INF. DI BARTOLOMEO E. DURANTE

Nell'immagine sopra FERDINANDO I GRANDUCA DI TOSCANA (Firenze 1549) secondo figlio di Cosimo I, che smise la veste cardinalizia e salì al trono nel 1587, dopo la morte del fratello Francesco I , il quale non aveva lasciato eredi maschi.
Governò con grande sicurezza, risollevando il commercio e l'industria ma soprattutto l'agricoltura, attraverso grandi opere di bonifica in Val di Chiana, Maremma e Val di Nievole.
Si oppose al municipalismo fiorentino creando il porto franco di Livorno, nata come città nel 1577 per volere di Francesco I su piano regolatore del Buontalenti. Promosse la formazione di un'efficiente marina da guerra, che sconfisse più volte le flotte turche (Famagosta 1608, Bona 1609). Le sue imprese militari furono affrescate da Bernardino Poccetti nella Sala di Bona di Palazzo Pitti . Per tenere a bada il potere spagnolo si avvicinò alla Francia sposando CRISTINA DI LORENA, da cui ebbe otto figli, e sostenendo Enrico IV, al quale era riuscito a dare in moglie la nipote Maria, figlia del fratello Francesco. Si riaccostò alla Spagna dopo la perdita del Saluzzese e fece sposare al primogenito Cosimo l'arciduchessa Maria Maddalena d'Austria , sorella dell'Imperatore.
Come protettore delle arti non fu da meno dei suoi avi : al Buontalenti commissionòla Fortezza del Belvedere, vera cassaforte di famiglia, al Giambologna la statua di Cosimo I collocata in piazza Signoria e le ville di Artimino e dell'Ambrogiana, mentre nel 1604 dava il via alla costruzione delle Cappelle Medicee in San Lorenzo. Protesse lo storico Scipione Ammirato e, in campo musicale, la Camerata dei Bardi, che attraverso il melodramma avrebbe aperto la strada alla grande tradizione dell'opera lirica italiana.
Successore di FERDINANDO, che morì nel 1608, fu COSIMO II 18enne destinato a morire precocemente ed a lasciare lo stato sotto la REGGENZA della moglie e soprattutto della madre CRISTINA DI LORENA.
Cosimo nato a Firenze nel 1590, era fornito di una discreta cultura, avendo avuto come maestri il Galilei, Giambattista Strozzi e Celso Cittadini; ma mancava di energia e non aveva la stoffa dell'uomo politico, tant' è vero che lasciò alla madre, alla moglie e al ministro CURZIO PICHENA gli affari del governo, e quando lui volle prender l'iniziativa in qualche trattativa politica fallì.
Sapendolo ricchissimo, la Spagna cercava di farselo amico per aggiogarlo alla sua politica di predominio e sarebbe riuscita nel suo intento se i ministri del Granduca, temendo di inimicarsi la Francia, non avessero vigilato e saputo abilmente destreggiarsi.
Tuttavia Cosimo II e i suoi ministri non seppero continuare la politica di indipendenza dalla Spagna che era stata adottata da Ferdinando I, del quale invece imitarono la politica favorevole ai Gonzaga, non accorgendosi che i tempi erano mutati e che alla Toscana conveniva stringere amicizia col duca di Savoia e assecondarne i disegni. Difatti andarono a monte le trattative tra Savoia e Medici per combinare un matrimonio tra VITTORIO AMEDEO, figlio di Carlo Emanuele I, e una principessa toscana, e nel 1612, alla morte di Francesco Gonzaga, il governo granducale si adoperò con la Spagna, con la Francia e con Venezia perché fosse riconosciuto il cardinale Ferdinando Gonzaga duca di Mantova, osteggiando le aspirazioni del duca sabaudo, il quale sosteneva che la successione spettava alla nipote Maria.
