informatizzazione B. Durante

Gubbio - Iguvium - fu antichissimo insediamento umbro, testimoniato dalle famose Tavole Eugubine: trattasi di 7 lastre in bronzo - attualmente visibili presso il Museo Civico - rinvenute nel XV secolo, scritte in lingua umbra, utilizzando sia l'alfabeto etrusco che quello latino, fondamentale documento epigrafico della civiltà umbra; risalenti probabilmente alla fine del II secolo a.C., riportano notizie di carattere religioso, indicazioni di luoghi e riferimenti all'ordinamento della città nel suo periodo più antico.
Alleatosi con Roma all'inizio del III secolo a.C., Gubbio divenne nel 90 a.C. Municipio facente parte della tribù Crustumina.
Centro assai sviluppato durante l'Impero, venne in seguito distrutto da Totila.
La città tornò a fiorire dopo il 1000 e dal XI secolo fu libero Comune, inizialmente ghibellino, quindi guelfo.
Nel 1350 Gubbio divenne Signoria governata dai Gabrielli e dopo alterne vicende - ribellioni, interventi da parte dello Stato Pontificio, governo popolare - la città si pose sotto il dominio dei Montefeltro di Urbino, vivendo un lungo periodo di pace e prosperità.
Nel 1508 ai Montefeltro successero i Della Rovere e l'ultimo membro di questa famiglia cedette la città al Papa nel 1624; nel1860 entrò a far parte del Regno d'Italia.
Gubbio è certamente una delle più caratteristiche e pittoresche città non solo dell'Umbria, ma d'Italia, grazie al quasi intatto aspetto medievale: situata nella parte più alta di un altipiano ai piedi del Monte Ingino, presenta una struttura urbanistica piuttosto semplice, ovvero cinque strade parallele situate a diversi livelli sul pendio della montagna e collegate tra loro da vicoli e gradoni.
La struttura degli edifici è prevalentemente romanica, con inserimenti di archi ogivali; tipica della città è la cosiddetta "porta del morto", un'apertura più stretta e posta più in alto della porta principale, attraverso la quale, secondo la tradizione, si facevano passare le bare dei defunti.
Molto più attendibile l'interpretazione secondo la quale queste aperture conducevano semplicemente all'interno delle abitazioni, poste al di sopra di fondi e botteghe: togliendo via, di notte, le scale di accesso, le case diventavano più sicure, persino nel fosco Medioevo.

RIPR. DA ARCHIVIO PRIVATO
















La Biblioteca comunale Sperelliana di Gubbio vanta una lunga tradizione storica: per le sue origini secentesche essa si colloca fra le prime biblioteche sorte con finalità pubbliche, seguendo in ordine di tempo i grandi esempi dell’Ambrosiana di Milano, dell’Angelica di Roma e quello di un’altra antica istituzione culturale umbra, la Biblioteca Augusta di Perugia.
Il 10 giugno 1666, dopo trattative avviate con il Comune, il vescovo di Gubbio, ALESSANDRO SPERELLI (1589-1672), donava alla città la propria libreria ricca di circa settemila volumi; con tale iniziativa il dotto vescovo intendeva rendere fruibile un patrimonio che potesse favorire la crescita culturale della comunità e, in particolare, l’istruzione dei giovani.
All’atto di donazione faceva seguito il trasferimento della biblioteca in palazzo Pretorio, nelle stanze ad essa destinate.
Con notevole capacità organizzativa lo Sperelli provvedeva a programmare anche l’attività della nuova istituzione: già al momento della donazione aveva nominato il bibliotecario nella persona del canonico Pier Francesco Tondi, destinando ad esso e ai successori nell’ufficio un’assegnazione perpetua di beni per far fronte alle spese di gestione e all’incremento del patrimonio librario; nel 1667 il vescovo istituiva una fondazione - la Congregazione Sperella - e l’anno successivo, nel proprio testamento, la designava erede universale affidandole tra gli altri incarichi anche quello di presiedere all’amministrazione della Biblioteca; alla Congregazione assegnava inoltre il compito di scegliere i futuri bibliotecari.
