cultura barocca
Palme e palmizi tra letteratura scientifica e romanzi del '600 (opere qui digitalizzate) = da Ventimiglia ornata per una conversione al cattolicesimo nel romanzo "La Rosalinda" del romanziere Bernardo Morando di Sestri Ponente sin a Bordighera oggi nota quale "città delle Palme" giungendo ancora alle ben poco note osservazioni del grande scienziato e letterato FRANCESCO REDI corrispondente di Angelico Aprosio nel cui vastissimo genovese epistolario manca però oltre a quelle che trascrissi criticamente QUESTA SETTIMA LETTERA del Redi recentemente scoperta. Ritornando alla riflessione sulle Palme e conseguentemente all'evento religioso della "Domenica delle Palme" (con collegamenti alle Palme Papali e all' episodio del capitano marittimo Benedetto Bresca) si veda qui un' operetta sempre del celebre REDI recuperata da W. Bernardi, Università degli Studi di Siena (2001) intitolata NOTIZIE INTORNO ALLA NATURA DELLE PALME (Clicca qui).
Informatizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante Bordighera, Borgo Marina e scorcio con palmizi. Vedi anche qui Obelisco egiziano = suo spostamento dal circo di Nerone e Caligola sino in Piazza S. Pietro, l'architetto Domenico Fontana e la vicenda del Capitano Benedetto Bresca: Aiga ae corde, acqua alle corde, il salvataggio dell'obelisco e di molte vite umane con il "privilegio delle palme papali" concesso da Sisto V ai Bresca - la riproposizione di tale privilegio ai Bresca ad opera di Papa Pio VII ritornato libero dalla prigionia napoleonica e omaggiato del dono di "palmureli" nella città santa dal medico Giacomo Bresca cui furono -come appena scritto- rinnovati i privilegi del suo casato sul commercio delle palme

BORDIGHERA approfondisci dalla STAMPA SOPRA DIGITALIZZATA ALCUNE VICENDE DI QUESTA CITTA' UN TEMPO VILLA DIPENDENTE DAL CAPITANATO DI VENTIMIGLIA[ anche se non è da dimenticare che un GRANDE E CELEBRE MERCATO DELLE PALME CON PRECISE NORME STATUTARIE ERA LA CITTA' DI SANREMO (SAN REMO)] è nota come la "CITTA' DELLE PALME", per esser sede del più settentrionale (43° di latitudine quando la pianta cresce fra i 15°-20°) areale di sviluppo di Phoenix dactylifera, l'autentica palma africana (alta fino a 20 m. e dalla corona variabile da 20 a 40 foglie verdi) riconoscibile dal fusto sottile detto "stipite" e dalle tracce geometriche delle "vecchie foglie cadute" )
G. Bessone (Bordighera: palme d'autore - La lavorazione del "parmurelu" pasquale nelle fotografie di Ferruccio Carassale, Bordighera, 1992), dopo un cenno alla leggenda dell'anacoreta Ampelio che avrebbe introdotto nella zona la coltura delle palme da dattero, cita l'ipotesi di una forse casuale importazione della pianta africana ad opera degli antichi marinai FENICI che qui commerciarono da epoche remote.
Prescindendo da qualsiasi congettura di fantasia, dati certi e documentari sulla COLTURA DELLA PALMA in LIGURIA OCCIDENTALE [questa mappa di CASA FORTIFICATA EXTRA MOENIA CON TENUTA RURALE E ORNAMENTO DI PALME - da disegno a penna colorato del XVII sec. conservato presso l'A.S.G. (già edito in alcune pubblicazioni) e di autore anonimo - è in maniera unanime ritenuta riguardante una proprietà dell'estremo Ponente di Liguria] datano dal quattrocento quando le FOGLIE DI PALMA per un verso risultavano ormai ben legate alle coreografie della contemporanea religiosità e per altro aspetto dai contatti commerciali con le COMUNITA' EBRAICHE che parimenti delle PALME si servivano per le loro tradizioni religiose e cerimoniali
(non è peraltro casuale che un grande scienziato del '600 come FRANCESCO REDI ci ha lasciato le sue poco note ma interessantissime
OSSERVAZIONI SULLE PALME (TESTO QUI RIPRODOTTO INTEGRALMENTE CON INDICI MODERNI)
proprio in merito ad una curiosa e personalissima investigazione in lui suscitata dall'uso delle stesse in occasione della DOMENICA DELLE PALME).
