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DISCORSO LXVI [DA LA PIAZZA UNIVERSALE DI TUTTE LE PROFESSIONI DEL MONDO DI T. GARZONI]
De' molinari e pistrinari e crivelari e maestri di vagli, burati e sedacci overo tamisi
L''arte de' molinari s'attribuisce , quanto alla sua prima istituzione, da tutti communemente alla dea Cerere, talché, se altra preminenza mai non avesse, questa potrebbe esser bastante a far parere i molinari nella sua origine noboli e illustri essendo discesi dalli dei, benché il satirico Giuvenale gli nomini in mala parte in quel verso: Segnipedes dignique molam versare nepotes.
E' professione utilissima, anzi necessaria al sostegno della vita, perché non può veramente sostentarsi l'uomo senza il pane quotidiano che dalla farina viene, la quale è macinata dalle moli che adoprano loro. Sono anche netti competentemente i professori di quest'arte, perché l'esercizio loro ha del polito in se stesso, e quantunque la berretta sia di farina coperta, e così il saio, questo par che non importi, essendo macchia bianca e tale che, scuotendola un poco, subito vola via: Quanto alla dignità poco altro può allegarsi in lor favore; e se vi fossero ragioni che valessero a porre questo mestiero in cielo, io farei così volentieri servizio ai molinari ed anco a' pistrinari come faccio ad altri, sì perché avessero occasione di far buona farina a tutti, sì anco perché tenessero più a mano quel d'altri, senza copelare [far la cresta, rubare] tanto i sacchi, come assai volte fanno. Ma il diaolo d'è cacciato dentro nel molino e pistrino [molino a cavallo od asino] in modo che da quel bianco in fuori, ch'esternamente appare, l'arte è così lorda e sporca per conto di vizi ch'io son constretto a dirne più presto mal che bene, e raccontar più presto le furfanterie che narrar gli onori, i quali non si trovano in mille auttori c'ho rivoltato per trovarli. Ma forse questo non sarà picciolo onore, che di tanti molini che si trovano fra loro differenti (come quei da braccio, quei da venti o cavallazzi orbi o stroppiati, addimandati pistrini, quei che stanno fermi sul Po sopr due navi con le catene legati, e quei che sopra tutte le acque communi piantati sono) non ve n'è alcuno che non sia congrandissimo artificio fabricato, sì per le ruote, sì per le moli, sì per gl'ingegno che li fa girare: E vi scopre dentro una architettura di base, di colonne, di scale, di ruote, di denti, di cerchi, di ale, di tele, di roste, di sboratori, di canali, di scadute, di pale, di bottacci, di stili, di lieve, di bilichi, di asse, di rotare, di dar'acqua, di torla di foli, di pestoni, di cagne, di seghe, di casse, di morelli, di ruotoli, di maie, di vangollini, di pestatoi, di mazzuoli, di giove, di pile, di crocciole, di gramole, di gramolini, doi concoli e altre parti veramente mirabile e stupenda.
ma che fa questo a tnte miserie che son congionte all'arte e ai professori di essa? Ecco il molinaro infelice che trae dal suo mestiero i primi frutti di dolcezza mentre, lasciata la bella moglie in casa in preda di barcaruoli ed asinari, tutto il dì si rompe il capo coi scarpellini per trovare una mola che sia secondo il suo appetito, e al'ultimo, se ben mandasse in Androne, città di Tessaglia, ove si trovano perfette, spesi de' buoni denari, la trova tutta rotta, magagnata e piena di mille falli, al suo mestiero niente opportuni e convenienti. E quando l'ha adoprata due ore se ne stuffa in modo che maledice l'ora e il punto che fece compra tale, imperò che overo che non macina a raccolta, ovvero che non piglia ben le fave e il grano, overo che infarina troppo alcuna fiata, overo che il fondo non è ben piano o liscio, overo che la bocca è troppo largaccia, overo che non è accomodata con ordegni convenienti; e spesse volte si volge in traverscio, e finalmente par che non li vada a verso né per la fantasia da parte alcuna.
