CREDITI 9

La Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana è stata istituita nel febbraio del 1551 unitamente al COLLEGIO ROMANO DEI GESUITI, fondato da S. Ignazio di Loyola. È universalmente nota come grande istituzione culturale di notevole prestigio particolarmente sotto il profilo culturale, teologico, filosofico e letterario. Ha sempre pienamente condiviso la storia dell'Istituzione cui appartiene e di cui è al servizio, l'ha seguita nei suoi molteplici spostamenti causati dalla necessità di trovare spazi funzionali adeguati alle esigenze di un numero di studenti e docenti in costante crescita, di un'offerta formativa in continuo ampliamento per il numero di discipline e specializzazioni coperte.
La sede primitiva è una modesta abitazione, presa in affitto con denaro ricevuto da S. Francesco Borgia, alle falde del Campidoglio, presso la Casa de' signori Aquilani. Il numero crescente di alunni costringe Sant'Ignazio, nel settembre del 1551 a trasportare il Collegio in un'abitazione più ampia, nella casa dei Frangipane (oggi via del Gesù, all'altezza di Via della Pigna).
Nel 1557 il Collegio e la sua Biblioteca si spostano nella casa Salviati, in Piazza dell'Olmo (oggi Piazza del Collegio Romano), all'angolo tra via Lata (oggi Via del Corso) e via della Gatta. Qui rimangono fino al 21 aprile 1560, quando la signora Vittoria della Tolfa marchesa della Valle dona al Collegio il possesso delle case situate nell'attuale area di Piazza del Collegio Romano.
Nel 1584 il Collegio e la sua Biblioteca si trasferiscono nel grande Palazzo che Gregorio XIII fa appositamente costruire da Bartolomeo Ammannati sulla Piazza del Collegio Romano. Qui l'Università Gregoriana rimane fino al 1873, anno in cui la Biblioteca viene incamerata con i suoi 45.000 volumi, i manoscritti e gli archivi nella Biblioteca Vittorio Emanuele II.
La Biblioteca viene con il tempo ricostituita e si sposta con l'Università nella sede del Palazzo Borromeo (via del Seminario) fino al trasferimento successivo, nel 1930, nell'attuale sede in piazza della Pilotta, sede costruita sul terreno dell'ex Caserma dei Dragoni Pontifici, ex giardini di Palazzo Colonna, sui resti dell'antico Tempio di Serapide.
La progettazione di questa costruzione prevede appositi spazi funzionali destinati ad accogliere la Biblioteca e soddisfare le esigenze di conservazione e fruizione del suo patrimonio. La "nuova" Biblioteca dispone infatti di una sala di lettura molto ampia corredata da un doppio ordine di gallerie formate da un tipo di scaffalatura pratico e razionale; di una torre libraria di 6 piani per il deposito dei libri, dotato di un complesso di scaffalature metalliche capaci di contenere oltre 600.000 volumi. Al momento dell'inaugurazione della nuova sede di Piazza della Pilotta nel 1930 il patrimonio della Biblioteca ammonta a circa 150.000 libri.
Non si conoscono con precisione l'ampiezza ed il valore della Biblioteca del Collegio Romano, ma Girolamo Tiraboschi parlando delle Biblioteche del secolo XVI in Italia dice "Quella che aveano i Gesuiti nel loro Collegio Romano, divenne presto una delle più rinomate, per le copiose raccolte che vi si unirono di libri sì stampati che manoscritti, di Marcantonio Mureto, del P. Francesco Torriano, di Giambattista Coccini Decano degli Auditori di Rota, de' Padri Giovanni Lorino, Benedetto Giustiniani, Giacomo Lainez, Pietro Possino, de' Cardinali Bellarmino e Toledo, e poscia ancor di più altri" (G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana", v. VII, I, Roma, 1784; p. 213).
Molte sono infatti le raccolte lasciate da privati ai Gesuiti, e fra queste quella, parziale, del celebre umanista francese Marc'Antonio Muret vissuto a lungo in Italia e quella di Giovanni Battista Coccini, Decano degli Auditori di Rota, lasciata in eredità nel 1640.
Nel corso dei secoli XVII e XVIII la Biblioteca del Collegio Romano aumenta il suo patrimonio librario sia per sempre nuove donazioni di fondi librari sia per lascite di denaro o rendite da parte di benefattori che le vogliono espressamente destinate all'acquisto di nuove opere. Nascono per questo anche alcune controversie fra il Padre Prefetto della Biblioteca e il Padre Procuratore del Collegio riguardo alla possibilità di destinare totalmente tali lascite e rendite al funzionamento della Biblioteca o invece di utilizzarle per il "bene comune" del Collegio.
Una pietra miliare nella storia della Biblioteca del Collegio Romano è proprio rappresentata dalla soluzione data a questa annosa controversia dal Rettore P. Angelo Alamanni, il quale in data 1 aprile 1695 stabilisce che annualmente si assegni alla Biblioteca, a partire dall'anno 1694, la somma di 200 scudi, di cui 175 destinati all'acquisto di nuovi libri e 25 per spese connesse alla rilegatura dei libri, alla stesura e copiatura di indici, a scaffalature per la conservazione del patrimonio librario.
Il Padre Prefetto della Biblioteca è in questo periodo il combattivo Giovanni Battista Tolomei, che sempre continuerà ad amare la "sua" Biblioteca e a "battersi" per i suoi diritti e la sua crescita; più tardi, insignito della porpora cardinalizia, egli non la dimentica e nel testamento che stende il 27 ottobre 1719, sei anni circa prima della sua morte, fa dono della sua raccolta personale di libri alla Biblioteca del Collegio Romano, ponendo però una clausola molto importante: che si mantenga nel Collegio Romano in modo permanente una persona impiegata, diremmo oggi full time, per il servizio e la cura della Biblioteca, un impiegato "compagno e subordinato" al Padre Prefetto, ovvero una persona distinta dalle altre impiegate nel Collegio per lo svolgimento di altre funzioni.
Nel 1748 Papa Benedetto XIV loda la cura con cui tutti i collegi della Compagnia di Gesù, in particolare il Collegio Romano, mantengono le loro biblioteche.
All'interno del Collegio coesistono una Biblioteca Maior curata e mantenuta dal Padre Prefetto e da un suo assistente ed un certo numero di biblioteche minori, in un certo senso le definiremmo oggi "specializzate", utilizzate direttamente dai docenti, studenti e studiosi delle varie discipline, biblioteche da cui è consentito prendere in prestito i libri per la consultazione e lo studio personali, a differenza della Biblioteca Maior, che non concede prestiti di alcun tipo. La Biblioteca Maior era anche chiamata Bibliotheca Secreta anzi era forse questo il temine con cui veniva chiamata la Biblioteca del Collegio Romano, non nel senso di "segreta" ma nel senso di "separata" (e pubblica), distinta da ogni altra biblioteca privata della Compagnia. Al momento della soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, la Bibliotheca Maior possiede circa 80.000 volumi ed ammontano a circa 30.000 unità i volumi posseduti dalle biblioteche minori.
Nel 1824 quando il Collegio viene restituito alla Compagnia il numero complessivo di volumi non ha subito aumenti rilevanti. Le opere riguardano principalmente i settori della Sacra Scrittura, della Teologia, della Storia Ecclesiastica, la letteratura classica greca e latina, la "storia profana", l'arte e l'archeologia, le scienze.
Esiste un "Catalogo della Biblioteca del Collegio Romano", esattamente della Bibliotheca Maior, redatto intorno alla metà del XVIII secolo, probabilmente sotto la direzione dello storico P. Lazzeri sulla base di un altro catalogo del secolo precedente. Si tratta di un catalogo alfabetico che consiste di 12 volumi in folio, tre rilegati in cuoio con guarnizioni metalliche, nove in pergamena bianca. Contiene circa quarantamila titoli di libri perfettamente descritti, con richiami ed indicazioni miranti a facilitarne l'uso.
Oggi il catalogo è conservato nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele, la quale venne formata inizialmente con i volumi del fondo della Bibliotheca Maior del Collegio Romano.
Non si sa se si giunse a redigere anche un catalogo dei libri posseduti dalle biblioteche minori, ma dal documento che attesta la sopracitata controversia fra il Padre Prefetto della Biblioteca e il Padre Procuratore del Collegio Romano emerge l'intenzione di procedere, dopo la realizzazione del catalogo della Bibliotheca Maior, anche alla redazione di un catalogo delle biblioteche "comuni" e alla registrazione di tutti i libri presenti nelle varie stanze del Collegio.
Esiste notizia anche di un altro catalogo, organizzato per materia, in quattro volumi in folio redatto per ordine del P. Tolomei durante il suo rettorato (1698-1701). Ne parla il P. Pietro Maria Salomoni (1698-1768) nella biografia del Tolomei "...il dar moto alla sola scuola era poco al nostro rettore: ...che la libreria del Collegio, oltre che alle antiche impressioni di vari autori classici, che vi mancavano, fornita fosse e rifatta di quanto allora trovavasi di buon gusto, e di tuti quegli scelti volumi che in qualunche materia e lingua andassero di mano in mano. Ottenne egli pertanto che a quella si fermasse annuale assegnamento, acciocché i professori non avesser che desiderare sì dell'antico che del moderno. E per risparmiare agli stessi la fatica di rintraciar nelle classi particolari gli scrittori in esse eccellenti fe disporre i 4 grossi volumi in folio gli indici sterminati delle materie, che da se nel corso letterario aveva compilati con incessante travaglio".


Liberalismo e tradizione cattolica. Osservazioni critiche su Juan de Mariana Paolo Zanotto
Dipartimento di Scienze Storiche - Università di Perugia

1. Intenti e limiti della presente ricognizione
Lo storico del pensiero politico Dalmacio Negro Pavón ha recentemente sostenuto che la tradizione liberale del “governo limitato” - la quale, a sua volta, si riallaccerebbe direttamente alla “concezione classica greco-latina del governo sottoposto alle leggi” - avrebbe avuto inizio nel corso del Medioevo. Tale idea si vedrebbe strettamente collegata alla convinzione secondo cui il popolo detiene un diritto originario ad esprimere il proprio consenso o dissenso all’azione dei governanti, attraverso i suoi rappresentanti naturali. L’età media - prosegue Negro Pavón, sulla scorta di alcuni studi compiuti da José María Ortega y Gasset (1883-1955) (1) - avrebbe fermamente creduto che la libertà, lungi dal configurarsi come una concessione del governo, fosse previa alla legge, al pubblico, a quello che in età moderna si è definito ‘Stato’. Sempre a suo dire, inoltre, tale concezione riposerebbe, fondamentalmente, nell’idea cristiana secondo la quale ogni uomo è libero a causa della sua condizione di essere creato, secondo l’insegnamento biblico contenuto nel Pentateuco, ad ‘immagine e somiglianza’ di Dio (2); situazione per cui l’essere umano possiederebbe, a differenza della maggior parte delle altre creature viventi, una “libertà naturale” (3).
Secondo alcune ricerche compiute da José Antonio Maravall Casesnoves, il Seicento politico castigliano avrebbe ereditato elementi già presenti nel basso Medioevo, adattandoli con i motivi provenienti dai nuovi influssi culturali del periodo (4). Gli scolastici spagnoli dell’epoca rinascimentale, infatti, rielaborarono a più riprese le concezioni tardo-medioevali del ‘pattismo’, in base al quale erano da ritenersi ‘leggi fondamentali del regno’ (leges imperii) quelle norme di diritto positivo che configuravano il ‘contratto’ fra il monarca ed il popolo, attraverso le quali quest’ultimo riconosceva al primo la sua qualità.
Da parte sua, lo studioso spagnolo Jesús Huerta de Soto Ballester si è detto convinto del fatto che si sarebbe avuta, da parte di alcuni pensatori cattolici medioevali e rinascimentali, un’anticipazione proprio delle tematiche relative alla teoria liberale del governo limitato. In proposito, egli ha sottolineato anche come il trionfo della Riforma, con la conseguente ricezione “imperfetta” della “tradizione giusnaturalista” cristiana (5), che si ebbe nel mondo anglosassone attraverso gli “scolastici protestanti”, avrebbe contribuito a sottrarre prestigio ed influenza al ruolo svolto dalla Chiesa cattolica quale limite e contrappeso al potere secolare dei governi, il quale si sarebbe visto, in tal modo, notevolmente potenziato (6). Di conseguenza, il liberalismo risulterebbe essere l’ideologia politica coerente con il cristianesimo nelle condizioni del mondo moderno e contemporaneo (7). Non sarebbe, quindi, una mera casualità che, in alcuni significativi esponenti della tradizione liberale anglosassone, san Tommaso d’Aquino (1225-1274) venga individuato come the first Whig (8).
Allo stesso modo, non rientrerebbe nella fattispecie delle semplici coincidenze neppure il fatto che l’uso politico del termine “liberale” (liberal) abbia avuto origine proprio in una nazione fra le più cattoliche che si conoscano: quella spagnola (9). In particolare, a giudizio di Negro Pavón, gli scrittori politici d’impronta liberale vissuti in Spagna nel XIX secolo dovettero molto alla figura oggetto del presente studio: il gesuita Juan de Mariana de la Reina (1535-1624) (10). D’altronde, molti di quegli stessi esponenti storici del liberalismo politico spagnolo - come Antonio Alcalá-Galiano y Villavicencio (1789-1865) - riconoscevano esplicitamente in Mariana un vero e proprio precursore delle loro idee politiche, al punto che, il 27 maggio del 1888, alcuni di essi gli vollero dedicare un monumento. Come stanno a dimostrare frasi quali: “è sicuro solo quel potere che impone limiti alle proprie forze” (11), che tanto impressionarono alcuni moderni lettori del gesuita, proprio Mariana avrebbe infatti rappresentato uno degli esponenti più intransigenti di tali tópoi dottrinari. La sua conseguente connotazione quale ‘ultra-liberale’ - recentemente sviluppatasi in ambiente libertario euro-americano - appare, in tal modo, logicamente sostenibile.
A contribuire in maniera determinante nel cucire addosso al religioso castigliano i panni del ‘rivoluzionario’ fu, inoltre, la sua strenua difesa del ‘tirannicidio’ e le traversie personali che ne derivarono (12). Egli sostenne tale teoria nella propria opera del 1599 intitolata De Rege et Regis institutione (13), la quale andava a porsi, in tal modo, come la voce più autorevole in quel tempo a sostegno del ‘diritto di resistenza’ in campo cattolico (14). In linea con quanto già verificatosi in ambiente protestante, infatti, anche nelle nazioni non riformate fiorì una tale corrente di pensiero, detta dei ‘monarcomachi’, la quale avrebbe trovato in Mariana il suo rappresentante più illustre (15).
Tuttavia, quella di ‘liberale’ non è l’unica etichetta che si è cercato di attribuire retrospettivamente al gesuita spagnolo; altri interpreti hanno creduto di scorgere in lui, di volta in volta, un ‘socialista’, un ‘collettivista’, un ‘costituzionalista’, un ‘individualista’, un ‘razionalista’, un propugnatore della ‘teocrazia’ (16). Quanto di realistico riposi in tali convinzioni è, pertanto, uno degli interrogativi di fondo ai quali il presente lavoro tenterà di fornire una convincente risposta.
2. Mises e Hayek sui rapporti fra cristianesimo e dottrina liberale: una premessa necessaria
Prima di addentrarsi nel merito del fine ultimo di questa indagine - che, come detto, si può ricondurre al tentativo di indagare le fonti primarie nell’intento di evincere da esse il grado di sostenibilità dell’affermazione in base alla quale sarebbe da rintracciarsi un nesso causale stretto fra il liberalismo economico-politico e la dottrina etico-sociale della Chiesa cattolica - sembra opportuno evidenziare che l’assunto da cui essa prende le mosse non si configura come un dogma incontestato nell’ambito della stessa tradizione liberale e libertaria contemporanea, bensì risponde alle caratteristiche di un’interpretazione che, da minoritaria, ultimamente sta acquisendo un sempre crescente consenso al suo interno.
Probabilmente, l’‘effetto detonante’ è stato prodotto dall’assimilazione della teoria economica liberale con la filosofia del giusnaturalismo aristotelico-tomista, operata da parte di Murray Newton Rothbard (1926-1995) in antitesi a quella che era stata la tendenza prevalente all’interno della Scuola austriaca fino a quel momento. Tuttavia, precedenti significativi - ancorché impliciti - di tale accostamento si erano già avuti per tramite di Hayek. Egli, infatti, sebbene dichiaratamente agnostico, durante la relazione di apertura alla conferenza fondativa della Società Mont Pélèrin, tenutasi il 1º aprile del 1947 nell’omonima località svizzera, dopo aver deplorato “l’anticlericalismo militante ed essenzialmente illiberale” che aveva animato tanta parte del liberalismo continentale del XIX secolo, si disse anche convinto del fatto che, se la frattura tra il “vero liberalismo”, da una parte, e le convinzioni religiose, dall’altra, non fosse stata in qualche modo sanata non si sarebbe potuta avere alcuna speranza di rinascita per le forze liberali (17). D’altra parte, quello espresso da Hayek sembrerebbe piuttosto essere un semplice auspicio per l’avvenire che non l’esito di una ricerca analitica sulla presenza o meno, nelle due distinte tradizioni, degli addentellati necessari ad una loro effettiva compatibiltà o di esempi relativi a conclamati precedenti storico-dottrinari (18).
Occorre, inoltre, tenere in considerazione la posizione che al riguardo aveva precedentemente assunto Ludwig Edler von Mises (1881-1973). Egli, infatti, in stridente contrasto con quelle che sarebbero state, poi, le affermazioni hayekiane - di cui si è appena dato conto - individuava chiaramente un “inevitabile” conflitto tra le due sfere in questione e ne imputava senza indugio la reità esclusivamente alla religione (19). Attribuendo alle varie Chiese tutto quel genere di accuse che in innumerevoli occasioni, dal ‘Secolo dei Lumi’ in poi, sono state reiteratamente rivolte loro, nel 1927 Mises, nel teorizzare la propria idea di Liberalismus, giungeva alla conclusione per cui “anche se non vengono più accesi roghi ad majorem Dei gloriam, è rimasta ancora tanta intolleranza” (20). D’altra parte, fedele al principio secondo il quale non si doveva essere tolleranti con gli intolleranti, l’economista austriaco aveva anche avuto modo di osservare come, “[s]e siamo convinti che il fine ultimo dello sviluppo sociale è la cooperazione pacifica tra tutti gli uomini, non si può ammettere che la pace sia turbata da preti e zeloti” (21). Altrove, poi, pur riconoscendo che la religione “non può esimersi dallo stabilire princìpi in materia di etica sociale” (22), e ribadendo poco più avanti tale concetto, in base al quale “[s]enza un’etica sociale, la religione è cosa morta” (23), tuttavia, Mises non ardiva a trarre le conseguenze logiche delle proprie affermazioni, rasentando il rischio di sfidare lo stesso principio aristotelico della non contraddizione all’asserire che, se il liberalismo “non ha mai travalicato i confini della propria sfera”, non invadendo il terreno della Weltanschauung, si è però dovuto scontrare con la Chiesa (cattolica), poiché essa avrebbe preteso “non solo di regolare il rapporto dell’uomo con l’aldilà, ma anche di imporre alle cose terrene l’assetto che essa riteneva giusto” (24). Del resto, riguardo alla questione dei principî etico-morali, va rilevato come perfino sotto l’aspetto metodologico Mises si sia sempre detto contrario all’utilizzo della dottrina del diritto naturale (25), in favore di un’impostazione strettamente utilitaristica, sebbene di un utilitarismo atipico, solitamente denominato come ‘teoria della consequenzialità delle azioni’.
Alla luce di quanto detto sembrerebbe, pertanto, di poter escludere un’influenza diretta della lezione cattolica sull’austro-liberalismo (26) o, comunque, un richiamo consapevole dei suoi massimi esponenti all’opera dei teologi cristiani del periodo medioevale e rinascimentale, d’altronde mai evocati apertamente dai rappresentanti storici della Scuola austriaca come proprî precursori o punti di riferimento (27); sebbene giovi, a tale proposito, rammentare l’isolato - ma significativo - caso di Carl Menger (1840-1921) (28).
Tuttavia, gli influssi ideali spesso travalicano le volontà particolari per trascendere gli stessi eventi della storia. Inoltre, si è detto come, da un certo momento in avanti, tale influsso sia stato invece rivendicato esplicitamente da taluni liberali ‘classici’, Libertarians ed economisti ‘austriaci’. Si è, così, virtualmente instaurato un contraddittorio fra chi accoglie questa tesi e chi tende, per contro, a ridimensionarla. Quello che segue vuol essere un piccolo contributo a tale controversia.
3. Salmanticenses e Conimbricenses
Sulla scia di quanto già verificatosi in precedenza sul territorio italico, nel corso del Cinquecento si sarebbe avviato, in tutta l’area latino-mediterranea, un recupero del pensiero scolastico; esso trovò un terreno particolarmente fertile nella penisola iberica. Gli esponenti di questa Seconda Scolastica erano ecclesiastici e docenti universitari cattolici largamente pervasi ed influenzati da quell’humus culturale dal quale era germogliata la corrente di pensiero umanistica. Il fine ultimo che essi si prefissero coincise, appunto, con la produzione di una sorta di sintesi del corpo dottrinale che era proprio della tradizione tomista, da affiancarsi alle nuove prospettive che, nel frattempo, aveva dischiuso il movimento umanista (29). Conseguentemente, in questa Nuova Scolastica (prevalentemente spagnola) si prestò una grande attenzione ai problemi d’attualità, applicando i principî generali della teologia, della morale cristiana e del diritto naturale alle più importanti questioni del momento (30).
È d’uopo, nondimeno, operare una netta distinzione fra due successive correnti di pensiero, connesse ad altrettanti istituti religiosi: l’Ordine dei Frati Predicatori (Ordo Praedicatorum), fondato alla fine del 1215 da Domingo de Guzmán (1170-1221), e la Compagnia di Gesù (Societas Jesu), costituita nel 1534 dal basco Iñigo López de Loyola (1491-1556).
