cultura barocca
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II – DELLA CAVALLERIA SECOLARE
3. Qual è dunque il fine ed i vantaggi di quella cavalleria secolare che io non chiamo “milizia” ma “malizia” dal momento che l’uccisore pecca mortalmente e chi muore perisce per l’eternità? Infatti, per usare le parole dell’Apostolo: chi ara deve arare nella speranza e chi batte il grano nella speranza di coglierne i frutti (I Cor, 9, 10). Pertanto, cos’è, cavalieri questo errore tanto sbalorditivo, questa follia tanto insopportabile: compiere la vostra milizia con tante spese e fatiche senza nessun altra ricompensa se non la morte ed il crimine? Bardate di seta i cavalli , e sopra le vostre armature indossate non so quali bande di stoffa ondeggianti; dipingete le lance e gli scudi e le selle; abbellite con oro, argento e gemme i morsi e gli speroni e con tanto sfarzo, con un furore vergognoso e una stupidità che vi impedisce la vergogna vi precipitate alla morte. Ma sono questi ornamenti militari o piuttosto abbigliamenti da donne? .
Credete forse che la spada del nemico rispetterà l’oro, risparmierà le gemme e non sarà in grado di trapassare la seta? Ed infine tre sono le qualità principalmente necessarie al combattente - cosa che voi stessi molto spesso e concretamente avete sperimentato - cioè che il cavaliere sia risoluto, abile e circospetto per la propria salvezza, libero da impedimenti per poter correre e pronto a colpire. Voi, al contrario, lasciate crescere con uso femmineo la chioma a molestia degli occhi , impacciate i passi con camicie lunghe e fluenti, seppellite le mani tenere e delicate in maniche ampie e svolazzanti. Ma, al di sopra di tutto ciò, vi è - cosa che maggiormente atterrisce la coscienza d’un uomo d’armi - la causa leggera e frivola per la quale intraprendete la vita di cavalleria tanto pericolosa . Tra voi null’altro provoca le guerre se non un irragionevole atto di collera, desiderio d’una gloria vana, bramosia di qualche bene terreno. E certamente per tali motivi non è senza pericolo uccidere o morire.




IV - COME VIVONO I CAVALIERI DEL TEMPIO
7. Ma ora, per dare un esempio e per confondere i nostri cavalieri secolari, che certamente non militano per Dio ma per i! diavolo, trattiamo brevemente dei costumi e della vita dei cavalieri di Cristo : come essi si comportano in guerra e in pace, affinché appaia chiaramente quanto differiscano tra loro la cavalleria di Dio e la cavalleria del secolo. Innanzitutto certamente non manca la disciplina, né l’obbedienza viene mai disprezzata: poiché, secondo la testimonianza della Scrittura, Il figlio disobbediente perirà (Eccl, XXII, 3) e opporsi alla disciplina [articolo 33 della "Regola"] è peccato pari all’esercizio della magia, e non voler obbedire è peccato quasi come l’idolatria (I Re, 15, 23). Ad un cenno del superiore si viene e si va si veste di ciò che egli donò; né si attende da altre fonti il nutrimento e il vestito [articolo 20 della "Regola"] . Nel vitto [articolo 8 della "Regola"] e nell’atteggiamento ci si astiene da ogni cosa superflua, si provvede alla pura necessità . Si vive in comune, con un genere di vita sobrio e lieto senza spose e figli.
