, nei limiti fissati dal diritto, abbia inteso comparire a titolo d'accusatore, sempre dia malleveria o garanzia presso l'attuario o cancelliere della Curia, ove operi il Magistrato preposto, in occasione che si debbano poi risarcire danni e spese a pro di chi risulti essere stato accusato o denunziato, accadendo per esempio che non tutto sia proceduto secondo le direttive di legge oppure che gli stessi accusatori o denunzianti non abbiano fornito sufficienti prove a suffragio delle loro ragioni, se non addirittura, nell' evenienza peraltro non rara, che abbiano desistito dall'azione legale o comunque v'abbiano rinunciato sì da non proseguire ulteriormente la lite. In senso più esteso qui noi, di conseguenza, ordiniamo che, allorquando realmente sovvenisse l'obbligo di risarcire un qualche danno a comodo di chi sia stato ingiustamente accusato o denunziato, resti comminabile una cifra, da dieci soldi fin a dieci lire genovesi, per ogni giorno che l'innocente vittima abbia dovuto trascorrere in carcere: in tutto ciò naturalmente concorrerà sempre l'arbitrio insindacabile del Pretore oppure del Giudice, che avranno cura di prendere sempre le loro decisioni tenendo ben conto della condizione socio-economica delle persone, dell'entità del crimine commesso oltre che delle peculiarità di chi sia stato accusato, denunziato e quindi detenuto. Del resto in base allo stesso diritto ordinario risulti nulla l'accusa o la denunzia e resti parimenti privo di valore e cassato ciò che, dalle accuse o delazioni che siano, possa in qualche modo esser derivato di conseguenza e così l'accusato, o denunziato che sia, venga liberato con prontezza nel caso risulti ancora detenuto in prigione. A prestare malleveria presso l'attuario non sia certo tenuto chi abbia d'ufficio l'obbligo di deferire alla giustizia gli eventuali rei: farà unica eccezione il caso in cui un di questi collaboratori della legge abbia mosso scientemente e con fraudolenza una qualsiasi accusa o denuncia avverso qualsivoglia innocente onde recargli grave nocumento: in siffatta occasione tal cattivo soggetto venga allora arrestato e quindi punito. Inoltre il Giudice preposto alla causa, entro gli otto giorni successivi a quello dell'assoluzione o dell'osservazione del giudizio, abbia facoltà d'obbligare al rispetto dei loro impegni tanto chi inoltrò l'accusa quanto chi denunziò od intese assistere alla causa, sì da poter quindi agire tanto contro la persona quanto avverso i beni della stessa e di conseguenza, con tutti i mezzi e rimedi possibili, trovarsi in condizione di obbligare chiunque, fra tutti costoro, al risarcimento delle spese sostenute da chi iniquamente accusarono o denunziarono, speciamente una volta che costui ne abbia dichiarato l'entità, dopo aver prestato un giuramento al quale, premessa un'opportuna valutazione da farsi ad opera del giusdicente, noi vogliamo si debba sempre credere.
Nel caso che non siano occorsi danni evidenti chi abbia mancato nell'avanzare accuse o denunce sarà costretto, come si disse, a pagare una cifra corrente da dieci soldi a dieci lire genovesi per ogni giorno in cui, a sua responsabilità, una qualche persona si trovò accusata, denunziata o detenuta, rigettati tutti i diritti, le eccezioni e le opposizioni. In caso opposto però il risarcimento potrà essere portato dal Giudice fin alla somma di venticinque lire. Ed inoltre, anche quando sia trascorso il tempo fissato per legge, il menzionato responsabile resti sempre tenuto a soddisfare tutti gli oneri di cui si è fatta menzione ed ancora nel caso sia venuto meno verso tutto ciò, soddisfi allora i suoi debiti attraverso una rivalsa sulle proprietà.

Capitolo X (10)

Sul modo di procedere contro accusati ed inquisiti contumaci

Se un individuo d'età superiore ai vent'anni sarà stato accusato od inquisito d'un qualche maleficio od il suo nome sarà stato denunciato al Magistrato, il Giudice, risultando semplice trovar quello nella di lui casa d'usuale abitazione, trattandosi di cittadino genovese od abitante di città od ancora dei suburbi se non anche dei Distretti, per iscritto o verbalmente secondo suo conveniente arbitrio, lo farà citare innanzi a sè valendosi d'un messo o pubblico usciere. In assenza di reperibilità il Giudice provvederà invece a far convocare il reo, per mezzo del pubblico precone, ad alta e ben chiara voce nei luoghi consueti della città sì che, lungo un arco di tempo che può andare da tre ad otto giorni secondo l'arbitrio del Magistrato stesso, il ricercato faccia comparizione di sé: solo allora potrà rispondere quanto riterrà opportuno a tutte le obiezioni mossegli. Ma se non si sarà presentato in Curia entro tale periodo, il reo, per una seconda volta e nella maniera prescritta ma allegata questa volta la pena del crimine come se lo stesso risultasse confessato e provato, venga ancora citato a presentarsi entro un nuovo tempo da fissarsi per bene: nella fattispecie non possa comparire, ad esporre ed avanzar come detto obiezioni su qualsiasi argomento, prima di di quindici giorni e più in là di trenta. E nel caso abbia adempiuto a tutto ciò, gli venga riconosciuta la facoltà di giustificarsi e difendersi. Né possa far difficoltà all'azione legale il fatto che tutto ciò non si verifichi per la ragione che il suddetto reo resti contumace. Nella causa si proceda quindi alla maniera che risulta menzionata entro il successivo capitolo. Qualora in verità il reo sia comparso senza il rispetto della summenzionata procedura lo si fermi come se avesse spontaneamente confessato il delitto, le di lui caratteristiche e di quelle fosse stato irrefutabilmente provato responsabile. Chiamato quindi come sopra, di persona o a casa sua o per mezzo d'un precone ad ascoltare la sentenza da votare (qualora si sia presentato) sia ammesso ad oprare nel modo predetto. Al contrario si proceda alla pubblicazione della sentenza ed il reo venga condannato per tutte quelle colpe di cui sia stato denunziato od inquisito. Qualora il Giudice non abbia tuttavia pronunciato la sua sentenza entro i prefissati limiti di tempo (che deve in assoluto rispettare come abbiamo scritto nel capo precedente che al proposito detta "entro qual tempo si debbano terminare le cause criminali") non sussista facoltà di proroga, finché almeno una seconda volta e nel rispetto delle precitate modalità il reo non sia stato riconvocato ad ascoltare la sentenza. Se poi questo criminale, come già dicemmo avrà fatta finalmente comparizione di sè in Curia, lo si ammetta alla causa, altrimenti si proceda in sua contumacia. Per il Giudice preposto od il suo successore, entro quindici giorni esatti successivi alla pronuncia della sanzione, sia tassativo farla pubblicare e quindi divulgare per via del precone, apponendovi il nome ed il cognome del condannato, quindi la qualità del delitto e poi la pena se al colpevole si dovrà comminare l'esilio o qualche punizione d'ordine corporale. Se invece lo si dovrà multare con sanzioni nummarie basterà che la sentenza venga pronunciata innanzi agli scanni della Curia stessa. Se poi, dopo quindici giorni da tale enunciazione, il reo sarà comparso od in qualche altro modo sarà pervenuto in potestà del Giudice, si dovrà addivenire alla sua ammissione e si procederà non sussistendo più l'eccezione della contumacia. Contrariamente la sentenza resterà valida e definitiva e lo stesso, che risulterà condannato per quel crimine, verrà reso esule in base ai canoni dello stesso diritto e finalmente risulterà ascritto qual esiliato nel Libro degli Esuli. Allorquando la sentenza sarà stata pronunciata in Genova o nelle tre Curie pretorie, lo scrivano stenderà quindi per iscritto gli atti del processo, la sentenza e l'editto d'esilio ed entro quindici giorni consegnerà il tutto redatto in pubblica forma al notaro dell'archivio o custode delle cause criminali: qualora invece il procedimento si sia svolto in altri siti del Dominio si concedano al contrario trenta giorni per la registrazione di atti e sentenza. Il condannato fatto esule per legge, qualora sia caduto in potere della giustizia in Genova o nei Distretti, venga subito tradotto in carcere e quindi rimesso all'autorità di quel Giudice che ne trattò la causa nell'evenienza che costui, al momento dell'arresto, stia esercitando nella città di Genova: si provvederà altrimenti a rimettere il reo nelle mani del successore di tal Magistrato e quest'ultimo dovrà far subito eseguire la sentenza, non frapponendo indugi né mai incorrendo in alcuna eccezione.