La prima di tali correnti, forse proprio perché vicina ai padri domenicani, si caratterizzò come più marcatamente fedele alla lezione dell’illustre correligionario e caposcuola san Tommaso (31). Il nucleo di teologi che la componeva è riconducibile, nella maggior parte, ai cattedratici di quell’Universitas Studii Salamantini che Alfonso IX (1171-1230), il quale era divenuto re del León nel 1188, fondò l’anno 1218 nel rinomato centro della Vecchia Castiglia (32). Con l’espressione “Scuola di Salamanca” (1526-1617), pertanto, si suole identificare, in senso stretto, proprio tale gruppo di studiosi (33). Il periodo nel quale los Salmanticenses produssero le opere più significative coincise, essenzialmente, con la prima metà del secolo XVI. La grande tematica che suscitò un’attenta e profonda riflessione da parte di tali pensatori coincise con le complesse questioni scaturite dalla scoperta del continente americano (el hecho americano), connesse alla conseguente opera di evangelizzazione che essa comportò (34). In quel particolare frangente, le figure di riferimento furono incarnate da Francisco de Vitoria (ca. 1485-1546) - il riconosciuto fondatore della Scuola di Salamanca - e da Domingo de Soto (1494-1560).
La dottrina tomista, infatti, era rimasta minoritaria all’interno della stessa Chiesa cattolica finché, nel secolo XVI, la propagò padre Vitoria, in coincidenza con l’apice della monarchia castigliano-aragonese (35). Secondo quanto sostenuto da José María Artola nell’introduzione ad una recente edizione bilingue dell’opera di Tommaso De aeternitate mundi contra murmurantes (ca. 1270), ciò si sarebbe dovuto al fatto che “la sua prospettiva filosofica e teologica non era facile da intendere, e di fatto sappiamo che non venne compresa né durante la sua vita né tantomeno dopo da parte di un buon numero di pensatori dell’epoca” (36). Nonostante la complessità della lezione di san Tommaso e pur essendosi formato sulle dottrine nominaliste - il cui studio approfondito era stato introdotto a Salamanca per opera del frate agostiniano Alonso de Córdoba († 1541) - Vitoria apprese la lezione tomista all’Università di Parigi, dove studiò fin verso il 1522, importandola poi in Spagna. Per comprendere la portata della corrente di pensiero cui egli dette origine, occorre tenere presente che a quell’epoca l’Europa era ancora dominata dalle dispute fra i trattatisti tradizionali del diritto privato (mos italicus) e gli esponenti del puro studio del diritto romano, che intendevano restaurare nella propria totalità ed integrità, in quanto lo ritenevano alterato dai compilatori di Giustiniano e dai giuristi medioevali (37).
Il secondo movimento, come ricordato, s’identificò con l’ordine dei gesuiti. Essi impersonarono, in un certo qual senso, l’‘avanguardia intellettuale’ della Controriforma cattolica. Come rappresentanti di detta corrente si possono ricordare Luis de Molina (1535-1600), Francisco Suárez (1548-1617) - il Princeps Scholasticorum - e Gabriel Vázquez de Belmonte (1551-1604). Questi ultimi furono chiamati los Conimbricenses giacché la maggior parte di essi insegnò in Portogallo, presso l’Università di Coimbra.
Ora, sebbene vi sia stata indubbiamente un’evoluzione cronologica fra la preponderanza dell’influenza domenicana e di quella gesuitica (38), è pur vero che la relazione fra la corrente legata a Salamanca e quella riconducibile a Coimbra non fu di mera successione, né di semplice evoluzione. Sembra corretto, piuttosto, dire che los Conimbricenses abbiano sviluppato una filosofia propria, la quale, pur adagiandosi nell’alveo della corrente neoscolastica, su molte questioni fondamentali si discostava in maniera decisa rispetto all’impostazione assunta dai tomisti della Scuola di Salamanca (39).
Un ulteriore nucleo [si legge in questo poderoso saggio] di intellettuali spagnoli vicini alla Chiesa romana fu poi rappresentato da alcuni giuristi e filosofi del diritto appartenenti a vari ordini religiosi, che si sarebbero a loro volta resi responsabili di una fioritura del pensiero giuridico ed economico di tipo giusnaturalistico tradizionale e proto-liberale. Fra di essi sono da segnalarsi il gesuita Juan de Medina (1490-1546) ed il francescano Alfonso de Castro (1495-1558). Inoltre, spiccano i nomi del domenicano Bartolomé de Medina (1497-1585) - che fu uno dei più intransigenti nel professare l’ortodossia tomista - e del Doctor Navarrus, al secolo Martín de Azpilcueta y Jaureguizar (1493-1586) (40). Occorre, d’altronde, rammentare anche i domenicani Tomás de Mercado (ca. 1500-1575) e Melchor Cano (1509-1560), quest’ultimo acerrimo avversario della Compagnia di Gesù; Fernando Vázquez de Menchaca (1509-1566) e il già citato Diego de Covarrubias y Leyva (1512-1577), detto el Bártolo español; figure di prim’ordine fra gli scolastici dell’epoca furono, poi, il gesuita Juan de Matienzo (1520-1579), il domenicano Domingo de Báñez (ca. 1528-1604) - il quale fu anche confessore della monaca carmelitana Teresa de Cepeda y Ahumada, originaria di Ávila, che sarebbe poi divenuta la famosa santa Teresa de Jesús (1515-1582) -, il vescovo agostiniano Miguel B. Salón (1538-1620), i gesuiti Juan de Salas (1553-1612), Gregorio de Valencia (1549-1603), Pedro de Oñate (1567-1646), il cardinale JUAN DE LUGO (1583-1660: vedine qui le opere), che vestì, anch’egli, l’abito di sant’Ignazio, nonché Antonio Escobar y Mendoza (1589-1669) (41). Il pensiero ‘proto-liberale’ di alcuni fra questi autori è stato analizzato nel citato saggio di Francisco Carpintero Benítez; in particolare, è da segnalarsi in proposito l’esposizione delle teorie relative al concetto di ‘proprietà’ - con la distinzione fra dominium jurisdictionis e dominium proprietatis - negli scolastici spagnoli, in cui l’autore si sofferma ad indagare anche pensatori spesso trascurati o (a torto) considerati ‘minori’, come Leonardo Lessius (1554-1623) e Gaspar Hurtado (1575-1646) (42).
È, forse, superfluo precisare che i summenzionati pensatori insegnarono in varie università della penisola iberica - pubblicando le proprie opere a cavallo tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo - e che, conseguentemente, l’articolazione fra Salmanticenses e Conimbricenses non va interpretata in maniera rigida. Se, difatti, qualcuno ha potuto addirittura sostenere che Suárez sarebbe stato colui attraverso il quale la dottrina scoto-occamista venne trasmessa all’età moderna (43), va detto che gli stessi salmantini non ebbero uno spirito così nettamente medioevale come, altrimenti, si potrebbe supporre. Il loro stesso tomismo, infatti, era in parte spurio, somigliando piuttosto - sotto certi aspetti - ad una sorta di ‘rivisitazione’ della filosofia elaborata dall’Aquinate che non, semplicemente, ad una sua fedele riproposizione. All’interno delle due correnti, pertanto, erano presenti posizioni differenti e sfumature variegate, tant’è vero che si è potuto individuare nel frate agostiniano Pedro de Aragón (ca. 1546-1592) il pensatore probabilmente più prossimo a quella ipotetica linea di demarcazione che idealmente le separa (44).
4. Le ‘Tre Vie’ della Nuova Scolastica
Avendo cercato, fin qui, di esporre succintamente quali fossero gli elementi di autonomia e di specificità che le contraddistinsero, conviene, adesso, porre in evidenza - sia pure per sommi capi - quali siano i principali punti di contatto che sussistono fra le pur distinte correnti neoscolastiche che presero corpo nella penisola iberica durante il periodo in questione.
La formazione umanistica di detti autori, la loro interiorizzazione della cultura rinascimentale, definì l’impostazione con la quale essi si accostarono alle problematiche teologiche e, per conseguenza, anche a quelle politiche. Il riferimento è da intendersi rivolto a ciò che si potrebbe denominare come una sorta di ‘ottimismo antropologico’ (ens et bonum convertuntur, già secondo Tommaso), coincidente con una sostanziale fiducia nelle potenzialità intrinseche alla natura umana.
La polemica anti-luterana, inoltre, contribuì, per certi versi, a rafforzare ulteriormente tale impostazione. Il rifiuto del nucleo teorico luterano - l’uomo che, dopo la caduta dal Paradiso terrestre, si sarebbe mostrato incapace di compiere opere buone - parallelamente si configurava, difatti, come rigetto dell’originaria posizione politica protestante, secondo la quale l’uomo veniva ritenuto incapace di convivere con i propri simili tramite relazioni di giustizia, tanto che il potere doveva essere derivato direttamente da Dio (45). Secondo quanto affermato da Guido Fassò, infatti, il radicale volontarismo teologico luterano ed il comune fondamento divino posto alla base della bipartizione ‘autorità spirituale’ (Sacerdotium)/‘potere temporale’ (Imperium) - che implicavano l’intolleranza e la guerra di religione - avrebbero rappresentato il corollario che conduceva inesorabilmente verso una forma di assolutismo teocratico (46). In tal modo, le convinzioni teologico-religiose protestanti sfociavano logicamente in una posizione politica di carattere dispotico e reazionario, tanto che Franco Todescan ha potuto osservare come “tutto portava, in Lutero, verso un’idea di diritto naturale orientato in senso conservatore” (47). Detto conservatorismo - prosegue sempre Todescan - trovava, quindi, una coerente manifestazione anche in sede politica, dove si attribuiva un’enorme importanza allo jus gladii, allo scopo di garantire la pace sociale. Poiché il peccato ed il disordine necessitavano di venire repressi con la forza, ciò - conclude - “esigeva dialetticamente l’assolutizzazione del potere storicamente affermatosi” (48).
Un ulteriore tratto comune a pressoché tutti i rappresentanti della tarda Scolastica spagnola fu che costoro sostenevano l’origine umana della società e del potere, i quali sarebbero stati creati per fini e con ragioni eminentemente mondani (49). In base alla loro visione, pertanto, il luogo nel quale il potere politico assumeva una forma concreta era rappresentato dalla legge. Di conseguenza, essi esposero le proprie idee politiche all’interno di o in relazione con una teoria della legge (50). Alle fondamenta di queste teorie era rinvenibile la ricezione della dottrina sulla gerarchia delle leggi che aveva elaborato Tommaso: legge eterna, legge naturale, legge (positiva) divina, legge (positiva) umana (51).
Dal “settarismo” che - secondo la ricostruzione di Belda Plans - affliggeva le scuole tardo-medioevali, il quale obbligava ad una ferrea ortodossia rispetto alla lectio del maestro, sorsero Tres Vías: tomismo, scotismo ed occamismo. La corrente domenicana, tutta presa nella propria opera di ripristino della tradizione tomista, rappresentava l’espressione più conservatrice di quel movimento bifronte che era denominato Via Antiqua o Realista, di cui l’altro volto era quello scotista. Da quest’ultima dottrina, tuttavia, essa sarebbe stata indotta a distanziarsi, così come dal nominalismo occamista, che in quell’epoca costituiva la linea di pensiero prevalente all’interno della stessa Scolastica europea: la cosiddetta Via Nova o Moderna (52). Essa, dunque, sottolineò il momento ‘intellettivo’ come quello essenzialmente più importante nella legge. Di contro, i gesuiti tesero a mettere in risalto, con maggior aderenza alle posizioni nominaliste, il momento ‘volitivo’: la legge consisteva per essi in un comandamento, un mandato, una decisione di volontà. Ciò, senza dubbio, fornì loro prospettive e strumenti più duttili, rispetto a quelli di cui disponevano i salmantini, al fine di accostarsi alle questioni politiche del periodo (53).
In ogni caso, tutti i suddetti autori furono - sebbene per ragioni e con motivazioni assai differenti l’uno dall’altro - decisamente monarchici. Ad esempio, per Vitoria - che, in proposito, si limitava ad accogliere la lezione tomista - la miglior forma di governo era da individuarsi in una ‘monarchia moderata’, in quanto più fedele e idonea realizzazione del ‘regime misto’. Anche secondo Mariana la monarchia avrebbe dovuto essere moderata, in quanto si presentava come l’organo esecutivo di una società strutturata gerarchicamente. Essa aveva come missione quella di far realizzare i principî e i diritti di ordine trascendente: doveva essere cosciente dei suoi compromessi con la comunità, avendo assunto i propri poteri attraverso il patto che si perpetuava e ratificava con ogni monarca attraverso i rappresentanti (Cortes), mediante un giuramento mutuo di lealtà e rispetto delle leggi. Nel decimo capitolo del suo Discorso sui mali della Compagnia, Mariana dichiarava apertamente di sospettare che le radici da dove procedevano tanti errori nel governo fossero attribuibili al fatto che non sarebbe stata “ben temperata questa monarchia”. Pertanto, egli consigliava di coinvolgere nel governo anche la classe aristocratica, al fine di riequilibrare il potere del re. Ma, come si accennava poc’anzi, sembrerebbe addirittura che Mariana, anziché verso una monarchia pura, individuasse il vero “porto della felicità” in una sorta di governo misto, risultante dal connubio fra monarchia ed aristocrazia, nel tentativo di un reciproco bilanciamento dei poteri istituzionali (54). Per tale motivo, agli scolastici si pose, innanzi tutto, il problema di come giustificare la fuoriuscita da una società naturale fondamentalmente democratica nella propria sostanza, al fine di legittimare un regime monarchico nel proprio funzionamento.
In contrapposizione all’affermazione proposta dai conciliaristi - che venne accolta, invece, dai monarcomachi -, in base alla quale il re sarebbe stato singulis major, universis minor, i tardoscolastici spagnoli sostennero con convinzione la visione per cui la fondazione di una società politica implicava anche la creazione di un potere (imperium, potestas) che si poneva al di sopra di tutti gli altri: quello del corpo (55). Il potere, che a loro giudizio costituiva una realtà naturale, non era una semplice somma delle singole volontà, bensì una realtà sociale la quale formava parte di quell’unità organica indirizzata ai propri fini che era la società. Ciò avrebbe rappresentato il genere di autorità che, secondo i filosofi e i giuristi cattolici della Spagna rinascimentale, assumeva il monarca con il consenso degli associati.
Intercorreva, del resto, un’ulteriore differenza cruciale tra la posizione fatta propria dai domenicani e quella che, per contro, avrebbero assunto gli esponenti della Compagnia di Gesù. I primi, infatti, consideravano il potere come inerente alla società; per essi non era, cioè, neppure ipotizzabile una società senza potere. Al contrario, i chierici gesuiti - come si è detto - attribuivano una maggior importanza all’elemento volitivo nella sua costituzione; di conseguenza, da ciò discendeva la possibile teorizzazione di una società naturale primitiva di tipo sostanzialmente ‘anarchico’ (56). Per quanto, a rigore, padre Mariana non appartenesse né alla Scuola di Salamanca né a quella di Coimbra, tuttavia, la sua opera prese corpo e si sviluppò in tale contesto (57).
5. La ‘Nuova Teologia’ di Alcalá
Come accennato, durante la prima metà del XVI secolo, in Spagna si produsse quello che è stato definito come il “trionfo del Tomismo” (58). Una manifestazione rilevante di tale situazione fu l’introduzione della “teologia aperta”, rappresentata dal metodo d’insegnamento integrato delle Tres Vías (tomismo, scotismo e nominalismo) che si adottò - come simbolo di un’apertura totale alla verità - nell’Università di Alcalá, dove avrebbe finito per imporsi l’opera di san Tommaso, a partire dal 1542 (59).
Fondato il 26 luglio del 1508, durante la festa di sant’Anna, l’ateneo di Alcalá si configurò come uno dei più attivi ed innovatori del periodo. Con grande aderenza alla congiuntura storica del momento, esso venne aperto a tutti, religiosi osservanti ed umanisti laici, cosicché vi confluirono varie influenze di scienza teologica, riforma spirituale e cultura umanistica (soprattutto erasmiana). L’impulso fondamentale per l’organizzazione di questa Università e, in particolar modo, della sua Facoltà di Teologia, venne dato dal cardinale francescano Francisco Gonzalo Jiménez de Cisneros (1436-1517) (60), il quale era intenzionato a creare una Nueva Teología, nella quale confluissero Scolastica ed Umanesimo, teologia speculativa e teologia biblica. Nel suo intento Alcalá avrebbe dovuto essere un centro teologico di prim’ordine improntato alle moderne problematiche trattate dagli eruditi umanisti, piuttosto che alle dottrine ‘decadenti’ della bassa età media; auspicio peraltro avveratosi, tanto che vi si affermò il metodo positivo nello studio della teologia, superando definitivamente il metodo dialettico che era stato proprio della Scolastica medioevale (61). Come si sa, le incalzanti manifestazioni critiche degli umanisti possono essere sintetizzate in alcune petizioni specifiche: a) sostituire al barbarismo medioevale la chiarezza e l’eleganza formale degli autori antichi; b) preferire all’utilizzo della glossa l’investigazione critica delle fonti; c) rimpiazzare il predominio dell’autorità con il diritto all’opinione personale; d) introdurre al posto del procedimento logico-dialettico una metodologia critica improntata al rigore storico-filologico (62).
È opinione diffusa, fra gli studiosi, che Alcalá abbia rappresentato il Rinascimento, mentre Salamanca rimaneva saldamente ancorata alla Tradizione; che Alcalá abbia assorbito il nascente Umanesimo, mentre Salamanca si limitava a riproporre una Scolastica rinnovata; che Alcalá abbia incarnato l’innovazione e Salamanca lo spirito conservatore (63). Nonostante tali articolazioni abbiano un fondo di attendibilità, si può affermare che la linea di demarcazione fra i due centri di cultura era tutt’altro che nitida, tanto che in entrambi i luoghi era possibile rintracciare elementi di modernità al fianco di retaggi tradizionali. Giova, inoltre, precisare come l’insidia costante - per quanto scarsamente efficace - dell’eresia protestante sul territorio spagnolo e le dispute teologiche interne, le quali portarono alla ristrutturazione che la Chiesa si sarebbe data dopo il Concilio di Trento (1563), abbiano influito sull’assetto che le attivissime università iberiche avevano assunto. Così, rispetto all’impostazione dell’ateneo salmantino, alla fine del Cinquecento si avvicendò una nuova corrente di studiosi, la quale deviò, in parte, dai precetti e dallo spirito originario, precedentemente impresso da Vitoria (64). Tanto che, a rigore, si dovrebbe parlare di una Prima Scuola di Salamanca nettamente distinta, rispetto ad alcune importanti questioni, da una Seconda Scuola (65). Rimane, comunque, pur sempre vero che Alcalá si configurò come un’Università maggiormente dinamica e giovanile, mentre Salamanca rimase senza dubbio più fedele alla propria impostazione riflessiva e trascendente (66). Inoltre, nell’Università di Alcalá s’intraprese uno studio scientifico della Sacra Scrittura, il quale sarebbe sfociato nella pubblicazione della prima Bibbia Poliglotta che si realizzò al mondo, per opera di un gruppo di specialisti composto da filologi classici (ellenisti e latinisti) ed ebraisti (giudei convertiti) (67).
6. La sovranità delle leggi
In tale ambiente culturale ed intellettuale studiò e si formò Juan de Mariana. Nel 1547, infatti, egli s’iscrisse alla Facoltà di Filosofia e Teologia dell’Università di Alcalá. Fu in quello stesso ateneo che venne ammesso, il 1° gennaio del 1554, all’età di appena 18 anni, nell’ordine della Compagnia di Gesù (68).
Negli anni seguenti, il giovane Juan svolse il proprio noviziato a Simancas, sotto la direzione spirituale di Francisco de Borja (1510-1572), per fare quindi, alcuni anni dopo, ritorno ad Alcalá al fine di proseguire i corsi all’Università nella quale poi divenne, poco più che ventenne, lettore di sacra teologia, essendo in tal modo il primo gesuita ad occupare una cattedra in quell’ateneo.
Per ciò che concerne l’impostazione di Mariana in materia di questioni politiche è, forse, superfluo dilungarsi ad illustrare la sua celeberrima difesa del tirannicidio, proprio perché tale. In molti casi, addirittura, il contributo del gesuita alla teoria politica è stato lamentevolmente circoscritto a quelle poche (soprattutto se confrontate con la totalità della sua opera) righe in cui egli si dedicava ad enucleare tale concetto. Ma l’extrema ratio del ‘diritto di resistenza’ ravvisava la propria causa e giustificazione in alcuni precetti ben precisi, che merita ricordare.
Secondo il religioso spagnolo, infatti, se intendeva esigere la virtù dai più, il re avrebbe dovuto dare, per primo, il buon esempio. Perché la superbia non si impossessasse di lui, portandolo a tenere in dispregio i propri sudditi, occorreva che egli apprendesse a vivere probamente con gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini, senza arrogarsi alcun privilegio per la propria autorità, bensì riconoscendo “alle leggi quella stessa obbedienza che esige dai suoi sudditi” (69). Tanto più che, osservava Mariana, “molte leggi {plures leges} non sono state date dai Principi, ma stabilite dalla volontà di tutta la repubblica {universae reipublicae voluntate constitutae}, la cui autorità {maior auctoritas} e il cui potere di comandare {maius imperium} come di proibire sono superiori a quelli del Principe {quam Principis} […]. Non solo il Principe deve obbedire a tali leggi, ma non gli è consentito mutarle senza il consenso e il parere dell’assemblea: tra queste rientrano quelle della successione reale, dei tributi e della forma di religione” (70).
La virtù per eccellenza dei governanti veniva identificata con la prudenza; essa era vista come una sorta di dono divino che non si poteva sviluppare unicamente per mezzo dell’insegnamento, cosicché, se fosse scarseggiata nel principe, gli sforzi dei precettori, per quanto decisi e numerosi, sarebbero ugualmente risultati vani (71). Tuttavia, anche l’esperienza personale, che si accumulava soltanto con il passare degli anni, costituiva uno degli elementi fondamentali di cui si componeva la prudenza necessaria ad un buon re (72).
Insomma, la figura del monarca era speculare a quella del tiranno che, pertanto, se ne collocava agli antipodi. Quest’ultimo era descritto come un vero e proprio mostro, affetto da ogni vizio: avarizia, lussuria, crudeltà. Il tiranno avrebbe attentato perfino alla libertà di espressione, che era una delle caratteristiche più genuine delle persone (73).
