cultura barocca
Prospero Mandosio: gli scambi di informazioni bibliografiche ma anche la corrispondenza con Angelico Aprosio su reperti antiquari nel contesto della tradizone seicentesca di protoarcheologia e collezionismo museale Angelico Aprosio e le informazioni bio-bibliografiche inviate al suo corrispondente l'erudito romano Prospero Mandosio per la sua Bibliotheca Romana sul letterato di Roma Numidio Paluzzi, già al servizio della veneziana Sara Copio Sullam e sulla parimenti romana Camilla Bertelli (letterata per volontà di Antonio Magliabechi ingiustamente anteposta alla Saffo di Colonia, la grande poetessa Anna Maria Schurmans) sposata e residente a Nizza con un membro della Casata Martini stimata frequentatrice della "villeggiatura" nella località di Latte presso Ventimiglia

G. Busetto nel suo saggio, La leggenda erudita di Sara Copio Sullam, letterata del ghetto di Venezia (in AA.VV., Il gran secolo di A.Aprosio, Sanremo, 1981) ha fatto molta luce sulla figura di Sara Copio Sullam ed in particolare ha contribuito ad acclarare la funzione documentaria che ebbe Angelico Aprosio in molti settori, non esclusa la "querelle Sara Copio Sullam - Baldassarre Bonifacio" come pure la relazione epistolare "Ansaldo Cebà - Sara Copio Sullam".
L'anziano Aprosio era in contatto con Prospero Mandosio che nell'opera che andava componendo ovvero la Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae ed all'autore andava fornendo notizie varie. In particolare il Mandosio trovandosi nella necessità di trattare del romano Numidio Paluzzi morto però da mezzo secolo si appellò ad Aprosio per esser erudito su tal personaggio oramai pressoché sconosciuto e ne venne accontentato al segno che potè inserirne la trattazione nel volume II, edito dai Lazzari nel 1692.
Il
Mandosio come qui si vede fu corrispondente di Aprosio e per quanto avanti negli anni fu in grado di ragguagliarlo con competenza.
La lettera che il Mandosio utilizzò per la sua opera ci ragguaglia in maniera importantissima su diversi aspetti concernenti Sara Copio Sullam:
" Già dalla sua humanissima lettera posso accorgermi che non le riescono disaggradevoli le mie notitie, e che tra le mandate il nome di Numidio Paluzzi le sia stato nuovo, m'accingo a proseguirle, e da questo comincio il mio racconto. Questi, ricco più de doni della natura che de' beni di fortuna, abbandonata la Patria, pensò di mutar paese, stimando fuor di Roma di ritrovare più benigno il Cielo. S'accompagnò seco Alessandro Berardelli pure romano, pittore, e scorse le città più celebri della Toscana e dell'Emilia fermarono il piede in Venetia, ove la fortuna non gli andava scarsa de' suoi favori, che non gli sarebbero venuti meno se egli se fosse saputo servire.
Si ritrovava nel Ghetto di quella città Simone Copia, ricco sopra gli altri hebrei. Questi da Ricca sua moglie hebbe prole del genere femminino, cioè due figliuole, Sarra e Stella, amendue spiritose: ma più Sarra, che si dilettava di leggere libri di poesie e d'altre materie curiose. Il genitore per darle gusto si contentò si aprisse nella sua casa un' ACCADEMIA ove concorrevano a gara per sentirla discorrere non pure i vicini, ma anche da Trevigi, da Padova, da Vicenza e luoghi più lontani i letterati. S'amicò il Paluzzi con quella, che conoscendo non potere corrispondere alle voci della fama che andavano attorno del di lei valore, si conobbe bisognosa d'aiuto. Questi le parve al proposito, per haverlo conosciuto mendico: e con simil gente non ci vuole molta fatica, perchè chi si ritrova in pericolo d'annegarsi, s'attaccherebbe ad una spada senza tema di tagliarsi le mani. S'offerì di servirla, ed ella perché non le avesse a mancare non pure gli pagavano la pigione della casa, ma anche gli somministrava danaro per potersi provvedere di vitto e di vestito, ed in tal copia che glirestava anco moneta per servirsene in altri affari.
