OSPEDALI E RICOVERI DEL XIII SEC. A VENTIMIGLIA E IN LIGURIA: LA LORO TIPOLOGIA
1-SCHEMA SCRITTO-GRAFICO DELLE CROCIATE
NOTA = questo settore di indagine, in forza anche di valenti studi non sempre però concordanti fra loro è in corso di verifiche e integrazioni ed approfondimenti che saranno via via inseriti e comunicati = PER APPROFONDIMENTI PUNTUALI E AGGIORNATI CLICCA QUI
INDICE DEGLI OSPEDALI DEL '200 DI CUI SI SON RICONOSCIUTE TRACCE DOCUMENTARIE
-OSPEDALE "DE ARENA"
-OSPEDALE "DE CARDONA"
-OSPEDALE "DE CLUSA"
-OSPEDALE "DE CORNIA"
-OSPEDALE DEI FRANCESCANI
-OSPEDALE "DEL TEMPIO"
-OSPEDALE "DI S. GIOVANNI BATTISTA" (SUE RELAZIONI CON LA "CHIESA ED OSPEDALE DETTI DEI CAVALIERI DI MALTA SULLA SPIAGGIA PORTO MAURIZIO")
-OSPEDALE/I DI S.MICHELE E/O DELL'OLIVETO
-OSPEDALE ANTONIANO "VIENNORUM"
[ANALIZZA PERO' QUI NUOVE E DIVERSE CONSIDERAZIONI IN MERITO O AD UN OSPEDALE ANTONIANO O ALLA PRESENZA DI FRATI ANTONIANI NELL'AGRO INTEMELIO]
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-OSPEDALE "SANCTE MARIE DE ROTA"
Il notaio di Amandolesio rogò a Ventimiglia un atto (7 settembre 1260) in cui alludeva a tali Gandolfo Leto e Ricolfo Rolando di una Domus de Cornia (scritta anche Cadetornia per Cadecornia) che aveva varie proprietà fondiarie: è possibile che la struttura ospedaliera avesse la casa madre nella zona di Latte e che valesse per i pellegrini in movimento alternato, sia dalla Provenza in direzione di Roma o, più estesamente, diretti alla volta della Terrasanta: l'identificazione che l'ospizio sorgesse nel circondario di Latte sembrerebbe avvalorato dall'uso di una dicitura inconsueta, utilizzata in un atto del 7-X-1507 dal notaio Bernardo Aprosio, che dice in volgare "Laite osea la casa de corni.
Nella prebenda orientale, nell'area di Ospedaletti, esisteva un OSPEDALE SANCTE MARIE DE ROTA [destinato attraverso i secoli ad un lento ma inarrestabile degrado, pur finendo per dar nome ad una località di Bordighera dal moderno nome della chiesa, ridotta al rango di cappella di NOSTRA SIGNORA DELLA RUOTA], citato in vari atti ed anche nei documenti della "Signoria Doria di Dolcecaqua": è impossibile oggi sapere quale significato avesse avuto per l'erezione della struttura ospedaliera l'esistenza nelle vicinanze, sulla riva del mare (dove sgorga tuttora), di una SORGENTE SOLFOROSA e se la stessa fosse stata assimilata nel contesto di una struttura ecclesiastica per un processo di SCONSACRAZIONE/ RICONSACRAZIONE e, successivamente, quale ruolo avesse avuto la stessa SORGENTE (al pari di quella di LAGO PIGO) per la CURA DI VARIE MALATTIE sia di Pellegrini che di ammalati (tenendo conto che facilmente i due elementi qualificativi potevano concentrarsi in un'unica persona, quella del viandante di fede ammalato e nonostante tutto intenzionato a proseguire nel suo pellegrinaggio).