Il monarca che aveva in mente Mariana, per contro, non era un sovrano assoluto (Princeps non est solutus legibus) (74), bensì un re sottoposto alle leggi. Egli, infatti, doveva prestare obbedienza ad esse, dando il buon esempio ai cittadini, poiché gli uomini, secondo il talaverano, avrebbero creduto più nel concreto esempio umano che nella vuota legislazione. Se, infatti, il rispettare le leggi poteva essere visto come un tratto proprio delle anime deboli, tuttavia, il disprezzarle si configurava quale caratteristica comune degli uomini depravati e ribelli (75). Il monarca in persona, dunque, avrebbe dovuto ritenersi vincolato da quelle stesse leggi per le quali esigeva rispetto ed obbedienza dai propri sudditi (76). Non doveva esistere alcun potere superiore a quello delle leggi, anche se - precisava - “non siamo così insensati da degradare i Re, collocati sulla sommità dello Stato, o da confonderli con la moltitudine. Non è nostra intenzione assoggettare il Principe a tutte le leggi senza distinzione alcuna, ma soltanto a quelle che siano istituite senza ignominia della maestà e non intralcino la funzione regale” (77).
Quelle leggi che, secondo Mariana, non oltraggiavano la dignità del principe né gli impedivano in qualche modo di espletare la propria funzione, ostacolandolo nelle sue azioni di governo, potevano essere chiaramente individuate. Ve ne erano alcune, ad esempio, che riguardavano i doveri generali dei cittadini, come quelle promulgate riguardo al “dolo, la forza, l’adulterio, la moderazione dei costumi”, nelle quali il principe in nulla risultava diverso dal popolo (78). Cosicché, ribadiva il gesuita, “credo che il Principe debba osservare quelle leggi sanzionate dallo Stato, il cui potere abbiamo detto essere superiore a quello del Re {cuius maiorem esse potestatem quam Principis diximus} e che, se necessario, possa essere anche castigato. Sarebbe, infatti, concesso esautorarlo dal potere e, qualora lo esigano le circostanze, punirlo con la morte {morte plectere rebus exigentibus superius est datum}” (79).
Fedele alla propria caratterizzazione del tiranno come colui che sovvertiva arbitrariamente le norme di diritto, anziché limitarsi ad interpretare ed applicare la legge, rispettando le consuetudini e le istituzioni nazionali che erano il frutto della volontà dell’intera comunità (universitas), Mariana finiva per riaffermare, così, quell’esigenza ‘costituzionalistica’ in base alla quale s’intendeva vincolare il monarca non tanto alle leggi da lui stesso emanate quanto, piuttosto, al diritto consuetudinario e tradizionale in vigore (80). Del resto, anche gli scolastici a lui successivi non avrebbero mai disconosciuto il fatto che, per dirla con Suárez, “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere approvato” (81).
Secondo la stessa concezione del gesuita, nella quale peraltro risaltavano distintamente echi di definizioni classiche, la legge era “ragione imperturbabile” (Est enim lex ratio omni perturbatione vacua), in quanto attinta alla mente divina, che avrebbe avuto origine proprio dal sopraggiunto sospetto del popolo in merito all’equità e all’imparzialità del principe (82). D’altronde, a quell’epoca l’arte del governo era ancora interpretata come sinonimo dell’‘amministrare la giustizia’ e, perché ciò avvenisse, non si doveva dare alcun potere superiore a quello delle leggi (83). Rispetto al tiranno, che s’imponeva attraverso la paura ed il castigo, il buon principe si reggeva, così, per mezzo del premio e della speranza.
7. Embrioni di una moderna filosofia politica libertaria, o reminiscenze di una consuetudine tradizionale?
Nel De Rege si trovava, inoltre, un passo di particolare importanza, in cui si accennava ad una questione fondamentale che sarebbe stata, poi, ripresa ed approfondita in seguito: il disarmo della società civile. È, questo, un tema assai attuale e particolarmente caro alla pubblicistica d’impronta libertaria; tale problematica si vede legata alla moderna concezione di sovranità, la cui espressione più compiuta conduce verso l’assolutismo di hobbesiana memoria (84). Da questo punto di vista Mariana, dapprima, notava come un re che governa bene non ravvisi alcuna necessità “di portare via ai cittadini {civibus} armi e cavalli {arma equosque}, lasciandoli marcire nell’ozio e nella pigrizia, come fanno i tiranni {quod faciunt tyranni}, che usano fiaccare la tempra del popolo costringendolo ad attività sedentarie, la tempra dei magnati offrendo loro in abbondanza piaceri, lenocini, vino; avrà cura al contrario che i cittadini si esercitino alla lotta {lucta}, al combattimento {pugna}, al salto, alla corsa a cavallo o a piedi, inermi ed armati, considerando il loro valore {virtute} un presidio ben più valido che non le male arti e la frode. Sembrerebbe forse giusto togliere le armi ai figli in pericolo per darle in mano ai servi? {An aequum sit filijs in periculo arma detrahere, dare servis?}” (85).
L’argomento tornava all’attenzione in maniera ancor più decisa nel corso del quinto capitolo del terzo libro, che aveva come oggetto specifico proprio “l’arte militare” (De re militari). La salvezza di una nazione era preservata attraverso il conferimento di responsabilità alla popolazione: destava sospetti un governo che temeva i propri cittadini e non intendeva concedere loro fiducia. La comunità era legata da un vincolo di appartenenza che costituiva l’unico argine efficace contro la violenza e l’aggressione sistematica nei confronti degli individui che la componevano; il pericolo serio veniva dall’esterno e, contro quella minaccia, il popolo doveva essere messo in condizioni di reagire per difendere la propria patria. Mariana era esplicito in ciò, senza perifrasi alcuna esprimeva la propria convinzione secondo cui non ci sarebbe stato miglior defensor pacis del comune cittadino (86). Contro la ‘smilitarizzazione della società civile’, Mariana insisteva in maniera decisa e con tono fermo: a suo avviso occorreva, infatti, “dare le armi ai sudditi {arma provincialibus dentur} piuttosto che agli stranieri {externis}, ottenendo maggiori vantaggi con minori spese. Le forze proprie sono le più sicure. Con questo mezzo, Alessandro il Macedone prima, i Romani poi, imposero il loro giogo a numerose popolazioni. Tenere infatti il regno disarmato per non fidarsi dei sudditi e comprare con oro un esercito straniero {aliunde exercitum}, è proprio di un tiranno non di un re legittimo {id est, tyrannum agere non legitimum Regem}. Ma per non procedere su questo cammino, credo che i nostri ragionamenti debbano rifarsi alle massime degli antichi: si deve fare in modo che ai nobili ed al popolo sia restituito il vigore degli animi, concedendo loro l’uso delle armi {curandumque ut proceribus & populo vigor animorum revocetur, armorum usu concesso}” (87).
Sull’amor di patria e sulla destrezza degli stessi cittadini, dunque, anziché sui soldati mercenari o su aiuti in qualunque modo assoldati avrebbe dovuto appoggiarsi il principe per la difesa della propria dignità e la conservazione del “bene comune”. È pacifico, d’altra parte, che egli non pensasse affatto alla soppressione di un esercito regolare, cui affidare il compito precipuo di difendere i confini nazionali. Secondo il gesuita, tuttavia, esso avrebbe dovuto essere composto di uomini validi e fidati ed inoltre si sarebbe dovuti ricorrere anche ad antiche tradizioni, cadute ormai in disuso, come la ricostituzione dell’ordine militare della “Banda”, al fine di smuovere la virtù dei cittadini (88).
8. Mariana, primo economista ‘austriaco’: un’interpretazione
Ma la fortuna e l’attenzione di cui il pensiero e la figura di Mariana hanno goduto negli ultimi anni - che, in ambiente liberale, hanno decretato anche il risveglio di una conseguente passione per il giusnaturalismo tomista, in antitesi al pensiero utilitarista - sono strettamente connesse, in particolar modo, con la rilettura in chiave libertaria della sua politica economica (89).
Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento, infatti, Marjorie Grice-Hutchinson - un’allieva di Hayek - compì alcune ricerche sulla Scuola di Salamanca (90). Più o meno nel medesimo periodo di tempo, anche Raymond de Roover (1904-1972) condusse alcune indagini sullo stesso filone (91). L’intreccio a maglie strettissime che ha unito teologia morale ed economia produttiva, così come etica della carità e logica degli scambi commerciali, dando origine a quelle categorie concettuali le quali hanno reso possibile elaborare la ‘razionalità’ economica nell’Occidente cristiano fin dall’epoca medioevale, è stato recentemente approfondito da Giacomo Todeschini (92). È da supporre che le ricerche della Grice-Hutchinson non siano passate inosservate agli occhi dello stesso Schumpeter, se questi attribuì - come detto - una considerevole importanza al pensiero scolastico nella sua monumentale History of Economic Analysis, del 1954.
Prendendo le mosse da tali studi, alcuni economisti seguaci della moderna Scuola austriaca hanno recentemente creduto di scorgere nel gesuita spagnolo un campione di ‘liberalismo economico’ ante litteram, nonché un precursore di talune idee che avrebbero, poi, contraddistinto la corrente soggettivista del filone legato alla cosiddetta ‘rivoluzione marginalista’ del pensiero economico, andando a caratterizzare, in special modo, la propria corrente (93). Tale convinzione troverebbe il proprio nucleo teorico in una storiografia mirante a valorizzare sia la continuità fra la dottrina tomistica della legge naturale e la tradizione lockeiana dei natural rights, sia l’affinità tra il concetto di “valore economico” enucleato dalla Seconda Scolastica spagnola e quello degli esponenti della Scuola austriaca.
Dunque, è stato posto in risalto da alcuni studiosi - fra cui, in modo particolare, risalta il nome di Lucas Beltrán Flórez (1911-1996) - come la teoria su cui si fonda la moderna economia di mercato sarebbe sorta nella penisola iberica e, segnatamente, in Spagna (94). Secondo le investigazioni sulla teoria monetaria condotte da Huerta de Soto, ad esempio, l’opposizione fra quella che in seguito sarebbe stata definita “scuola bancaria” (banking school) e quella poi denominata “monetaria” (currency school) troverebbe la propria origine non già nell’Inghilterra del XIX secolo, bensì quasi trecento anni prima, proprio per mano dei teologi tardo-scolastici spagnoli. Nella prima egli colloca i gesuiti Luis de Molina e Juan de Lugo, mentre fra i rappresentanti della seconda corrente egli annovera Luis Saravia de la Calle, Martín de Azpilcueta e Tomás de Mercado (95).
Gli scolastici salmantini, inoltre, avrebbero osservato con grande attenzione anche gli effetti di oscillazione prodotti sul livello generale dei prezzi dall’immissione nei mercati europei dell’oro che giungeva dalle Americhe, arrivando a formulare una vera e propria “teoria quantitativa del denaro”, prima dello stesso Jean Bodin (1530-1596) (96). Importanti furono anche i contributi degli Scolastici spagnoli alla teoria bancaria (97). In base alla posizione che essi assumevano riguardo a tale tematica, l’utilizzo a proprio beneficio, mediante la concessione di prestiti a terzi, del denaro depositato a vista presso i banchieri era da ritenersi illegittima e supponeva un grave peccato. Tale dottrina coincideva pienamente con quella già stabilita dagli autori classici del diritto romano; quest’ultima, a sua volta, sorgeva naturalmente dall’essenza giuridica del contratto di deposito irregolare di denaro, in base al quale si criticava l’esercizio bancario con “riserva frazionaria”. Gli scolastici spagnoli, insomma, anche se implicitamente, ritenevano che la banca dovesse applicare un “coefficiente di cassa del cento per cento”; proposta che sarebbe divenuta uno dei punti di forza dell’analisi austriaca relativa alla teoria del credito e dei cicli economici (98). Per quanto si tratti solamente di una suggestione storico-dinastica e non di una concreta dimostrazione teoretica, al fine di comprendere l’influenza che gli scolastici spagnoli avrebbero potuto effettivamente giuocare sulla posteriore evoluzione compiuta dalla Scuola economica austriaca è, inoltre, opportuno tenere presente come, nel XVI secolo, l’imperatore Carlo V (1500-1558) - il quale deteneva anche la corona spagnola - abbia inviato suo fratello Ferdinando I a ricoprire il ruolo di re dell’Austria. In effetti, etimologicamente “Austria” non significherebbe altro che “parte orientale” dell’Impero (99).
In particolare, padre Mariana scrisse un Discurso sobre las enfermedades de la Compañía; opera che uscì per la prima volta a Bordeaux nel 1625, anche se pare fosse stata scritta nel 1605 nell’originale spagnolo, rimasto a lungo inedito e pubblicato postumo soltanto nella seconda metà del secolo successivo. In tale operetta il gesuita avrebbe anticipato argomentazioni propriamente ‘austriache’ quando sosteneva l’impossibilità, per mancanza di informazione, da parte di un governo di organizzare la società civile in base a mandati coattivi. Egli, riferendosi al governo, sosteneva che “è un grosso sbaglio che il cieco pretenda di guidare colui che vede”, aggiungendo che i governanti “non conoscono le persone, né i fatti, con le circostanze ad essi legate, da cui dipende il risultato. È consequenziale che si cada in numerosi e gravi errori, che pertanto la gente si disgusti e che disprezzi un governo così cieco”. Mariana concludeva dicendo che quando “le leggi sono in eccesso, dal momento che non tutte si possono osservare, né tanto meno conoscere, si perde il rispetto di tutte” (100).
In base a tale interpretazione, i teologi spagnoli del XVI e XVII secolo avrebbero anticipato almeno una decina di questioni fondamentali, poi accolte nella lezione economica contemporanea: la teoria soggettiva del valore (Diego de Covarrubias y Leyva); la scoperta della corretta relazione sussistente fra prezzi e costi (Luis Saravia de la Calle); la natura dinamica del mercato con la conseguente impossibilità di raggiungere il modello di equilibrio (Juan de Lugo e Juan de Salas); il concetto dinamico di competizione, intesa come processo di rivalità fra i venditori (Castillo de Bovadilla, Luis de Molina); il recupero del principio della preferenza temporale (Martín de Azpilcueta); il carattere profondamente distorcente che l’inflazione produce sull’economia reale (Juan de Mariana, Diego de Covarrubias e Martín de Azpilcueta); l’analisi critica nei confronti della banca gestita attraverso la riserva frazionaria (Luis Saravia de la Calle e Martín de Azpilcueta); la scoperta che i depositi bancari formano parte dell’offerta monetaria (Luis de Molina e Juan de Lugo); l’impossibilità di organizzare la società per mezzo di comandi coercitivi, a causa della mancanza di informazione necessaria allo scopo di fornire un contenuto di coordinazione ai medesimi (Juan de Mariana); la tradizione ‘giusnaturalistico-liberale’, secondo la quale ogni intervento ingiustificato sul mercato costituirebbe una violazione del diritto naturale (Juan de Mariana) (101).
A questo punto, risulta pertanto chiaro che, se si considera la particolare situazione storica che si è appena illustrato e, allo stesso tempo, si accolgono le osservazioni sopra esposte sulla prefigurazione da parte di alcuni scolastici spagnoli di fondamentali nozioni di economia ‘austriaca’, sussistono svariati argomenti a supporto della tesi in base alla quale - quantomeno nelle proprie fondamenta teoriche - la Scuola austriaca, in realtà, sarebbe da considerarsi addirittura come una vera e propria “Scuola spagnola” (102). Per quanto un tale sillogismo appaia tutt’altro che apodittico agli occhi di taluni osservatori, i quali preferiscono rimarcare il carattere di semplice ‘anticipazione parziale’ delle teorie successive da parte dei teologi salmantini (103), è pur sempre opportuno tenere in considerazione come, anche in seguito, uno dei primi studiosi ad enunciare in maniera compiuta la legge dell’utilità marginale sarebbe stato il già citato Balmes, che nel corso della sua breve vita divenne il filosofo tomista spagnolo più in vista del proprio tempo. Con ventisette anni di anticipo rispetto a quando lo stesso Menger avrebbe consegnato alle stampe la prima edizione dei suoi Grundsätze der Volkswirtschaftslehre (1871), infatti, egli - proprio seguendo la tradizione soggettivista inaugurata dagli scolastici dei secoli XVI e XVII - sarebbe giunto non soltanto a risolvere il cosiddetto ‘paradosso del valore’ degli economisti classici inglesi, ma addirittura avrebbe esposto, in tutti i suoi dettagli, la teoria soggettiva del valore basata sull’utilità marginale nel proprio articolo, pubblicato il 7 di settembre del 1844, intitolato Veritiera idea del valore o riflessioni sull’origine, la natura e la varietà dei prezzi (104).
È quindi facile intuire come, in una tale prospettiva, rispetto ai lavori degli umanisti cattolici, la successiva strutturazione ‘scientifica’ della disciplina economica da parte della Scuola classica anglosassone - così incentrata sulla teoria oggettiva del valore-lavoro e sull’analisi dell’equilibrio - possa a ragione venire interpretata più come una vera e propria “regressione”, anziché come uno sviluppo, nella storia delle dottrine economiche. Tale involuzione troverebbe la propria causa e ragion d’essere in un “deviazionismo di origine protestante di fronte alla tradizione tomista continentale”; quest’ultima linea di pensiero, infatti, si sarebbe mostrata assai più sensibile alle esigenze particolari dell’essere umano ed inoltre non appariva “ossessionata dai dogmi della predestinazione e della redenzione attraverso il lavoro”, come per contro sarebbero stati i moralisti scozzesi del XVIII secolo (105).
9. Contro la ‘tosatura’ della moneta
Sebbene in un contesto più ampio, volto all’esposizione della Late Scholastic Economics in generale (106), alcuni consistenti accenni agli aspetti basilari del pensiero economico elaborato dal Mariana sono stati fatti dal ricercatore argentino Alejandro Antonio Chafuen Rismondo nel suo studio del 1986, intitolato Christians for Freedom (107). Nonostante le idee del gesuita spagnolo in materia di economia non fossero sistematiche, la qual cosa può essere attribuita al fatto che nella sua epoca tali dottrine non formavano ancora un corpo scientifico a sé stante, tuttavia esse apparivano lo stesso assai chiare e, in molti casi, avrebbero precorso le posizioni più avanzate della futura scienza economica. Osserva, ad esempio, Chafuen che, in base a quanto affermato nel De Rege dallo stesso Mariana, nel suo pensiero sembrerebbe possibile applicare la ‘teoria dell’utilità soggettiva’ all’analisi dei sistemi politici (108).
Il talaverano (109), nondimeno, dedicò un intero trattato allo studio dei problemi monetari, che non si riduceva ad una futile disquisizione numismatica, né si perdeva in una esclusiva riproposizione di dati sterili; esso presentava, al contrario, un’intenzione elevata che permetteva all’autore di evitare tali pericoli per dimostrare i suoi postulati fondamentali, i quali possono concretizzarsi in due punti essenziali: 1) illegalità della coniazione di moneta di bassa lega; 2) fatali conseguenze di tale misura. In tale trattato del 1609, intitolato De monetae mutatione, poi riproposto in traduzione castigliana dello stesso autore con il titolo Tratado y discurso sobre la moneda de vellón que al presente se labra en Castilla y de algunos desórdenes y abusos (110), Mariana analizzava il caso di una moneta spagnola dell’epoca che originariamente era composta in lega di argento, quindi in “mistura” (vellón) gradualmente sempre più impoverita, fino a giungere ad avere una moneta completamente in rame. La ‘discrasia’ nel composto metallico aveva dato origine ad un patente contrasto fra il valore nominale e quello reale di dette monete; già lo stesso Mariana, infatti, notava come una moneta detenesse due distinti tipi di valore: l’uno “intrinseco naturale”, il quale sarebbe stato determinato in base alla qualità del metallo ed al peso, a cui tuttavia andava aggiunta la stima del costo sostenuto per il conio, “ché vale ancora qualcosa il lavoro che si mette per forgiarla”. Il secondo valore si poteva denominare “legale od estrinseco”; esso era costituito da quello che gli apponeva tramite una sua legge il principe, “il quale può tassare quello della moneta come quello delle altre mercanzie” (111). Concludeva il nostro autore che “[i]l vero uso della moneta e quello che nelle repubbliche ben ordinate si è sempre preteso e praticato è che questi valori vadano di pari passo, perché come sarebbe ingiusto nelle altre mercanzie che quello che vale cento si tassasse per dieci, così è nella moneta” (112).
Dunque, Mariana riconosceva che non era giusto far coniare moneta al principe a sue spese, poiché, tramite il conio, si recava un valore aggiunto a quello naturale della moneta ed il costo che quest’operazione comportava andava riconosciuto al monarca, come del resto disponeva anche la legge promulgata a Madrid nel 1556, in relazione al conio dei cuartillos (113). Le specifiche misure adottate dai ministri della casa reale, tuttavia, comportarono una svalutazione della moneta spagnola rispetto ai mercati internazionali che provocò una profonda crisi economico-finanziaria, la quale, come di norma, si ripercosse profondamente anche sulla popolazione. Di qui la ferma condanna e la conseguente denuncia del padre gesuita, che contestava al potere politico la facoltà di gestire a proprio piacimento il denaro pubblico, modificandone proditoriamente il contrassegno e la forma in assenza di gravi casi di necessità ed in maniera permanente. Il talaverano giudicava il trasferimento di ricchezza per mezzo della svalutazione monetaria un “infame latrocinio”, paragonandolo all’azione di coloro i quali si recavano in granai privati per rubare porzioni del raccolto ivi immagazzinato (114).
Mariana combatté l’alterazione della moneta dal punto di vista economico tanto quanto, o addirittura più, che sul piano politico. Essa, infatti, avrebbe condotto a quell’effetto, attualmente definito “inflazione”, che il gesuita avversava fieramente, poiché non soltanto avrebbe impoverito de facto la popolazione, che si ritrovava in tasca un valore inferiore a quello che le sarebbe spettato, ma anche perché egli lo riteneva nocivo per il commercio estero. Quest’ultimo sarebbe divenuto in breve tempo impossibile, se i mercati nazionali non si fossero risolti per soffrire un indebolimento paritetico al deprezzamento della moneta; inoltre, poiché le cose detengono un valore in sé, al contrario della moneta che varia, agli occhi del religioso spagnolo non appariva lecito pagare con una moneta di bassa lega i debiti che si erano contratti al tempo in cui la moneta era buona (115).