Nel 1615 Ansaldo Cebà, nobile genovese diede alle stampe il poema Esther. Da lì a non molti anni capitò nelle mani di Sarra. Questo Poema cagionò che ella s'invaghisse di farselo amico, e n'hebbe l'intento, come si può vedere in un tomo di lettere, stampate in Genova l'anno 1623, ove si ha contezza de' doni scambievoli fra l'una e l'altro, ed anco de' ritratti. Seguirono ancora sonetti ed altre poetiche produttioni. Toccò al Paluzzi di fare la parte per l'Hebrea, nè bisognava stasse otioso. Io che l'ho conosciuta, so non haveva tanto ingegno
[ questa può essere una considerazione oggettiva ma più verosimilmente è da giudicare uno dei rigurgiti di misoginia aprosiana, occasionalmente ricorrente, specialmente avverso le donne potenzialmente concorrenziali per qualità ed ingegno con i migliori eruditi e poeti -come da me scritto- anche anche nell'Aprosio ormai vecchio, nonostante un effettivo ridimensionamento del suo antifemminismo giovanile = come quando ad esempio nel capitolo VIII e nel capitolo VIII del giovanile Scudo di Rinaldo, Parte I parlò della scarsa attitudine alle lettere -ed alle armi- da parte delle donne: postazione poi variamente elaborata e rivisitata, non senza contraddizioni, nei suoi diversi cataloghi di donne illustri e letterate ]. Con l'occasione dell' Accademia s'hebbe a discorrere dell' immortalità dell'anima.
Parve al Signore Baldassarre Bonifaccio che dall'Arcidiaconato di Trevigi nel tempo del S.P. Innocenzo X fu alzato alla Mitra di Giustinopoli, che la Sarra prendesse al credere alla mortalità dell'anima: onde diede alle stampe l'anno 1621 il libro intitolato Dell'Immortalità dell'Anima. Discorso di Baldassarre Bonifacio. Lo scrisse alla Copia, che piccatasene pubblicò contro di lui (il) Manifesto di Sarra Copia Sulam Hebrea. Nel quale è da lei riprovata, e detestata l'opinione negante l'immortalità dell'Anima, falsamente attribuitale dal Sig. Baldassarre Bonifaccio. Fu stampato a Venezia lo stesso anno. Quello è fogli otto, e questo tre, ma piccano così fattamente il Bonifaccio, che haveria voluto esserne stato digiuno. Non però fu farina del sacco della Sarra, ma di quello del Paluzzi che si mascherò da Hebrea".
L'acuto e puntuale Busetto concorda con quanto scritto dall' Aprosio che il Bonifacio fosse rimasto colpito dalla inaspettata profondità della risposta ma non concorda con "il Ventimiglia" su chi abbia scritto realmente l'operetta o piuttosto abbia affiancato la Sullam nella stesura del Manifesto. Riprendendo i contenuti di una poco nota Risposta al Manifesto del Bonifacio edita nel 1621 (con a guisa di appendice una lettera della Sullam datata 10/I/1619, cui solo egli avrebbe inteso rispondere) il Busetto si allinea al Bonifacio stesso sostenendo che per lui (ed anche per chi scrive queste note) alla stesura del Manifesto abbia semmai concorso Leone Modena piuttosto che l'ambiguo avventuriero e modesto letterato Numidio Paluzzi.
Scrive dunque il Busetto nel suo menzionato, basilare saggio = A questa affermazione piuttosto che a quella dell'Aprosio penso si debba prestar fede, soprattutto pre la lettera, dove con argomentare logico e serrato sono proposte una serie di osservazioni teologiche e filosofiche dietro le quali non sta la credenza o meno dell'immortalità dell'anima, quanto la polemica sulla religione: lo stesso argomento dunque dell'epistolario della Copio con Ansaldo Cebà, che va dal maggio 1618 all'aprile del 1622....lo stesso argomento di un'opera che il Modena non pubblicò ma che lasciò manoscritta, in cui il grande rabbino confuta i principi fondamentali del cristianesimo.
