cultura barocca
Informatizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante Stampa ottocentesca di un bassorilievo pompeiano effigiante un momento cultuale col Dio Priapo = vedi oltre la valenza di fecondità collegata al culto di Priapo anche quella scaramantica attribuita dai Romani a tale oggettistica = costumanza poi condannata dalla Chiesa delle origini ma rimasta nelle costumanze, seppur alterata, a livello iconografico e di valenza folkoristica

Per l'etimologia pene deriva dal latino penis, coda, poi membro virile, (da pes; cfr. il sanscrito vedico pasas, membro virile, greco pésos, lituano písti, coito) e possiede una energia incontrollabile e misteriosa, in grado di procreare.
Secondo l'antico grammatico Festo, penis deriverebbe da pendere, perché pende come una coda.
Nel mondo antico e classico e poi nella cultura greco-romana, il fallo era ritenuto l'origine della vita, in quanto considerato il generatore del seme.
A ciò è dovuta la leggenda secondo cui le antiche civiltà lo trasformano in divinità: per i Babilonesi, il dio Enki aveva creato il Tigri e all'Eufrate con il suo pene.
Gli Assiri e i Fenici, adoravano il dio Kmul, divinità dall'enorme membro, potente generatore della vita.
Nella biblica Canaan i re mangiavano il pene del predecessore per assimilarne il potere.
Le antiche popolazioni israelite giuravano ponendo la mano sull'organo, tanto che l'etimo testicoli, dal latino testes, cioè piccoli testimoni deriva da questa usanza.
Persio, per designare i testicoli, usò proprio un diminutivo di testes (plurale), quasi a significare i due testimoni dell'atto sessuale (per questo uso cfr. anche il poeta Pietro Aretino).
Il pene eretto era adorato soprattutto per propiziare la fecondità: nei templi Indù dedicati a Shiva c'era il linga (fallo di pietra), venerato per favorire la fertilità delle donne; ancora oggi il fallo viene adorato in tutti i paesi dove è diffuso l'induismo; i Greci facevano le falloforie, processioni con statue di enormi falli per incrementare i raccolti agricoli.
Lo storico greco Kallixeinos di Rodi racconta di aver visto nel 275 a.C. una festa dionisiaca svoltasi ad Alessandria d'Egitto, durante la quale un fallo d'oro lungo 60 metri con in cima una stella d'oro fu portato in processione per tutta la città, davanti a mezzo milione di persone che intonavano inni in suo onore.
I Romani adoravano il dio Priapo (vedi l'affresco del Dio nella "Casa dei Vettii" a Pompei") simbolo di fecondità, rappresentato con un grande fallo eretto (da cui priapismo, malattia che consiste in un'incontrollabile erezione).
Priapo, originario forse del Mar Nero, si trasferì prima in Grecia e poi a Roma, dove si confuse con il dio locale Mutinus Tutunus e a volte persino con il dio Pan.
A Roma, nell'aspetto di un satiro (Pan), si celebravano i Lupercali.
Nell'arte romana, il fallo veniva spesso raffigurato in affreschi e mosaici, generalmente posti anche all'ingresso di ville ed abitazioni patrizie.
Il pene eretto era infatti considerato un amuleto contro invidia e malocchio.
Inoltre, il culto del membro virile eretto, nella Roma antica era molto diffuso tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Per questo, il fallo veniva usato anche come monile da portare al collo o al braccio. Sempre a Roma, le vergini patrizie, prima di contrarre matrimonio, facevano una particolare preghiera a Priapo, affinché rendesse piacevole la loro prima notte di nozze.
Nell'antichità si ritrovano moltissime tracce dell'adorazione del fallo-pene: gli obelischi in Egitto, i monumenti di Delo, le costruzioni falliche della Persia e della Fenicia, le torri d'Irlanda e Scozia, i monoliti della Francia e della Corsica, i sassi piantati a Cuzco o nelle Indie, alcuni edifici Polinesiani e Giapponesi, alcune monete macedoni, le tombe etrusche, i Dolmen in Gran Bretagna, Sardegna, Malta e Spagna, i cippi agricoli in Puglia, Albania e Grecia oltre a testimonianze sulla religione orgiastica di Dioniso e nei baccanali.
Del culto vero e proprio se ne sa molto poco.
Le pitture della Villa dei Misteri a Pompei, anche se riproduzioni tardive (5 secoli dopo), ci danno un'idea dei riti.
Dal fallo derivano le rappresentazioni dei cornetti delle superstizioni mediterranee (per esempio a Napoli).
I culti fallici sono sopravvissuti fino ad oggi, anche se mimetizzati sotto altre forme, come la Sagra dei gigli a Nola, la Corsa dei ceri a Gubbio e durante le feste di carnevale a Firenze (cfr. Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti).
Per i Greci ed i Romani il pene era simbolo di potere: nell'antica Roma, spesso le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera militare.
Proprio tra i Romani, inoltre, il pene fungeva da portafortuna.
Il fascinum era un amuleto fallico contro il malocchio da appendere al polso.
Di qui il gesto scaramantico di "toccarsi" (o di toccare il corno, a forma fallica) per attingere energia.
Tutto ciò che si erige, quindi, sembra essere un riferimento fallico: dagli obelischi ai campanili alle torri, fino al giuramento con alzata di mano o al saluto romano.
Questa energia incontrollabile era temuta dal Cristianesimo degli albori, che affermava la superiorità di Dio sull'uomo.
Tertulliano (150-220) diceva che durante l'orgasmo l'uomo perde una parte dell'anima: un modo antico di concepire l'energia umana, ma anche un'ammonizione morale.
Con il cattolicesimo, il fallo, da divinità, divenne demoniaco: il pene, per Anselmo d'Aosta è la "verga del diavolo".
Nessun organo, diceva sant'Agostino, è più corrotto del pene.
Così nel Rinascimento papa Paolo IV fece coprire gli attributi maschili a eletti e dannati nella Cappella Sistina di Michelangelo.
[vedi = David M. Friedman, Storia del pene da Adamo al Viagra, Roma, Castelvecchi, 2007. EAN 9788876151736 = testo tratto da "Wikipedia, l'Enciclopedia Libera On Line"]




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