Mariana attribuiva un’elevata importanza alla moneta solida; il denaro, infatti, assieme alle altre unità di peso e misurazione, a suo giudizio costituiva le fondamenta dell’arte mercantile e dei contratti. Precisamente per tale ragione risultava opportuno che i pesi, le misure e la moneta non venissero modificati, se s’intendeva evitare “confusione ed oscillazioni del commercio”. Nel decimo capitolo del suo trattato sull’alterazione della moneta, Mariana elencava i gravi inconvenienti che derivavano da un processo di aumento artificioso della massa monetaria nel mercato. Richiamandosi espressamente all’Antico Testamento (116), il religioso spagnolo sosteneva addirittura che “la purezza ed il giusto prezzo” della moneta andassero custoditi e preservati all’interno del tempio. Il “siclo” (117) conservato nel tempio avrebbe dovuto rappresentare l’unità di misura del valore (omnis aestimatio siclo sanctuari ponderatur). Inoltre, citando anche san Tommaso (118), il gesuita consigliava caldamente al principe di non alterare la valuta a proprio piacimento, biasimando la svalutazione del denaro in quanto pratica “barbara” sostenibile soltanto da parte di chi incarnava una “piaga della repubblica” ed, in quanto balzello indiretto per il popolo, assimilabile ad una sorta di rapina dai risvolti devastanti tanto nell’arena politica quanto in quella economica (119).
Nel mondo occidentale, il controllo da parte dell’“autorità spirituale” sulla moneta si era perpetuato ufficialmente e legittimamente fin verso la fine del Medioevo (120). Lo stesso Mariana ricordava il caso del re di Francia Philippe IV le Bel, il quale, per aver operato - mosso da “cupidigia” - una svalutazione del denaro, venne bollato da Dante Alighieri (1265-1321) come “falsificatore di moneta” (121). Anche il giurista luterano Samuel von Pufendorf (1632-1694), peraltro menzionando esplicitamente lo stesso Mariana, avrebbe impiegato argomentazioni similari al fine di esecrare le politiche di svalutazione monetaria (122). Chafuen, inoltre, rileva come nel De Rege Mariana si fosse espresso in favore del “mutuo scambio” di beni - insostituibile collante sociale - quale unica attività realmente efficace per superare la “scarsità” a favore del “vantaggio personale”, vero motore dell’azione umana (123).
10. Il problema dei tributi: una visione ‘liberale’?
Mariana era consapevole che la base su cui occorreva sviluppare un’azione di governo, che dovesse mantenere un’organizzazione e dei funzionari, era quella delle “rendite pubbliche” ottenute, fondamentalmente, con il denaro degli stessi cittadini. Il gesuita fu tra i primi a dedurre una legge logica sull’efficacia e l’opportunità delle imposte, le quali dovevano avere, innanzitutto, la possibilità di essere coperte dai contribuenti.
Riguardo all’introduzione dei tributi, tuttavia, Mariana lasciava intravedere il suo criterio favorevole ai vantaggi di una certa autonomia amministrativa, pur sotto la direzione e tutela dello Stato. L’imposizione fiscale, inoltre, avrebbe dovuto essere moderata e si dovevano generare nuovi tributi solo quando fossero stati giustificati da casi eccezionali; anche perché, se la causa era buona, secondo il gesuita, tutti vi avrebbero aderito volontariamente. Non si dovevano imporre altri tributi in aggiunta a quelli che lo stesso popolo aveva ratificato in base agli accordi delle Cortes che erano stati stipulati a Madrid nel 1329, al tempo di Alonso el Onceano - o Alfonso XI - (1312-1350), con la “petizione 68” (124). Era, inoltre, da escludersi categoricamente che il re imponesse nuovi tributi senza l’approvazione popolare, giacché in tal caso, così come per quanto riguardava l’abrogazione di leggi esistenti e la modificazione della procedura per la successione al trono, l’autorità del sovrano si mostrava decisamente inferiore a quella della comunità (125).
Egli parlava anche delle cariche improduttive di rendita, come l’esercito e la marina, le quali dovevano essere mantenute ad ogni costo, anche in tempo di pace (126). Però, per soddisfare queste necessità si doveva eliminare ogni genere di arbitrio, fatta eccezione per il pignoramento delle rendite pubbliche, giacché esse costituivano delle vere ‘prime eredità’, inalienabili secondo la stessa dottrina di Aristotele.
Nondimeno, la coattività dell’esazione fiscale rivestiva un tema centrale nel pensiero di Mariana, che si trovava sviscerato in vari suoi scritti. Secondo la visione del religioso spagnolo, in proposito perfettamente in linea con quella di Bodin, un limite inderogabile al potere sovrano era costituito da quelle leggi che regolavano i rapporti privati fra i sudditi, in primis i rapporti di proprietà. Per il talaverano il re non rappresentava il padrone della proprietà privata. Al contrario, il sovrano aveva dominio sulle tasse e le proprietà reali, ma non su altri beni (127). L’agire diversamente - concludeva il gesuita - sarebbe stato un atteggiamento da considerarsi tirannico e coercitivo, per il quale, in base alla bolla papale In Coena Domini, si avrebbe meritato la scomunica (128).
Nel De Rege, il gesuita si occupava in maniera specifica anche del problema dei “tributi” (De vectigalibus) (129). Nel settimo capitolo del terzo libro, infatti, egli enumerava con precisione i vari generi di tributo che era possibile individuare:
“Le entrate reali sono di tre tipi {regius census trisariam divisus est}: alcune rendite {pecunia} derivano dai beni patrimoniali del Sovrano, percepiti in denaro o in natura dalle locazioni, e sono destinate al sostentamento della famiglia reale e alla conservazione di tutta la corte e il palazzo. In secondo luogo vi sono i tributi ordinari {vectigalia ordinaria}: qualunque sia il motivo della loro esistenza e gli oggetti su cui grava, sono destinati all’amministrazione regolare della repubblica in tempo di pace {republica in pace regenda destinata sint}: servono al pagamento dei funzionari pubblici {publicis ministris}, al rafforzamento delle città, all’edificazione di fortezze, costruzione di strade pubbliche, riparazione di ponti, e al sostentamento delle truppe di guarnigione. Oltre a queste due risorse vi sono, in particolari circostanze, dei tributi straordinari {pecuniae extraordinariae} imposti alla popolazione, al cui aiuto si deve ricorrere o per difendersi nel caso di una guerra o per invadere i confini nemici” (130).
Già nelle pagine precedenti Mariana aveva osservato che i re giusti non avevano necessità di ingenti prelievi. Storicamente, infatti, si intrapresero molte guerre importanti con tributi assai scarsi. Inoltre, secondo la visione del gesuita, se per tali ragioni non sembrava necessario imporre alla popolazione tributi smisurati e straordinari, tuttavia, qualora se ne fosse presentato il bisogno per l’erario, in seguito a calamità o guerre inattese, il principe senz’altro li avrebbe ottenuti ugualmente con il consenso dei cittadini, se avesse saputo parlare loro con franchezza e non con il terrore, la frode e le minacce (131).
In ogni caso, era bene che la tassazione dei cittadini fosse moderata, soprattutto laddove le condizioni del territorio apparivano già depresse per cause naturali. Un valido criterio di giustizia avrebbe potuto essere quello di una qualche proporzionalità nel prelievo (132).
Tutti questi accorgimenti stanno a dimostrare che la concezione del re che aveva in testa Mariana era una concezione nella quale il sovrano rappresentava semplicemente il popolo, ma non ne era il padrone. Egli, pertanto, doveva governare bene e nell’interesse dei governati: “Non deve mai credersi padrone della repubblica né dei suoi sudditi {Neque enim se Princeps reipublicae & singulorum dominum arbitrabitur}, sebbene gli adulatori dicano questo alle sue orecchie, ma capo dello Stato con un certo contributo stabilito dagli stessi cittadini: questa paga non tenterà mai di aumentare senza il volere di questi stessi {sed rectorem mercede a civibus designata: quam augere nisi ipsis volentibus nefas existimabit}. E, ciò nonostante, riuscirà ad accumulare tesori e ad arricchire l’erario pubblico {publicum aerarium} senza strappare un solo gemito ai suoi sudditi. […] In questo modo il re Enrico III di Castiglia colmò la scarsezza delle casse dell’erario, esauste dalle calamità dei tempi e, alla sua morte, poté lasciare al figlio grandi tesori, raccolti senza frode, senza strappare un gemito o un lamento dai sudditi. Furono sue quelle parole: “Temo più l’esasperazione del popolo, che le armi dei nemici” {Populi se execrationes amplius quam hostium arma formidare}” (133).
Un punto significativo, al riguardo, è quello in cui Mariana si scagliava con veemenza contro i cortigiani, rei di traviare il principe indulgendo alle sue perversioni e, anzi, fomentandole per proprio tornaconto (134). Una volta cacciati via gli adulatori, tuttavia, egli avrebbe dovuto circondarsi di uomini probi, ai quali spettava di svolgere l’arduo compito di impersonare “gli occhi e le orecchie” del re.
11. Questione sociale e tassazione indiretta
In tema di tributi, Mariana coglieva l’occasione per mettere in guardia anche contro gli effetti catastrofici che avrebbe potuto provocare un debito pubblico incontrollato. A tal fine il monarca avrebbe dovuto razionalizzare le uscite, sopprimendo le erogazioni in esubero, per meglio calibrare la tassazione. L’obiettivo dichiarato consisteva nel perseguire un equilibrio fra quanto lo Stato era in grado di incamerare e quanto, per contro, si aveva intenzione di spendere, al fine di non essere costretti a richiedere un prestito, intaccando così le risorse imperiali nell’intento di coprire gli interessi (135).
Il religioso spagnolo affermava con decisione che la spesa regale doveva essere ridotta. Infatti, egli sosteneva di aver preso visione di una certa documentazione, redatta al tempo in cui regnava il monarca Juan el Segundo (1458-1479) e riferita all’anno 1429 (136), quando le spese regali ammontavano, approssimativamente, ad otto cuentos de maravedís (137), mentre nel 1564, sotto l’imperatore Felipe II, esse erano cresciute fino a raggiungere i diciotto milioni di maravedini (138). Nessuna giustificazione avrebbe potuto spiegare un così sproporzionato aumento nella spesa della casa reale, ammoniva il gesuita; ed aggiungeva sdegnato: “si dice che da pochi anni a questa parte non ci sia un solo impiego o posizione che i ministri non vendano in cambio di regalie e baciamani, etc., perfino i tribunali e i vescovadi; non sarà vero, però è abbastanza vergognoso che si dica. Vediamo ministri usciti dalla polvere della terra in un momento caricati di migliaia di ducati di rendita; di dove è uscito questo, se non dal sangue dei poveri, dalle viscere di negozianti e pretendenti?” (139).
La figura dell’esattore delle tasse poi - come visto - era particolarmente presa di mira dal Mariana, il quale la giudicava uno dei più grandi mali per la repubblica. Questa figura era deprecata anche per la confusione che generava il suo ruolo ibrido. L’esattore, infatti, riscuoteva i tributi per conto dello Stato, ma rimaneva pur sempre un privato cittadino, che riceveva questa funzione in appalto. Storicamente, d’altra parte, non mancavano gli esempi, come quello di Verre nella Trinacria romana, che avvalorassero la tesi sostenuta dal gesuita; e questo Mariana dimostrava di saperlo assai bene (140). Pertanto, egli invitava espressamente a non privarsi di questa fondamentale funzione (141). Ben lontano dai precetti moderni, l’influsso dell’etica cristiana si faceva sentire ancora poderoso nelle parole del gesuita, che chiamava in causa lo stesso Aristotele al fine di regolamentare il prestito ad interesse: “Credo che si debba ordinare al principe, ed osservare egli stesso, la legge che, come ricorda Aristotele, si osservava anticamente in molte città, secondo la quale a nessuno era consentito vendere la prima eredità dietro corresponsione di denaro {nemini licere primariam haereditatem pecunia vendere}. Si ricordi anche di un’altra legge, molto famosa, attribuita a quanto dicono ad Oxe: “A nessuno è consentito ricevere denaro ad interessi, dando in ipoteca la sua proprietà o parte di essa” {faenori pecuniam dari fundo aut fundi partae oppignerata nemini liceto}” (142).
Tuttavia, ciò che sembra stesse a cuore a Mariana sopra ogni altra cosa era la ‘questione sociale’. Uno Stato veramente ‘etico’ - per avvalersi di una fortunata espressione successiva - non poteva gravare con imposte e dazi di ogni sorta i propri cittadini, soprattutto quelli più poveri. Mariana, infatti, condivideva il concetto aristotelico secondo cui una società equilibrata doveva reggersi sulla classe media, che andava, pertanto, privilegiata ed incrementata.
Ma come sarebbe stato possibile incamerare il necessario sostentamento finanziario, senza incidere negativamente sulle risorse private dei cittadini meno abbienti? Mariana suggeriva che attraverso la ‘tassazione indiretta’, ossia sui consumi, si sarebbe potuti riuscire a calibrare la portata del prelievo fiscale nel senso di una maggior equità, alleviando così la miseria dei cittadini (143).
In tale ottica, i cosiddetti “beni di lusso” ed, in generale, i beni voluttuari, erano, per definizione, da ritenersi superflui; conseguentemente, per Mariana essi potevano essere gravati da pesanti imposte, giacché questo non avrebbe compromesso la libertà individuale: colui il quale poteva permettersi di acquistarli, infatti, non avrebbe subito un danno eccessivo a causa della tassazione, anche perché restava pur sempre libero nel decidere di non comperarli; qualora, per contro, avesse deciso di farlo ugualmente, non gli sarebbe stato in alcun modo impedito ma, almeno, con la sua ostinatezza per le cose futili avrebbe recato un beneficio all’intera comunità (144).
Inoltre, nel trattato De monetae mutatione si affrontava la questione di quell’altra tassazione indiretta che era rappresentata dal fenomeno inflazionistico. Tale problematica risultava nevralgica. Secondo Mariana, ogniqualvolta si vociferava che il tesoro pubblico era stato esaurito i contribuenti, giustamente, si sdegnavano. Di conseguenza, l’atterrito principe avrebbe ansiosamente ricercato un qualunque escamotage per far fronte ai propri debiti (145). In queste posizioni di Mariana, oltre che un chiaro riferimento ad Aristotele, sembrerebbero quasi riecheggiare anche le parole utilizzate dal giurista imperiale Julius Paulus (ca. 160-224) nel Digesto (146). Cosicché il concetto di publica ac perpetua aestimatio risulta essere un cardine del pensiero economico del gesuita derivato, oltre che dalla teoria cristiana del “giusto prezzo” (147), dall’idea di un prezzo stabile e fissato dalle autorità, che era una tematica già propria della riflessione antica. Dunque, per Mariana costituiva un grave abuso alterare la moneta sine populi consensu, tanto che - anche sulla scorta di giuristi come il glossatore canonista Enrico da Susa, detto l’Ostiense dal titolo cardinalizio di Ostia, il commentatore Niccolò Tedeschi, detto Panormitano, ed Innocenzo - egli asseriva: “nessuna cosa che sia in pregiudizio del popolo è consentito fare al principe senza il consenso del popolo (dicesi pregiudizio prendersi qualunque parte delle sue finanze)” (148).
Importante è anche sottolineare come, in quanto forma indiretta di tributo, in linea di principio Mariana considerasse immorali gli stessi monopoli di Stato. Tuttavia, quando questi fossero stati istituiti per un maggior beneficio nella distribuzione ed abbassamento dei prezzi, avrebbero senza alcun dubbio rappresentato la più indovinata gestione di governo possibile (149).
12. Quanto deve essere libero il mercato?
Invocare un intervento governativo in termini di tassazione per riequilibrare l’assetto sociale è un espediente che risulta difficilmente assimilabile alla tradizione liberale classica. La tassazione indiretta, poi, che va ad incidere sui consumi è una misura di politica economica la quale, per così dire, influisce direttamente sul mercato, condizionando, in una certa misura, le scelte degli acquirenti. Di conseguenza, i fautori più intransigenti ed integralisti del ‘libero mercato’ rifiutano nettamente tale tipo di soluzione redistributiva. Mariana, per contro, subiva l’influsso aristotelico della mediazione, espresso nel concetto di ‘politìa’, che puntava a stemperare le diseguaglianze economiche nel tessuto sociale, favorendo il ceto medio quale massima garanzia di stabilità politica.
Ma numerosi altri dogmi caratterizzarono il movimento liberoscambista del XIX secolo, di cui il principale era l’annullamento di qualunque sorta di imposta doganale; ogni forma di politica ‘protezionistica’ andava soppressa in nome della libertà di commercio. Mariana sembra accogliesse certe istanze legate al libero commercio; tuttavia, le sue posizioni si ponevano all’insegna della moderazione e rifuggivano qualunque dogmatismo per essere calibrate e modulate di volta in volta, a seconda delle situazioni specifiche. Così, egli sostenne il ceto mercantile invocando sgravi fiscali per tale categoria. Quella che svolgevano i mercanti, infatti, era da ritenersi un’attività vitale per lo Stato e, pertanto, occorreva facilitare, da un punto di vista politico, il loro compito: “Conviene inoltre favorire il commercio con le altre nazioni, con modici tributi piuttosto che impedirlo con gravose imposte {Praeterea commercia cum alijs regionibus iuvanda potius moderatis vectigalibus sunt, quam impedienda tributorum gravitate}. Infatti, sebbene il venditore {venditor} copre con il ricavato della vendita ciò che ha speso nel tributo, tuttavia, quanto minore sarà il numero dei compratori, per il prezzo alto, tanto più difficile sarà lo scambio dei prodotti {commercij}. Occorre facilitare, sia per mare che per terra, l’importazione e l’esportazione {invectiones evectionesque} degli articoli necessari. Accadrà in tal modo di poter scambiare ciò che in alcune nazioni abbonda con ciò che in altre manca, e viceversa: vero oggetto e scopo del commercio, a cui questa arte deve tendere {qui est verus mercaturae usus & finis, quo tota ea ars referri debet}. Avidi mercanti {avidi mercatores}, invece, aumentano il prezzo degli oggetti, valendosi di cattive arti e vendendo una cosa più volte in uno stesso punto: tutto questo deve essere proibito da una legge, affinché non siano aumentati i prezzi, a causa della loro cupidigia {lege prohibendum est, ne ex eorum aviditate pretia rerum augeantur}. Al di là di questi casi sono del parere che occorre proteggere gli interessi dei mercanti, e sostenere con le leggi e il diritto quest’arte che tanto giova alla salute dello Stato {Alioqui mercatorum commodis consulendum arbitror iure & legibus adiuvanda ars imprimis reipublicae salutaris}” (150).
Parimenti, tuttavia, secondo Mariana andavano combattute le distorsioni che singoli soggetti operanti all’interno del mercato avrebbero potuto porre in essere. Giacché, non essendo il mercato un’entità pensante e con vita autonoma, bensì consistendo esso in uno dei tanti collectiva che, semplicemente, tenterebbe di esprimere sinteticamente la sommatoria dei singoli individui che al suo interno operano, poteva darsi che alcuni di essi provassero ingiustamente ad approfittare della propria posizione aumentando indebitamente i prezzi delle merci per avidità. Contro tali eventualità avrebbe dovuto erigersi un argine in base alle norme di diritto, cosa alla quale spingeva anche la semplice constatazione per cui “[I]l mercante che, per poter trarre maggiore profitto, inganna {mercator qui specie utilitatis decipit} non può conservare ciò che ingiustamente {iniuste} ha ottenuto con la frode {per fraudem} e rompe con le relazioni commerciali” (151).
La riaffermazione della legalità giuridica nei confronti degli abusi, tuttavia, rappresentava soltanto una faccia della medaglia dell’intervento governativo nel mercato che, secondo Mariana, avrebbe dovuto compiersi anche in forma positiva per mezzo di aiuti concreti all’arte mercantile da parte dello Stato.
Inoltre, l’elemento nazionalista, evidente e scontato in un’opera indirizzata al sovrano dell’impero spagnolo, imponeva a Mariana di escogitare o recepire misure idonee a preservare l’economia iberica, preoccupandosi anche della ‘questione demografica’. Egli, pertanto, affiancò ai propri elogi del libero commercio anche severi ammonimenti di chiara marca ‘protezionistica’. Così, ad esempio, il gesuita dichiarava di desiderare che il medesimo criterio venisse osservato anche per quegli articoli i quali provenivano dalle altre province, “sopra i quali credo si debba imporre un alto tributo {magno imposito vectigali vendantur}; in tal modo uscirà meno denaro dal regno {Sic pecuniae minus deferetur ad exteros} e, con la speranza di guadagnare, verranno in Spagna artigiani, accrescendo la popolazione, di cui nulla è più vantaggioso per aumentare le ricchezze tanto del re quanto del regno” (152).
D’altronde, anche in tema di produzione agricola Mariana si diceva convinto che questa dovesse incrementarsi grazie all’intervento dello Stato; per tale motivo, egli teorizzò l’istituzione di premi al miglior coltivatore e propose l’espropriazione per causa di utilità pubblica con indennizzazione soltanto di una parte del valore dell’espropriato a quegli agricoltori che si fossero mostrati negligenti.
Degno di attenzione, inoltre, appare il suo criterio di tassazione del prezzo dei prodotti, relazionato con le riserve metalliche, per evitare il deprezzamento della moneta ed il corrompersi del mercato; regolamentazione che sarebbe andata a favorire, principalmente, il piccolo proprietario. L’impostazione di Mariana in materia di economia, in conclusione, sembrerebbe essere stata improntata, come quella politica, ad un avveduto e ragionevole senso pragmatico, che rifuggiva qualunque genere di ‘assolutismo’, coniugando felicemente istanze di diversa matrice nell’intento di elaborare ricette in grado di risolvere le complesse esigenze del momento. L’utilità delle varie misure, tuttavia, andava conciliata con gli imperativi etici che raccomandava la morale cristiana. Al dogma era necessario ricorrere in tema di religione - sembra aver voluto dire il gesuita -, per le cose terrene sarebbe stato sufficiente osservare la realtà con occhi vigili e disincantati ma col cuore aperto, senza il bisogno di nessuna ‘rivelazione’ né di alcun ‘atto di fede’. In questo mondo - che non era e non avrebbe mai potuto essere il Paradiso - la verità e la felicità assoluta restavano un’utopia: occorreva accontentarsi di soluzioni parziali, suggerite dal buon senso e sostenute dall’integrità dell’animo umano virtuoso.