Capitolo XI (11)

Sulla maniera di procedere avverso rei non contumaci

Un accusato o denunciato o comunque inquisito d'ufficio, una volta che sia comparso davanti al giusdicente onde difendersi, o comunque sia giunto in potestà di quest'ultimo per qualunque altra ragione, risponda in modo specifico, domanda per domanda, con buon ordine e soprattutto in modo sincero alle domande che gli verranno poste. Non sia peraltro concesso avanzare qualche eccezione nè tantomeno abbia facoltà d'accettarla l'inquirente, prima che, come si disse, il reo non abbia fornito le risposte necessarie: ed in questo capo ci referiamo indistintamente a qualunque genere d'eccezione, dilatoria quanto declinatoria o perentoria. Se comunque il reo avrà diritto a qualcuna fra queste, a parte la delatoria, una volta che, come summenzionato, avrà fornito le risposte di legge, potrà avvalersene a titolo di difesa contro le accuse od a ragion di probatoria: trattandosi invece d'eccezione dilatoria la possa avanzare solo entro tre giorni dopo quello in cui abbia risposto a quanto dovuto. E lo si rinchiuda in carcere ritenendo che il melefizio di cui sia stato accusato o denunciato sia un di quelli che comportano tormenti corporali mentre in occasion di colpe punibili per via d'ammende nummarie o comunque d'altri reati per cui la condanna non comporta violenze fisiche si faccia ben conto ad opera del cancelliere della causa di attenersi al diritto, all' obbligo del pagamento da parte del reo di quanto giudicato avverso di lui ed ancora del fatto di aver rispettato e di rispettare in ogni circostanza l'obbligo di presentarsi in Curia ogni qual volta per mandato giudiziale sia stato convocato. Qualora si sia fatta ben cura sull'espletamento di quanto sopra il soggetto venga liberato, altrimenti lo si trattenga nela casa penitenziera fin a quando non abbia pagato quanto gli spetti per legge. In verità se nella risposta alla prima interrogazione abbia ammesso, alla presenza del Pretore o comunque d'altro giusdicente, in tutto o per buona parte, le imputazioni contenute nell'atto d'accusa o d'inquisizione, qualora non abbia fatto pace con l'offeso od i suoi eredi gli si riduca di un quarto la pena nummaria sancita secondo la forma di questi statuti: l'ammenda sia invece dimezzata nell'occasione che sia intercorsa pacificazione con la parte lesa od i suoi eredi. Inoltre il Magistrato ottenuta risposta dal reo, nel caso che questo ne abbia fatta richiesta, conceda a lui, al suo procuratore od in alternativa alla persona che lecitamente per lui agisca, di farsi fare copia dei documenti dell'accusa, dell'inquisizione e degli indizi e di tutto quanto abbia risposto sotto interrogatorio. Ma questo resti concesso sempre e solamente in due circostanza: che il reo sia venuto in potestà del giusdicente per sua libera scelta od al limite perché condottovi dalla forza pubblica. Il Magistrato debba poi fissare per il reo, l'accusatore ed il denunciante (nel caso che un fra questi sia presente) un identico termine, sempre conveniente per il corretto espletamento della causa: questo periodo di tempo non dovrà essere comunque inferiore ai quindici giorni né dovrà mai eccedere il limite massimo entro cui secondo le nostre norme statutarie debba esser concluso ogni procedimento penale. Si possa comunque prorogare il tempo massimo concesso di una diecina di giorni nella circostanza che il summenzionato reo ne abbia fatta espressa richiesta. Entro questo termine ognuna fra le persone interessate alla causa abbia facoltà di produrre qualunque tesi ed ipotesi sia riuscito a formulare in materia d'accusa, inchiesta ed eccezioni come pure a riguardo delle esplicazioni fatte e di qualunque altra argomentazione pertinente con la causa discussa: ed il tutto venga esaminato sotto entrambi i punti di vista, dell'accusa e della difesa. Alcuna costrizione a fornire risposta sulle ipotesi, nel caso che succedesse contradditorio su eventuali assenze di relazioni col caso, giammai possa intercorrere prima che il Giudice, unico a detenere libero arbitrio di sancire la verità delle cose, abbia espletata la sua ricognizione su fatti ed atti sancendo infine ciò che si debba ritenere pertinente e sui cui si debba dar risposta. Infine si possa rispondere, affermando o negando: in alcuna maniera si possa credere o no per via d'altra parola pronunciata. I Giudici tuttavia, allorquando si proceda d'ufficio per via inquisitoriale od altrimenti in base a petizione d'una parte avversa, abbiano facoltà d'interrogare in altro modo che sembrerà opportuno, senza che si debba chiedere alcun giuramento a chia bbia avanzata la petizione. E proprio mai, in alcun modo s'agisca, per accusa o per inchiesta, il Giudice accetti i capitoli, su cui dei giurati faranno in seguito testimonianza, che tanto dall'attore quanto dal reo siano prodotti al di fuori della lotta giuridica e della specifica controversia, salvo sempre il diritto di non ammettere gli argomenti senza relazione coi fatti in esame e tutte quelle cose che statutariamente non sono da accogliere. Si ammettano pure i testimoni a fare sotto giuramento la loro deposizione sì da fornire chiarimento in qualsiasi tipo di causa criminale Non farà opposizione il fatto che qualche tipo di eccezione venisse quindi fatta, anche contro la persona. Ma tutto ciò, sia che su d'esso si sia o no fatta protestazione, parimenti sia salvo ed integro come se fosse stato opposto e provato nei termini di legge ed a ragion di terminare la causa si proceda quindi alla discussione ed all'esame dei fatti nella loro complessità. Conseguentemente il Giudice passi in rassegna gli interrogatori fatti, sulla base di questi ordinamenti, a riguardo di tutti i testimoni, con giusta perizia soppesi i documenti visualizzati, approvi quanti gli paia opportuno, rigetti invece quanto ritenga eccedente, superflua od inesatta: su quanto il Magistrato abbia approvato e quindi accettato ai fini della causa i testimoni abbiano poi il dovere di prestare la testimonianza richiesta. Non risulti però sufficiente che costoro abbiano subito giurato di prestare testimonianza entro un particolare termine qualora non l'abbiano poi realmente prestata, sempre che quanti li produssero a titolo di testi non si siano oprati a dimostrare presso l'attuario di Curia di aver vanamente chiesto ai Giudici, per diversi giorni e non una ma più volte, di sentire davvero quei potenziali testimoni. In tal evenienza quanti abbiano prestato quel tipo di giuramento debbano venir ascoltati quanto prima e le loro dichiarazioni siano assolutamente valide, proprio come se fossero stati sentiti entro i limiti sanciti per legge: e si badi bene ad esaminarli in conformità a quanto si pronuncia entro il capitolo, contenuto nel volume delle cause civili, che sancisce sui convocati a prestar testimonianza. In verità se qualcuno fra costoro fosse stato testimone oculare del delitto perpetrato ma, una volta soggetto ad interrogatorio, tergiversando negasse, contro le aspettative, di saper qualcosa al riguardo, il Giudice abbia ampio arbitrio di costringerlo a parlare, utilizzando ogni mezzo che ritenga opportuno secondo i dettami che in questi Statuti criminali son registrati sotto il capitolo che detta sulla maniera d'obbligare i testi neghittosi o recalcitranti. Peraltro si condanni all'ammenda di dieci lire quel Giudice che, richiesto d'esaminare i summenzionati testimoni, trascorsi dieci giorni non si sia invece adoprato ad analizzarli per tempo debito. Inoltre, per evitare che qualche crimine rimanga impunito per la negligenza degli accusanti, resti lecito a qualsiasi Magistrato, in una causa per altrui accuse, ancor prima che si inoltri la sentenza ed integrando di persona le prove già proposte dall'accusatore, produrre d'ufficio dei suoi testimoni ed ancora esaminare sì da accedere alla verità assoluta: tal Magistrato potrà agire di sua personale licenza ma in particolare potrà adire a questo espediente soprattutto nell'occasione che si tratti d'una di quelle cause che, per il reo, possano comportare delle punizioni corporali. Agendosi invece per via d'inchiesta o dopo denunzia specifica o addirittura d'ufficio, a proposito di qualsiasi crimine, resti sempre lecito al Giudice, prima di pronunciare qualsiasi sentenza, far inoltro di tutte le prove ulteriori acquisite e ricercare il vero anche dopo che si sia valicato il termine prefissato. Istruito quindi il processo, il reo possa acquisire a suo piacimento gli esemplari di tutti i documenti e gli si fissi un termine, comunque contenuto nello spazio dei tre giorni, onde produrre le sue difese ed allegazioni. Poiché inoltre si considera parte essenziale della difesa la facoltà di nominarsi un procuratore ed assumere un Avvocato, il Magistrato rinvii ogni inquisito alle petizioni di chiunque ne faccia richiesta e lo sottoponga ad interrogazione davanti proprio a chi abbia fatta tal richiesta, a meno che non intenda affatto costituirsi un procuratore od assumere un qualche avvocato ma piuttosto voglia difendersi di persona. Nell'evenienza che tal reo voglia optare per quest'ultima soluzione, nulla possa opporsi a ciò ed anzi gli si conceda piena potestà su tutti gli atti e le questioni concernenti la sua causa.