Questa politica, che andava a tutto beneficio della Spagna, mise in urto tra loro le corti di Firenze e di Parigi. I dissapori crebbero talmente che LUIGI XIII ordinò al residente toscano di allontanarsi entro tre giorni da Parigi ed entro due settimane dal territorio francese; e fu solo per la mediazione del duca di Lorena, sollecitata da Cosimo II, che i rapporti tra la Francia e la Toscana ritornarono cordiali.
Dove l'azione del governo granducale si dimostrò veramente energica ed efficace fu nella difesa delle coste italiane contro i barbareschi. Non riuscì, è vero, a Cosimo II di pacificare la Spagna e la Francia e di stringere in lega contro il Turco tutte le potenze cristiane, ma seppe dare tale impulso alla sua marina da guerra da renderla temutissima in tutto il Mediterraneo.
Affidata all'Ordine di Santo Stefano, ammiraglio della sua flotta era il marchese JACOPO INGHIRAMI di Volterra, che nella sua gioventù aveva partecipato alle guerre civili di Francia militando negli eserciti della Lega Santa. Diventato capo della marineria toscana, non solo aveva reso sicure le coste tirreniche dalle incursioni barbaresche, ma si era più volte spinto nei mari di Levante a molestare i Turchi con alcuni successi, ritornandone con schiavi e ricche prede.
Nel maggio del 1613, l'Inghirami, recatosi nelle acque della Caramania, assalì la fortezza di Akliman, situata di fronte a Cipro, la espugnò, la saccheggiò, la bruciò, e dopo una battaglia accanita si impadronì di due galee capitane della Guardia turca di Cipro; catturò poi altre navi mercantili e ritornò in Italia con ingente bottino, con trecento schiavi musulmani e con duecentoquaranta cristiani liberati dalla schiavitù.
Il governo di Cosimo II va ricordato per i lavori del porto di Livorno, che, interrotti sotto Cosimo I e Ferdinando I, furono da lui ripresi. Fu modificato però il progetto di Bernardo Buontalenti perchè, essendo troppo grandioso, richiedeva una spesa enorme, e il porto, rimpicciolito, risultò più utile, nelle nuove proporzioni, alla difesa ma non è che pregiudicò le esigenze commerciali della nuova città avviata a un grande futuro.
COSIMO II cessò di vivere il 28 febbraio del 1621 dopo dodici anni circa di regno. Siccome non aveva che un figlio decenne, FERDINANDO II, Cosimo II affidò la Reggenza alla madre Cristina di Lorena, e alla moglie Maria Maddalena, ordinando per testamento che le coadiuvassero nel disbrigo degli affari di Stato l'arcivescovo di Pisa Giuliano de' Medici, il conte Orso d' Elci, Niccolò dell'Antella e il marchese Fabrizio Colloredo, che ebbero come segretari Curzio Pichena ed Andrea Cioli.
Sotto il governo della Reggenza la Toscana venne ridotta in deplorevoli condizioni. Di questo governo fa una vivace rappresentazione il Callegari:
" Le reggenti non tennero conto di quello che Cosimo aveva stabilito nel suo testamento, che cioè non si attribuissero impieghi a nessun straniero, che non vi fossero alla corte confessori, se non francescani; e che con il tesoro ducale non si concedessero prestiti od imprese mercantili.
La corte invece si riempì di lusso, di intrighi, di frati, di chiacchiere teologiche; si profusero titoli di duca e marchese fino a persone di servizio, e col trafficare dei grani della Maremma Senese si rovinò quella provincia.
Cominciarono subito le rappresaglie, le vendette e le prepotenze; gli antichi ministri furono sbalzati dalle loro cariche per cedere il posto a maldestri favoriti del nuovo governo; i frati si insinuarono nel favore e nell'amministrazione dello Stato; la vanità, trasformata sotto il manto della pietà e della convenienza, accrebbe la profusione alla corte a tal punto che, consumati i risparmi fatti da Cosimo, si dovette ricorrere all'erario pubblico.
