cultura barocca
Informatizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante

La necessità di nascondere messaggi strategici da occhi nemici è antichissima: esistono testimonianze di cifrari antichi = si possono menzionare qui gli Ebrei ed il loro codice di atbash mentre gli Spartani avevano un loro proprio sistema di comunicazione dei messaggi segreti, detto scitala; a Gaio Giulio Cesare apparterebbe l'uso di quello che si nomina cifrario di Cesare, un sistema crittografico a fronte dei tempi moderni certo elementare, ma testimonianza della nascita di un principio nuovo ed efficiente per intendere i principi della crittografia e conseguentemente i possibili attacchi della sua "avversaria": la crittoanalisi.
La crittografia (lessema costituito dall'unione di due parole greche: kryptós cioè "nascosto", e graphía vale a dire "scrittura") è la branca della crittologia che tratta delle "scritture nascoste", ovvero dei sistemi finalizzati a rendere un messaggio "oscuro", non essere comprensibile/intelligibile a persone non autorizzate a leggerlo.
Simile messaggio è detto crittogramma e le tecniche usate risultano definibili tecniche di cifratura.
Il cifrario di Cesare è uno dei più antichi algoritmi crittografici di cui si abbia traccia storica. È un cifrario a sostituzione monoalfabetica in cui ogni lettera del testo in chiaro è sostituita nel testo cifrato dalla lettera che si trova un certo numero di posizioni dopo nell'alfabeto. Questi tipi di cifrari sono detti anche cifrari a sostituzione o cifrari a scorrimento per il loro modo di operare: la sostituzione avviene lettera per lettera, scorrendo il testo dall'inizio alla fine.
In particolare, Cesare utilizzava uno spostamento di 3 posizioni (la chiave era dunque 3), secondo il seguente schema: di maniera che alla lettera A (1 dell'alfabeto) corrispondeva la lettera D (3 dell'alfabeto).
Il cifrario di Cesare prende il nome da Giulio Cesare, che lo utilizzava per proteggere i suoi messaggi segreti. Grazie allo storico Svetonio[ Extant et ad Ciceronem, item ad familiares, id est sic structo litterarum ordine, ut nullum verbum effici posset: quae si qui investigare et persequi velit, quartam elementorum, id est D pro A et perinde reliquas commutet, "Vite dei Cesari" (56, I), Svetonio] sappiamo che Cesare utilizzava in genere una chiave di 3 per il cifrario, come nel caso della corrispondenza militare inviata alle truppe comandate da Quinto Tullio Cicerone.
Al tempo era sicuro perché gli avversari spesso non erano neanche in grado di leggere un testo in chiaro, men che mai uno cifrato; inoltre non esistevano metodi di crittanalisi in grado di rompere tale codice, per quanto banale.
In chiaro l'alfabeto latino era = ABCDEFGHIKLMNOPQRSTVX
Cifrato diventava = DEFGHIKLMNOPQRSTVXABC
cosa che può applicasi anche a quello moderno =
Chiaro ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ
Cifrato DEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZABC
che nell'alfabeto latino moderno diventa:
Chiaro ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ
Cifrato DEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZABC
di maniera per esempio che nell'alfabeto
latino moderno l'ordine =
ATTACCATEINEMICIALLALBA
diventerebbe
DWWDFFDWHLQHPLFLDOODOED
Son noti anche altri che usarono questo cifrario al tempo di Cesare: Augusto, suo nipote, lo utilizzava con chiave 1 ma senza ripartire da sinistra in caso di fine dell'alfabeto. Quindi, scriveva B per A, C per B ma AA per X.
Dalla scoperta dell'analisi delle frequenze da parte del matematico arabo Al-Kindi nell'XI secolo circa, tutti i cifrari di questo tipo sono divenuti molto semplici da rompere; nessuno è adatto per comunicazioni sicure allo stato tecnologico attuale, né lo è stato negli ultimi 1000 anni. Tuttavia, una forma di questo cifrario, chiamata ROT13, è ancora usata oggi per offuscare parti di un messaggio in modo da non renderle immediatamente comprensibili.
La storia della crittografia moderna inizia con la stesura del De cifris di Leon Battista Alberti, che per primo insegnò a cifrare per mezzo di un disco cifrante con un alfabeto segreto da spostare a scelta ogni due o tre parole. Anche il tedesco Tritemio prevedeva una forma di cifra polialfabetica, facendo scorrere l'alfabeto ordinato di un posto ad ogni lettera del chiaro (come si definisce in gergo il testo non crittato). Ma il vero progresso nella cifratura polialfabetica è stato realizzato dal bresciano Giovan Battista Bellaso, capace di alternare alcuni alfabeti segreti formati con parola chiave sotto il controllo di un lungo versetto chiamato contrassegno.
La sua prima tavola a 11 alfabeti reciproci, uscita nel 1553, fu ripubblicata dal napoletano Giovanni Battista Della Porta dieci anni più tardi e ne prese il nome grazie alla notevole diffusione che ebbe il suo trattato De furtivis literarum notis. Il francese Vigenère utilizzò poi il versetto per cifrare ciascuna lettera con la sua tavola ad alfabeti regolari identica a quella del Tritemio e che oggi porta il suo nome. Il suo sistema è stato considerato indecifrabile per tre secoli, finché nel 1863 il colonnello prussiano Friedrich Kasiski non pubblicò un metodo per "forzarlo", chiamato "Esame Kasiski".
Qualsiasi sia il sistema crittografico utilizzato, la legge fondamentale sul corretto uso di tali tecniche fu redatta da Kerckhoffs (e nominata "Legge di Kerckhoffs") ne La Cryptographie Militaire del 1883 che detta "La sicurezza di un crittosistema non deve dipendere dal tener celato il crittoalgoritmo. La sicurezza dipenderà solo dal tener celata la chiave".




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