13. Epilogo: Juan de Mariana, un pensatore eclettico
Com’è noto, il trattato De monetae mutatione al Mariana procurò un anno di reclusione; e ciò ha contribuito a procurargli quella fama di ribelle libertario a cui si è già accennato. Tuttavia, va detto che, in fondo, le sue parole erano state in gran parte equivocate o, quantomeno, se non proprio travisate nel loro significato, certamente misinterpretate nel proprio bersaglio. Infatti, quando egli ammoniva: “[i]o confesso la verità, che mi meraviglio che coloro i quali siedono al governo non abbiano conosciuto questi esempi” (153), feriva profondamente la sensibilità del duca di Lerma e dei suoi ausiliari, i quali scorsero in tali parole un’allusione a se stessi; equivocandole, tuttavia, giacché Mariana intendeva riferirsi ad Alonso Ramírez de Prado e Pedro Franqueza, già da tempo castigati per i loro abusi quando apparve il trattato sulla moneda de vellón (154). In esso si ponevano di manifesto i vizi della burocrazia dell’epoca, della quale si esponevano gli inconvenienti sostenendo a chiare lettere che, se non lo facevano in maniera adeguata, coloro che governavano avrebbero ricevuto, meritatamente, l’odio del popolo. Tutto ciò assieme alla dichiarazione iniziale, nella quale Mariana sosteneva di apprestarsi a dire quello che nessun’altro si era mai azzardato a proclamare prima, resero oltremodo sospettoso il suo trattato agli occhi del governo in carica. Di certo, l’opera di Mariana si pose, al fianco di quella di Juan Luis Vives (1492-1540) e, soprattutto, di Pedro de Valencia (1552-1620), con il suo Discurso acerca de la moneda de vellón del 1605, come parte di una trilogia che, unica, si oppose al potere del re sulla coniazione della moneta.
È possibile che a taluni Mariana sia sembrato un uomo ‘avanti con i tempi’ semplicemente perché, invece, era ‘indietro’ ma, allo stesso tempo, profondamente consapevole dell’epoca in cui viveva (155). La moneta spagnola, infatti, essendo un circolante internazionale, aveva degli aspetti metallistici che la rendevano simile ad una ‘merce-campione’. La sua stabilità costituiva la garanzia anche della stabilità dei prezzi e, quindi, dell’ordine rispetto alla sussistenza ed agli scambi. Ma tale garanzia di stabilità era assicurata, innanzi tutto, dall’atteggiamento del re. Se questi, infatti, mosso da avidità, avesse modificato la moneta, avrebbe generato crisi, guerre, miseria. Tutto sembrerebbe risiedesse, per Mariana, nell’eticità del comportamento regale: perfino tasse e monopoli - sebbene, per principio, non auspicabili - potevano risultare accettabili, purché finalizzati al “bene comune” (bonum commune).
È noto come, già per Tommaso, la res publica rappresentasse un “organismo sociale di ordine naturale” in sé completo, tanto che civitas est communitas perfecta (156). Nella filosofia dell’essere tomista, dunque, la società politica era vista come un’‘entità morale’, la cui realtà implicava una moltitudine coesa, dotata, quindi, di un’unità immanente - in quanto conseguenza della intrinseca finalità dei singoli individui che la componevano - e ordinata all’univocità di operazione (unitas ordinis). Tale unità, composta di relazioni con vincoli talvolta impercettibili e tuttavia reali, subordinandola ad un ordinamento volontario, la volgeva ad uno scopo nuovo; essa costituiva, in una parola, un ordo (157). Collegando la finalità essenziale della cosa pubblica al concetto di virtus, la filosofia tomista prospettava una repubblica nella quale l’adesione fosse non solum propter iram, bensì tale da richiedere un émpito consapevole attraverso il quale, nel momento della propria associazione personale, vi si trasferisse anche un contenuto deontologico (158). Il fine della repubblica, che era rappresentato dal bonum commune, si caricava così di un valore squisitamente etico, giacché veniva regolato dalle leggi dell’essere, della ragione e della morale, per mezzo delle quali agivano gli stessi uomini che lo costituivano. Risulta, infatti, evidente come quella repubblica che avesse trascurato un qualunque lato dell’uomo, non avrebbe potuto promuovere il bene comune, divenendo in tal modo ciò che lo stesso Doctor Angelicus definiva un incompleto regime secundum quid (159). Ma una tale autolimitazione sarebbe stata un’onta per quanto di più perfetto si poteva trovare in tutta la natura, in quanto essere ragionevole e sussistente: la persona umana (160). Dunque, il fine della singola persona avrebbe coinciso, proprio per tale ragione, col servire il bonum commune (161); mentre ripugnava alla legge dell’essere, ossia alla “retta ragione” (recta ratio), il ritenere che il bene di uno solo fosse superiore a tale “bene comune”, o “bene di tutti” (bonum totius) (162), mentre fra essi non sussisteva alcuna identità (163). La differenza che intercorreva fra bene comune e bene particolare, inoltre, non si esauriva in una semplice distinzione di grado, bensì implicava la loro stessa essenza specifica (164).
A questo proposito, in merito alle interpretazioni rigidamente individualistiche e libertarie della filosofia politica di Mariana, così come di quella dello stesso Aquinate, è opportuno, forse, riportare il commento di un tomista convinto come Monsignor Francesco Olgiati (1886-1962), il quale riteneva che “[n]ulla è più in contrasto con la concezione di S. Tommaso della teoria individualistica, propria del liberalismo e tante volte condannata nei documenti pontifici […]. Quando l’individualista crede di avere S. Tommaso come alleato nella difesa della dignità della persona, trascura che la “persona” della filosofia dell’essere (e della religione cristiana) non deve calpestare le leggi dell’etica” (165).
In sostanza, il sospetto che emerge da una lettura approfondita e scevra da pregiudizi dell’opera scritta dal gesuita spagnolo è che, spesso, si sia voluto stravolgere il suo pensiero con etichettature che tendevano ad evidenziarne soltanto una minima parte. Di fronte ad un Mariana ‘socialista’ e ad uno ‘individualista’, verrebbe da osservare che, più opportunamente, egli avrebbe potuto essere definito semplicemente come un cattolico eclettico. È nota, infatti, l’attenzione secolare della Chiesa nei confronti delle tematiche politico-sociali e, se al suo interno è possibile rilevare una miriade di posizioni differenti, è pur vero che, spesso, si può anche intravedere fra di esse un ‘minimo comun denominatore’ - per adattare le formule di una scienza esatta con le ben più instabili problematiche delle scienze sociali - che le unisce e le distingue dalle teorie laico-secolarizzate, quali restano pur sempre sia il socialismo che l’individualismo. Mariana mostrava di essere incline ad accogliere varie posizioni, senza lasciarsi irretire in alcuna corrente specifica; egli, infatti, riteneva di leggere distintamente la realtà in quanto la giudicava ‘dall’alto’, da uomo, cioè, che si collocava nel mondo, ma misurando le cose sul metro della parola divina e, ovviamente, senza il bisogno di ‘interpretarla liberamente’.
Non v’è dubbio che a Mariana stessero a cuore le questioni individuali; ma, allo stesso tempo, il valore attribuito alla funzione dell’etica personale, assieme all’attenzione per i problemi della dignità umana, ponevano un argine poderoso verso le estremizzazioni in un senso o nell’altro; argine che contribuiva a demarcare nettamente gli ambiti in cui tale libertà individuale poteva svilupparsi e prosperare. Insomma, se è indiscutibile il fatto che egli anticipò alcuni nodi fondamentali del soggettivismo economico ‘austriaco’ e che la sua attenzione per la persona umana lo pose in una prospettiva che, per certi versi, potrebbe essere assimilabile all’‘individualismo metodologico’, tuttavia, appare altrettanto evidente la sua distanza intellettuale dall’‘individualismo filosofico’, che in epoche successive ha condotto all’elaborazione di dottrine solipsistiche ed anarcoidi, in molte delle quali, più che la libertà dei singoli, si pretendeva di rivendicare la supposta legittimità della loro licenza. Singolare e - certamente - degno di nota appare il fatto che le soluzioni di due correnti di pensiero idealmente tanto distanti, come indubbiamente sono il liberalismo economico contemporaneo e l’etica sociale dei teologi rinascimentali, sovente convergano in maniera così chiara e decisa. Di conseguenza, per quanto il definire Mariana come un precedente storico di ‘libertario’ o come ‘il primo economista austriaco’ possa comprensibilmente apparire un anacronismo di fronte al quale per lo storico delle dottrine è legittimo storcere il naso, tuttavia, ciò conserva nella sostanza una sua dose di ragionevolezza qualora si indossino gli occhiali dell’economista, del politologo o dello studioso di filosofia politica. Difatti, gli anatemi ecclesiastici contro il ‘liberalismo’ sono riconducibili - e circoscrivibili - alla sua versione utilitaristica, impregnata di tematiche tipicamente ottocentesche, come il nazionalismo, il relativismo, l’agnosticismo. Pertanto, è evidente come quei libertari che pongono al centro dei propri interessi le questioni deontologiche risultino in larga parte immuni da tali rilievi. Conseguentemente, però, i problemi che si presentano allo studioso che intenda tracciare una sorta di parallelo fra le due distinte (ed articolate) teorie economico-politiche della Neoscolastica spagnola e del libertarismo contemporaneo si possono ridurre, essenzialmente, a due. Innanzi tutto, verificare se all’interno del variegato arcipelago libertarian siano o meno riscontrabili posizioni che richiamano quelle del ‘nichilismo morale’ o dell’‘edonismo narcisistico’, che accomuna liberalismo ‘milliano’ ed egoismo ‘stirneriano’; idee le quali rappresentano efficacemente quegli esempi utilitaristici, atomistici, solipsistici ed anarcoidi reiteratamente condannati dalla Chiesa e, certamente, assai distanti dalla lezione tomista. In secondo luogo, domandarsi se sia filologicamente più corretto e teoricamente più proficuo sostenere che le posizioni libertarie trovano dei parziali antecedenti storici nelle teorie enucleate da alcuni teologi cattolici di epoca rinascimentale, o piuttosto concedere che, semplicemente, sono taluni Libertarians che intenderebbero coniugare, in maniera deliberata, tradizioni di pensiero le quali, altrimenti, a parte qualche aspetto marginale, poco avrebbero a che spartire fra di loro; tutto ciò nell’intento precipuo di formulare, in tal modo, una nuova filosofia politica in grado di superare i presunti limiti di entrambe.
Qualche parola va, poi, spesa in relazione al supposto ‘razionalismo’ di Mariana, più volte rilevato da taluni commentatori. Egli era senza dubbio assai lontano dalla critica aspra e totale all’utilizzo delle forze della mente umana per cogliere ed assimilare le verità d’ordine naturale; posizione con la quale, all’opposto, s’identificava quel filone (poi raccolto da un certo ‘tradizionalismo’, anche cattolico) che negava ogni validità alla ragione, tanto da arrivare a sostenere - con le parole di Juan Francisco María Donoso Cortés (1809-1853) - che essa “segue l’errore ovunque vada, come una madre affezionata segue, ovunque vada, fosse pure nell’abisso più profondo, il figlio del suo seno”. Ciò sarebbe equivalso a negare le fondamenta della tradizione tomista, verso cui, per contro, tutta la Neoscolastica spagnola, pur nella sua varietà, rimaneva profonda debitrice. Tradizione che, peraltro, appariva come il più sublime tentativo di sintesi tra fede e ragione che la storia abbia conosciuto, giacché restava fedele alla convinzione secondo cui il Sommo Autore ordinò la ragione alla verità e non, certamente, all’errore. Essa si rifaceva all’insegnamento di Aristotele, che aveva tradotto la sapienza tramandata in una dialettica ontologica. L’accostamento di Mariana al moderno razionalismo è, dunque, comprensibile; specialmente se si accetta l’interpretazione per cui già la Scolastica del tardo Medioevo avrebbe risolto la sintesi della filosofia ‘accademica’ e di quella ‘peripatetica’ in favore di una concezione più rigorosa di quest’ultima, “preparando così la sua stessa fine e la vittoria del razionalismo” (166). D’altra parte, Mariana sembrerebbe aver compiuto un passo ulteriore verso la modernità con la ratifica del trapasso - all’epoca ancora in fieri - dallo ‘scientismo cabalistico’, proprio dell’empirismo ‘magico’ di radice aristotelica, a quello ‘puro’ o moderno, secondo cui il calcolo di ogni genere avrebbe dovuto essere ‘verificato dall’osservazione’ (con tutte le conseguenti implicazioni politiche di matrice ‘democratica’ implicitamente connesse con la fede dichiarata nell’‘esperienza di prima mano’) (167). Tale propensione resta consegnata in affermazioni del tenore di quella secondo cui “[n]essuna vita, per lunga che possa essere, è sufficiente ad ottenere anche una sola scienza, se non fa tesoro delle osservazioni di molti e dei risultati forniti da una lunga esperienza” (168). Nondimeno, va chiarito come, in realtà, la ‘ragione’ di cui egli si avvaleva non fosse ancora quella dei razionalisti moderni, bensì come essa, più semplicemente, s’identificasse con il nobile impiego dell’intelletto umano per il discernimento dei problemi: da ciò a riconoscere la superiorità della ragione sull’anima, evidentemente, rimaneva pur sempre un abisso. Occorreva, infatti, non dimenticare mai che “temeraria sarebbe ogni indagine sugli arcani divini posti al di là della comprensione umana” (169). La qual cosa, peraltro, appare indubbiamente significativa alla luce di quella critica radicale che, pur da una prospettiva completamente diversa, avrebbe sferrato alla hybris del moderno razionalismo ‘costruttivistico’ proprio uno dei più insigni teorici dell’‘austro-liberalismo’ contemporaneo (170).
Appare importante non disconoscere il mondo spirituale all’interno del quale il gesuita si muoveva che, in gran parte, rimaneva ancora il mondo della tradizione cattolica (171). Occorre, pertanto, non perdere di vista che il talaverano perseguì, fra le altre cose, combattere la Riforma, attaccandola nel più profondo della sua rivoluzione, con uno spirito riformista che cercava la restaurazione di tutta la grandezza del passato, fustigando tutto il male del presente. Ciò di per se stesso non significa cedere - come alcuni hanno ritenuto - all’‘oscurantismo’; egli, infatti, ammetteva gli umani appetiti di gloria e fama, così come l’amore per la scienza e per lo studio, ma sempre che non fossero contaminati dal peccato, né dalla vanità.
Secondo un’ottica tipicamente cristiana, per Mariana l’etica non era avulsa dalla sfera politica e la memoria storica avrebbe decretato il verdetto definitivo, attribuendo osanna o condanne senza appello. Nel Trattato contro i giochi pubblici (172), per esempio, ad ogni pie’ sospinto Mariana esercitava il proprio intento moralizzatore e, alla minima occasione che gli si presentasse opportuna, parlando dei giochi nei quali conveniva che si esercitasse il principe, sosteneva che questi non dovevano possedere nulla di crudele che contraddicesse i costumi e la pietà cristiana (173). Inoltre, in varie occasioni egli censurava con crudezza i vizi dell’epoca, senza per questo scadere in toni stucchevolmente moralistici. I suoi strali non risparmiavano nessuno: dai nobili cortigiani, accusati reiteratamente di essere effeminati, adulatori infidi e ladri, fino ai magistrati, ai vescovi e a certi stessi pontefici, passando per gli esattori delle tasse, tarme delle rendite reali, e i giureconsulti, sulle cui arguzie ironizzava acutamente, nonché gli stessi sovrani i quali, sotto la qualifica di “tiranni”, non si salvavano dalle bacchettate del gesuita (174).
La posizione di Mariana di fronte alla Chiesa, che riteneva degna di stare sopra a tutte le cose terrene, in quanto rappresentante dei poteri celestiali, ammetteva la separazione di questa dallo Stato, per maggiore forza di entrambi. Tuttavia, il talaverano indicava come conveniente che i religiosi prendessero parte attiva all’organizzazione civile e che, a loro volta, si onorassero con dignità ecclesiastiche quei cittadini che lo avessero meritato, in maniera tale che il clima di cordiale collaborazione presiedesse ai lavori della Chiesa e dello Stato (175). È, anzi, opportuno rilevare come Mariana abbia difeso una partecipazione del clero alla politica in quanto vedeva in esso, soprattutto, un potere moderatore di quel monarca legibus solutus che, nell’Europa del Rinascimento, difendevano i teorici della monarchia assoluta. Per Mariana la Chiesa rappresentava un’istituzione dalla quale non si poteva prescindere, la cui funzione essenziale veniva perseguita anche grazie alla sua potenza temporale (176).
Appare dunque evidente che uno Stato così concepito, quasi teocraticamente strutturato, dovesse necessariamente configurarsi come confessionale e cattolico, in linea con il sistema ‘ierocratico’ propugnato in quel tempo dall’autorità ecclesiastica. Ciò traspariva chiaramente dalle parole di Mariana, il quale, nel sedicesimo capitolo del terzo libro del De Rege - cui affidava la conclusione del proprio trattato - sentenziava come “[n]on è vero che in un solo regno possano esserci molte religioni” (177). Inoltre, nelle varie occasioni in cui parlava della missione che doveva portare a termine l’impero spagnolo nel mondo, egli poneva come funzione principale, indispensabile per la sua espansione, la predicazione e diffusione della religione cristiana.
In un tale Stato su base religiosa è logico pensare che ogni ingiustizia sociale dovesse sembrare intollerabile. Nel concetto statale di Mariana, difatti, si presentava tanto perentorio questo senso di uguaglianza che per il gesuita risiedeva nella stessa natura dell’uomo, il quale poteva ascendere per la scala degli onori, come già in passato alcuni fecero dando origine all’aristocrazia; assumendo, così, una posizione che apriva decisamente la via alla concezione sociale che avrebbe poi contraddistinto la modernità occidentale. Tale convinzione si legava strettamente al concetto che di “aristocrazia” Mariana aveva in mente, il quale rispondeva a criteri piuttosto complessi e sembrava non tenere in grande considerazione la stratificazione sociale in base a distinzioni di sangue. Una classe nobiliare avulsa da responsabilità di governo rischiava di adagiarsi unicamente sugli allori dell’autocompiacimento, attribuendo la propria condizione ad arcane questioni ancestrali e giungendo perfino a disprezzare le altre componenti del popolo che, invece, occorreva coinvolgere (178).
Per comprendere l’ordinamento logico di Mariana, occorre non perdere di vista il metodo ‘induttivo’ da lui utilizzato. Dapprima, egli affrontava la trattazione dell’istituto monarchico e della conseguente autorità; in un secondo tempo, si concentrava sull’autorità popolare come superiore a quella del monarca; infine, veniva decretata la superiorità dell’autorità ecclesiastica su qualunque altra. Da una tale prospettiva di valutazione sul valore politico dell’opera di Mariana, emerge in tutta chiarezza l’intento religioso e, in special modo, ‘gesuitico’ dell’autore, che coincideva con l’affermazione del potere temporale della Chiesa rispetto a quello laico. Lo spagnolo, infatti, sosteneva che, qualora il principe avesse mostrato disprezzo per la religione, avrebbe dovuto abdicare od essere destituito (179). In proposito, è stato osservato come la vastità d’interpretazione a cui si presta il concetto di ‘disprezzo della religione’ offrisse a Mariana gli strumenti più adeguati per tentare d’imbrigliare in qualche modo il potere laico: probabilmente, fine recondito dell’intera sua opera (180).
In conclusione, occorre rilevare come le tematiche analizzate da Mariana non costituissero, certamente, argomenti originali di per sé. Al contrario, anche le sue tesi più polemiche, come ad esempio la superiore autorità del regno su quella del monarca e, di conseguenza, la sottomissione del re alle leggi - che il gesuita si compiaceva di sottolineare - o persino la stessa teoria del tirannicidio erano già, in una certa misura, dottrina comune di quella che è stata definita “scuola spagnola del XVI secolo” o “Scuola di Salamanca” e, più in generale, temi europei (181). L’originalità consistette, pertanto, nella maniera in cui egli si accostò a certi argomenti, nel suo personale modo di esporli.
È, dunque, opportuno ricollocare ogni manifestazione del pensiero di Mariana all’interno del microcosmo nel quale era stata partorita. In una tale logica, lo stesso rilievo attribuito alla dignità della persona umana, che era certamente presente nell’ideario del padre gesuita, pur distinta nettamente dall’arbitrio individualistico idolatrato nelle epoche successive da certe dottrine di stampo ‘atomista’, parrebbe anzi rappresentare uno dei tratti salienti e peculiari della sua filosofia, nonché, allo stesso tempo, l’effetto di una visione del mondo ancora di tipo sostanzialmente tradizionale. Ecco che, in base ad essa, la personalità umana sembrerebbe aver rappresentato - secondo una tipica e storicamente fortunata versione dell’Hispanidad - una ‘monade spirituale’, od anima ordinata alla vita perpetua, in grado di incarnare lo strumento di valori assoluti e di esprimere, essa stessa, un valore assoluto in sé. Da qui, la giustificazione di un rispetto fondamentale per la dignità dello spirito umano, per l’integrità e la libertà della persona: una libertà di natura profonda e legittimata superiormente, che non si sarebbe mai potuta tradurre nella facoltà di infrangere arbitrariamente la convivenza civile o di minarne le fondamenta.