Sempre nel testamento, lo Sperelli confermava con una normativa minuziosa il regolamento della Biblioteca stessa: "Ho obligato et obligo di novo il bibliotecario, che è, e sarà pro tempore in perpetuo, a tenere aperta la porta della libraria per ispatio di tre hore il giorno in ciascuno dì feriale eccetto il giovedì, in caso che dentro la settimana non vi sia altra festa, et eccettuati i giorni canicolari, et a dare commodità a ciascuno, sì laico come ecclesiastico, sì secolare come regolare, di leggere ogni sorte de libri e pigliarne le note che gli piacerà, et a detto effetto tenervi sempre all’ordine tre calamari con doi o tre penne per ciascheduno, e poi conservare i libri esenti dalle corruttele, farne spesso con code di volpi levare la polvere [...]".
Nel 1684 moriva Vincenzo Armanni, autore di scritti eruditi e attento ricercatore delle testimonianze storiche e letterarie della propria città; nello stesso anno, per disposizione testamentaria del fratello Francesco Maria, il prezioso patrimonio documentario e bibliografico appartenuto allo studioso veniva destinato alla Biblioteca, insieme alle carte di famiglia.
Nel corso dei secoli XVIII e XIX, grazie all’opera illuminata di alcuni bibliotecari, la Sperelliana riceveva contributi proficui che ne consentivano lo sviluppo e la valorizzazione.
Interventi tendenti a migliorare la funzionalità del servizio, la fruizione del materiale librario e il suo incremento si devono a personalità di particolare rilievo: nei primi decenni del Settecento, Guidubaldo Angelini effettuava una schedatura sistematica dei volumi conservati, mentre Giacomo Tondi profondeva la sua energia nella Biblioteca per tutta la seconda metà del secolo; di don Agostino Marini, attivo dal 1817 al 1826, si tramanda il ricordo di una profonda competenza culturale e di rigorose qualità morali.
Tra il 1840 e il 1841 il canonico Francesco Tondi eseguiva un accurato lavoro di catalogazione che si concludeva con la stesura di un Indice ragionato per materie e di un indice per autore; tale intervento rispondeva peraltro all’adempimento di precisi obblighi introdotti da una nuova e più severa regolamentazione entrata in vigore dopo il clamoroso ammanco di oltre cinquecento libri riscontrato nel 1836.
I due cataloghi del Tondi, i più antichi conservati presso la Sperelliana, consentono di rilevare una consistenza di oltre novemila volumi e una tipologia che privilegiava le opere di carattere storico, giuridico e filologico.
In epoca postunitaria si apriva per la Sperelliana una fase critica determinata dal nuovo assetto politico e dai conseguenti cambiamenti di carattere istituzionale: nel 1863 l’Istituto Sperelli entrava a far parte della Congregazione di Carità e tra quest’ultimo ente e il Comune aveva inizio un lungo periodo di contrasti interpretativi sulla titolarità dei diritti di amministrazione della Biblioteca; sempre in quegli anni, difficoltà dovute al reperimento di spazi adeguati ostacolavano il progetto di accorpamento, ai fondi della Sperelliana, del cospicuo patrimonio librario acquisito dal Comune a seguito della soppressione dei conventi e dei monasteri del territorio; l’operazione, dopo numerosi rinvii, potrà essere realizzata solo alla fine degli anni settanta.
La situazione di crisi non incideva tuttavia sulla crescita della Biblioteca che vedeva aumentare in maniera rilevante la consistenza dei manoscritti e delle opere a stampa grazie anche a donazioni e a lasciti di privati.
Già nel 1824 l’erudito Luigi Ranghiasci aveva devoluto la propria libreria con la "pregevolissima collezione di storie municipali di quasi tutti i comuni del vecchio Stato pontificio" (O.
Lucarelli); nell’ultimo ventennio del secolo la Sperelliana accoglieva l’importante raccolta dello studioso Luigi Bonfatti e quella del medico Alessandro Mantovani; entrava inoltre in possesso della Biblioteca appartenuta a Pietro e Oderigi Lucarelli, comprendente oltre settemila volumi e un nucleo di manoscritti di carattere bibliografico e documentario di notevole interesse per la storia locale.