Capitolo XII (12)

Sulla costituzione dei procuratori

Allegazione di scusa giammai sussista, sì in via di procuratori che per difensori sotto distinti titoli, e nemmeno s'ammetta alcun patrocinio, sempre che non siano intercorse giuste ragioni d'assenza o qualch'altra scusante buona, a pro di quanti ancora non abbiano fatta comparizione di sè medesimi avanti il Giudice (donde carcerarli in attesa di processo), benché sian stati accusati, denunziati od inquisiti di quei delitti e quelle truffe, in nessun modo risarcibili o risarcite, contro cui, secondo l'ordinario costume di legge criminale, si possan comminar torture e pene corporali financo al segno dell'ultimo supplizio. Datosi vigore e fine a suddetto ordinamento possa una buona volta ammettersi il procuratore del reo, onde ne derivi istruzione sullo stato dei fatti, purché mai si tratti alcunché in merito a quel delitto o crimine che possa esser stato commesso e neanche in più s'accenni a qualsivoglia argomento ch'abbia forza di remissione se non di mera diminuizion di pena. Quando al contrario, nel compiuto rispetto della legge, un qualche accusato, inquisito o denunziato, onde venir per tempo recluso in carcere, si sia prestamente consegnato, resterà obbligo costituirne procuratore e difensore all'uopo di far poi ai ceppi ordinaria discussione di causa, come peraltro già ampiamente sancimmo nel capitolo di prima.
In occasione poi di tutti i crimini restanti, per cui si possan comminare pene d'ordine nummario, mai venga concesso ad alcun accusato od inquisito, poco importa se detenuto od ancor libero su cauzione, potestà d'addivenire in propria difesa od altresì d'eleggere e costituire un procuratore, prima che, al modo già preordinato, non abbia egli già risposto alla chiamata giudiziale. Valga in ciò l'eccezion di legge che, a pro della confession di crimini, sia comparso qualcuno che, approvata la fideiussione di rispettare il diritto e pagare quanto giudicato a titolo di pena, si sia addossata la colpa a ragione del crimine in discussione; come or ora sancito altresì si riconosca per sempre vigore di lecita assenza a pro di quel reo che, a pié libero e su cauzione, si sia ammalato al segno di non potersi muovere di casa né tantomeno addivenire in presenza di qualsiasi Giudice: simile scusa altresì s'accetti in favore d'un che alla convocazione risulti fuori del distretto o di città seppur giammai per mano di due mesi, computandosi di legge dal giorno in cui perpetrò quel crimine di cui al presente risulti imputato.

Capitolo XIII (13)

Sulla maniera di procedersi avverso i minori e sul tipo di pene comminabili

Un giovane d'oltre vent'anni, nel caso ch'abbia perpetrato qualche delitto o maleficio, venga sempre punito dai Giudici come se si trattasse d'un maggiorenne ed avesse quindi più di venticinque anni.
Un ragazzotto d'età compresa fra venti e quattordici anni compiuti debba invece espiar le stesse colpe degli adulti solo nell'evenienza che sia stato colpevole d'efferati delitti. In occasione di reati minori i Magistrati avranno invece obbligo di comminare pene sempre addolcite da quella naturale compassione che in genere suscita sì gran pochezza d'anni. In tutti i casi restanti e possibili provvederà invece il Giudice stesso, per via di suo insidacabile arbitrio, a comminar castighi e pene contro i minori scoperti rei. Accadendo poi che a commettere crimine o misfatti sian stati addirittura quelli che, nell'uso di tutti, si dicono fanciulletti, perchè han meno dei quattordici anni, il Magistrato potrà comminar pene scelte a sua licenza, che in nessuna occasione però dovranno mai essere dei fisici patimenti, soltanto nel caso ch'egli sia riuscito a provare l'orripilanza del loro delitto: in tutte le altre evenienze, attesa l'irresponsabile età, sarà piuttosto da conceder loro amistà e pietosa scusante. Occorrendo invece di muovere causa in tribunale contro un minore di venti anni, che sia accusato per qualche maleficio, correrà obbligo di procedere, sempre e celeremente, alla nomina d'un suo curatore, scelto quando possibile fra parenti ed affini o, in caso opposto, eletto dal giovane stesso fra i tanti procuratori ch'esercitino in Genova o laddove si tenga il processo: né mai possa scegliersi altra persona e tantomeno debba ammettersi in tribunale chi, in altre maniere da come sancimmo, sia stato fatto curatore del reo giovinotto.

Capitolo XIV (14)

Come si debba procedere facendosi allegazione d'assenza a ragion di qualche accusato od inquisito

Può avvenire, intercorrendo cause d'inquisiti od accusati, che qualcuno, alla presenza di Giudici o Pretore, faccia allegazione d'assenza a pro d'un fra quelli già messi sotto inchiesta: la si accolga sempre, pur se inoltrata solo un istante prima che avverso l'inquisito, od accusato che sia, venga sentenziato il bando in condizione di contumacia. In tal evenienza s'addebiti, a Giudice o Pretore, lesta funzione di ricostruir per bene l'eventuali varie ragioni d'assenza, investigando con zelo laddove, al tempo in cui fu perpetrato il crimine, l'accusato, od inquisito che sia, era uso tener residenza. Suddetti Magistrati debbano altresì stabilire, in stretto rapporto coll'entità e qualità dell'accaduto, un limite di tempo ben preciso, seppur conveniente, affinché chi abbia fatta allegazione resti tenuto a dar salda probatoria della mentovata assenza. Allorquando sopraggiungano alcune prove in sostegno dell'allegato stesso e questi medesimi Giudici riescano ad acquisire giuste competenze sull'assenza del soggetto in causa, tanto al presente quanto ancor prima d'eventuali accuse, delazioni od inquisizioni, concordando altresì le lor conclusioni coll'opinione popolare, si differisca dal procedere, sempre che ai Magistrati suddetti paia ciò opportuno: si fissi allora, a pro di chi sia risultato assente, un tempo ragionevole entro cui possa tornare dalla macchia e far quindi comparizione di se stesso. Se però non si saranno fornite ragioni buone a scusa di tal assenza, si dovrà multare con zelante puntualità l'autore dell'allegazione: soppesate entità dei fatti e qualità della persona in causa, ofni Giudice, obbedendo soltanto al proprio insindacabile arbitrio, comminerà multe da dieci a cento lire. Si procederà quindi immantinente, avverso l'accusato od inquisito non comparso, al giudizio di condanna ed a quant'altro risulta sancito in questi statuti sotto voce del capo criminale dettante sul modo di doversi procedere contro i rei contumaci.