Note
(1) Conviene circostanziare come le riflessioni di Ortega s’incentrassero su quella che, a suo modo di vedere, si configurava quale un’esecrabile confusione odierna fra i due ben distinti concetti di “liberalismo” e “democrazia”. In alcuni celebri paragrafi, il madrileño poneva in evidenza come, per contro, tali “tendenze” non soltanto risultassero originariamente differenti l’una dall’altra ma, addirittura, fossero da considerarsi “di significato antagonista”. Esse, infatti, atterrebbero a due questioni di diritto pubblico assolutamente diverse: la democrazia si occuperebbe del problema di chi debba esercitare il potere politico, ravvisando la soluzione più adeguata nella “collettività dei cittadini”; il liberalismo, invece, si preoccuperebbe di individuare quali siano i limiti invalicabili da apporre a tale potere, indipendentemente da chi si trovi ad esercitarlo: cfr. Ortega y Gasset (1926: 425).
(2) Si tenga presente come alcuni scolastici si mostrassero inclini ad individuare proprio in tale passo del Genesi (1, 26) il fondamento ultimo del dominium; cfr. ad esempio Molina (1593-1609: Tract. II, disp. 18, coll. 83-84). Sulla filosofia politica di Molina si veda, in particolare, lo studio di Costello (1974).
(3) Cfr. Negro Pavón (1988: 12). (4) Cfr. Maravall Casesnoves (1944), (1972), (1975) e (1982).
(5) Per una trattazione delle tematiche relative a ‘legge naturale’/‘diritti naturali’, ‘diritto di natura’/‘diritto naturale’, etc. si rinvia agli studi di Villey (1975), Tuck (1979), Finnis (1980), Brett (1997), Tierney (1986), (1997), (2002a) e (2002b), nonché Cubeddu (2001). In particolare, negli scritti di Villey e Tierney si fronteggiano due tesi contrapposte. Il primo, infatti, ha individuato una stretta interconnessione fra il volontarismo teologico e quello giuridico. Per contro, il secondo è stato indotto a collocare l’origine dei diritti soggettivi all’interno della riflessione sviluppata dai canonisti di epoca medioevale, enfatizzando il nesso che unirebbe al “diritto naturale” la dottrina dei “diritti individuali”, interpretata come il “prodotto caratteristico” di quella “giurisprudenza creativa”, la quale avrebbe posto, nel corso dei secoli XII e XIII, le fondamenta della “tradizione giuridica occidentale”.
(6) Cfr. Huerta de Soto (2002: 157).
(7) Le discusse e controverse interconnessioni tra fede e morale cattolica, da un lato, ed economia di mercato e organizzazione politica di stampo liberale della società, dall’altro, sono state dibattute in un incontro sul tema, svoltosi alla Certosa di Pontignano, presso l’Università degli Studi di Siena, il 16 e 17 ottobre del 1998; gli atti di tale convegno sono stati pubblicati nel volume collettaneo a cura di Cardini e Pulitini (2000). Un’analisi di tali questioni da una prospettiva di storia del pensiero giuridico è disponibile nello studio di Clavero (1991). Sulle medesime tematiche si vedano, inoltre, i contributi di Tosato (1994) ed Antiseri (1995).
(8) La suddetta tesi interpretativa - che in ambiente libertarian è divenuta, ormai, canonica - si colloca nel solco tracciato da una cospicua parte della tradizione liberale classica dell’Otto e Novecento che, da Lord John Emerich Edward Dalberg-Acton (1834-1902), giunge sino a Friedrich August von Hayek (1899-1992); essa sembrerebbe concorde nel considerare san Tommaso, appunto, come “il primo liberale”: cfr. per tutti Novak (1993a: 45, trad. it.).
(9) Secondo quanto sostenuto dal liberale granadino Francisco de Paula Martínez de la Rosa (1787-1862), il decreto napoleonico apparso sulla “Gaceta extraordinaria de Madrid” l’11 dicembre del 1808 avrebbe rappresentato, assai probabilmente, la prima volta che si usò in Spagna l’aggettivo liberal (in riferimento alla “Constitución de Bayona”) con l’accezione che ha poi assunto in seguito: cfr. Martínez de la Rosa (1836: CLIII [V] I, IX, cap. XXVI, VII). Del resto, anche l’applicazione della voce “liberale” a gruppi di individui politicamente organizzati, avrebbe avuto un’origine spagnola, iniziando ad essere usata a Cadice nel 1811 dal movimento che l’anno seguente si costituì come il partito dei liberales: cfr. Hayek (1973: 136, trad. it.) e Negro Pavón (1988: 12, nota 4). Si rammenterà, d’altra parte, il differente impiego già fattone da Edmund Burke (1729-1797), il quale, nelle sue celebri Reflections on the Revolution in France, pubblicate a Londra nel 1790, trattando dei primi rivoluzionari di quel paese, asseriva che “their liberty is not liberal”: cfr. Negro Pavón (1988: 218, nota). Inoltre, Sergio Amato ha richiamato l’attenzione sul ricorso che a tale aggettivo fece lo scrittore tedesco Johann August Eberhard (1739-1809), anch’egli in polemica con i misfatti e le scelleratezze che l’abuso della libertà, degenerata in licenza sfrenata, aveva prodotto nella Francia rivoluzionaria per mezzo di quel radicalismo che era proprio dello spirito democratico-repubblicano. Alla pagina 10 del proprio manuale di lezioni di scienza politica “per i cittadini e le cittadine tedeschi dei ceti colti”, uscito a Berlino nel luglio del 1793 ed intitolato Über Staatsverfassungen und ihre Verbesserung, egli rivendicava infatti nell’uomo di orientamento moderato (der Gemäßigte) la presenza di un “sentimento liberale” (liberale Gesinnung), pur mortificato dalle circostanze: cfr. Amato (1999: 138).
(10) Cfr. Negro Pavón (1988: 23).
(11) “[E]am demum tutam esse potentiam, quae viribus modum imponit”: Mariana (1599: 95).
(12) In proposito, avrebbe commentato il sacerdote catalano Jaume Luciano Balmes Urpiá (1810-1848), annoverato come uno fra i più significativi esponenti del cattolicesimo liberale vissuti nella penisola iberica durante il XIX secolo: “Che penseremo di Mariana? La risposta non è difficile; vi sono epoche di vertigine che frastornano le menti e quella lo era […]. È deprecabile, di certo, che Mariana non abbia trattato la questione con maggior senno e che abbia tratto conseguenze tanto formidabili dai suoi principî sul potere; senza la dottrina del tirannicidio il suo libro sarebbe stato in verità molto democratico”; cfr. Balmes Urpiá (1842: 53).
(13) Di seguito, nel presente lavoro, per le citazioni in italiano dei passi dal De Rege riportati fra virgolette ci si è avvalsi dell’unica traduzione finora disponibile, a cura di Natascia Villani, con alcune modifiche od integrazioni effettuate - senza darne ogni volta menzione - sulla base del testo originale in latino, tratto dall’editio princeps del 1599 (di cui esiste una riproduzione anastatica pubblicata ad Aalen, Scientia Verlag, 1969); i rimandi puntuali alle pagine sono, invece, riferiti alla medesima edizione latina. Tutte le altre citazioni in italiano di opere di Mariana o di altri autori stranieri sono tradotte da chi scrive, salvo diversa indicazione specifica.
(14) Su cui si veda Salmon (1991).
(15) Secondo alcuni interpreti, addirittura, l’unico a cui possa correttamente applicarsi tale qualificazione in ambito cattolico; cfr. Fava (1953: 67). Sulla figura di Mariana si possono consultare gli studi di Pasa (1935) e (1939), nonché il contributo di Nicoletti (1943).
(16) Alcuni esempi sono costituiti dagli scritti di Costa y Martínez (1898), Fernández-Santamaría (1997), Lewy (1960), Pi y Margall (1854) e Sánchez Agesta (1981). A prescindere dal grado di attendibilità di tali riletture - che, come ovvio, muta notevolmente fra l’una e l’altra - quel che s’intende contestare qui è, più in generale, l’applicazione del controverso concetto di ‘precursore’ tout court. Se, infatti, è quantomai difficile ‘precorrere’ un qualcosa (giacché nel momento in cui lo si ‘precorre’ questo, di fatto, già si manifesta) è, logicamente, assai più coerente ‘emularlo’. Dunque, a fronte di un Mariana anticipatore delle successive teorie liberali, sarebbe piuttosto da domandarsi, forse, se i moderni esponenti del liberalismo non abbiano ripreso alcuni elementi di una precedente tradizione cui si richiamava lo stesso Mariana. In altri termini: riferendosi all’interpretazione che, a giudizio di scrive, appare più fondata, Mariana formulò alcuni elementi del moderno ‘costituzionalismo’ liberale o, piuttosto, quest’ultima corrente di pensiero recuperò certe fertili tematiche, già affermatesi in epoca medioevale e rinascimentale, dopo che esse erano cadute nell’oblio con l’avvento dell’età moderna? Il cambio di prospettiva non pare un dettaglio insignificante.
(17) Cfr. Hayek (1967: 286, trad. it.).
(18) È pur sempre doveroso, del resto, non perdere di vista come, anche in assenza di ricerche autonome, Hayek considerasse attendibili ed estremamente importanti quelle svolte da altri studiosi in tale direzione. Al riguardo si rivela una testimonianza di notevole interesse la lettera inedita, datata 20 gennaio 1979, spedita a Huerta de Soto, in cui il futuro premio Nobel sosteneva che in tali studi si dimostrava come “i principî basilari della teoria del mercato concorrenziale {competitive market} vennero elaborati dagli scolastici spagnoli del 16º secolo e che il liberalismo economico non fu disegnato dai calvinisti, ma dai gesuiti spagnoli”: cfr. Huerta de Soto (2002: 250, nota 4).
(19) Mises (1927: 93, trad. it.).
(20) Ibidem.
(21) Ibidem.
(22) Mises (1922: 453, trad. it.).
(23) Mises (1922: 454, trad. it.).
(24) Mises (1927: 93, trad. it., corsivo mio).
(25) Cfr. Mises (1949: Part Six, chap. XXVII, § 3, pp. 715-719).
(26) A giudicare dagli inequivocabili segni di un influsso del pensiero hayekiano sull’Enciclica papale Centesimus annus - dovuti, come noto, all’estesa conversazione che l’economista austriaco intrattenne con il Santo Padre poco prima di morire, per cui si veda Novak (1993b: 7) - sembrerebbe vero, piuttosto, il contrario.
(27) Gli stessi richiami che Joseph Alois Schumpeter (1883-1950) fece ai dottori scolastici nella sua Storia dell’analisi economica, infatti, non erano comunque diretti a sostenere una qualche loro continuità ideale con la Scuola austriaca in particolare: cfr. Schumpeter (1954: 100 ss.). D’altra parte, anche un critico quale Giacomo Costa, dopo aver giudicato con scetticismo larga parte delle ricerche effettuate in tale direzione, tuttavia, non sembra avere dubbi all’asserire che “[l]a Scuola Economica Austriaca ha dato un fondamentale contributo alla conoscenza e all’apprezzamento della Tardoscolastica, di cui può essere considerata, in qualche misura, la continuatrice e l’erede. I membri della Scuola Austriaca erano laici, e per di più certamente non tutti cattolici di nascita. Tuttavia cattolicizzante la loro Scuola lo è, e non solo per la sorridente condiscendenza con cui Schumpeter, o Mises, o Hayek, considerano le posizioni del positivismo e del laicismo tardo-ottocentesco. Non sorprendentemente per dei membri dell’élite intellettuale di un impero multinazionale ormai vicino alla disgregazione, apprezzano profondamente l’universalismo e il razionalismo della tradizione ecclesiastica medievale”: Costa (1999: 158, corsivo mio).
(28) La citazione fatta da Menger del trattato intitolato Veterum collatio numismatum, che Diego de Covarrubias y Leyva (colui che avrebbe enunciato per primo la teoria soggettiva del valore) aveva scritto nel 1560 sul maravedí castigliano, è contenuta nei Principî fondamentali di economia, dove si legge che “[l]a letteratura straordinariamente ricca che hanno prodotto il medioevo e il sedicesimo secolo in materia di monete e di misure […] molte notevoli pubblicazioni […]. Esse si occupano per lo più di questioni pratiche della moneta, in particolare della questione, divenuta importante per i numerosi abusi delle pubbliche amministrazioni, dell’essenza e dei limiti del diritto dei prìncipi di alterare le monete, e delle conseguenze giuridico-patrimoniali di tali alterazioni. Alcune prendono spunto da ciò per trattare anche la questione dell’origine del denaro, e si liberano del problema sulla base delle ricerche dell’antichità, richiamandosi sempre ad Aristotele. Così […] Didacus Couarouvia, Veter. numm. collat. (intorno al 1560), edit. Bud., p. 468”: Menger (1871: 343-344, nota 79, trad. it.).
(29) Cfr. Grabmann (1933: 181-182, trad. esp.).
(30) Cfr. Prieto (1993: 277).
(31) Per quanto riguarda il differente tomismo professato dai gesuiti, invece, si veda lo studio di Beltrán de Heredia (1915).
(32) Dopo l’unificazione della Castiglia con il León, l’Universidad de Salamanca incorporò quella di Palencia (il più antico ateneo iberico, risalente al 1208), divenendo, in tal modo, la più importante del paese. La sua vertiginosa ascesa verso una statura internazionale fu notevole, tanto che - nell’arco di trent’anni - papa Alessandro IV l’avrebbe elevata al rango delle più importanti università europee dell’epoca. Essa continuò a fiorire sotto i Reyes Católicos, assumendo addirittura una pionieristica professoressa, Beatriz de Galindo, la quale fu precettrice di latino della Regina Isabella. Nel XVI secolo essa si mostrò abbastanza potente da resistere all’ortodossia dell’Inquisizione di Felipe II (1556-1598) ma, alla fine, la libertà di pensiero sarebbe stata repressa dall’estremo clericalismo predominante nel Sei-Settecento.
(33) Su tale movimento dottrinale si vedano gli studi di Belda Plans (1984) e (2000). Lo stesso Giovanni Paolo II esprimeva parole di apprezzamento verso l’operato dei salmantini, durante un discorso ai teologi spagnoli, tenuto nel 1982: “Per incontrarmi con voialtri ho scelto questa celebre e suggestiva città di Salamanca, che con la sua antica Università fu centro e simbolo del periodo aureo della teologia in Spagna, e che da qui irradiò la sua luce nel Concilio di Trento, contribuendo poderosamente al rinnovamento di tutta la Teologia Cattolica […]. In quei tempi tanto difficili per la cristianità, questi grandi teologi si distinsero per la loro fedeltà e creatività. Fedeltà alla Chiesa di Cristo e compromesso radicale per la sua unità sotto il primato del Romano Pontefice. Creatività nel metodo e nella problematica. Insieme con il ritorno alle fonti - la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione -, realizzarono l’apertura alla nuova cultura che stava nascendo in Europa. La dignità inviolabile di ogni uomo e la dimensione etica come normativa delle nuove strutture socioeconomiche entrarono pienamente nel compito della teologia e ricevettero da essa la luce della Rivelazione cristiana. Per questo, nei tempi nuovi e difficili che stiamo vivendo, i teologi di quell’epoca continuano ad essere vostri maestri, nell’intento di raggiungere un rinnovamento tanto creativo quanto fedele, che risponda alle direttive del Vaticano II, alle esigenze della cultura moderna e ai problemi più profondi dell’attuale umanità”: Joannes Paulus II (1982: 259-260).
(34) Su questo argomento si rimanda agli studi di Carro (1951), Brufau Prats (1989) e Pérez Luño (1992).
(35) Cfr. Carpintero Benítez (2002: 40). Sulla fortuna del tomismo in Spagna prima dell’opera del Vitoria, si consulti Belda Plans (2000: 63-73).
(36) Cfr. Artola (2002: 5).
(37) Cfr. Carpintero Benítez (2002: 41).
(38) Se non altro perché, come detto, la Compañía de Jesús non venne fondata prima del 1534 e ricevette ufficiale approvazione da Paolo III - con la bolla papale Regimini militantis Ecclesiae - soltanto nel 1540: cfr. Bosi (1992-1997: I, 118-119).
(39) Cfr. Carpintero Benítez (2002: 41).
(40) Su cui, in particolare, si vedano gli studi di Muñoz de Juana (1998) e (2001).
(41) Bisogna, infine, almeno menzionare Luis Saravia de la Calle e Francisco García, che sviluppò la teoria economica del valore dei beni basata sull’utilità soggettiva nel suo Tratado utilísimo, pubblicato a Valencia nel 1583.
(42) Parlare di ‘proto-liberalismo’ in riferimento agli esponenti del movimento che teorizzò e mise in atto la Controriforma può apparire eccessivo, secondo i luoghi comuni che hanno tramandato una leyenda negra in base alla quale la Spagna cattolica viene spesso dipinta come il regno incontrastato dell’assolutismo monarchico sostenuto da un’Inquisizione intollerante e persecutoria. Non s’intende, in questa sede, discutere l’attendibilità di tali interpretazioni. Poiché, tuttavia, del Tribunale della Santa Inquisizione fecero parte anche figure di primo piano nel processo controriformatore messo in atto dalla Chiesa romana nella seconda metà del Cinquecento, come il cardinale gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) - peraltro discepolo di Mariana negli anni in cui questi insegnò presso il Collegio Romano - giova riportare un episodio significativo. Racconta Balmes che, durante un sermone pronunciato di fronte all’allora regnante Filippo II, un predicatore dichiarò, lasciandosi trasportare da spirito di piaggeria e servilismo, che “i re hanno un potere assoluto sulla persona e sulla roba dei loro vassalli”. L’Inquisizione intervenne prontamente, senza alcun ostruzionismo da parte del potente sovrano, istruendo un processo in cui condannò il religioso eccessivamente zelante a ritrattare quanto detto, imponendogli inoltre di leggere pubblicamente una formula che recitava come “non hanno i re sui loro vassalli più potere di quello che loro si permette dal diritto Divino ed umano e non già di loro libera e assoluta volontà”: cfr. Balmes urpiá (1842-1844: II, 368-369, trad. it.).
(43) Cfr. Bastit (1990: 314).
(44) Cfr. Carpintero Benítez (2002: 44).
(45) Cfr. Prieto (1993: 278).
(46) Cfr. Fassò (1968: 36-40).
(47) Todescan (2001: 4).
(48) Ibidem.
(49) Cfr. Prieto (1993: 278).
(50) Cfr., in particolare, gli Atti dell’Incontro di studio - tenutosi a Firenze dal 17 al 19 ottobre 1972 - pubblicati a cura di Grossi (1973).
(51) Al riguardo si vedano gli studi di Gilson (1925), (1943) e (1948), Olgiati (1943), Chenu (1950), Fabro (1983), Finnis (1998) e (2002), nonché Celada Luengo (1999).
(52) Cfr. Belda Plans (2000: 22). Le divisioni suaccennate sono da riconnettersi con le diverse scuole teologiche nelle quali era articolato il panorama scolastico del tempo, su cui si veda lo stesso Belda Plans (2000: 13-14).
(53) Cfr. Prieto (1993: 279).
(54) “In realtà, riteniamo che si debba preferire il comando di uno solo {unius principatum} se raduna in consiglio i migliori cittadini {optimos cives} e, una volta convocato il senato, amministri gli affari pubblici e privati {respublicas & privatas} basandosi sulla opinione di questo; in tal modo si preverrà ogni abuso {imprudentiae} ed eccesso personale {privatis affectibus}. Così quando il potere regio {regia maiestate} sarà congiunto con quello degli ottimati {optimates}, che gli antichi chiamavano aristocrazia {Aristocratiam}, e la città o la nazione avranno il loro giusto cammino, si giungerà all’agognato porto della felicità {sic civitate universa aut provincia cursum tenente, optatum felicitatis portum occupabit}”: Mariana (1599: 33-34).
(55) Cfr. Prieto (1993: 279).
(56) Cfr. Prieto (1993: 279-280).
(57) Egli si formò, infatti, presso l’Università di Alcalá de Henares (nella provincia di Madrid, quasi una trentina di chilometri ad est della capitale, sulla riva destra del fiume Henares) e poi, dopo aver viaggiato per Italia e Francia, si ristabilì in Spagna, nella città di Toledo, nei pressi della quale era nato e cresciuto. Proprio per tale ragione, probabilmente, Diego Mateo del Peral lo collocava a capo di una “Scuola di Toledo”, tacciata di “anticonformismo intellettuale e politico”, dai contorni invero un po’ fumosi.
(58) Cfr. Belda Plans (2000: 63).
(59) Ibidem.
(60) Cisneros fu una tra le figure più emblematiche della complessità che caratterizzò la Spagna dei Re Cattolici. Nella sua persona erano ravvisabili, infatti, i tratti salienti di una delle epoche più fiorenti di quella nazione. Guida della Chiesa spagnola, fu ad un tempo il Grande Inquisitore che accompagnò i sovrani sotto alle mura di Granada ed il fondatore dell’innovativo ateneo di Alcalá; predicatore della guerra santa contro i Moriscos, presenziò nelle vesti di primate di Spagna alla battaglia di Mazalquivir. In seguito alla morte di Fernando il Cattolico assunse la reggenza fino alla maggiore età di Carlo V.
(61) Cfr. lo studio di Huerga (1974: 585-616).
(62) Cfr. Belda Plans (2000: 76-77).
(63) Cfr. Belda Plans (2000: 141).
(64) Su tale questione, si vedano Alejo Montes (1990) ed Álvarez de Morales (1991).
(65) Cfr. Belda Plans (2000: 178).
(66) Cfr. Belda Plans (2000: 141).
(67) La Biblia Políglota Complutense, la cui realizzazione fu voluta e coordinata personalmente da Cisneros, rappresentò il frutto di una moderna concezione degli studi biblici, ispirata alle rivendicazioni umaniste, testimoniando lo sforzo dell’ateneo madrileño volto all’innovazione teologica. Si trattò di un vero e proprio lavoro di gruppo al quale parteciparono, fra gli altri umanisti, anche Erasmo da Rotterdam (1466-1536) ed, in qualità di latinista, Elio Antonio de Nebrija (1442-1522). L’opera proseguì a ritmo serrato per una quindicina di anni, dal 1502 al 1517 (l’ultimo volume venne infatti stampato il 10 luglio del 1517), precedendo le innovazioni dovute all’influsso luterano ed affiancando, per contro, l’opera già intrapresa da Erasmo: cfr. Belda Plans (2000: 102). Sull’esegesi biblica nel XVI secolo si consultino gli studi di Andrés Martín (1976-1977: II, 63 ss. e 629 ss.) e quelli di Avilés Fernández (1987: 75-160).