E affinché la perfezione evangelica sia completamente realizzata, essi abitano in una stessa casa, con unA stessa regola di vita e senza possedere niente di proprio solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace (Ef, 4, 3). Diresti che tutta questa gente abbia un cuore solo ed un’anima sola: a tal punto ognuno si sforza di seguire non la propria volontà ma quella di chi comanda. Non siedono mai oziosi, né gironzolano curiosi; ma quando non sono occupati in guerra (cosa che succede davvero di rado), per non mangiare il pane ad ufo riparano le armi e le vesti danneggiate, o rinnovano quelle vecchie, o mettono in ordine ciò che è in disordine, ed infine la volontà del maestro e la comune necessità dispongono il da farsi. Tra di essi nessuna preferenza: il rispetto è dato al migliore, non al più nobile di natali. Fanno a gara nell’onorarsi a vicenda (Rm, 12, 10); e vicendevolmente portano il loro fardello, per compiere così la legge di Cristo (Gal, 6, 2). Mai una parola insolente, un’azione inutile, una risata sguaiata, una mormorazione [articolo 71 della "Regola"] per quanto leggera e fatta sottovoce, quando vengono colte in fallo restano impunite. Detestano il gioco degli scacchi e dei dadi; la caccia è tenuta in spregio, né si rallegrano della cattura di uccelli per diporto cosa molto in voga [vedi articolo 47 della "Regola" con l'unica concessione della caccia al Leone (articolo 48 della "Regola")]. Sdegnano ed aborriscono i mimi, i fattucchieri [verosimilmente da interpretare piuttosto in praticanti di divinazione], i cantastorie, le canzoni scurrili [ma spicca comunque questo articolo 42 della "Regola" in merito al trattare di argomenti scurrili, molto diffusi in ambiente militare sin al "culto" di antica ascendenza -alla fine divenuto discussa "forma letteraria"- delle composizioni escrologiche ed oscene: oltre che una giusta riprovazione del comportamento maschile si evincono però un poco ovunque i presupposti di una graduale quanto inesorabile condanna del passatempo ludico del teatro e della musica "marchiato" dalla nota passione pagana], gli spettacoli dei giocolieri, e così pure le vanità e le follie contrarie alla verità [invero, accanto all'elusione di diletti mondani, l'allusione di Bernardo sembra qui piuttosto contro le costumanze della Cavalleria Secolare e l'obbligo per la "Cavalleria del Tempo" di evitare proprio questa riprovata usanza dei Secolari d'ornare se stessi con collane, ornamenti, oggetti d'oro ma anche i cavalli con ogni sorta di fregi e stoffe, tutte cose capaci addirittura d'esser d'impedimento in battaglia, come si legge in particolare dall' articolo 29 e seguenti della "Regola" ed ancora agli articoli 37 e 38 della "Regola"]. Taglino corti i capelli [argomento ben evidenziato nell' articolo 28 della "Regola" e comunque tematica che è stata oggetto di discussioni per secoli] capendo che, come dice l’apostolo, è vergognoso per un uomo curarsi la chioma (I Cor, 11,4). Non si acconciano mai, si lavano di rado [frutto come si intende di un'interpretazione dell'anacoretismo orientale], ma sono piuttosto irsuti per la capigliatura negletta, bruttati di polvere, abbronzati dal l’armatura e dal forte calore. 8. Quando giunge l’ora della battaglia, essi si armano di dentro con la fede e di fuori col ferro e non con l’oro, affinché i nemici abbia no terrore di loro e non invidia, essi sono armati, cioè, e non ornati Vogliono cavalli forti e veloci e non ricoperti da sgargianti gualdrappe e finimenti di lusso [vedi qui da articolo 29 e successivi della "Regola"] : essi si preoccupano infatti della battaglia e non dello sfarzo, della vittoria, non della gloria, e badano d’esser piuttosto causa di terrore che d’ammirazione. Pertanto non turbolenti ed impetuosi, senza precipitarsi con leggerezza, si ordinano ponderatamente e con ogni cautela e prudenza si dispongono in assetto di guerra, così come è stato scritto dai nostri padri, come veri figli del [nuovo] Israele pieni di pace s’avanzano per la battaglia (cfr. TI Mac, 15, 20). Ma al momento dello scontro, e allora soltanto, smessa la dolcezza di prima, come dicessero: Non devo forse odiare chi Ti odia, o Signore, e detestare i Tuoi avversari? (Sal, 138,21) fanno impeto contro i propri avversari, reputano i propri nemici branchi di pecore e mai, pur essendo pochissimi, temono la crudele barbarie e la schiacciante moltitudine. Essi hanno infatti appreso a non confidare nelle proprie forze, ma ad attendere la vittoria dal volere del Dio degli eserciti, al quale, secondo quanto è scritto nel Libro dei Maccabei, pensano sia molto agevole mettere molti nelle mani di pochi; e che per il Dio dei cieli non fa differenza salvare i molti o i pochi, poiché la vittoria non sta nel numero dei combattenti, ma nella forza che vien dall’alto (I Mc, 3, 18-19). E di ciò hanno fatto molto spesso esperienza, così che generalmente uno solo ne incalza quasi mille e due ne hanno messi in fuga diecimila (cfr. Sal 90). Così dunque per una singolare ed ammirabile combinazione sono, a vedersi, più miti degli agnelli e più feroci dei leoni, a tal punto che dubito se sia meglio chiamarli monaci o piuttosto cavalieri. Ma, forse, potrei chiamarli più esattamente in entrambi i modi, poiché ad essi non manca né la dolcezza del monaco né la fermezza del cavaliere. E di questa qualità cosa si potrebbe dire se non che è opera di Dio, ed è degna di ammirazione ai nostri occhi (Ct, 3,7-8)? Dio stesso ha scelto per sé tali uomini ed ha raccolto dai confini estremi del mon do questi Suoi ministri [ ministri della Sua giustizia] tra i più valorosi d’Israele, per custodire con fèdeltà e vigilmente il letto del vero Salomone - cioè il Santo Sepolcro - tutti armati di spada ed esperti quant’altri mai nell’arte della guerra (Sal, 117, 23).

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