Capitolo XV (15)

Delle torture [vedi anche Camera delle Torture: tipologia delle stesse, strumenti, applicazioni, tempi, moratorie, esenzioni ecc. ecc. (nella stampa e sotto la stessa tutte le voci sono attive) ed ancora dal Gambiglioni a Flaminio Cartari "cosiderazioni varie sulla Tortura" con documentazione tramite registrazione di un procedimento con l'inquisito sotto tortura e registrazione oculata delle procedure in atto per conseguire la "Confessione" essenza di ogni conclusione processuale e attestato di colpevolezza secondo i dettami del Diritto Intermedio]

Nessun mortale, in Genova o nei suoi Distretti, venga sottoposto ad alcun genere di Tortura se il Pretore o qualsivoglia altro Magistrato non abbiano inoltrato gli indizi necessari secondo il diritto perché qualcuno possa esser tormentato. A tal fine, senza eccezion alcuna, soccorra puranco che Pretore di Città o Giudice dei Malefici abbian dato assenso e fatto sì che sia stato ammesso agli atti della causa un Magistrato della Curia preposto alle questioni o torture: in sovrappiù si conceda sempre al reo, che l'abbia richiesta, una copia degli atti e gli venga fissato un termine preciso ed opportuno entro cui possa difendersi ed anche confutare l'accusa d'aver commesso il crimine. Di questo però non dovranno in alcun caso fruire le persone screditate ed infami [la condizione di infamia poteva esser sublimata attraverso l'erezione di un pubblico simulacro detto COLONNA DI INFAMIA come questa eretta a perpetua dannazione di Giulio Cesare Vachero per la congiura filosabauda ordita nel 1628 contro la Repubblica di Genova] di cui si dirà in seguito, e d'altre ancora delle quali, in virtù delle norme statutarie, sarà da disporre in maniera diversa e specifica.
Essendovi tutte le condizioni richieste, secondo quanto predetto, qualora gli indizi non siano stati vanificati, si possa dar luogo alla Tortura dell'accusato.. Questo potrà tuttavia essere tormentato una volta soltanto, a meno che non si adducano nuovi indizi od alcune referenze nel frattempo occorse non paiano di tale rilevanza ed urgenza da far ritenere al Giudice che sia giusto e doveroso riprendere a torturare l'accusato.
Si stabilisce comunque che nessun cittadino genovese possa venir sottoposto ai tormenti, se non nel caso sia egli stato accusato d'un crimine che comporti pene nummarie sempre superiori a cento lire repubblicane.
Non è altresì concesso torturare alcun minore di diciotto anni, salvo parere diverso del Giudice per gravi ed urgenti motivi, né alcuna donna gravida: avverso questa i tormenti di legge si potranno applicare solo dopo che saranno trascorsi quaranta giorni dal parto.
Il Pretore od il Giudice dei Malefici, possano invece lecitamente torturare, non osservando di necessità le norme di questo statuto, qualsivoglia infame o screditato come malefemmine e meretrici, imbroglioni e truffaldini d'ogni risma, pubblici ladri, violenti sediziosi già noti alle Curie e in definitiva tutte le persone notoriamente vili ed infami
[la condizione di infamia poteva esser sublimata attraverso l'erezione di un pubblico simulacro detto COLONNA DI INFAMIA come questa eretta a perpetua dannazione di Giulio Cesare Vachero per la congiura filosabauda ordita nel 1628 contro la Repubblica di Genova] La stesa procedura si applichi contro qualsiasivoglia servitore, senza tener conto del sesso, allorquando il padrone o la padrona, ed in alternativa i genitori od i figli di questi, purché siano persone di buona reputazione, abbian giurato di ritenerlo responsabile d'aver loro propinato, direttamente o col concorso di complici, qualche filtro od un veleno o qualsivoglia sostanza tossica od altro ancora di pernicioso, non importa se sciolto in una bevanda od in qualche alimento solido, sì che uno o più fra loro di famiglia abbia poi perso il ben dell'intelletto, deviando dal solito costume di vita.
Cogli stessi tormenti, a Pretore e Giudici, sia lecito procedere nei confronti di complici e correi e similmente avverso quanti, al corrente di simili misfatti, non ne abbian fatta per tempo puntuale delazione; e parimenti i suddetti Magistrati possano torturare tutte quelle malefemmine che, secondo il comun giudizio, sian reputate fattucchiere o maestre d'ingannevoli e malefici artifizi.
Contro ognun di costoro il Pretore abbia quindi suo pieno e libero arbitrio d'inquisire e di punire: si precisa comunque, a complemento di quanto soprascritto, che è da ritenersi padrone od, ovviamente, padrona la persona al cui servizio sia stato il servo o la serva in causa.
Per estensione sia dato al Pretore od al Giudice, quando a ciascun di loro paia opportuno, facoltà di torturare qualsivoglia individuo che sia stato accusato d'aver ferito qualcuno o comuque si trovi sotto inchiesta per un di quei reati che che comportano punizioni corporali. Per la liceità di tal procedura sia tassativo che al momento dell'attentato il ferito godesse di buon nome e che, in pieno possesso delle sue facoltà mentali, abbia quindi fatto giuramento d'esser stato aggredito da quell'accusato e, soprattutto, sia stato in grado di fornir testimonianza irrefutabile di questo tipo di crimini, su cui non sempre è facile per gli inquirenti raccogliere prove sicure.
All'applicazione dei tormenti obbligatoriamente sovraintenda, nella città di Genova, uno dei notai collegiati dei malefici, mentre nei Distretti tal onere spetti ad uno fra quanti fan parte della Curia del Magistrato davanti al quale si dibatta tale causa. Sul momento, senza mai frapporre indugio, i Notai trascrivano fedelmente in volgare le parole e le confessioni del torturato, riportando in maniera puntuale anche modi, toni e forme sotto cui queste prorompano dalla bocca di questo mentre parla o grida
[ vedi digitalizzazione delle "Resolutiones Criminales" di A. Concioli e qui l'importanza della confessione nel diritto intermedio anche tramite l'applicazione della tortura ( = "Et cum nollet veritatem fateri, Dominus mandavit uno ictu quassari" nel volume del giurista Flaminio Cartari, "Forma Constituendi Reos Criminis ad Torturae Locum" (1600)) ] Il Notaio apponga altresì sulla trascrizione precise notazioni del tempo e del luogo in cui si sia intrapreso a tormentare chicchessia ed in particolare registri tanto le modalità delle repulse come delle confessioni: badi sempre a segnare con estrema precisione se qualcuno abbia parlato o confessato quando gli si applicavano i tormenti od una volta che questi siano finiti e debba egli ancora far puntuale registrazione di quanto tempo sia intercorso dall'inzio delle torture agli attimi in cui, volte per volta, l'inquisito abbia profferito suoni intelleggibili o parole di qualunque significato si voglia.
Senza l'assistenza del notaro, Pretore e Giudice non possano però tormentare alcuno: resti tuttavia concesso al Pretore di Città ed al Giudice dei Malefici facoltà d'alternarsi scambievolemente alla presidenza delle pratiche di tortura.
Giammai il notaro manchi d'assistere, operoso e zelante, il Pretore od il Giudice e sia sempre pronto ad intervenire in loro aiuto e soccorso.
In qualche circostanza può in verità accadere che questi servitori dello Stato diano prova di gravi negligenze: si provveda in tali casi a punire per tempo tanto il Pretore che il Giudice tramite pene nummarie detraibili dallo stipendio di loro pertinenza.
Al notaro inadempiente venga invece comminata la multa di cento lire: questo sia altresì tenuto a denunciare, nella persona dei Magnifici Signori Procuratori, quante volte, personalmente o tramite delatori, abbia appurato che Pretore o Magistrato non abbiano ben espletato quanto sia detto da farsi punto per punto: il Notaio che si sia astenuto dal presentar denuncia debba al contrario pagare, per quante volte abbia disatteso a questi suoi compiti, la multa di cinquanta lire genovesi.