(68) Loyola - pur risiedendo a Roma - era venuto a conoscenza della fama di cui godeva il Mariana a causa della sua precocità intellettuale e, pertanto, apprese con enorme soddisfazione la notizia della sua affiliazione, inviandogli la propria benedizione.
(69) “[Q]uam a subditis obedientiam exigit, legibus ipse exhibeat”: Mariana (1599: 103).
(70) “[…] Atque ijs legibus non modo obedire Princeps debet, sed neque eas mutare licebit, nisi universitatis consensu certaque sententia: quales sunt leges de successione inter Principes, de vectigalibus, de religionis forma”: Mariana (1599: 102, corsivi miei).
(71) Cfr. Mariana (1599: 387-406).
(72) Cfr. Mariana (1599: 389).
(73) “Sic cives congregari in unum, in conventus & collegia coire vetat, & omnino de republica loqui per inquisitiones occultas adempta loquendi libere, audiendique facultate, quod supremum in servitute est ne gemitum quidem in tantis malis liberum esse permittit”: Mariana (1599: 64).
(74) Cfr. Mariana (1599: 99).
(75) Cfr. Mariana (1599: 107).
(76) Cfr. Mariana (1599: 103).
(77) “[N]eque ita amentes sumus, ut Reges in fastigio collocatos de gradu deijcere, in turbamque mittere conemur. Non ea nostra mens est legibus omnibus sine discrimine Principem esse subiectum, sed quae sine maiestatis sugillatione serventur, neque functionem Principis impediant”: Mariana (1599: 105).
(78) Cfr. Mariana (1599: 105-106).
(79) Mariana (1599: 106-107).
(80) “[N]on si impongono tributi, né si fanno nuove leggi, senza il consenso del popolo {sed populis tamen volentibus tributa nova imperantur, leges constituuntur}; e ciò che ancor più significativo occorre il giuramento del popolo perché al successore siano confermati i suoi diritti al potere supremo, nonostante l’abbia ricevuto per successione ereditaria {& quod est amplius, populi sacramento, iura imperandi quamvis haereditaria successori confirmantur}”: Mariana (1599: 73).
(81) “Quod omnes tangit, debet ab omnibus approbari”: Suárez (1612: Lib. V, cap. 15, § 2).
(82) Cfr. Mariana (1599: 23).
(83) Cfr. Mariana (1599: 103).
(84) Da questa prospettiva può risultare interessante notare, en passant, come con il moderno concetto di sovranità sia stata sovvertita tutta la precedente struttura di diritto tradizionale, fondato sulla ‘natura’ (cosa dalla quale sarebbe derivata, fra l’altro, la stessa teoria cesaropapista). È da segnalarsi come, di conseguenza, contrariamente a quanto comunemente accettato, sia possibile ricavare che gli elementi garanti di tolleranza e libertà politica non abbiano coinciso con le funzioni storiche svolte dalla borghesia e dal laicismo illuminista, bensì con quelle dell’aristocrazia e della Chiesa cattolica: cfr. Negro Pavón (1988: 15-17).
(85) Mariana (1599: 58).
(86) “Credo […] che si debba concedere ai sudditi {provincialibus}, e persino comandare, qualora questi si rifiutassero, di mantenere ciascuno armi e cavalli in base al loro censo e alla loro rendita {unumquemque pro censu & re familiari equos & arma habere}”: Mariana (1599: 304).
(87) Mariana (1599: 310).
(88) Cfr. Mariana (1599: 306).
(89) Occorre ricordare che sulle analisi di politica monetaria effettuate da Mariana, negli anni sessanta del Novecento svolse alcune ricerche Jaime Lluis y Navas Brusi. Sull’introduzione del concetto dinamico della competizione da parte degli scolastici spagnoli, si vedano le osservazioni fatte da Popescu (1987: 141-159), nonché gli studi sulla politica economica e monetaria di Mariana svolti, fra gli altri, da Laures (1928), Sáiz Estívariz (1955) e García de Paso (1999).
(90) Cfr. Grice-Hutchinson (1952), (1975) e (1989). In tali studi ella si concentrò sulla produzione di autori come Luís Saravia de la Calle, Domingo de Soto, Martín de Azpilcueta Navarro, Tomás de Mercado, Francisco García, Martín González de Cellorigo, Luís de Molina e Pedro de Valencia. Si segnala che alla Scuola di Salamanca e, in particolare, agli studi della Grice-Hutchinson sono state dedicate ampie sezioni della rivista spagnola e latinoamericana “La Ilustración liberal” nel n. 11 (Junio 2002), n. 12 (Octubre 2002) e n. 16 (Agosto 2003).
(91) Cfr. Roover (1955) e (1971). In esse l’autore segnalava la dipendenza del pensiero economico del frate francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e di quello del suo allievo sant’Antonino da Firenze (1389-1459) dall’opera del monaco francese fra’ Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298).
(92) Cfr. Todeschini (2002).
(93) Cfr. Rothbard (1976) e (1995: I, 97-133 e 135-175).
(94) Cfr. Beltrán Flórez (1987a).
(95) Cfr. Huerta de Soto (2002: 249-261, in particolare pp. 257-258).
(96) Cfr. Termes (1991: 11).
(97) Cfr. Huerta de Soto (2002: 73-99).
(98) Cfr. Huerta de Soto (1998: 23-34, 66-80 e 468-490).
(99) Cfr. Huerta de Soto (2002: 259).
(100) Mariana (1625: 151-155 e 216).
(101) Cfr. Huerta de Soto (2001: 59) [trad. it. pp. 73-74]. (102) Cfr. Huerta de Soto (2002: 260).
(103) In proposito, si tenga presente l’osservazione del Costa che, in merito alla tesi secondo cui gli scolastici sarebbero stati fra i precursori di quegli economisti che ‘scoprirono’ la teoria soggettiva del valore, commenta: “Precursori e non di più, penserei, perché […] è difficile trovare traccia dell’importanza delle valutazioni marginali dei beni ”; cfr. Costa (1999: 154).
(104) Cfr. Balmes urpiá (1844). Su questo punto, si confronti anche quanto riportato in Beltrán Flórez (1989: 230-236), nonché in Huerta de Soto (1994: 22, nota 8) e (2002: 261 e 361, nota 91).
(105) Cfr. Huerta de Soto (2002: 407).
(106) Su cui, peraltro, si vedano anche gli studi compiuti da Noonan (1957), nonché quelli svolti da Barrientos García (1984) e (1985).
(107) Chafuen Rismondo (1986). Al riguardo sembra opportuno segnalare come, secondo il giudizio espresso da Juan Belda Plans, fatto salvo l’indubbio interesse di quest’opera dal punto di vista della Storia del pensiero economico, essa presenti, tuttavia, deficienze in tema di conoscenza del contesto storico-teologico dell’epoca; “per citare solo qualche esempio: fa domenicano Martín de Azpilcueta, e francescano Juan de Medina (?)”. Cfr. Belda Plans (2000: 51, nota 125).
(108) “[S]i può dimostrare che il potere reale non è da preferire a quello democratico o, per lo meno, che in quel tempo non si adattava sufficientemente alle usanze di quel popolo. Questo accade in ogni cosa, dal vestiario, all’abitazione, alle scarpe, che per quanto sono belle ed eleganti non è detto che piacciano a tutti; e ritengo che possa accadere lo stesso nelle forme di Stato, in quanto non perché una supera tutte le altre significa che debba essere accettata da popoli di usanze ed istituzioni diverse {idem in reipublicae forma contingere arbitror, ut quae praestantissima sit, eam non omnium populorum mores & instituta recipiant}”: Mariana (1599: 31).
(109) Come è spesso chiamato Mariana dal suo luogo di nascita, la cittadina Talavera de la Reina, in provincia di Toledo.
(110) Su tale scritto si consultino gli studi di Mateo del Peral (1977) e Beltrán Flórez (1987b).
(111) Cfr. Mariana (1609b: 580).
(112) Ibidem.
(113) Ibidem.
(114) Cfr. Mariana (1609b: 586-587).
(115) Cfr. Mariana (1609b: 586-588).
(116) Si legge, infatti, nel Levitico: “Tutte le tue stime si faranno in sicli del santuario; il siclo è di venti ghera”; cfr. Lv, 27, 25.
(117) Con tale espressione, derivata dalla voce di origine ebraica sheqel, s’individuavano sia un’antica unità di misura del peso (ca. 15 g), in uso presso Babilonesi ed Ebrei, sia una moneta d’argento giudaica.
(118) Cfr. Aquino (1266: Lib. 11, cap. 14).
(119) Cfr. Chafuen Rismondo (1986: 74-76, trad. it.).
(120) In proposito, osservava anche il celebre esoterista musulmano di origine francese René Jean-Marie-Joseph Guénon (1886-1951) che, “se i contemporanei di Filippo il Bello considerarono un crimine questa alterazione, bisogna concluderne che, cambiando di propria iniziativa il titolo della moneta, egli andò oltre i limiti riconosciuti al potere regale”: Guénon (1929: 74, nota 1, trad. it.).
(121) Cfr. Mariana (1609b: 588, il corsivo si trova nel testo originale). Osserva in proposito il Chafuen che, “[p]oiché i tardoscolastici basavano le opinioni e le analisi di politica monetaria sulla loro teoria del valore della moneta, non sorprende che, nel campo della politica economica, giungessero a conclusioni simili a quelle degli autori libertari moderni. Gli scolastici dichiaravano che la svalutazione della moneta causava uno stravolgimento della ricchezza, minava la stabilità politica e violava i diritti di proprietà. Inoltre, creava confusione nel commercio (interno ed estero), portando alla stasi e alla povertà. La svalutazione, almeno per Mariana, era uno strumento di rapina tirannica. […] Mariana criticava aspramente quei principi che alteravano i parametri di conio per pagare i debiti”: Chafuen Rismondo (1986: 167-168, trad. it.).
(122) Cfr. Pufendorf (1672: 694).
(123) Cfr. Chafuen Rismondo (1986: 36-37, trad. it.).
(124) Cfr. Mariana (1609b: 579).
(125) “Certe tributis imperandis, abrogandisve legibus, ac praesertim quae de successione in regno sunt, mutandis, resistente multitudine impar unius Principis auctoritas sit, & si quae alia gentis moribus universitati reservata haudquaquam Principis in arbitrio posita sunt”: Mariana (1599: 92).
(126) Cfr. Mariana (1599: 301-311).
(127) “[È] comune opinione fra i giuristi […] che i re senza il consenso del popolo non possono fare alcuna cosa che lo danneggi, vale a dire, espropriargli tutti i suoi averi o parte di essi. […] se il re non è il padrone dei beni particolari, non li potrà prendere tutti né in parte se non con il consenso dei proprietari”: Mariana (1609b: 578-579).
(128) Mariana (1609b: 579).
(129) Cfr. Mariana (1599: 321-330).
(130) Mariana (1599: 323).
(131) Mariana (1599: 58-59).
(132) “Pertanto la nostra principale e maggiore preoccupazione deve essere, come abbiamo detto poco fa, di proporzionare le spese alle ricchezze e potenzialità dei singoli e che i tributi si relazionino alla necessità delle spese {ut sumptius singuli facultati & copiae sint exaequati, ratio vectigalium & erogandi necessitas inter se congruant}, affinché lo Stato non si trovi coinvolto in mali maggiori, se eccede la misura”: Mariana (1599: 323).
(133) Mariana (1599: 59-60).
(134) “Il re dovrà, quindi, cacciare dalla reggia gli adulatori, perniciosa razza {genus hominum pestilentissimum}, i quali, spiando astutamente i gusti del principe, lodano sempre ciò che dovrebbero biasimare, e riprendono ciò che, al contrario, è lodevole, volgendosi rapidamente là dove vedono volgersi e inclinare il capriccio del sovrano; arte infame {pessima ars} questa, che ha preso uno sviluppo smisurato per il successo da molti ottenuto”: Mariana (1599: 60).
(135) “Per questo il principe cercherà prima di tutto che, eliminate tutte le spese superflue, siano regolati i tributi {ut supervacaneis sumptibus detractis, modus vectigalibus sit}; egli deve comportarsi come farebbero gli uomini sobri {frugales homines}, che pensano con attenzione a conservare il loro patrimonio, affinché le spese pubbliche {expesae publicae}, se non minori, almeno non siano maggiori delle entrate reali {regio censu}; altrimenti sarebbe costretto a chiedere un prestito {versuram}, e a consumare le risorse dell’impero {opes imperij} nel pagare interessi {fenore} che crescono di giorno in giorno […]. Se le spese regie saranno a lungo molto maggiori delle entrate {vectigalibus}, il male che ne deriverà sarà inevitabile: per la necessità di imporre ogni giorno nuovi tributi, si renderanno sordi i cittadini e si esaspereranno gli animi {nova indies tributa imperandi necessitate, obsurdescent aures provincialium, axacerbabuntur animi}”: Mariana (1599: 322-323).
(136) Al tempo, cioè, in cui governava ancora il re Alfonso V (1416-1458).
(137) Trentaquattro maravedís componevano un real che, a sua volta, rappresentava la sessantasettesima parte di un marco d’argento (otto once). Cuento significava “un milione”.
(138) Cfr. Mariana (1609b: 591).
(139) Cfr. Mariana (1609b: 592).
(140) “Molto servirà che i tributi reali {regia vectigalia}, da qualunque luogo provengano, siano curati con attenzione affinché non diminuiscano per la malvagità di alcuni uomini che conoscono tutti i mezzi per fare denaro e che non si astengono da ogni tipo di inganno per ottenerlo, siano questi pubblicani o coloro ai quali è affidata la riscossione delle imposte regie {sive publicani ij sint, sive quibus cura regiorum vectigalium credita est}. Questa è la peste più terribile che si possa immaginare {qua peste vix ulla magis tetra excogitari potest}. […] Si dovrebbe esigere che essi rendano esattamente conto delle proprie ricchezze, sottraendo loro quelle di cui non possono dare una chiara giustificazione”: Mariana (1599: 323-324).
(141) “Consideri come cosa dannosa, da evitare ad ogni costo, di vendere dietro pagamento i tributi annuali, aggiudicandoli a ricchi capitalisti {Vendere etiam pretio annua vectigalia, copiosisque hominibus addicere noxium est}”: Mariana (1599: 322).
(142) Mariana (1599: 322-323).
(143) “Si possono imporre modici tributi {modico vectigali imposito vendantur} su quei beni di prima necessità {merces quibus ad vitam sustentandam populus opus habet}, come il vino, il grano, la carne, i vestiti di lana e di lino, specialmente su quelli non troppo eleganti”: Mariana (1599: 327).
(144) “[Q]uanto è stato sottratto da questi beni venga caricato sulle merci ricercate {quod ex ijs rebus detractum fuerit, ex curiosis mercibus suppleatur}, come gli aromi - di cui la Spagna è sprovvista - lo zucchero, la seta, il vino buono, la selvaggina, e molte altre merci che, oltre a non essere necessarie per la vita, hanno molta influenza per indebolire i corpi e corrompere gli animi. In tal modo saranno favoriti i poveri, in gran numero, si porrà un freno allo smodato lusso dei ricchi {sic enim & inopibus consuletur, quorum est magnus numerus, & luxui hominum potentium modus erit}, affinché non dissipino facilmente i loro tesori nei piaceri della tavola. E se non volessero essere sanati, sarà giusto almeno ottenere, dalla loro insensatezza, un vantaggio per la repubblica {quod si sanari noluerint, ex eorum amentia fructum aliquem ad rempublicam redire aequum erit}. Nello stesso tempo accadrà che né i poveri saranno del tutto impoveriti, altrimenti sorgerebbero nuovi e gravi tumulti; né i ricchi i quali sempre di meno utilizzano quei beni di lusso, essendo aumentato il prezzo, cresceranno troppo in potenza e in ricchezza. Entrambi gli eccessi infatti sono dannosi, come lasciarono detto i grandi filosofi e la realtà stessa dimostra {Utrumque enim noxium est, uti magni philosophi affirmatum reliquerunt & res ipsa indicat}”: Mariana (1599: 327).
(145) “Egli chiede un parere e riceve consigli completamente contraddittori. Non è raro che l’iniquo e ugualmente inutile suggerimento di alterare il valore della moneta venga sussurrato all’orecchio del re. Con tale provvedimento, dicono, nessuno subirà un danno diretto. Il valore intrinseco della moneta sarà inferiore, ma il valore legale rimarrà inalterato. Si può immaginare un mezzo più rapido o di più semplice esecuzione per togliere il principe dalla sua terribile situazione? Ma come possono uomini di tale cultura giungere a credere in un così grave errore e ad applaudire un piano così insensato? Una nazione, un principe, non dovrebbero mai agire contro la giustizia. Tali mezzi, considerati da qualsiasi prospettiva, sono e saranno sempre una rapina {latrocinium}. Come può essere diversamente, se vengo obbligato a pagare cinque ciò che vale tre? Se la moneta è giunta a essere un mezzo di scambio comune, è precisamente per la sua stabilità di valore, soggetta solamente a poche oscillazioni in tempi di grave crisi”: Riportato in Chafuen Rismondo (1986: 59-60 trad. it., corsivi miei).
(146) Secondo quanto sosteneva lo stesso Julius Paulus, infatti: “L’origine della compravendita {emendi vendendique} risale al baratto {permutatio}. Un tempo, infatti, non esisteva la moneta {nummus}, né si chiamavano l’un termine merce {merx}, l’altro prezzo {pretium}, ma ciascuno, in base alla necessità del momento e delle circostanze, scambiava cose inutili con utili {sed unusquisque secundum necessitatem temporum ac rerum utilibus inutilibus permutabat}, giacché spesso accade che ciò che ad uno abbonda ad un altro manchi. Ma dal momento che non sempre né facilmente si verificava che, quando tu avevi ciò che io desideravo, per contro, fosse da me posseduto quello che avresti voluto ricevere tu, si è scelto un materiale {electa materia est}, la cui valutazione pubblica e permanente {publica ac perpetua aestimatio} permetterebbe di risolvere le difficoltà dello scambio {permutationum} per mezzo di un’uguaglianza quantitativa {aequalitate quantitatis}”: Paulus, Dig., 18, 1, 1. [Debbo questa segnalazione al Dott. Cristiano Viglietti, dell’Università di Siena, cui esprimo la mia gratitudine].
(147) Su cui si veda Roover (1958).
(148) Mariana (1609b: 580).
(149) Cfr. quanto sostenuto in proposito da Ballesteros Gaibrois (1939: 46-47).
(150) Mariana (1599: 330-331).
(151) Mariana (1599: 208). Pur con tutte le cautele che tali paralleli devono suscitare, tuttavia, al riguardo si può affermare che lo stesso filosofo viennese Karl Raimund Popper (1902-1994) ha avuto modo di sostenere concetti similari quando, proprio sulla scorta di un esempio storico di furto, attuato da parte dei Fenici ai danni degli Ateniesi, ha precisato che “[s]e prima non si è instaurato un sistema legale, non si può avere un mercato libero. […] Un tale sistema può essere instaurato soltanto dallo Stato e dal suo sistema legale. E anche nel caso di una società in cui vi siano pratiche di semi-ruberia, vale a dire di corruzione, anche lì la gente fa degli intrighi che non possiamo considerare un mercato libero. […] Se immaginiamo un tentativo di instaurare quello che chiamiamo “capitalismo” senza un sistema legale, ci troveremo di fronte a corruzione e furto”: cfr. Popper (1992: 33).
(152) Mariana (1599: 328).
(153) Mariana (1609b: 588).
(154) Cfr. quanto sostenuto da Ballesteros Gaibrois (1939: 26); di questo stesso autore si veda anche (1944).
(155) Lo stesso Mariana notava che “[o]gni uomo saggio {vir prudens} […] deve tenere in considerazione i tempi e la forma di Stato {reipublicae} in cui è nato, e non lasciarsi prendere dal desiderio di un totale rinnovamento: aspirare sì al meglio, ma rammentando sempre che gli imperi e le repubbliche {imperia & respublicas} non mutano se non in peggio”: Mariana (1599: 36).
(156) “Illa enim erit perfecta communitas quae ordinatur ad hoc quod homo habeat sufficienter quidquid est necessarium ad vitam: talis autem communitas est civitas. Est enim de ratione civitatis quod in ea inveniantur omnia quae sufficiunt ad vitam humanam, sicut contingit esse. Et propter hoc componitur ex pluribus civibus, in quorum uno exercetur ars fabrilis, in alio ars textoria, et sic de aliis”: Aquino (1268-1272: Lib. I, lect. 1).
(157) “Non inventur una forma in pluribus suppositis, nisi unitate ordinis, ut forma multitudinis ordinatae”: Aquino (1266-1273: I, q. 39, a. 3).
(158) “Civitas est societas perfecta. Primitus facta est gratia vivendi, ut scilicet homines sufficienter inveniant unde vivere possent; sed ex eius esse provenit, quod homines non solum vivant, sed quod bene vivant, in quantum per leges civitatis ordinatur vita hominum ad virtutes”: Aquino (1268-1272: Lib. I, lect. 1).
(159) Cfr. Aquino (1266-1273: I-II, q. 92, a. 1; q. 94, a. 4; q. 104, a. 3, ad 2).
(160) “Persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura”: Aquino (1266-1273: I, q. 29, a. 3).
(161) “Bonum commune est finis singularum personarum in communitate existentium”: Aquino (1266-1273: II-II, p. 58, a. 9, ad 3).
(162) “Repugnat rationi rectae, quae hoc judicat quod bonum commune sit melius quam bonum unius”: Aquino (1266-1273: II-II, q. 47, a. 10).
(163) Cfr. Aquino (1266: Lib. 1, cap. 1).
(164) “Bonum commune civitatis et bonum singulare unius personae non differunt solum secundum multum et paucum, sed secundum formalem differentiam. Alia enim est ratio boni communis et boni singularis, sicut alia est ratio totius et partis. Et ideo Philosophus (Polit., L. I, c. I) dicit quod non bene dicunt qui dicunt civitatem et domum, et alia huiusmodi, differre solum multitudine, et paucitate, et non specie”: Aquino (1266-1273: II-II, q. 58, a. 7, ad 2).