All’inizio del Novecento il Fondo Armanni, nel quale erano confluiti anche i manoscritti provenienti dalle collezioni Bonfatti e Lucarelli, veniva separato dalla Biblioteca e annesso al materiale dell’Archivio Storico del Comune.
Le motivazioni di tale passaggio sono da imputare solo in parte a problemi di spazio: verosimilmente, contribuirono a determinare la scelta anche approssimativi criteri di selezione che attribuivano al materiale manoscritto una natura essenzialmente archivistica; quest’ultima ipotesi sembrerebbe avvalorata dal fatto che attualmente presso la Sperelliana sono conservate soltanto opere a stampa.
Contemporaneamente alla separazione del Fondo Armanni, veniva effettuato un nuovo intervento di riordinamento e di schedatura del materiale librario ad opera del bibliotecario Giacomo Belli.
Nel 1937, soppressa la Congregazione di Carità, veniva istituito in sua vece l’Ente Comunale di Assistenza che nel 1953 normalizzava un’intesa con il Comune per assicurare alla Biblioteca un funzionamento e uno sviluppo adeguati alle nuove esigenze della cultura.
A seguito della successiva soppressione dell’Ente Comunale di Assistenza, la Sperelliana diventava di esclusiva pertinenza comunale e nel 1974 lasciava l’antica sede per trasferirsi in locali più ampi, nel complesso monumentale dell’ex convento di Santo Spirito.




































Il fondo antico della Biblioteca conta attualmente circa 30.000 volumi tra cui un centinaio di incunaboli e circa 3.500 cinquecentine.
Le prime opere a stampa possedute dalla Sperelliana hanno un carattere prevalentemente teologico e religioso, in quanto provenienti per la maggior parte dalla donazione del vescovo fondatore e dalle biblioteche degli enti religiosi soppressi.
Tra gli incunaboli più antichi, essa conserva le Homiliae super Ioannem di San Giovanni Crisostomo, testo stampato a Roma da Georg Lauer nel 1470, il Quadragesimale de poenitentia di Roberto Caracciolo e il Confessionale di Sant’Antonino, impressi a Venezia rispettivamente nel 1472 e nel 1474.
Oltre al Caracciolo, la presenza di altri grandi autori francescani attesta in modo significativo la rilevanza e la diffusione dell’Ordine dei frati minori in terra eugubina.
Accanto ai testi greci e latini, testimonianza della cultura umanistica nella Gubbio dei Montefeltro, sono presenti anche opere che trovarono larghissima diffusione a seguito dell’introduzione della stampa.
Esemplare in tal senso è il celebre Liber chronicarum di Hartmann Schedel (Norimberga, Anton Koberger, 1493) in edizione latina, illustrato da circa duemila xilografie.
Preziosa rarità della Sperelliana è la terza edizione dell’opera Mirabilia Romae (Roma, Martino di Amsterdam e Giovanni Besicken, 1500), piccola guida stampata a uso dei pellegrini.
Tra le cinquecentine, numerose sono le edizioni che recano impresse le insegne di stampatori illustri quali Manuzio, Sessa, Giunta, Blado, Plantin; altrettanto ampio è il ventaglio delle discipline e dei titoli, come pure diversificata è la tipologia dei frontespizi che appaiono sempre più raffinati grazie alla tecnica dell’incisione su rame.
La Sperelliana conserva anche opere ricche di pregevoli incisioni come gli Emblemata di Andrea Alciato (Lione, Macé Bonhomme, 1550), o come il trattato di calligrafia di fra Vespasiano Amphiareo (Venezia, Alessandro Gardano, 1580) che illustra un’ampia selezione di alfabeti di gusto manieristico.