Capitolo XVI (16)

Sulle maniere di poter obbligare i testimoni

Il Pretore, il Giudice dei malefici e qualsivoglia Magistrato criminale, sia d'ufficio che su richiesta di parte, possano obbligare qualsivoglia persona, chiamata a prestar testimonianza, onde riferire sopra gli eventi, su cui sian già stati interrogati dal Giudice e dal notaro, secondo le forme contenute nel volume delle cause civili al capitolo che detta sull'esame d'attendibilità dei testi. Accade infatti con frequenza che vengano perpetrati delitti, ferimenti ed omicidi alla presenza di svariati testimoni oculari che, tergiversando, per quanto interrogati negano poi di conoscere la verità sì da essere di nocumento allo Stato per la cui saldezza è invece fondamentale poter ricostruire l'autenticità di ogni pubblico evento. Al fine d'impedire siffatta iniquità ed in particolare perchè i delitti non restino impuniti, sanciamo con questo nostro capo criminale che non sia concessa ad alcun testimone oculare facoltà di tacere od anche negar di conoscere alcunché a riguardo del fatto di violenza cui palesemente assistette. Tutti quanti risultarono presenti al momento in cui si perpetrò un determinato misfatto sian quindi sempre tenuti per legge a fornire notizie complete ed esatte sul crimine e su chi lo commise. Nel caso abbiano invece continuato nel loro riprovevole atteggiamento, i testi reticenti vengano tradotti in prigione né si dimettano dal carcere prima che, secondo il giudizio del Magistrato, non sian stati forniti tutti i ragguagli possibili, in loro potestà s'intende, a far luce tanto sul delitto che sul colpevole. Nel caso però che, successivamente, si provi una falsa testimonianza o comunque una qualche reticenza, il teste venga condannato alla pena sancita in proposito, sì da esser legato ai remi delle navi come galeotto per un triennio od in alternativa multarlo ad un'ammenda oscillante fra le cento e le mille lire genovesi. Il Magistrato debba invece, per sua parte, osservare queste norme alla lettera e nel caso che abbia mancato, anche in una sola fra esse, debba venir condannato a pagare un'ammenda da cinquanta a centocinquanta lire genovesi.

Capitolo XVII (17)

Sulla pubblicazione degli atti

Quando risulti trascorso il tempo concesso alle procedure di legge, venga fatta pronta pubblicazione, allorchè ne sia avvenuta richiesta secondo il diritto, di ogni testimonianza raccolta d'ufficio od in qualunque altra legittima maniera. Identica normativa sussista in riguardo degli atti processuali e le parti in causa abbiano sempre potestà di farne estrarre copia conforme nel giro stretto dei quindici giorni: vengan altresì fissati i termini per le allegazioni men che a pro di noti sediziosi e ladri pubblici già rei confessi o di quanti già soggiacciano ad inconfutabili indizi di colpevolezza. Sopravvenendo, in ognuna di tali cose, negligenza ed errori d'un Pretore oppur del Giudice preposto sian tempestivamente comminate pene nummarie in forma di cinquanta lire esigibili dal loro stipendio. Cotesti Magistrati non vengano però tenuti ad emendar siffatte omissioni nel caso che, rimasto un pò a pro dell'istanza, sian risultati sì abili da far accomodamento se non, in senso più esteso, ratificar decisione a ragion della vertenza. Pur accadendo che Giudici o Magistrati si siano pronunciati, anche a guisa d'esplicita contestazione, avverso questo nostro capo dei crimini, si debba ratificarne la sentenza coll'eccezione però che condannandosi qualcuno a pagar ammende, i suddetti Giudici debbano garantir malleveria a vantaggio di chi sia stato riconosciuto colpevole. In occasione, invece, che quel di sopra sia avvenuto a fronte d'un condannato a tormenti corporali, sia al contrario tenuto il Magistrato a soccorrerlo con una mercede, di cento lire genovesi: trattandosi poi d'un mandato in sulla forca, pervenga al giusdicente onere di versar ben quattrocento lire di Genova in sostentamento di quello o comunque degli eredi. Nessun di questi magistrai possa peraltro evadere cotesti pagamenti e scopertolo mancante in ciò abbia a pagare le suddette pene: a sicurtà di procedure e perfetta soluzione di tali ammende sarà quindi di legge che debbano sovrintendere sempre e con zelo i Supremi Sindicatori della Repubblica.

Capitolo XVIII (18)

Sui processi da istituire e sulle sentenze da produrre

I processi, basati su accuse o denunce od ancora inchieste d'ufficio, trattati entro il tempo fissato davanti il Pretore ed il Giudice dei Malefici od a tutti quegli altri giusdicenti, cui spetti la ricognizioni sui crimini, vengano sentenziati sempre ed esclusivamente ad opera di coloro innanzi ai quali furono istruiti. Però nella città di Genova quelle sentenze definitive, che comportano l'esilio, il tormento fisico o l'incatenamento sulle navi quale galeotti, dovranno sempre essere prodotte congiuntamente da Pretore e Giudice dei Malefici. Allorquando costoro non riescano ad accordarsi, un terzo Magistrato venga nominato dall'Illustrissimo Doge e dai Magnifici Governatori sì che siano tre i giusdicenti ed in modo tale da esser bastante che due d'essi pronuncino la sentenza affinché la stessa abbia vigore. Trattandosi di un reo d'età minore al solo Pretore spetti invece l'autorità di sanzionare. Come già si è detto, nel distretto a qualunque giusdicente venga in verità riconosciuta la potestà d'emettere una sentenza, a meno che ciò non risulti espressamente vietato da qualche particolare norma di questi Statuti. Ogni Magistrato sottoscriva sempre di suo pugno le sentenze da lui pronunziate, con l'unica eccezione che in Genova la firma di Pretore e Giudice dei Malefici, nei casi stabiliti, sia contestuale, sopravvenendo, in occasione di discordia fra loro pareri, a titolo di ratifica d'una fra le due sentenze proposte il terzo Giudice, di cui abbiamo scritto, il quale ne debba sottoscrivere una per sua mano, sì da ratificarla. Ne' il notaro possa accogliere ed attestare alcune fra dette sentenze prima che, come stabilito, siano state sottoscritte dai Magistrati. Nel caso che qualcuno sia venuto meno al rispetto di questi ordinamenti debba venir multato con una pena nummaria di cinquanta lire di genovini.