In relazione alla DOMENICA DELLE PALME pare comunque giusto proporre qui di seguito qualche osservazione =
In ambito cristiano-cattolico) le FOGLIE DI PALMA artisticamente lavorate vennero usate per celebrare scenograficamente la ricorrenza della
DOMENICA DELLE PALME tradizione potenziata in seguito alla rivisitazione della CHIESA CATTOLICA ROMANA per effetto del CONCILIO DI TRENTO onde celebrare la VICENDA DI CRISTO NELLA TERRA SANTA fino alla sua entrata in GERUSALEMME TRA ALI FESTANTI DI FOLLA per giungere poi al culmine della PASSIONE E CROCIFISSIONE (visualizza qui alternativamente le riflessioni su LA GERUSALEMME TERRESTRE, LA GERUSLEMME CELESTE, IL SANTO SEPOLCRO, I LUOGHI DELLA FEDE).
Contestualmente l' uso delle PALME venne esteso ad altre occasioni di CERIMONIALITA' LITURGICA, passando dalle PROCESSIONI SOLENNI alle manifestazioni pubbliche in OCCASIONE DI QUALCHE ABIURA DA RELIGIONI RIFORMATE O PAGANE per abbellire i luoghi e solennizzare l'evento come in
***********VENTIMIGLIA, NEL CONTESTO DI UN'INFIORATURA GENERALE DEI LUOGHI, IN QUALCHE MANIERA ORCHESTRATA DA ANGELICO APROSIO***********
nel contesto di un romanzo -ove comunque la fantasia riproduce fatti che realmente accaddevano- celebre nel seicento ed opera di un romanziere nativo di Sestri Ponente, amico intimo dell'agostiniano intemelio, BERNARDO MORANDO che nel citato romanzo LA ROSALINDA (QUI DIGITALIZZATO) descrive l'ABIURA DAL CALVINISMO E LA CONVERSIONE - "FATTA NELLE MANI" DI APROSIO, AL CATTOLICESIMO NELLA CATTEDRALE INTEMELIA DI UNO DEI COPROTAGONISTI L'INGLESE EDEMONDO
.
Le FOGLIE lunghe e strette venivano legate durante i mesi di maggio - giugno con funi e legami sì da non far entrare luce solare nel fascio così ottenuto.
Venivano sciolte nei successivi mesi di febbraio o marzo dell'anno seguente.
Allora le FOGLIE INTERNE la cui pigmentazione, per carenza di fotosintesi, si era anemizzata, di modo che avevano assunto coloritura biancastra, erano tagliate in numero da 3 ad 8 ed a fasci di 60 si spedivano a Roma: donde derivò loro il nome di PALME PAPALINE.
In contesto locale invece, in forza di un lavoro di intreccio delle lacinie, si realizzavano (seguendo l'estro creativo dei diversi artigiani) i PARMURELI (PALMORELLI).
Invece a riguarda della tradizione celebrativa degli Ebrei si ricorreva a FOGLIE DI PALMA CORTE ma larghe e resistenti, pigmentate in giallo o verdino.
In questo caso le FOGLIE DI PALMA erano legate nel mese di marzo prendendosi però la cautela di lasciare le foglie sufficientemente larghe da permettere alla luce solare di filtrare quel tanto che fosse necessario per determinare il bastante processo di pigmentazione.
Le FOGLIE così trattate erano poi tagliate partendo dal mese di luglio sino a quello di settembre: tale processo si teneva annualmente a contrario di quanto accadeva per le PALME PAPALINE utilizzabili solo ogni biennio.
Negli
Statuti Comunali di Sanremo del 1435
(pp.119-120 - capo 57) si legge una norma particolare, quella per cui chi intendeva comperare FOGLIE DI PALMA si obbligava all'acquisto di un identico valore di CEDRI (propriamente tot cireos quot palmas): lo stesso sarebbe poi valso anche per le LINGUE e PALMITE commestibili da acquistarsi con un'identica partita di CEDRI da caricarsi peraltro, ai fini della commercializzazione, valendosi dei servizi della città e non di altri luoghi.
Data l'importanza di questa produzione (per tutto il Ponente ligustico) si curava di tutelarla in ogni modo.