Si giungeva all'Ospedale dalla val Nervia per la diramazione dellavia del Giunco (che permetteva di valicare la valle del Crosa o Verbone in direzione sud-est) ed esso costituì un'importante base di ricovero pei viaggiatori che procedevano verso il porto GENOVA donde imbarcarsi per i lidi di ROMA e del LAZIO.
Il grande OSPEDALE DE ARENA, per quanto si ricava dai parecchi documenti, doveva avere due sedi, una nella prebenda sulla sponda occidentale del Nervia (nell' edificio ad ovest del locale Consorzio Agrario, dove si sono individuate tracce di IMPIANTO MURARIO a celle del medioevo) e l'altra nel territorio vallecrosino della "TERRA DEI FRATI o VIGNASSE", a levante ma non lontano dalla chiesa di S.Vincenzo e S.Rocco, ove agli inizi del secolo scorso si rinvennero tracce di un approdo marittimo medioevale mentre poco più a Nord, in edifici delle proprietà Nari e Renosi, durante lavori sterro furono scoperti di recente resti murari medioevali ed un'architettura di ordine monastico a celle comunicanti, reperti di un forno e di lavatoi della stessa epoca (per quanto da leggere topograficamente, si ricorda atto -14\IV\1305- per cui "Rubaldo di Lavagno pellicciaio e Bonommo suo figlio, vendono a Oddone Ferrari ed altri una casa posta in Vallecrosia sul suolo del monastero di S.Siro di Genova" in A.S.G., Archivio Segreto, Buste Paesi, n.g.364; B.DURANTE-F.POGGI-E.TRIPODI, I graffiti della storia...cit., p. 155, nota 31 e sez. IV,1= in tale area pseudomonastica fin ad alcuni decenni fa stava una casa ora demolita in proprietà Nari, sopra la chiesetta romanica di S.Rocco, con l'aspetto architettonico della domus fortificata genovese dai paramenti esterni a scarpa; furono pure lette due date incise, del 1410 e del 1517, in un muro edificato verso il '500 sopra lo stesso presunto corpo monastico. E' pensabile che il complesso, conclusa l'esperienza cenobitica, fosse rientrato nelle fortificazioni militari repubblicane contro i Catalani (particolarmente nel periodo in cui questi contesero a Genova il controllo della CORSICA (VEDINE UN INQUADRAMENTO GEO-STORIOGRAFICO CON IMMAGINI D'EPOCA)) e che sia stato alterato nel XVI sec. come Torre antiturchesca in collegamento visivo con quella da combattimento in Vallecrosia-costa, il Torrione, e colle Casette a Sud-Est del borgo medioevale, dove tra il 1816 e '24 si rinvennero reperti medioevali su strutture romane= A.C. Vallecrosia, Registri delle Deliberazioni comunali, anni 1816-24).
Sulla base di 2 atti del 24-VIII-1262 (di Amandolesio, doc. 488-9) si evince che per giungere da questo "Ospedale de Arena" alla casa episcopale di Ventimiglia, procedendo con moderazione, poteva occorrere più di un'ora: l'arco cronologico si è ricostruito seguendo il tragitto fatto, evidentemente su una lettiga o portantina, dalla direttrice ed amministratrice del ricovero, tale Alamanna che, mortalmente malata o ferita, si era fatta condurre presso il vescovo Azone Visconti nella Canonica della Cattedrale intemelia, onde trasferire la sua carica al marito confrater Giovanni Cavugio (la vaga ma percettibile indicazione del superamento di due corsi d'acqua avvalorerebbe vieppiù l'ipotesi di una provenienza dal sito vallecrosino).