Per la qualità dell’edizione è da segnalare la monumentale Biblia Sacra - otto volumi in folio con il testo in quattro lingue - stampata ad Anversa da Christophe Plantin nel 1569 per Filippo II di Spagna, mentre notevole per rarità e interesse letterario è l’edizione del poema dantesco con il commento integrale di Bernardino Daniello (Venezia, Pietro da Fino, 1568).
La presenza di numerosi libri di medicina, risalenti in gran parte al XVI secolo, è da riferire all’illustre tradizione medica eugubina che nel Cinquecento vedeva attive personalità come Girolamo Accoromboni, medico dei papi Leone X e Clemente VII, o come Baldo Angelo Abati che ebbe tra i suoi pazienti Francesco Maria II Della Rovere.
Di questi personaggi, che furono anche umanisti e scrittori, la Sperelliana possiede alcune opere, tra cui una bella edizione del De admirabili viperae natura dell’Abati (Urbino, Bartolomeo Ragusio, 1589).
Del vasto patrimonio bibliografico secentesco merita particolare attenzione la produzione locale che, in stretto rapporto con la realtà sociale eugubina, ne riflette il risveglio culturale.
Gubbio gode infatti nel corso del Seicento di una particolare vivacità letteraria.
La circolazione delle idee è favorita dall’attività delle tre Accademie degli Assorditi, degli Addormentati e degli ANSIOSI, dalla istituzione della prima tipografia e da quella della stessa Biblioteca.
Noti letterati e poeti come Paolo Beni, Guidubaldo Benamati, Bonaventura Tondi appartengono a illustri famiglie eugubine; il Seicento è il secolo dell’Armanni e di affermati giureconsulti, alcuni dei quali dediti anche agli studi storici, letterari o alla poesia, come Giovan Battista Cantalmaggi, Ippolito Conventini, Giovan Francesco Lazzarelli.
Presso la Biblioteca questo felice momento si ritrova nelle pubblicazioni più antiche della locale tipografia Triangoli (1623 e 1624), negli scritti poetici e in prosa del Benamati, grande ammiratore del Marino e fondatore dell’Accademia degli Addormentati, come pure nell’abbondante produzione barocca del Tondi.
Esempio tipico di una consuetudine in uso presso i tipografi del tempo per la stampa dei libri proibiti, è la Cicceide del Lazzarelli: le edizioni di tale testo non recano note tipografiche o sono pubblicate con falsa indicazione di luogo e di data per non incorrere nelle sanzioni della censura.
Nel clima decadente di fine Ottocento, la Cicceide veniva rilanciata con rinnovato successo da Angelo Sommaruga che dava alle stampe varie edizioni, di cui la Sperelliana conserva quella del 1885.
Tra le opere più rappresentative del pensiero e del gusto del Settecento si pongono all’attenzione la grande impresa dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert nell’edizione livornese del 1770 e gli splendidi volumi in folio delle Antichità di Ercolano (Napoli, Regia Stamperia, 1757-1792), le cui immagini svolsero un ruolo fondamentale per la circolazione del repertorio archeologico e per la diffusione in Europa del gusto dell’antico.
Nel settore della stampa periodica, per il suo interesse storico e di costume è meritevole di segnalazione la bella raccolta della rivista milanese "Nuova illustrazione universale" che, pubblicata da Emilio Treves a partire dal dicembre del 1873, qualche anno più tardi assumerà il titolo notissimo di "L’illustrazione italiana".
Naturalmente la tipologia delle pubblicazioni proposte non esaurisce la variegata realtà bibliografica costituita dalle raccolte della Sperelliana; per qualità e quantità delle opere in essa custodite, l’istituzione si allinea perfettamente con le analoghe biblioteche di antica tradizione che così ampiamente hanno contribuito al processo di crescita culturale della nostra società.
Oggi la Sperelliana è una biblioteca di conservazione e di pubblica lettura con una consistenza complessiva di oltre 55.000 volumi.
Di carattere prevalentemente umanistico, ma fornita anche di una vasta sezione di opere di storia locale, la Biblioteca offre servizi di consultazione, di prestito di libri moderni e di informazioni bibliografiche, continuando a promuovere la diffusione del sapere nel pieno rispetto delle volontà del suo fondatore.