Per questo esistevano i CENSALI DEL TODESCO cioè di sensali tenuti a vigilare sulla regolarità delle procedure: al riguardo in un documento del 29 luglio 1667 si legge che "persona alcuna di che grado, stato et condizione che sia, non possa tagliare cedri né palme di sorta alcuna senza l'assistenza delli Censali del Todesco ò d'alcuno di essi...".
Nel documento si allude ad un'altra figura di operatori del settore artigianale legato alla COLTURA DELLA PALMA: si tratta dei TAGLIATORI DI PALME che (come si legge in un documento del 19-I-1664) oltre ad essere censiti ed iscritti in "apposito libro" dovevano altresì giurare:"...d'esercitare detto officio lealmente e fedelmente né comprar ò tagliar fuori che dai veri padroni".
Se però il Consiglio di Sanremo il 5-agosto-1667 provvide a sancire che "...in l'avenire ogn'anno per oviare le frodi che si sentono nel taglio delle palme all'ebrea...si deputi 4 tagliatori e chi taglierà senza esser deputato incorra nella pena di 25 lire...".
La tutela della produzione devidentemente doveva fare i conti con vari interessi se ancora il Consiglio ordinò che "tutti li mercanti di palme che hanno magazzino di esse debbano permettere alli Cursori, essendo da essi richiesti, che si servano nel loro magazzino di quelle palme che mancano per serviggio della Santa Sede et il prezzo di esse sarà fissato dalli Magnifici Priori": onde evitare frodi e giochi al rialzo dei prezzi le autorità locali intimavano anche agli Ebrei di "denonciare prima di partire dal presente luogo, con qual vascello inviamo li cedri e palme e la quantità loro all'Illustrissimo Signor Comissario..." (documenti custoditi nell'Archivio Storico del Comune di Sanremo - villa Zirio, volumi 76 - 80).
Il COMMERCIO DELLE FOGLIE DI PALMA costituì a lungo una voce importante dell'economia del ponente ligustico e di Sanremo in particolare e non a caso R. Andreoli (Storia di Sanremo brevemente narrata, Antonelli, Venezia, 1878) scrisse in merito:"Non bastando a tanto lavoro le braccia degli adulti, sino i fanciulli di tre anni in su adoperavansi nel raccogliere e portare alla marina le fronde delle palme che, spedite per tutta Italia e in molta parte della Francia, fruttavano quantità non piccola di denari".
Tuttavia una riflessione particolare merita a riguardo delle PALME PAPALI l'episodio del CAPITANO MARITTIMO BENEDETTO BRESCA (di famiglia sanremese per molti ma di origini bordigotte per altri studiosi) sposato con tale MARIA BARNABA nel 1595 e defunto in Sanremo nel 1603 [nella -Storia di Pio VII di Alexandre-Francois Artaud de Montor (chevalier de), Milano, 1845, per il Resnati, quarta edizione, III VOLUME, sotto anno 1814, nota segnata da asterisco pp. 83 e seguenti- la vicenda del cinquecentesco Bresca -da alcuni ascritta alla leggenda, da altri avvalorata ma attribuita ad un anonimo operaio ma non menzionata dal Bellori- è registrata ed esplicata come nelle precedenti edizioni]
Dopo gli inutili tentativi di 4 predecessori, papa Sisto V (che nel suo grande sforzo di restaurare Roma coniugandone lo spirito cristiano con la grandezza classica: come si vede in questa INCISIONE del 1590) si propose di far spostare in centro di piazza San Pietro il gigantesco OBELISCO EGIZIANO che era posto ad una estremità del CIRCO DI NERONE (VEDI STAMPA CON RICOSTRUZIONE) e per volere di Caligola fu trasportato a Roma da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii = del resto bisogna rammentare come lo stesso pontefice avesse fatto, con altri importanti reperti classici, ristorare anche il decaduto OBELISCO DI S. GIOVANNI LATERANO [A titolo documentario è utile precisare che gli obelischi costituivano parte fondamentale dei circhi (vedi la stampa) = del resto come qui si legge a fronte delle attività spettacolari più cruente o di quelle ritenute più lascive come nel caso di certi spettacoli teatrali pur con cautela le corse dei cavalli erano tollerate dal Cristianesimo]
Per 300 metri, con dispendio di fatiche, l'architetto DOMENICO FONTANA riuscì nell'ardua impresa di far portare nella piazza il monumento (30 aprile-7 maggio 1586) che venne poi sollevato per con funi e carrucole.