La transazione dei poteri dovette avere il consenso dell' arcidiacono Nicolao, del sacrista Ottone, del Preposito Rainaldo, del canonico Iacobus de Unelia; la presenza di Vescovo ed Arcidiacono era istituzionale come quella del Sacrista (questo non aveva prebende ma percepiva dagli altri Canonici 30 soldi di genovini alla Festa di S.Martino pei suoi diritti su tutte le proprietà; doveva presiedere ad ogni atto pubblico o privato che le concernesse ed era l'unico esponente del Capitolo la cui carica risultasse annualmente elettiva, durante la festività dell'Epifania). La presenza dei soli canonici Rainaldo e Iacobus documenta invece che le sedi dell'Ospedale de Arena eran 2 e locate sulle loro 2 prebende, quelle "dal Nervia a Bordighera" e "dallo stesso torrente al fiume Rodoria(Roia)".
Da altro rogito dello stesso notaio (6-V-1264, doc. 621) sembrerebbe invece che l'OSPEDALE DELLA DOMUS INFIRMORUM DE CARDONA dipendesse dal Capitolo solo per il lato spirituale, godendo di autonomia amministrativa, propria di quell'evoluzione degli "Ordini Ospedalieri cui si fece cenno.
Da atti del notaio di Amandolesio (doc. 559, 4-V-1263, doc. 560, 6-V-1263, doc.558, 4-V-1263, doc. 571, 26-VI-1263) la casa ospedaliera risulta sita "a Ventimiglia, sulla spiaggia del mare presso Cardona", nel sito identificabile fra la vecchia chiesa di S. Giuseppe -già area di un vetusto S.Nicolò- e l' agglomerato geologico dello SCOGLIO ALTO (dagli atti si riconosce che questo ospizio come quello de Arena fu base per i viandanti verso Oltremare, tra cui stavano Cavalieri e Crociati: in particolare il documento del maggio 1263 si riferisce ad un contenzioso per cui certo Oberto Giudice nominò qual suo procuratore Guglielmo Enrico per riscuotere da Ianone di Monaco e Nigro Iaculatore le somme relative alla fideiussione da loro prestata a favore di Michele de la Turbie non presentatosi all'imbarco sulla GALEA destinata alla volta della ROMANIA termine col quale nel medioevo si indicavano i territori dell'IMPERO ROMANO D'ORIENTE ed in particolare la PENISOLA GRECA ove dopo la IV CROCIATA ela presa di Costantinopoli ad opera dei Crociati specialmente i Veneziani ed i Genovesi posero le basi per un'intensificazione dei loro commerci e per la protezione delle loro colonie dalle incursioni degli Arabi: v. Albintimilium...cit., II,2,11).
L'OSPEDALE DE CLUSA dipendeva totalmente dal Capitolo: non senza ragioni si propende ad identificarne la logistica nell'area tra il torrente Garavan e il sito dei Balzi Rossi dove, da tempo immemore, si conserva -fra alterazioni fonetiche e ortografiche- il toponimo (che verisimilmente prese nome dalla struttura scomparsa ma che servì poi per indicare una zona coltivata ad agrumi) Le Cuse, nome di luogo registrato parimenti nella settecentesca cartografia del Dominio di Genova quanto della Diocesi di Ventimiglia (di cui si riprende il PARTICOLARE che interessa dal Tipo della Diocesi di Ventimiglia redatto da Panfilo Vinzoni nel XVIII sec. e conservato ora a Bordighera presso l'Ist. Internaz. di Studi Liguri).
Gli OSPIZI DI S.MICHELE E OLIVETO (forse doppia nominazione per una singola struttura magari colla gestione frazionata in due case di fondazione benedettina di Lerino) : come si individua facilmente dalla logistica di queste strutture, era loro funzione ospitare pellegrini per le SPAGNE accedendo per "via di mare" o per "tragitto di costa" al FONDAMENTALE NODO VIARIO E DI SMISTAMENTO DELLA PROVENZA E DI ARLES IN PARTICOLARE (a tutte la case ospedaliere si facevano lasciti per sacconi o pagliericci, indumenti e vestiti a vantaggio di malati, viandanti e poveri: Albintimilium...cit., cap. II, 11).