Capitolo XIX (19)

Limiti di tempo entro cui debba concludersi una causa criminale

Il Pretore, il Giudice dei Malefici e qualsivoglia giusdicente ed ancora chiunque governi tutte le cause su misfatti, crimini e delitti siano tenuti a concludere quelle dibattute, volta per volta, innanzi a loro nell'arco di sei mesi dal giorno dell'accusa. Qualora abbiano disatteso a questa norma, nel caso l'inquisito riconosciuto colpevole dovesse invece venir multato ad un'ammenda per il delitto reamente commesso, ciascun di loro paghi una multa da venticinque a cento lire oppure, sancendosi altra pena per il reo, questa ammenda possa venir elevata da cento a duecento lire secondo il giudizio dei Sindicatori. Spetti infatti a questi stabilire la quantità dell'ammenda pei Magistrati inadempienti, i quali, sempre ad arbitrio degli stessi Supremi, siano obbligati a risarcire la parte offesa delle spese e danni patiti a ragion della loro mancanza. Nondimeno se una certa quantità di tempo sarà rimasta, nel contesto d'una causa penale, per avanzare un'istanza (che vogliamo venga sempre conclusa entro il limite massimo di nove mesi: alla stessa maniera di come si legge nel volume delle cause civili sotto il capitolo "per quanto tempo possa durare un'istanza") qui si ordina che, sempre, entro tal residuo di tempo, qualunque esso sia, i giusdicenti debbano decidere e finire la loro opera: qualora non facciano ciò vengano essi stessi colpiti dalle medesime ammende di cui si è appena detto.Nell'evenienza però che entro sei mesi il Giudice sia stato surrogato da un successore ed il processo sia istruito in modo tale che si possa addivenire ad una sentenza, il successore ed il Giudice abbiano il dovere di istruire e giudicare. Peraltro si intenda istruito un processo qualora siano state fatte tutte le probazioni e siano stati pubblicati i testimoni: nell'eventualità che un'eccezione od un'accusa di falsità fosse stata proposta contro qualcuno dei testimoni, sia prodotti sia d'ufficio accolti, o contro uno qualsiasi fra quanti li produssero, si soprasseda alla causa principale (senza tuttavia che alcuno spazio di tempo residuo, per tal motivazione, possa dilungarsi od abbia a far scemare od ancora comporti qualche possibilità d'ostacolare l'istanza della causa basilare a titolo delle specifiche pene da applicare già menzionate) sino a quando non sia stato pronunciato un definitivo giudizio su tal presunta falsità. Per questi nostro statuto delle pene ordiniamo altresì che si debba addivenire a siffatta risoluzione entro il limite legale dei trenta giorni da quando qualsivoglia accusato od inquisito sia comparso innanzi al suo Giudice per ragione di giustificarsi e resti ben sancito che in nessun caso risulterà mai concesso valicare i termini or ora concessi. Quando però sia accaduto che un qualche accusato di mendacia sia stato arrestato e condannato nei tempi prestabiliti, si faccia ben conto che la sua testimonianza, a ragion del fatto che avverso lui intercorse proprio tal tipo d'accusa, non risulti in seguito di detrimento a colui nell'ambito della cui principal causa il summenzionato reo fece, come detto, la sua testimonianza, che verrà prontamente cassata e priva d'alcun effetto legale. Colui che però promosse le accuse o le notificò, nel caso che abbia in seguito rinunciato alla notificazione od abbia desistito dall'azione o meglio ancora non si sia riuscita a provare alcuna delle succitate accuse, sia costretto a pagare un'ammenda o pena nummaria oscillante fra le venticinque e le cinquanta lire. Comunque l'asserzione d'un qualsiasi accusato di falsità non abbia a perdere di vigore, anche nell'evenienza che lo stesso non sia comparso innanzi ai Magistrati e per pubblico editto sia stato quindi bandito qual esule dalla città e dai suoi Distretti: sussisterà eccezione a ciò soltanto nella circostanza che l'accusatore sia riuscito a provare in modo esauriente che la testimonianza resa avesse davvero i crismi della menzogna. A fornire le probatorie richieste dalla legge debba tuttavia essere ammesso non altri che colui il quale si elesse accusatore; a costui sarà inoltre concesso d'agire come se la persona da lui accusata risultasse presente od avesse fatta comparizione di sè medesimo. Venga sempre citato chi produsse i testimoni per tutti questi atti od altrimenti chi istituì l'accusa, che l'accusato sia o no comparso in Curia davanti ai Giudici, anche fosse stato ascoltato d'ufficio. E l'inchiesta sempre si concluda nel giro dei trenta giorni immediatamente seguenti quello in cui si provvide a comminare il bando all'esilio, di modo che finalmente posta fine alla causa parallela o minore, sulla fallacia presunta d'uno o più testi, il Pretore ed il Giudice possano riprendere la causa criminale prioritaria e dedicarsi esclusivamente ad essa in maniera da decidere ogni volta entro il tempo residuo dal momento in cui venne inoltrata l'accusa di falsa testimonianza. Nel caso che i suddetti Magistrati non siano invece giunti ad una definitiva decisione, risultino entrambi puniti a quell' ammenda che sarebbe stata comminata a chi , in vero sconsideratamente accusato di mendacia, avesse invece realmente fornito una falsa testimonianza: addirittura si possano condannare questi neghittosi Giudici alla pena nummaria di trecento lire allorquando il delitto, iniquamente ad altri attribuito, dovesse comportare pene corporali.
Quando poi le cause non possano essere rinviate al terzo giorno e non sortiscano l'effetto mirato ed anzi sia presente in Curia chi le abbia private d'energia di legge, noi qui sanciamo che entro due mesi l'Avvocato Fiscale debba riesaminare, una per una, tutte le accuse, le denunzie, i processi e le stesse varie inquisizioni. Il Fiscale denuncerà quindi ai Magnifici Procuratori tutte quelle cause che non siano state inoltrate nei termini di legge presso gli atti del cancelliere eletto a tal lavoro di archiviazione, affinché d'ogni denuncia rimanga sempre una pubblica trascrizione. Peraltro lo stesso Fiscale non possa riscuotere alcunché del suo salario di legge prima d'aver data fede concreta ai menzionati Procuratori sull'espletamento di codesta revisione condotta per via delle schede del notaro della Curia criminale e del cancelliere dei Magnifici Procuratori tra l'altro demandato a ricevere gli atti del riesame di tutti quei documenti: Accadendo inoltre che il Fiscale abbia acquisito comprensione documentata che una particolare situazione legale sia del tutto diversa da quanto a suo riguardo venne poi registrato sulle schede del notaro di Curia penale, non esista Notaio che possa eludere, dopo aver commesso un falso, una qualche pena corporale ed oltre a ciò venir multato a pagare cinquanta lire di genovini per ogni volta che abbia perpetrato azioni delittuose o comunque abbia mancato nei suoi compiti. In verità nelle Riviere ed in tutto quanto il distretto genovese i notari delle cause criminali facciano denunzia dei tempi stabiliti entro cui, innanzi ai Magistrati di volta in volta competenti, debbano venir concluse le cause stesse e s'adoprino sempre con giusto zelo affinché tutte queste risultino terminate con giustezza di tempo come appena si è scritto. Contravvenendo invece a tutto ciò, allorquando si scopra che gli atti di determinate cause non sono stati inoltrati nei tempi di legge fissati, chiunque risulti esser stato responsabile, sotto titolo d'ammenda paghi, al fisco repubblicano, in occasione d'ogni provata mancanza, la somma di dieci lire: sempre che non sia riuscito a dimostrare che per nulla proprio, prescindendo dalle sue comprovate sollecite preghiere e da un'altrettanto zelante supervisione, sia stato fatto in modo di terminar le predette cause nei tempi fissati. In tal circostanza risulti allora soggetto alle pene sancite e soprattutto a rendere prontamente ragione del suo agire scorretto, il Magistrato rivelatosi colpevole e neghittoso. Qualche volta, per malattia degli avvocati o per altre imprevedibili ragioni si è purtroppo assistito all'interruzione dei lavori nelle Curie: ebbene noi, adesso, qui sanciamo che per le cause criminali ciò non possa in avvenire mai più verificarsi alcun tipo di sospensione, a meno che, ma solo a proposito di qualche rara eccezione, non sia stato redatta, per via di decreto, una mozione specialissima di sospensione.