Oltra di ciò quest'arte ricerca una assistenza tanto assidua ch'è veramente uno stento, non potendo i molinari far di manco che non siano sempre in volta, o con gli asini e i muli, a caricar frumento per portare al molino, o a riportar la farina a casa, o a far girare i cavalli dal pistrino, o accomodare i prependicoli, il palamento, le ruote, le botti del molino, alzar le moli, riversciarle,toccarle di martello. torle di peso, e far mill'altre fatiche penose e travagliose di soverchio. Oltra che ordinariamente c'interviene tanta spesa, che pochi molinari si trovano che non vadino all'ospedale [ospizio] rimanendo falliti marci il più delle volte, come si vede perché ora goccia il tetto del molino, ora il canale fa danno, ora l'acqua non corre, ora s'è rotta la chiusa, ora l'acqua se gli mena a seconda, ora si spezza una ruota, ora qualche barca gli urta contro e gli affonda, ora marciscono i pali, ora va in malora una botta, e ora s'intende una ruina, ora un'altra. E di più s'affittano tanto caro, o s'ncantano [mettono all'incanto od asta], tanto che non vi durarebbe lo Sfrisato [forse un pirata arricchitosi o una maschera della Commedia dell'Arte ="Capitan sfrisato" in disc. CLI nota 18 del Garzoni] con tutti i suoi avanzi. Un altro diffetto ancora provano i miseri molinari, ché per lo strepito e rumore che tutta la notte e il giorno fanno i molini, divengono sordi e balordi come assini, e sempre hanno un certo tintinnamento nelle orecchie che da per tutto dove vanno portano la impressione de' lor molini di dentro, e nel più bello del dormire vengono col boccone in bocca destati da quel suono importuno e fastidioso che gli priva d'ogni quiete e riposo d'animo e di corpo. Godono ancora per l'acque vicine e molte volte infette, mille humidità di testa, mille doglie di capo, e muoiono qualche volta il primo anno che cominciano a lavorare nei molini, per la corruzione che porta il luogo infelice e doloroso. Oltre che, così md'estate come d'inverno passano coi piedi molli per il fango brutto e per il piscio d'asino e di mulo, e odono il canto vicino delle rane pantanose che gli assorda l'orecchie, con molte altre miserie che gli fan compagnia da tute l'ore. L'avere i molinari il fiato marcio, i piedi pieni di sudore, l'ascelle che putiscono come la carne di becco o come l'arrenghe e le botarghe, il volto carico di succidume, il naso che cola giù da ogni parte, il vestito imbrattato di polvere e farina, la ciera da ebreo levantino, è quasi un proprio in quarto modo, che per nessun patto ardisce di separarsi da quegli.
Ma i vizi superano poi di gran lunga le miserie, perché certamente non si trova mestiero dove tutti sian colti e trappolati come al molino, ove si pela senza compassione, e si scortica col rasoio da barbiero d'una mala sorte tutte le specie di persone: e preti e frati e monache e gentiluomini e signori e plebei e richi e poveri d'ogni sorte, tutti son da' molinari e gabbati e rubbati senza riguardo più d'uno che d'un altro. Abenché dicono d'aver qualche ragione che fa per loro (essendo la farina attaccaticia per sua natura, onde non solo al volto ma anco alle mani se gli attacca volentieri) sono anche ordinaramente assai bene invidiosi, perché hanno per male che si vadi ad altri molini e non ai loro, non potendo soffrire con buon'occhio che altri vanzi quello che essi vorrebbono per se medesimi rapire. Non guardano anco più la festa che il dì da lavoro, e macinano tanto la domenica quanto il sabbato, perché non si fanno scrupolo né conscienza né più né manco che di torre una copa per quarto, ch'è quasi un mezzo quarto [rubano parti di farina]. Nella qual cosa hanno sì ingrossata la vista che il brodetto (per dir così) gli pare geladina; e divengono alla giornata così insopportabili, che se qualche volta la berlina non gli mettesse paura, non si potrebbe vivere col fatto loro. Però, essendo ladri molte volte e mariuoli, molte volte ancora s'ode sonar la renga [arringa, tocco delle campane per riunione del popolo in piazza] per loro, e si vedono come sacchi col collo appesi in piazza, portando de' robbamenti loro convenevole castigo e giustissima mercede.
Il mestiero poi de' pistrinari particolarmente vien nobilitato da Plauto, che compose le sue comedie nel pistrino [Gellio, Noct. Att., III, 3,14]. Il qual fu ritrovato da Pilunno, fratello di Sterquilinio [De inventoribus, III, 2 cit.], perciò da'pistori [fornai] anticamente adorato. Ma il mestiero de' crivellari, e di quelli che fanno i vagli, derivato, secondo alcuni, dagli antichi Ebrei, qual si compisce con una pelle porcina forata e pertuggiata a guisa d'uuna gratuggia, non ha altra nobiltà che quella dell'utile che, nel crivellar frumenti e biade, tutto il giorno apporta. E così i maestri de' burati e sedacci, ritrovati uno in Spagna (secondo il testimonio di Plinio, nel decimo ottavo libro) l'altro in Francia (benché all'Egitto s'attribuisca l'invenzione dei quei di papiro e di gionco) non possono esser commendati da altra parte che dal giovamento espresso qual recano ai fornari d'ogni tempo. E perché attorno a tai mestieri si può dir poco, essendo deboli di soggetto, come si sa, farò passaggio ad altri professori.
[N.d.R.= Vaglio: arnese di varia forma essenzialmente costituito da un piano metallico bucherellato atto a separare le parti utili dalle scorie di un materiale incoerente o a dividere i materiali fini da quelli grossolani: v. a mano, meccanico; passare al v. il grano, la farina, la rena, la ghiaia - Passare al vaglio, vagliare; fig. esaminare attentamente: passare al v. una notizia prima di diffonderla - fig. Portare, raccogliere l'acqua col vaglio, fare un lavoro inutile - sinonimi = setaccio, staccio, crivello = vedi anche "buratto": strumento per separare la crusca dalla farina; è il simbolo dell'Accademia della Crusca e della sua tradizionale funzione nei riguardi della lingua italiana ("... per l'abburattar ch'ella fa, e cernere da essa crusca la farina", Bastiano de’ Rossi, 1585).]

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