L'OSPEDALE DEL TEMPIO era invece fenomeno peculiare, connesso alla presenza in Ventimiglia di Cavalieri Templari, che si facevano pagare per l'assistenza e la protezione dei viandanti. Dagli atti del di Amandolesio si evince che questo organismo teneva proprietà terriere in Ventimiglia, vicino alla chiesa di S.Michele, ma che non confinavano colle mura cittadine, essendo da queste separate per via dei poderi di tal Ingone Burono (doc.569, 25-VI-1263). L'ospedale aveva anche delle proprietà nel luogo ad Villam che potrebbe connettersi col moderno toponimo intemelio "le Ville", presso la città medievale, se il notaio , scrivendo in territorio Vintimilii (e non prope, cioè "vicino") non sembrasse piuttosto alludere, come era solito usando tal denominazione, riferirsi ad una località del Contado, appunto il "territorio": egli usò raramente questo toponimo Villa e soltanto riferendosi ad una contrada grossomodo corrispondente all'attuale sito di Bordighera medievale, dove effettivamente già prima del XV secolo esisteva una Villa poi distrutta per ragioni mai completamente chiarite(costituiva nel contado l'unico insediamento demico di XIV sec. senza specifica nominazione: doc.613, 15-IV-1263 e doc.154 ove si legge "ad collam de Burdigueta ubi dicitur Villa").
Una "base templare" a Bordighera non sarebbe improbabile calcolando lo sviluppo degli approdi in tal luogo e tenendo conto dei percorsi trasversali che potevano connettere il sito sia coll'ospedale della Ruota che col tragitto nervino: tenendo altresì conto del Priorato templare di Sospello (chiesa di S.Gervasio, dipendente dalla Diocesi intemelia) e sulla loro base commerciale al passo di Tenda (Albintimilium cit., p.266, nota 40: sussiste altresì l'ipotesi di un loro distinto insediamento sul colle di Siestro in Ventimiglia, di cui si disquisisce nella Scansione di seguito sviluppata sugli insediamenti demici e fortificati del contado).
Per ricostruire la TIPOLOGIA di queste STRUTTURE DI RICETTO E CURA bisogna rifarsi alle strutture superstiti di cui si ha certezza come nel caso della COMMENDA DI S.GIOVANNI DI PRE' A GENOVA.
Verisimilmente erano distinte in due aule, non comunicanti tra loro: una riservata agli ammalati veri e propri e l'altra ai pellegrini in cerca soltanto di riposo.
Una successione di giacigli (i "sacconi" come si legge nei documenti del XIII secolo) serviva per ospitare malati e pellegrini: questi verisimilmente potevano poggiare su delle pance o delle NICCHIE ricavate nel muro il loro modesto bagaglio.
Qualche rilevazione in effetti si può produrre anche per gli OSPIZI DEL VENTIMIGLIESE nè si deve obbligatoriamente uniformare in assoluto la tipologia di tutti gli OSPIZI ad un superstite tipo iconico: è comunque plausibile ritenere -stando alla logistica ed alla tradizione locale- che i retsi di una struttura ospedaliera fossero da ravvisare in un COMPLESSO PRESUMIBILMENTE MONASTICO al terminale della VALLE DEL CROSA, nella zona dei PIANI, in prossimità dell'antica chiesa e prebenda di S.VINCENZO-S.ROCCO, in linea quindi coi resti della VIA ROMANA -fino a non molto tempo fa testimoniati da un GUADO nel corso del Rio Verbone o Crosa ed in rapporto ad una costa che conobbe una sua vita marinara antica -come si evince da vaghi segnali archeologici- anche se l'ATTRACCO più noto di cui si abbia testimonianza è relativamente (la base difensiva contro i TURCHI del TORRIONE ARMATO DI VALLECROSIA -eretto per impedire sbarchi pirateschi- induce a credere che la zona fosse tipologicamente ritenuta idonea da molto tempo per l'approccio, anche saltuario, di imbarcazioni).