Capitolo XX (20)

Sulle multe da infliggere a quanti non abbiano obbedito ai Giudici

Qualunque cittadino di Genova, ogni suddito distrettuale, quanti abbiano residenza in città o nei siti del Dominio, qualsiasi municipio o comunità, ogni università, come oggi son detti i castelli, e così pure consoli, sindaci ed ufficiali di tali luoghi, al pari di tutti i privati, debban sempre prestare obbedienza agli ordinamenti dei Magistrati repubblicani. Si ravvisano in costoro tutti i Giudici costituiti dall'Illustrissimo Senato ma parimenti i delegati alla funzione d'amministrare la giustizia ed anche qualsiasi ufficiale cui, secondo il diritto, spetti l'ufficio e la giurisdizione di dar precetti. Ai comandi da questi pronunciati, direttamente o per messi, si debba pronta soddisfazione da parte dei residenti nel Dominato repubblicano: è inteso che tal norma non si debba in caso di ordinanza proceduralmente scorretta e non sottoscritta dal Notaio della Curia od altro funzionario preposto.
Può verificarsi che qualcuno contravvenga ad un ordine giudiziale dato correttamente e nel caso, trattandosi d'un municipio o castello, la collettività degli abitanti debba pagare un'ammenda, da venticinque a duecento lire per tutte le volte che si sia contravvenuto. Un privato resti invece multato da venticinque a cento lire secondo le condizioni sociali e morali della persona oltre che del fatto perpetrato. Tuttavia nessuno dei sopracitati debba pagare più d'una volta l'ammenda a riguardo dello stesso precetto inadempiuto, salva la comminazione d'altra possibile pena registrata nei capitoli di questi nostri Statuti o caso per caso applicata dal Pretore di città. Nell'applicare queste multe si proceda a sommi capi senza processo, pignoramento e figura del Giudice purché si discuta del precetto non adempiuto in presenza del segretario addetto alla trascrizione e per conseguenza sia comminata la pena.

Capitolo XXI (21)

Che nessuno possa ricusare il diritto d'abolizione

A nessuno, fra quelli che nelle mani di qualsvoglia giusdicente abbian fatta accusa di crimini o malefizi avverso chicchessia, rimanga potestà di rinunciare al diritto d'abolizione ma sempre piuttosto ognun di questi, allorché gliene sovvenga intenzione, possa rimettere l'accusa contro chiunque sia stato da lui accusato sì da chiedere ed ottenere abolizione al modo che giammai v'abbia fatta rinunzia.

Capitolo XXII (22)

Sull'arbitrio del Pretore contro gente di fuori e scapestrati d'ogni risma

Il Pretore di città e qualsiasi altro giusdicente abbiano piena facoltà di investigare sui crimini e malefici perpetrati, in Genova e suoi Distretti, da quei malandrini forestieri che non risiedano in alcuna località del Dominio o puranco dei tanti scapestrati di pessima reputazione che si vedono sempre più insolentire nelle nostre piazze e pubbliche vie. I succitati inquirenti possano procedere sciolti dai cavilli del diritto ordinario e dei comandamenti statutari: abbiano al contrario ampia licenza, dopo aver vagliato a fondo su persone e gravità dei fatti, fruendo volta per volta degli strumenti ritenuti i più idonei onde costringere tali rei a pronta e completa confessione, senza aver remora alcuna ad usar le più gravi torture fisiche sotto forma inquisitoriale. I Giudici siano altresì totalmente liberi nell'esecuzione delle condanne e nel comminar pene che potranno essere di volta in volta solo pecuniarie o, specie nei casi più gravi, di natura corporale. Per l'opportuna severità contro codesti scalmanati forestieri o balordi senza fissa dimora, i Giudici conservino quindi obbligo costante e precipuo d'evitar ogni indulgenza e d'attenersi, con rigore, ai castighi già sanciti negli Statuti pei nostri suditi ordinari, fatta eccezione nel caso d'amputazioni punitive ed estremi supplizi su cui, nel rispetto formale di questi stessi capitoli criminali e del diritto ordinario, il solo Pretore urbano, caso per caso, avrà licenza di decidere e quindi sentenziare.

Capitolo XXIII (23)

Negli ultimi quindici giorni del loro incarico Pretore e Giudice dei Malefici non abbiano alcuna potestà di comminar condanne o lasciar chicchessia uscir di Curia assolto.

Decorrendo l'ora prima del quindicesimo giorno dal compimento dell'incarico lor conferito, Pretore e Giudice dei Malefici giammai possano far condannare od assolvere qualcuno che si sia scoperto responsabile di malefici o delitti. Tal potestà s'attribuirà invece al successore di turno che agirà in modo autonomo od in giusto concorso con chi fra i suddetti Magistrati sia eventualmente rimasto in carica; peraltro l'azione legale dovrà procedere in sintonia coi dettati del capo criminale qui trascritto sotto voce "sul modo di formare i processi e quindi pronunciar sentenze" e d'altro canto sarà da espletare entro l'arco cronologico parimenti fissato in questi nostri ordinamenti sotto altro capitolo nominato "termini di tempo da rispettare a pro di conclusione in riguardo di cause criminali.

Capitolo XXIIII (24)

Di quale entità possa risultare una cauzione

Può succedere che ad un qualsiasi individuo vengano mosse accuse per quei crimini che possano o debbano multarsi con pene nummarie: sia in tal caso potestà dei giusdicenti l'intimargli, a termini di legge ed in stretta ipotesi che il reo debba presto saldare quanto infine sentenziato, pronto versamento d'una cauzione che giammai potrà eccedere, oltre il doppio, ciò che sarebbe comminabile comunque in base al crimine contestato. Chi abbia soddisfatto questi ordinamenti statutari ed i comandi del Magistrato preposto alla causa, verrà senza remore posto a piede libero, sempre che non abbia a che fare con quel genere di cause per cui i nostri capitoli criminali ordinino di procedere in modo diverso. Quando si dovrà invece offrir garanzia a scopo di non muovere offese e risulterà d'obbligo pagar di diritto ad unico arbitrio del giusdicente incaricato, il reo sarà tenuto a versare quella cauzione precisa che il Giudice, dopo aver per bene ponderato fatti, crimine e persona, avrà all'uopo e con precisione sancita. In ultimo, quando resterà libero fuor delle carceri statali, non potrà più venir rinchiuso in alcuna di queste a ragione di sopravvenuti debiti un che , già sottoposto a custodia per qualche crimine, avrà ottenuta libertà previo l'esborso d'una giusta cauzione.

Capitolo XXV (25)

Non si possano gravar di pene cittadini o residenti di Genova per condanne patite nei luoghi del Dominio

Per quanto concerne qualsiasi condanna patita nei confronti degli abitanti di qualsivoglia luogo, municipio o castello del Dominio, alcun cittadino genovese e nemmeno quanti avranno risieduto in Genova per almeno un decennio potranno venir costretti dai Giudici a pagare qualsiasi ammenda, neanche sotto forma di confisca e vendita dei beni che eventualmente avranno posseduto nei territori di quei distrettuali. I cittadini andranno quindi immuni e liberi da ogni condanna, così che i Giudici contravventori di questa norma resteranno multati per cento lire, esigibili dai loro salari, mentre qualsivoglia reato risulterà immediatamente cassato.

Capitolo XXVI (26)

Nè a Pretore o Giudice, come del resto ad alcun altro ufficiale, sia concesso licenziar chicchessia dalla custodia delle carceri repubblicane senza intercessione di puntuali e chiare motivazioni

A nessun ufficiale della Giustizia di Stato risulti lecito, tanto in Genova che nel distretto, far scarcerare alcun detenuto, se non dopo che sia stata conclusa la causa di competenza e sempre nel pieno rispetto delle normative sancite in questi nostri Statuti Criminali. A Pretore, Giudice od a qualsiasi altro Magistrato ancora, allorquando la causa discussa richieda loro ulteriori accertamenti su un detenuto, resti concesso di farlo tradurre, cautamente e sotto scorta adeguata alla bisogna, nel proprio ufficio. Stabiliamo inoltre che il funzionario della legge disobbediente quanto sopra avrà sempre agito a suo personale rischio e pericolo, sì da doverne subito dar ragione.