Il male, che serpeggiava alla corte sotto la Reggenza, si estese e portò i suoi negativi effetti in tutto lo Stato toscano. Erano cresciute le gabelle, divenute un vero flagello per il contribuente; gravi tasse si dovevano pagare per i contratti di ogni genere; i magistrati dell' abbondanza facevano traffico nei grani arricchendosi così sulla miseria; il Monte di Pietà, che doveva essere il soccorritore degli orfani e delle vedove, cominciò a prestar denari alla Spagna, ricevendone in cambio mercanzie, così che divenne banco e negozio e concentrò i capitali, rovinando con il suo monopolio ogni altro traffico.
Macchinose procedure e sconsiderati divieti impacciavano ogni cosa; era indicato dalla legge quali piante si dovessero coltivare, dove vendere le proprie derrate. In questo modo cessava il commercio, languivano le manifatture, la terra non produceva, rovinavano le famiglie e molti o per miseria o per vizio si gettavano alla campagna. Crebbero le file dei bravi, incoraggiati dalle stesse leggi con le frequenti immunità ed asili.
Ad accrescere la confusione e il disordine nello Stato concorrevano anche le intemperanze e le esigenze degli ecclesiastici, che sollevavano le proprie pretese giurisdizionali fino al punto da attribuire a sé il diritto di pronunciare ogni giudizio, introducendo con artificio in qualunque controversia la causa ecclesiastica, lanciando monitori e scomuniche, e considerando la corte di Toscana come il semplice esecutore degli ordini di Roma.
Aggiungi a questo un eccessivo numero di frati, che inondavano lo stato e che, segretamente spronati da Roma, andavano spargendo dottrine sediziose contro il governo, e con il loro esempio animavano i sudditi a violare le leggi. Il favore, che alcuni di essi godevano alla corte e il predominio già da allora acquistato nell'opinione pubblica, li rendevano invulnerabili di fronte alle leggi, mentre con il condurre una vita dissoluta davano al mal costume un incitamento maggiore..." (Callegari).
Quando FERDINANDO II uscì dalla minore età, non riuscì a sottrarsi alla volontà della madre e dell'ava, tuttavia cercò di porre un rimedio ai mali che il tristo governo della Reggenza aveva arrecato alla Toscana e con la sua bontà e pietà presto si guadagnò l'affetto dei sudditi che lo videro prodigarsi con grande abnegazione durante la peste del 1630.
Ferdinando avrebbe operato volentieri sagge riforme, ma le condizioni politiche dell' Europa e specie dell'Italia lo costrinsero a dedicare la maggior parte della sua attività alla difesa dello stato. Quanto a politica estera egli non seppe fare meglio che destreggiarsi tra la Spagna e la Francia e si mostrò deciso soltanto quando, preoccupato dello spirito aggressivo di URBANO VIII, si alleò con Venezia e con Modena in difesa di ODOARDO FARNESE.
Eccettuato quest'atto di risolutezza, tutta l'azione politica di Ferdinando II ha per caratteristica l'indecisione e la debolezza, specie nei riguardi della Santa Sede. Egli non seppe né volle porre un freno all' ingerenza del clero, che nei suoi stati si era fatta grandissima, e subì senza mai ribellarsi la volontà prepotente del Sant' Ufficio. Quando GALILEO GALILEI, chiamato a Roma da URBANO VIII, invocò la protezione del granduca, nulla questi fece per aiutarlo, lo esortò anzi ad ubbidire alle autorità ecclesiastiche. Allo stesso modo non andò in soccorso di MARIANO ALIDOSI che nel 1631 consegnò al tribunale dell' Inquisizione, dimenticando l'esempio datogli dal padre Cosimo II, il quale nel 1606 aveva ordinato la scarcerazione di Rodrigo Alidosi, padre di Mariano, imprigionato dal Sant' Ufficio, e nel 1616 si era rifiutato di riconsegnarlo.