Val la pena in proposito di indagare un momento sul ruolo del Modena -una delle grandi figure della cultura ebraica del Seicento- rispetto alla Copio. Credo che con il padre Simone Copio (uno dei più ricchi e ragguardevoli mercanti che annoverasse la comunità israelitica veneziana) e il marito Giacobbe Sullam, sposato forse intorno al 1613, il Modena possa essere considerato una delle tre figure che, con la loro protettiva solidarietà, consentono alla bella Sara di esprimersi e di incantare il mondo dei suoi frequentatori.
Nato a Venezia nel 1571, Leone Modena era di famiglia in casa Copio. Nel 1602 allorchè pubblica una delle sue opere più impegnative, il
Deserto di Giuda, raccolta di sermoni che doveva rafforzare la sua fama di grande predicatore, la dedica è per Mosè Copio, ed in questa dedica è ricordato il fratello di Mosè, Simone.
Alcuni anni più tardi, e pressapoco intorn a tempo della morte di Simone, dà alle stampe una tragedia
Esther e la dedica quasta volta alla stessa Sara; episodio, questo, non irrilevante nella costruzione di quella sorta di mito personale o quantomeno di grande passione che la giovane mostra di aver concepito per l'eroina biblica. Più tardi, nel 1623 (è il Modena stesso che ce lo racconta nella sua autobiografia) egli è inviato a Mantova, come fiduciario dei Copio, ad accompagnare la sorella minore di Sara, Stella (o Diana) che andava colà sposa ad un Masserano.
Guida spirituale di famiglia, amico di fiducia dei Copio, il rabbino veneziano ebbe sicuramente parte notevolissima nell'educazione di Sara, se non ne fu addirittura, in qualche modo, il precettore. E Sara può considerarsi un
prodotto culturale, per così dire, del Modena.
la dedica dell'
Esther è un pò il suggello posto a quest'opera: con essa Sarah eredita in qualche maniera, il rango che fu, una ventina d'anni prima, del padre e dello zio. Ha circa trent'anni ed è già lei, la donna ha tanti ammiratori vocati alla sua esaltazione e una schiera assai meno numerosa, ma velenosissima, di detrattori che comunque, contribuiranno a far parlare di lei: e nella leggenda erudita che via via prende corpo, soprattutto nel corso del XIX secolo, i primi finiscono per spazzar via i secondi e il coro di elogi è unanime.
Bionda, bellissima, una delle donne più colte del suo tempo, capace di comporre musica e versi
[non si dimentichi nel contesto della relazione con Ansaldo Cebà che il letterato genovese compose anche per il Teatro e che qui è digitalizzata la sua opera La principessa Silandra], profonda conoscitrice dell'Antico Testamento, di storia, tradizioni e religione ebraiche, studiosa di filosofia, teologia, astrologia, letterature classiche; lettrice di testi in lingua originale ebraica, latina, spagnola a conoscenza certamente anche del francese: questo in sintesi il profilo che se ne può tracciare allo stato attuale delle conoscenze, giàcertamente fissabile all'epoca dellEsther del Modena e in qualche modo a lui ascrivibile: c'è infatti motivo di credere che l'ormai maturo maestro si sia ulteriormente affezionato alla sua brillantissima allieva nel riconsiderare con soddisfazione i risultati del suo insegnamento.
Tuttavia, se quello appena esposto è in sintesi il contenuto delle conoscenze con presumibile certezza attribuibili alla Copia, non è dato con altrettanta sicurezza definirne il livello.
Spartite fra il paluzzi e il Modena le spoglie letterarie della giovane Ebrea, rammentato che alcune testimonianze appaiono anche inficiate da livida malevolenza nei suoi confronti, registrato che il tempo ha, comunque, disperso quasi ttti i suoi scritto, benché ella abbia manifestato ambizioni letterarie sostenendo di aver atteso a lavori tali da poter dare lustro al suo nome; accertato che questo fu invece reso famoso da alcune polemiche, il merito maggiore che le si deve comunque nriconoscere è quello d'aver saputo raccogliere intorno a sè un INTERESSANTISSIMO SALOTTO, aprendo in casa, con la rotezione del padre prima e del marito poi, un'ACCADEMIA VERA E PROPRIA (e che tale sia stata afferma, come abbiamo visto, l'Aprosio stesso) accessibile non solo agli Ebrei, ma anche ai Gentili
".