Dato il difficile lavoro il Pontefice aveva imposto, pena la morte, il silenzio totale durante le operazioni: il Bresca però da buon marinaio, vedendo tendersi pericolosamente le funi fra le pulegge, osò esclamare nel silenzio "Aiga ae corde", cioè "bagnate le corde (per evitare che si spezzassero)" = dopo averdato il saggio consiglio il Bresca dovette rammentarsi della minaccia papale per chi avesse rotto l'imposto silenzio e si sarebbe apprestato a chiedere clemenza ma Sisto V -stando all'Artaud sopra citato- gli avrebbe risposto Non si tratta di far grazia, ma di dar ricompensa: dichiari egli stesso ciò che vuole [ ad integrazione giova rammentare anche quanto scrisse sulla titanica impresa Giovan Pietro Bellori, storico dell'arte e cronista dell'evento].
In conseguenza di ciò ed ascoltate le richieste del Capitano, Sisto V accordò in perpetuo al Bresca ed ai suoi discendenti l'onore di inviare ogni anno le palme per la Pasqua dalla terra di Liguria sin a Roma (tradizione interrotta da Papa Giovanni Paolo II che predilige l'addobbo del solo ulivo anche per un superiore rispetto della più antica tradizione liturgica cattolico-cristiana in merito alla ricorrenza del Mercoledì delle Ceneri).
Il bordigotto Cesare Perfetto, per non interrompere la storica costumanza, si è allora assunto sia l'onere che l'onore di continuare gratuitamente l'invio delle "Palme pasquali" nella Città del Vaticano.
Sulla fine della storia come scritto sopra i dati certi mancano e si sono avanzati dubbi anche sull'episodio connesso al "salvataggio dell'Obelisco" assodato anche il fatto che il citato storico dell'arte Bellori non menzionò l'evento in merito alla traslazione dell'obelisco pur essendone testimone e cronachista.
Prescindendo dal fatto che il pur minuzioso Bellori possa aver ignorato l'episodio o soprattutto non averne sentita l'esigenza di darne reoconto nonostante la diffusione della voce popolare è qui doveroso registrare una scoperta fatta dalla Famija Sanremasca che sul suo giornale intitolato "A gardiora du Matussian" (III, 1, 1984, p.4) editò in traduzione un documento latino proposto da Cesare Cantù (Storia degli Italiani, UTET, Torino, 1895,V, p.26 e nota) che PAPA PIO VII dopo la sua prigionia sotto Napoleone I in Francia nel suo ritorno in Italia fatto procedere (di fatto era ancora prigioniero di Napoleone) da Fontainebleu (23 gennaio 1814 in forma privata, vestito da vescovo) fu condotto a Nizza [fermandosi anche a Sanremo -come qui si vede accolto, come ovunque o quasi, festosamente- procedendo da Nizza verso Bologna per poi raggiungere libero (la liberazione di Roma la cui notizia lo raggiunse verosimilmente a Savona fu il preludio della sua liberazione) lo Stato della Chiesa] = proprio a Roma papa Pio VII rilasciò al dottor Giacomo Bresca onde ringraziarlo del dono di due PARMURELI [ più ampia ma senza specifici documenti risulta in rapporto a questo episodio la relazione sopra citata dell'Artaud ove, di seguito a quanto scritto sull'episodio del cinquecentesco Capitano Benedetto Bresca si legge " "Il signor [medico residente in Roma] Bresca, discendente di questa famiglia affezionatissima ai Pontefici , concepì l'idea d'offrire un omaggio particolare a Pio VII in nome della famiglia Bresca e di farvi intervenire le palme, causa della sua ricchezza, delle quali aveva allora un'abbondante provvisione. Il 23 maggio [1814] andò a preparare il tutto in una vigna appartenente al signor Viale, collocata fuori della Porta del Popolo: e il 24 mentre di là passava il Papa che s'avviava a Roma, domandò la permisione di fermare la carrozza, ch'era tratta da giovani romani. All'istante ventidue orfanelli, in lunghe vesti bianche e col capo coperto del medesimo colore, e quarantacinque giovinette del Conservatorio della Provvidenza, o nate da oneste famiglie romane comparvero tenendo tutti nella mano una grande palma di color d'oro, che ricadeva sopra sè stessa elegantemente, quasi fosse piuma ondeggiante, e cantando tutti a coro festosi inni di benedizione. Il Papa, attonito non potè trattenere le lagrime; benedisse quei giovinetti colla più viva sensibilità, e permise che, continuando i loro canti, fiancheggiassero la sua carrozza. Ma alla Porta del Popolo l'affluenza fu sì grande che si dovettero prontamente ritirarare dalla folla le giovinette ed i più teneri fra gli orfanelli. Alcuni de' più adulti seppero aprirsi un varco di mezzo alla folla, esclamando, Hosanna! Hosanna ed alto scuotendo le loro palme al Papa, il quale comandò che se ne attaccassero due sul davanti della sua carrozza, quando vi rimontò per recarsi al Quirinale." ] .