Capitolo XXVII (27)

Sulla custodia delle carceri

Sia i custodi della prigione di Malapaga che di tutte quelle che oltre Genova si estendono per il Dominio abbiano il compito di redigere con estrema cura un registro in cui siano annotati gli estremi delle varie carcerazioni e tutti gli elementi che concorrano a ragguagliare, con rigore costante, le massime autorità statali sulla funzionalità del carcere medesimo.
In particolare si dovrà registrare in modo oculato nome e cognome, colpa e pena, giorno d'ingresso nella casa penitenziera di qualsiasi detenuto, precisando anche ammenda e debito maturato pei colpevoli di reati nummari. Sarà altresì necessario trascrivere sullo stesso libro o registro il giorno di scarcerazione come quelli in cui i singoli detenuti sian stati condotti al patibolo, alla Tortura od in tribunale. Lo scopo di tutte queste registrazioni, oltre che per le motivazioni prima addotte, si ravvisa altresì nella necessità di razionalizzare la vita negli istituti di pena e far soprattutto in modo che questi vengano periodicamente ripuliti nè vi si verifichino gravi episodi di sovraffollamento.
In senso più esteso i custodi delle carceri dovranno vigilare con zelo affinché nessun detenuto possa evadere e tantomeno quanti siano stati in sovrappiù incatenati a ceppi od in qualsivoglia altra maniera.Gli stessi custodi inoltre sorveglieranno con opportuna diligenza affinché non venga dimesso alcun carcerato senza autorizzazione del Giudice che l'abbia condannato, di chi sul medesimo eserciti la potestà od ancora, a proposito dei debitori insolventi, dell'espresso consenso di quanti ne fecero querela. Può altresì accadere che si trovi lecitamente fuori delle mura carcerarie, benché sotto custodia, qualche detenuto allorché sia stato convocato dal Giudice; in qualsiasi altro caso ciò risulterà tassativamente proibito ma, verificandosi per negligenza o dolo di qualsivoglia custode, dovrà comminarsi a cotesto ufficiale una pena nummaria da fissare quantitativamente all'istante attese le varie responsabilità ed al medesimo si ingiungerà di saldare subito al creditore, pubblico o privato che sia, i debiti maturati dal detenuto insolvente. Fuggendo invece dalla casa penitenziera un carcerato condannato all'esilio o catturato per colpe gravi ma che non abbiano relazione con debiti ( per inciso, punto conta che dette colpe sian state provate o no, essendo la fuga testimonianza estrema di reità e colpevolezza ) il custode negligente verrà punito con la multa nummaria o corporale che sarebbe toccata all'evaso. Allorquando la pena sarà solo nummaria il guardiano colpevole ed i suoi garanti, entro un mese, dovranno comparire innanzi al Pretore e Giudice in città od ai Magistrati preposti nei Distretti per saldare il dovuto, con processo sommario e senza procedure di confisca, bastando di per sè a testimonianza di cattiva condotta la verità solare dell'evasione.

Capitolo XXVIII (28)

Che i custodi delle carceri nulla di più ricevano a ragion di custodia rispetto a quanto risulti stabilito per via delle norme statutarie

Nessun custode delle carceri abbia l'ardimento, a ragion del servizio prestato, di cercare d'ottenere, oppur ricevere se non addirittura estorcere, da qualcuno più di quanto gli spetti a titolo di mercede secondo le norme statutarie. Così oprando sia tenuto a versare, per ogni volta ch'abbia disatteso contro siffatti ordinamenti, una pena nummaria la quale ammonti a ben quattro volte quanto gli debba statutariamente competere per le prestazioni del suo ufficio. Metà dell'ammenda venga quindi versata alla Camera dei Magnifici Procuratori, toccando la restante porzione in beneficio di quanti abbiano denunciato il carceriere inadempiente. Inoltre il Pretore di città ed il Giudice dei Malefici investighino attentamente su tutto ciò ed una volta che abbiano individuato la fonte, cioè colui che sotto giuramento abbia testimoniato d'aver pagato compensi di varia natura al carceriere sospettato (fatto a cui, sotto titolo di prova indiscutibile, noi vogliamo che concorrano tutti i tipi recuperabili di indizi, secondo l'arbitrato del giusdicente preposto alla causa) finalmente procedano alla giusta punizione, senza che possa essere accettata alcuna intercessione. Nell'occasione si siano astenuti da far qualcosa di tutto ciò, sia il Pretore che il Giudice vengano condannati a pagare al fisco repubblicano un'ammenda nummaria di cinquanta lire per tutte le volte che, nell'espletamento della loro carica, risultino aver contravvenuto a questi doveri istituzionali.

Capitolo XXIX (29)

I funzionari delle carceri sianno tassativamente obbligati al segreto d'ufficio sull'espletamento delle inquisizioni

Siano obbligati al massimo segreto d'ufficio tanto il Conservatore delle carceri che l'usciere e così pure quanti, a titolo di guardie carcerarie o di servienti con distinte funzioni, sian stati presenti alle procedure inquisitoriali del Pretore e del Giudice. Chi abbia violato questa norma, sì da svelare quanto si disse o fece in occasione d'una causa per lesa maestà, pagherà il suo delitto sempre colla morte sul patibolo. Trattandosi invece d'altri crimini che pur comportano, secondo gli Statuti Criminali, supplizio estremo o Tortura punitiva, il funzionario delatore, se sarà abbastanza robusto, verrà tormentato con tre o quattro giri di corda. In caso contrario lo si esilierà per due anni oppure verrà imprigionato nelle carceri dello Stato da tre a sei mesi. Chi avrà invece violato il segreto inquisitoriale in occasione di cause comportanti solo pene nummarie pagherà per condanna ammende comprese fra dieci e cinquanta lire.

Capitolo XXX (30)

Che le cause criminali non possano risultar vanificate dal mancato rispetto delle solennità

Trattandosi di qualche crimine oppure di un delitto perpetrato da chi si manifestò qual colpevole per via di confessione, d'irrefutabili prove o tramite qualsivoglia altro legittimo mezzo, accadendo poi che tanto l'attore quanto il convenuto siano legittimamente comparsi, verificandosi quindi che che da un lato il Giudice sia risultato del tutto competente e che d'altro canto, attribuiti in modo conforme alla legge i termini entro cui sostenere la difesa, sian state inflitte le pene, la sentenza prodotta dal Giudice risulti sempre ratificata e confermata pur nel caso che, durante il processo, sia mancato il rispetto o l'osservanza d'una fra quelle solennità che son altrove qui menzionate a titolo di giusta moratoria, per costumanza, in occasione di procedimenti penali. Non sussista facoltà alcuna di far opposizione per dette ragioni, visti i summenzionati presupposti, avverso un processo, sì da annullarlo o da addurre in merito ad esso qualche eccezione, anche in merito alla sua conclusione, o che si sia fatta qualche allegazione per ingiustizia o che ancora da qualche giusdicente venga di poi accolto qualche documento a titolo di scusa, ad eccezione unica del caso in cui, nel modo in cui si nomina qui sotta la rubrica che tratta degli appelli, non sia intercorsa prova tangibile che sia apertamente intercorsa una qualche ingiustizia.

Capitolo XXXI (31)

Giammai, come qui si scrive, possano accettarsi appelli in occasione di cause criminali

A nessuno sia in alcun modo concesso appellarsi a qualche altro giusdicente né sostenere la nullità di qualcosa ch'abbia a che fare con un precetto od una sentenza pronunciati in merito ad un processo istruito da un Magistrato della città di Genova in una causa per accusa, denunzia o procedura d'ufficio. Valga eccezione soltanto nella circostanza che si tratti d'una fra quelle cause che comportano esazioni d'ammende oppure, altrimenti,in relazione a quel genere di sentenze emesse dai Magistrati distrettuali, al modo in cui vien rammentato secondo la forma di questi Statuti laddove si elenca la rubrica per cui è lecito interporre appello a riguardo dell'ordine delle potestà del distretto. Fatta unica eccezione per questi casi appena menzionati, tutti gli altri appelli vengano respinti ed in alcun modo possano esser accolti da quel Magistrato cui sia appunto stato inoltrato tale appello. Nell'evenienza che costui abbia invece accolto l'istanza resti immediatamente condannato alla pena nummaria di cento lire, da pagare al fisco repubblicano in merito ad ogni sua mancanza: conseguentemente risulti vanificato tutto ciò che il giusdicente in oggetto abbia fatto contro questi nostri dettami.