Nonostante la sua debolezza e il suo remissivo ossequio alla volontà della madre e dell'ava, Ferdinando II riuscì a correggere parecchi abusi di governo e a introdurre nell'amministrazione pubblica una benefica economia, e sebbene grande fosse il potere che sulla moglie e sulla madre esercitava il clero, accettò le dottrine galileiane, protesse l'Accademia del Cimento favorendola nei suoi importanti esperimenti e, calcando le orme dell'avo, fu prodigo di aiuti ai letterati e agli scienziati, dando incremento alle tre università del granducato e contribuendo all'erezione del gabinetto di fisica e al museo di Boboli.
FERDINANDO II visse fino al 1670, nel quale anno gli successe sul trono il figlio COSIMO III. Con lui le condizioni della Toscana peggiorarono perché il nuovo granduca era inetto al governo e, siccome era largo nello spendere e gli piaceva condurre una vita fastosa, per procurarsi i mezzi necessari vendeva le cariche pubbliche, inaspriva i tributi e creava nuove imposte che dissanguavano i sudditi. Come sotto il governo paterno così sotto il suo la corte era piena di frati intriganti e di preti. Cosimo faceva grande ostentazione della sua religiosità non solo dedicando gran parte del suo tempo ai pii esercizi, che contrastavano stranamente con il fasto eccessivo, ma facendo generose offerte a santuari, favorendo la fondazione di conventi e dotando a spese dello stato le pie istituzioni.
Nel 1661 egli aveva sposata MARGHERITA d'ORLEANS. Fu questo un matrimonio infelice perché la giovane sposa, colta e vivace, non potendo sopportare la compagnia di un uomo così orgoglioso, poco socievole e bigotto, finì con il ritornarsene in Francia e chiudersi nel monastero di Montmartre, dove più tardi uscì per darsi ai giuochi, ai balli e ad altri svaghi mondani.
Dal suo matrimonio Cosimo ebbe tre figli, Ferdinando, Gian Gastone ed Anna Maria Luisa. Quest'ultima sposò l' Elettore Palatino Giovanni Guglielmo; Ferdinando si unì con Violante Beatrice di Baviera, Gian Gastone condusse in moglie ANNA MARIA FRANCESCA di Sassonia Lawerburg.
Ma nessuno di questi matrimoni riuscì fecondo, né lo fu quello del cardinale FRANCESCO MARIA de' Medici, fratello di Cosimo, con la giovane ELEONORA, figlia di Vincenzo Gonzaga duca di Guastalla, che forse non riuscì mai vincere la sua ripugnanza per il vecchio marito.
Morti il fratello e il primogenito Ferdinando, COSIMO III stabilì che se si estinguessero tutti i suoi congiunti di sesso maschile la corona di Toscana sarebbe passata sul capo della figlia ANNA MARIA. Il decreto granducale sulla successione medicea ebbe l'immediata ratifica del senato.
Più di uno erano i pretendenti alla successione medicea: vi erano gli Estensi, vi erano i Farnesi e vi era la Francia, la quale vantava diritti sulla Toscana in forza dei matrimoni di Caterina e di Maria de' Medici; bisognava inoltre fare i conti con l'imperatore CARLO VI, interessato alla successione in virtù dei diritti feudali. Carlo VI fece sapere a Firenze che la scelta di Anna Maria, elettrice di Sassonia, era di suo gradimento, ma che, essendo senza prole, era necessario -d'accordo con lui- di regolare meglio l'eredità.
Si avviarono pertanto negoziati tra il granduca e l' imperatore, e Cosimo III scelse come erede, dopo la morte dell'elettrice, la casa estense alle seguenti condizioni: Il granducato di Toscana e il ducato di Modena formerebbero un solo stato, sotto un medesimo sovrano residente a Firenze; gli Estensi difenderebbero sempre e contro tutti la libertà e l' indipendenza del dominio fiorentino; il successore non muterebbe la costituzione del governo toscano, conserverebbe al senato di Firenze le prerogative e alle città del dominio gli antichi privilegi; i debiti pubblici sarebbero a carico del successore; infine l'ordine di successione si stabilirebbe con atto solenne, per diritto di primogenitura, escluse le donne.