cultura barocca
Inormatizzazione a c. di B. E. Durante

CAMILLO BORGHESE (qui in un celebre ritratto) vide la luce a Roma il 17 settembre 1552 da nobile famiglia oriunda di Siena, che si era trasferita nell'Urbe qualche anno prima. Studiò giurisprudenza a Perugia e Padova, divenendo un canonista di profonda abilità, svolgendo, come avvocato concistoriale, importanti incarichi per la Curia. Nel 1588 fu Vicelegato a Bologna e quindi inviato straordinario presso Filippo II nel 1593.
Ricevette la porpora nel 1596 da Clemente VIII e fu nominato Vicario di Roma nel 1603. Alla morte di Leone XI (nemmeno un mese di pontificato) si aprì il conclave, dove la Spagna si servì del 'diritto di esclusiva', cioè fu espresso formalmente, per mezzo di un cardinale incaricato, il veto contro l'elezione di un candidato non gradito. Un accordo delle fazioni portò all'elezione, il 16 maggio 1605, del cardinal Borghese, che scelse di chiamarsi PAOLO V.
Il nuovo pontefice aveva un altissimo concetto della sua missione, era rigido sostenitore dei diritti del papato e pretendeva di imporre l'autorità pontificia non solo sugli stati cattolici.
Sul piano internazionale, numerosi sono i problemi che minacciavano la pace. Spagna e Olanda erano ancora in conflitto tra loro, nonostante la sconfitta subita dagli spagnoli a Nieuport ad opera della coalizione formata da olandesi e inglesi. Rispetto alla Francia cercò di rafforzare la posizione della monarchia borbonica contro gli ugonotti, tentando insieme di opporsi al gallicanesimo regalista. Per l'attuazione della riforma cattolica di fronte al diffondersi del protestantesimo, seppur riuscì a promuovere una lega difensiva tra Spagna e Francia, riuscendo a far concludere il matrimonio tra Luigi XIII e l'Infante Anna Maria, identificò troppo gli interessi della religione con quelli degli Asburgo, costringendo a subire le concessioni politiche di quest'ultimi ai protestanti.
Scoppiata la guerra dei Trent'Anni, mentre si preoccupò di trattenere Luigi XIII dall'intervento contro l'Impero, non si rese conto della gravità della situazione, impegnandosi solo nel 1620 in aiuti finanziari e illudendosi che il crollo della ribelione boema avrebbe concluso presto la guerra.
Nel 1604-1605 guardava con fiducia al Demetrio, diventato cattolico in Polonia, figlio di Ivan IV di Russia, che aveva fatto ben sperare per una riunificazione della Russia ortodossa con Roma, ma non fu che un momento effimero, perchè il clero locale e il popolo erano radicalmente avversi a una riunificazione; Demetrio e altri polacchi furono assasinati e l'ortodossia nuovamente consolidata, dal 1613, con la dinastia dei Romanov.
In Inghilterra, alla morte di Elisabetta I, aveva preso la corona Giacomo, figlio di Maria Stuarda, che aveva unito la corona di Scozia a quella d'Inghilterra. Paolo V aveva scritto, nel luglio 1606, un'amichevole lettera al novello monarca, per complimentarsi dell'ascesa al trono, chiedendogli di non pressare i cattolici; allo stesso tempo chiedeva ai cattolici di sottomettersi lealmente al sovrano in tutte le leggi non opposte all'onore di Dio. Purtroppo il re emanò il Giuramento di fedeltà, imposto anche ai cattolici, nel quale si dichiarava, fra l'altro che la dottrina che attribuisce al papa il diritto di deporre i principi e ai sudditi il diritto di deporre e uccidere i sovrani scomunicati, era empia ed eretica. Il pontefice condannò aspramente tale giuramento e i cattolici inglesi si trovarono divisi sulla liceità dell'imposizione reale. Fu lo stesso re Giacomo, per altro uomo colto di studi umanistici e teologici, che nel 1608 difese personalmente il Giuramento con uno scritto polemico.
Nell'ambito della politica italiana, gli stati della penisola stavano perdendo il primato economico, spotestate dalle cittadine mitteleuropee, che dominavano i traffici a livello mondiale. Molti, direttamente o indirettamente, erano sotto il dominio della Spagna. Sono sotto il controllo diretto il ducato di Milano, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna. La Toscana invece era controllata dalle piazzeforti degli stati dei presìdi, che comprendono Piombino, l'isola d'Elba e il promontorio dell'Argentario. Gli altri stati cercavano l'alleanza della Spagna per ricevere privilegi o appalti fiscali, come nel caso di Genova, o per proteggersi dalla minaccia turca, come nel caso di Venezia. Anche lo stato pontificio dovette, comunque, appoggiarsi a quello che era l'alleato cattolico più potente per portare avanti la sua politica religiosa.
Lo stato italiano con il quale PAOLO V ebbe maggiori scontri fu la Serenissima Repubblica di Venezia che non tollerava alcuna ingerenza estranea negli affari della sua politica interna; infatti questa aveva preso al suo servizio per la guerra contro gli Uscocchi alcuni banditi che infestavano lo Stato della Chiesa; questi dissidi si esasperarono quando Venezia abolì il diritto di prelazione del clero sui beni ecclesiastici enfiteutici e proibì la fondazione di chiese e luoghi pii, le donazioni e i legati senza l'autorizzazione dello Stato. Queste lamentele condussero ad un'aperta rottura tra Roma e Venezia quando questa citò davanti al tribunale dei Dieci, due ecclesiastici, accusati di reati comuni.
Paolo V chiese che gli venissero consegnati i due preti per sottoporli al giudizio dei tribunali ecclesiastici; Venezia però si rifiutò e spedì a Roma un ambasciatore per esporre i motivi del rifiuto, ma il pontefice, istigato dalla Spagna, non volle ascoltare le giustificazioni della Repubblica e il 16 agosto del 1606 la minacciò di SCOMUNICA se entro ventiquattr'ore non avesse revocato i decreti promulgati contro le prerogative del clero. A Roma si sperava che le popolazioni venete, appena venute a conoscenza del monito, col quale il pontefice lanciava l'
INTERDETTO
[Vedi qui digitalizzazione integrale da testo antiquario di Diritto Canonico]
, si sarebbero sollevate; ma il governo della Repubblica prese le misure necessarie per prevenire e reprimere possibili sedizioni: costituì una milizia cittadina e vietò che il monito fosse diffuso entro i confini dello Stato veneto, ordinò ai religiosi di non parlare dell'interdetto e nominò consultore il dotto servita PAOLO SARPI
mentre in ormai aperto contraddittorio la ragioni filopapali vennero difese da un altro gigante della teologia e del diritto vale a dire il
CARDINALE BELLARMINO
di cui sull'argomento giova qui riprodurre due non comuni
OPERE INTEGRALMENTE DIGITALIZZATE.