In effetti quello cui fa cenno il Cantù è un documento con tutti i crismi di un ATTESTATO in cui la segreteria del Pontefice redasse questa significativa considerazione:"E' certo, non c'è nascosto, come tu sia nato da quella famiglia dalla quale è nato l'uomo che, con molto provvido consiglio e con utile ammonimento, prestò grande e diligente opera nell'innalzare l'obelisco vaticano, per la qual ragione da Sisto V, nostro predecessore, ottenne l'altissimo privilegio in virtù del quale egli solo ed i suoi posteri, escluso ogni altro, abbia il diritto perpetuo di portare a Roma i rami di palma per la cappella pontificia e per le altre chiese dell'Urbe".
Si tratta però di un atto tardo e sostanzialmente muto (riporta una notizia diffusa ma non ne testimonia in modo documentario la genesi) = calcolando però l'oculatezza del Sacro Palazzo nel concedere privilegi è fuor di dubbio che qualcosa di molto prossimo alla cinquecentesca vicenda doveva pur esservi.
I Bresca intrattenevano da molto tempo fruttuosi e agevolati commerci con lo Stato Pontificio.
U. Martini (La marineria di S. Stefano, Riva di Taggia e Sanremo, in "Rivista Ingauna e Intemelia", I, 2, 1946, pp.25-27) fece già cenno al monopolio commerciale delle PALME, nel traffico con Roma, attribuito per l'appunto ad una famiglia Bresca che per di più aveva aperto una sua rappresentanza a Ripa di Roma: e d'altronde esiste una polizza di carico del 1718, con firma del patrone di barca Giacomo Bresca, da cui si evince che la BARCA DELLE PALME gestita dai Bresca come detto aveva stabili collegamenti commerciali tra Sanremo e Roma di modo che all'andata si portavano FOGLIE DI PALMA lavorate, agrumi, olio d'oliva, vini moscatelli ed altro ancora mentre in occasione del viaggio di ritorno si caricavano prodotti da esportare in Riviera.
Attesi questi contatti non pare casuale che il 30-IX-1795 l'Autorità Pontificia abbia emesso un'ordinanza in cui si legge:"Essendo stato il Capitano Stefano Bresca di San Remo per il commissionamento delle PALME occorrenti al servigio del Sacro Apostolico Palazzo e volendo Noi che il medesimo goda di tutti i PRIVILEGI, ESENZIONI E PREROGATIVE SOLITE E CONSUETE..." [a titolo documentario si può rammentar che il commercio navale con Roma da parte del Ponente Ligure e dei territori limitrofi era notevole = basti citare il giovane Giuseppe Garibaldi che prima della sua vita avventurosa accompagnava il padre Domenico che con la tartana Santa Reparata commerciava con lo Stato della Chiesa l'ottimo vino ligure-provenzale come si legge in questo documento].
In questo caso trattandosi di un documento a vantaggio dei Bresca tipico di una prassi burocratica e non solo, per quanto magniloquente e importante, di un attestato onorifico parrebbe intendersi che a monte della voce riferentesi a PREROGATIVE ED ALTRO risiedesse una attestazione documentaria concreta: trovandola si potrebbe indubbiamente fare luce completa su un episodio affascinante ma che, per quanto non scientificamente documentato, conserva in se stesso la sostanza della veridicità effettuale.



Informatizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante



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