Non è certo da escludere la promiscuità date le limitate potenzialità terapeutiche e tenedo peraltro conto delle consuetudini medievali.
A prescindere dalla buona volontà, e dalle prime nozioni teoriche apprese dagli Arabi interpreti della grande medicina greca molti interventi curativi erano affidati all'improvvisazione senza una reale valutazione delle eziologie e delle patologie.
Anche per questo dei buoni sacconi cioè dei giacigli comodi erano, per tanti sciagurati, un primo importante intervento per dare almeno del sollievo.
Tuttavia per i "confrari" ed i laici che gestivano queste strutture un importante contributo venne dai MONACI BENEDETTINI che in quest'epoca stavano sviluppando la grande esperienza agronomica della GRANGIA e che scoprendo dai libri antichi (che andavano salvando come quello di Pedanio Dioscoride medico e letterato romano) i rudimenti delle terapie e soprattutto l'ERBORISTERIA RAZIONALE se ne fecero interpreti allestendo i primi davvero efficienti laboratori di DISTILLERIA e, dopo un breve periodo di transizione, fecero in modo che varie conoscenze erboristiche pervenissero anche a persone estranee al loro Ordine, compresi gli ancora titubanti MEDICI.
Per quanto lo scorrere dei secoli abbia prodotto indubbi mutamenti le differenze fra le vecchie e le nuove istituzioni ospedaliere non dovettero essere consistenti: del resto per lungo tempo il giudizio della MALATTIA oscillò fra credenze e pallide proposte di indagine razionale.
Gli stessi MEDICI oltre a scarsissimo bagaglio scientifico e con minima, rozza strumentazione chirugica [per cui un intervento demolitore -come l'amputazione di un arto colpito da cancrena oltre ad essere paurosamente dolorosa anche per la mancanza di qualsiasi anestetico] si dibattevano spesso in estenuanti imprese teoretiche che in qualche caso li inducevano a far identificare qualche per loro inspiegabile MALATTIA con i terrori di MORBI INDOTTI PER VIA CRIMINALE O PER ARTIFICIO MAGICO.
Sotto questo profilo contro la MEDICINA UFFICIALE ebbe notevole successo la meno pericolosa MEDICINA POPOLARE.
I monaci che gestivano gli ospedali nel '200 erano per molti versi legati sia alla medicina popolare che all'antica arte dell'ERBORISTA O DELL'AROMATARO capace di estrarre dalle piante principi ed essenze in qualche modo efficaci: ed essendo tra l'altro, molto spesso, degli AVVEDUTI ERBORISTI apprendevano profondamente certi segreti della natura e creavano sostanze veramente curative o -come accadde in Liguria occidentale- da una pianta quasi "istituzionale" come la LAVANDA riuscirono ad estrarre un'infinita varietà di derivati utili in medicina ma addirittura usati in certe forme di Disinfestazione di insetti nocivi che potevano preludere all'avvento di qualche morbo micidiale.
Delle strutture in cui operavano i fratres del XIII secolo si conosce poco e poco si può dire: data la limitata evoluzione oarchitettonica di questi "centri di cura" si può ritenere che la SCENA DI VITA OSPEDALIERA dipinta da Jacopo Carrucci detto il Pontormo nella I metà del XVI secolo possa servire a fornire una qualche idea della vita nei più antichi ospizi: per quanto i mezzi fossero limitati come le conoscenze bisogna tuttavia ammettere che per molti sbandati, sconvolti da malattia e febbre, questi ricoveri furono spesso l'unico "salvavita" e soprattutto non si può dimenticare l'attivismo e l'avvedutezza anche terapeutica con cui i religiosi ANTONIANI (che indubbiamente operarono nel Ponente ligure, nell'ambito degli ospedali) svilupparono la cura di uno dei mali più temuti (e purtroppo alquanto diffuso) in quell'epoca, cioè l'ERGOTISMO.