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Il Busetto nel suo bellissimo saggio meritevole di una rilettura vede nella "polemica Bonifacio - Sullam" l'inizio del declino della donna già danneggiata dagli straschi letterari della "querelle".
Il fatto cui lo studioso allude (dopo aver segnalato che le postulazioni aprosiane avverso il livello intellettuale della Sullam come rigurgiti di misognia aprosiana occasionalmente ricorrenti -come da me scritto- anche da vecchio, nonostante un effettivo ridimensionamento del suo antifemminismo giovanile) in effetti poco ebbe a vedere con la cultura ma con le miserie della vita: ma il tutto prostrò ulteriormente la Sullam la cui salute non era particolarmente salda.
Per quanto fosse stato compensato anche oltre il lecito per aver in qualche maniera soccorso la Sullam nel suo lavorio intellettuale ed accademico, senza alcun senso di dignità e riconoscenza il Paluzzi che se per un certo periodo servì la Copio come scritto da Angelico Aprosio a Prospero Mandosio
certamente poi
raggirò e derubò la donna, con l'ausilio di complici.
In primis, approfittò della credulità della donna (epocale del resto) in merito alla presenza di spiriti malefici rei di furti effettivamente avvenuti nella di lei ricca dimora ma in realtà commessi dai summenzionati complici.
In secondo luogo, recuperando ulteriori notizie da Aprosio, essendosi recato a visitarla un bellissimo giovane francese, "invitato dalla fama della donna, che non restò affatto indifferente al suo fascino innamorandosene, e stando sempre a "il Ventimiglia", ignominosamente Numidio Paluzzi "...accortosi dell'amore di quella, pensò d'havere ritrovata la strada d'uccellarla; e fu che, fatta scrivere da un Francese una lettera a nome di quello alla Sarra, non lasciò d'insinuarle i suoi amori, che diceva d'haver tenuti celati, supplicandola di cortese risposta, e che per fargliela avere la rimettesse nelle mani di chi glie l'havesse consegnata, perchè in meno di 24 hore gli l'haverebbe con le sue arti fatta capitare a Parigi, delle quali egli pure si era servito. Non fu difficile a farle ciò credere, non lasciando gli Hebrei di dar opera e credito all'arte magica...." [la giunta aprosiana non impedisce di far cenno come nell'epoca anche i cristiani, sia cattolici che riformati, dessero gran credito a certe tematiche, alimentate dalla dilagante superstizione]
L'imbroglio divenne però presto di dominio pubblico e la Sullam, edotta dei fatti, li denunziò ai "Signori di Notte al Criminale" sì che secondo l'Aprosio imprigionarono il pittore Berardelli "romano e pittore". mentre la Sullam si liberò del Paluzzi licenziandolo il 9 liglio 1624. Numidio Paluzzi morì nel 1625 ma non senza cercare di vendicarsi assieme al Berardelli editando una satira intitolata Sarreide: più velenoso fu poi il Berardelli che pubblicando le Rime del Signor Numidio Paluzzi all'illustrissimo et eccellentisimo Signor Giovanni Soranzo (Venezia, 1626) inserì nella raccolta i sonetti spediti dalla Sullam al Paluzzi affermando però nella dedica che il Paluzzi sarebbe stato il vero autore degli scritti su cui verteva la fama dell'Ebrea che, approfittando del momento drammatico dell'agonia di costui, si sarebbe recata al di lui capezzale fingendo pietà e compassione ma in realtà apprpriandosene per editarli sotto suo nome. Nulla è dato sapere sulla reazione della Sullam a tutto ciò: disperazione, depressione? chissa! l'oblio regna sovrano fino alla sua morte, precoce, il 15/II/1641 in Venezia ove fu sepolta nel Cimitero degli Ebrei.

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