(165) Olgiati (1943: 115 e 118).
(166) Burckhardt (1964: 31, nota 12, trad. it.).
(167) Su tale metamorfosi intellettuale, si consulti lo studio di Haydn (1950).
(168) “[C]onficiendis omnibus nullius vita quamvis longaeva sufficiat, nisi observatio multorum prudentiaque accedat multo usu collecta” Mariana (1599: 19).
(169) Mariana (1609c: 398).
(170) Cfr. Hayek (1952).
(171) Si veda, su tale questione, Ferraro (1989).
(172) Mariana (1609a: 413-462).
(173) In proposito si veda anche Mariana (1599: 161-167).
(174) Cfr. Sánchez Agesta (1981: xviii).
(175) “Separati assolutamente i due poteri, si deve però cercare, con impegno, che entrambi gli ordini siano uniti dai lacci dell’amore e dalla reciproca corrispondenza {Prorsus divulsa utraque potestate curandum diligenter, ut uterque ordo benevolentia & mutuis inter se officijs constringantur}. Questo può accadere facilmente se ad entrambi sia consentito l’accesso agli onori e agli oneri dell’uno e dell’altro. Infatti, in tal modo, una volta conciliati gli animi, mentre gli uomini rivestiti del sacro ordine si adopereranno per la salvezza della repubblica, i principi e i grandi del regno prenderanno con impegno il compito di difendere la religione cristiana. Da ciò si manifesta la speranza certa di potere ingrandire in onori e ricchezze se stessi e i suoi”: Mariana (1599: 110).
(176) Tanto che, in chiara polemica con le concezioni protestanti, asseriva: “Sono in errore, e in errore gravissimo, quanti, rifacendosi ai primi tempi della Chiesa, reputano molto più utile per il bene della repubblica e di tutti {e republica atque communi salute fore}, se i Pontefici, sull’esempio degli Apostoli {Pontifices Apostolorum exemplo}, fossero costretti ad abdicare a tutte le loro ricchezze, a tutti i loro domini e poteri temporali {curamque reipublicae}. In realtà questi uomini sono ciechi non considerando a quanti mali si andrebbe incontro una volta privati i sacerdoti di tali mezzi, quanta confusione ci sarebbe tra la plebe {plebis licentia}, quanto disprezzo per il sacro ordine {sacrati ordinis}. Solo se, privati delle ricchezze, diventassero più virtuosi allora forse dovremmo accettare la loro opinione. Ma spogliati delle ricchezze ora, per come vanno gli uomini e i tempi, sarebbero maggiori i vizi {Sublatis opibus si virtutes succederent, probanda eorum ratio esset fortassis. Nunc detractis opibus, ut sunt homines & tempora, major vitiorum licentia existat}: riscontriamo infatti che, in quegli stati in cui i sacerdoti vivono miseramente, questi non sono affatto migliori, ma peggiorano in tutti i sensi la loro condotta e sono disprezzati dal popolo, con grande disonore per la religione cristiana”: Mariana (1599: 276-277).
(177) “Multas in una provincia esse religiones non est verum”: Mariana (1599: 419).
(178) “A mio parere il principe deve proteggere la nobiltà {nobilitas} e dare, in base agli illustri meriti dei loro predecessori, qualcosa ai discendenti solo se alla nobiltà di nascita {natalium splendorem} si aggiungano l’ingegno {industriam}, la virtù {virtutem} e l’integrità dei costumi {mores haud dissimiles}. Nulla è più vergognoso di una nobiltà vile {ignava nobilitate}, che inorgoglita dalla gloria dei predecessori, consuma nella prodigalità e dissolutezza {nequitia & levitate} le ricchezze {opes} ottenute in eredità; fidando negli elogi che meritarono i loro nonni, illanguidisce nella lascivia e nella pigrizia, aspirando ad ottenere con i suoi vizi il premio della virtù e, grazie all’apparenza di nobiltà, di occupare con indolenza e infingardaggine i posti dati a uomini forti di carattere. Tali uomini devono essere allontanati dal principe per la loro duplice ignominia: non solo contaminano se stessi con tale onta, ma macchiano anche lo splendore del loro lignaggio {generis claritatem}. Infatti, quanto più illustri furono i loro avi, tanto più sono degni di odio coloro che oscurano con passioni vergognose lo splendore della nobiltà {splendorem nobilitatis}. Ma soprattutto la maggior parte di loro è talmente temeraria e forte che, insuperbiti da titoli inutili {nominibus inanissimis superbientes}, disprezzano gli uomini di oscuri natali, per quanto siano abili, forti ed operosi, giungendo perfino a non riconoscerli come uomini. Ricoperti di molti onori ne desiderano sempre di maggiori, credendo, questi uomini perfidi ed ambiziosi, che tutti i premi dovuti alla virtù {virtuti} siano da attribuire alla loro nobiltà {nobilitati}”: Mariana (1599: 293).
(179) “[…] Princeps contingat, alioquin si rempublicam in periculum vocat, si patriae religionis contemptor existit, neque medicinam ullam recipit, abdicandum iudico, aliumque substituendum: quod in Hispania non semel fuisse factum scimus”: Mariana (1599: 43-44).
(180) Cfr. Fava (1953: 125).
(181) Cfr. Sánchez Agesta (1981: xv).
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OPERE DEL CARDINALE JUAN DE LUGO
Lugo, Juan : de, R. P. Ioannis de Lugo ... Disputationes scholasticae, et morales, de virtute, et sacramento poenitentiae. Item de suffragiis, et indulgentiis. Opus confessariis omnibus maxime vtile, Lugduni: Prost, Jacques & Prost, Pierre, 1638
Lugo, Juan : de, 2: Tomus secundus. Hoc est, de contractibus in communi & in particulari, & de iis, quae spectant ad iustitiam distributiuam, in officiorum, & beneficiorum distributione, ... , Lugduni: Arnaud, Laurent & Borde, Pierre, 1670
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis ... Disputationes scholasticae et morales de sacramentis in genere, venerabili Eucharistiae sacramento, sacro-sancto Missae sacrificio, Lugduni: Arnaud, Laurent & Borde, Pierre, 1670
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae, et morales, de sacramentis in genere. [De] Venerabili Eucharistiae sacramento. [De] Sacrosancto Missae sacrificio, Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1644
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae de incarnatione Dominica, Lugduni: Prost, Jacques, 1633
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae, & morales, de virtute, & sacramento poenitentiae, item de suffragiis, & indulgentiis. Opus ... necessarium, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Borde, Pierre & Barbier Guillame, 1666
Lugo, Juan : de, Eminentissimi domini Ioannis de Lugo Hispalensis, e Societate Iesu, ... Responsorum moralium libri sex, cum gemino indice, vno librorum, & capitum, altero rerum, & verborum. Nunc primum lucem vident, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1651
Lugo, Juan : de, Eminentissimi domini Ioannis de Lugo Hispalensis, e Societate Iesu, ... Responsorum moralium libri sex, cum gemino indice, vno librorum, & capitum, altero rerum, & verborum. Hac postrema editione a mendis expurgati, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1660
Lugo, Juan : de, R.p. Ioannis de Lugo Hispalensis, e Societate Iesu, ... Disputationes scholasticae de incarnatione dominica. Cum duplici indice; vno disputationum & sectionum; altero rerum & verborum notabilium, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1653
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispaliensis, e Societate Iesu, ... Disputationes scholasticae de incarnatione dominica, Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1646
Lugo, Juan : de, Cardinalis de Lugo ... Opera omnia, Venetiis: Pezzana, Nicolo, 1718
Lugo, Juan : de, 1: Joannis de Lugo ... Disputationum de justitia et jure. Tomus primus. Hoc est, De rerum dominio, De obligatione praelati regularis circa paupertatem, .., Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 3: Joannis de Lugo ... Tomus tertius. Continens disputationes scholasticas, et morales de virtute fidei divinae, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 2: Joannis de Lugo ... Disputationum de justitia et jure. Tomus secundus. Hoc est, de contractibus in communi & in particulari, & de iis, quae spectant ad justitiam distributivam, in officiorum, & beneficiorum distributione, in tributis imponendis, & solvendis, & in publicis judiciis, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 7: Joannis de Lugo ... Tomus septimus: continens responsorum moralium libros sex, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 4: Joannis de Lugo ... Tomus quartus. Continens disputationes scholasticas de incarnatione dominica, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 5: Joannis de Lugo ... Tomus quintus. Continens disputationes scholasticas, et morales, de sacramentis in genere; de venerabili eucharistiae sacramento; & de missae sacrificio, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 6: Joannis de Lugo ... Tomus sextus. Continens disputationes scholastica, et morales, de virtute, et sacramento poenitentiae. Item de suffragiis, et indulgentiis, Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis ... Disputationum de iustitia et iure, tomus primus \-secundus!. Hoc est, de rerum dominio, de obligatione praelati regularis circa paupertatem, an beneficiarij sint domini suorum redituum, ..., Editio nouissima, a mendis expurgata, Lugduni: Arnaud, Laurent & Borde, Pierre, 1670
Lugo, Juan : de, R. P. Ioannis de Lugo Hispalensis Disputationum de iustitia et iure, tomus primus (-secundus) .., Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1646
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae, et morales de sacramentis in genere; de venerabili eucharistiae sacramento; et de sacrosancto missae sacrificio, Lugduni: Prost, Jacques & Prost, Pierre, 1636
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo ... Disputationum de iustitia et iure, tomus primus, secundus] .., Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1652
Lugo, Juan : de, Cardinalis De Lugo ... Opera omnia, Venetiis: Pezzana, Nicolo, 1751
Lugo, Juan : de, 1: Disputationum de justitia et jure. Tomus primus. Hoc est, de rerum dominio, de obligatione praelati regularis circa paupertatem .., Venetiis, 1751
Lugo, Juan : de, 2: Disputationum de justitia et jure tomus secundus. Hoc est, de contractibus in communi & particulari, & de iis, quae spectant ad justitiam distributivam ... Editio summo studio, ac diligentia a mendis expurgata, Venetiis, 1751
Lugo, Juan : de, 7: Tomus septimus continens responsorum moralium libros sex, Venetiis, 1751
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo ... Disputationes scholasticae, et morales, de Sacramentis in genere. De venerabili Eucharistiae sacramento. De sacrosancto missae sacrificio, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1652
Lugo, Juan : de, R.P. Joannis de Lugo ... Disputationes scholasticae de mysterio incarnationis dominicae. Cum duplici indice, uno disputationum & sectionum, altero rerum & verborum notabilium, Lugduni: Arnaud, Laurent & Borde, Pierre & Arnaud, Jean & Arnaud, Pierre, 1679
Lugo, Juan : de, Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae, et morales de virtute fidei diuinae, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1656
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo Hispalensis, e' Societate Iesu, ... Disputationes scholasticae, et morales, de virtute, & Sacramento Poenitentiae. item de suffragiis, & indulgentiis. Opus confessariis omnibus maxime vtile, Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1644
Lugo, Juan : de, Ioannis de Lugo Hispalensis, ... Disputationes scholasticae et morales de virtute fidei diuinae, Lugduni: Borde, Pierre & Arnaud, Jean & Arnaud, Pierre, 1696
Lugo, Juan : de, Eminentissimi domini Ioannis de Lugo, Hispalensis, ... Responsorum moralium libri sex, cum gemino indice, uno librorum, et capitum; altero rerum, et verborum, Lugduni: Borde, Pierre & Arnaud, Jean & Arnaud, Pierre, 1696
Lugo, Juan : de, R.P. Ioannis de Lugo ... Disputationes scholasticae, et morales, de sacramentis in genere, de venerabili Eucharistiae sacramento, et de sacrosancto missae sacrificio , Lugduni: Prost, Jacques & Prost, Pierre, 1636
Lugo, Juan : de, R.p.Ioannis de Lugo Hispalensis Societatis Iesu in Romano collegio s. theologi ae professoris disputationum, De iustitia et iure, tomus primus (-secundus). .., Lugduni: Prost, Pierre, 1642
Lugo, Juan : de, 1: Tomus primus. Hoc est, de rerum domino, de obligatione praelati regularis circa paupertatem, an beneficiarij sine domini suorum redituum, de filiisfamilias, quarum rerum dominum habeant, .., Lugduni: Prost, Pierre, 1642
Lugo, Juan : de, 2: Tomus secundus. Hoc est, de contractibus in communi & in particulari, & de iis, quae spectant ad iustitiam distributam, in officiorum, & beneficiorum distributionem, .., Lugduni: Prost, Pierre, 1642
Lugo, Juan : de, Ioannis de Lugo Hispalensis Societatis Iesu, ... Disputationes scholasticae, et morales De virtute fidei diuinae, Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1646
Lugo, Juan : de, R.p. Ioannis de Lugo Hispalensis, e Societate Iesu, ... Disputationes scholasticae et morales, de virtute, & sacramento poenitentiae. Item de suffragiis, & indulgentiis. .., Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent & Rigaud, Claude, 1651
Lugo, Juan : de, 2: Tomus secundus. Hoc est, de contractibus in communi & in particulari, & de iis, quae spectant ad justitiam distributivam, in officiorum, & beneficiorum distributione , in tributis imponendis, & solvendis, & in publicis juduciis .., Venetiis, 1718
Lugo, Juan : de, 6: Tomus sextus. Continens disputationes scholasticas, et morales, de virtute, et sacramento poenitentiae. Item de suffragiis, et indulgentiis, Venetiis, 1718

De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones meteorologicae, Neapoli, 1652 Eugeni, Angelo, Ragionamenti familiari sopra li sette sacramenti della nostra legge euangelica. Nouamente dati in luce dal M.R.P.F. Angelo Eugenij da Perugia dell'Ordine minore conuentuale di S. Francesco, dottore teologo. Et in questa seconda impressione aggiontoui il Trattato delle resolutioni de casi dell'indulgenze, & censure ecclesiastiche. Composto dal M.R.P.D. Agostino de Angelis della Congregazione somasca. ... Con tre tauole, ... Diuisa in duo tomi. Dedicati a , In Nap. appresso Castaldo: Castaldo, SalvatoreTarino, Giovanni Alberto, 1663
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones astronomicae in sphaeram Ioannis de Sacro Bosco in quatuor partes distributae auctore R.P. Augustino De Angelis rectore Collegii Clementini, Romae: Di Falco, Fabio, 1664
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones meteorologicae auctore R. P. Augustino De Angelis congregationis Somaschae, .., Neap.: Savio, Francesco, 1653
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Homologhia seu Consensus historiae ecclesiasticae cum sacris canonibus, concilijs, epistolis decretalibus, bullis, seu constitutionibus summorum pontificorum. In duas partes distributa Augustini de Angelis Congregationis Somaschae .., Romae: Mancini, Filippo Maria, 1666
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones astronomicae in sphaeram Ioannis de Sacro Bosco in quatuor partes distributae auctore R.P. Augustino De Angelis rectore Collegii Clementini, Romae: Di Falco, Fabio, 1664
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Tractatus theologicus de Immaculata Conceptione seu Praeseruatione B. Mariae Virginis a peccato originali in quattuor partes distributus vbi seruata methodo & doctrina D. Thomae Immaculata Conceptio probatur, defenditur. Authore R.P. D. Augustino De Angelis e Congregatione Somascha theologo. Cum syllabo, seu indice rerum, & verborum notabilium locupletissimo, Puteolis: Cavallo, Camillo eredi, 1661
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones philosophicae distributae in logicas, physicas, et metaphysicas Augustini De Angelis..., [S.l.], [1651?]
De Angelis, Agostino<1606-1681>, De origine S. Mariae de Auxiliis, purissime e immaculate conceptae vera, et antiqua effigies, quae summa deuotione colitur in ecclesia SS. Demetrii, et Bonifacii congre Somaschae. Discursus theologicus Augustini De Angelis, Neap.[i.e. Napoli]: Mollo, Roberto, 1659
De Angelis, Agostino <1606-1681>, De recto usu opinionis probabilis quaestio unica in quinque lectiones distribuita, ubi breuissima, & clarissima methodo strictior nonnullorum opinandi modus, laxior aliorum temperantur. R.P.D. Augustini De Angelis .., Romae: Di Falco, Fabio, 1667
De Angelis, Agostino<1606-1681>, Lectiones philosophicae distributae in logicas, physicas, et metaphysicas. Augustini de Angelis Congregat. Somaschae ..., RomaeRomae: Di Falco, Fabio, 1665
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones meteorologicae auctore R.P. Augustino De Angelis congregationis Somaschae, ... cum duplici indice titulorum uno, rerum & verborum notabilium altero, Neap.: Savio, Francesco, 1653
Esparza Artieda, Martin : de <1606-1689>, Immaculata Conceptio beatae Mariae virginis deducta ex origine peccati originalis per R. P. Martinum de Esparza Artieda Societ. Iesu. Euulgata Neapoli studio, ac pietate R. P. Augustini De Angelis Congreg. Somaschae, Romae, Maceratae, ac demum Neapoli: Cavallo, Camillo <1.> eredi, 1661
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Reu. patris Augustini De Angelis Congregationis Somaschae Manuale propugnaculi quod olim Hyacinto Arpalego obiecit excellentiss. & reuerendiss. dominus D. Ludouicus Crespi, et Borgia ... apud sanctissimum dominum Alexandrum pp. 7. pro Immaculataa B. M. Virg. conceptione, aliaque eiusdem auctoris de eadem re opuscula, PanormiPanormi: Bisagni, Giuseppe, 1660
De Angelis, Agostino<1606-1681>, Lectiones theologicae de Deo clare viso, omnia sciente, nos praedestinante, ac omnia creante. In summam contractae. Auctore R. P. D. Augustino de Angelis Somaschae. ... Cum duplici indice verborum, ..., RomaeRomae: Falco, Fabio de, 1664
De Angelis, Agostino<1606-1681>, Apologia pro discursu theologico De immacolata conceptione B. Maria Virginis. Augustini De Angelis Congregationis Somaschae ..., Ingolstadij: Nogues, Bernardo, 1660
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones meteorologicae auctore r.p. Augustino de Angelis Congregationis Somaschae, ... Cum duplici indice titulorum vno, rerum & verborum notabilium altero, RomaeRomae: Corvo, GiuseppeDi_Falco, Fabio, 1664
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones meteorologicae auctore r.p. Augustino de Angelis Congregationis Somaschae, ... Cum duplici indice titulorum vno, rerum, & verborum notabilium altero, RomaeRomae: Di_Falco, Fabio, 1663
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones theologicae de Deo vt Trino, et vt Incarnato in summam contractae, ex S. Scriptura, concilijs, s. canonibus, SS.PP. excerptae. Pars altera. Auctore r.p.d. Augustino De Angelis ... Cum duplici indice, verborum, & rerum notabilium vno, locorum sacrae Scripturae altero, Romae: Di Falco, Fabio, 1666
De Angelis, Agostino <1606-1681>, *Lectiones meteorologicae : cum duplici Indice titulorum uno, rerum, & verborum notabilium altero / auctore R.P.Augustino De Angelis Congregationis Somaschae. In Clementino de urbe rectore, Roma, 1663
De Angelis, Agostino <1606-1681>, Lectiones philosophicae distributae in logicas, physicas, et metaphysicas Augustini De Angelis Congregat. Somaschae .., Romae: Di_Falco, Fabio, 1665

SOMASCA GRADUATA
Memorie istoriche sopra li Generali, Prelati, Vescovi, Arcivescovi, e Cardinali della Congregazione Somasca

compilate
da D. Giacomo Cevaschi della medesima Congregazione
Consultore nel S. Officio di Alessandria, etc.
Teologo, ed Esaminatore nelle Diocesi di Trento,
di Alessandria, e di Genova
e dedicate
all’ Illustrissimo Signor Conte
GIANFRANCESCO
BURONZO
de’ Signori di Buronzo
Conte d’Asigliano, Balocco, e Bastia
de’ primi Scudieri della fu Regina di Sardegna.
***
In Vercelli MDCCXLIII (1743)
Nella Stamperia di Giovambatista Panealis Librajo
================================
La compagnia de’ Servi de’ Poveri nacque dalle viscere caritatevoli del Nobilissimo Uomo GIROLAMO MIANI Veneziano, Fondatore di essa nel 1532, ed Istitutore delle opere pie degli Orfani, Orfanelle, e Convertite in Italia. Per lo spazio poco meno d’anni quaranta si resse senza titoli, senza gradi, senza voti con la sovraintendenza succedevole di alcune persone pie, Ecclesiastiche, e Secolari, che insistendo sulle di lui massime, condotta, ed Istituzione la governarono. Nel 1658 San Pio V annoverandola tra gli Ordini Regolari mutolle il Nome, e la chiamò Congregazione di Somasca da quel picciol Villaggio tra il Milanese, e Bergamasco santificato distintamente dalle penitenze, insanguinato dalle discipline, ed onorato dai Miracoli del glorioso MIANI. Questo Eroe di carità non è ancor ammesso alla pubblica Venerazione della Chiesa, non ostante non si è giammai potuto impedirne il culto immemorabile de’ Popoli adoratori, che colla privata fiducia de’ loro raccorsi esaltano la gloria, ch’Ei gode in Cielo, e la robustezza del di lui patrocinio, che fa godere alla Terra. Molti de’ suoi Miracoli sono stati approvati dalla Sacra Rota in una sua Relazione, che in Causa Beatificationis fece al Pontefice URBANO VIII ed ultimamente, cioè nell’anno 1737 li 25 Agosto il Santo Padre CLEMENTE XII ha canonizzato l’eroismo delle di lui Virtù: in Veneta, Mediolanen. Questa sua Congregazione per lo torno di due Secoli e più, sia detto senza pompa, che a chi divisa de’ suoi sarebbe immodesta, ha sempre mai fiorito di Soggetti riguardevoli per Nascita, per Dottrina, per Pietà, de’ quali io avea nella fresca età dissegnato tessere compilatamente la Storia, anzi ne avea già formato un Sillabo, che poi interrotto da altre mie religiose incombenze, desidera da maggior studio, e la perfezione, e l’accrescimento; riuscendo ora malagevole alla mia cadente età, 3 quasi insuperabile alle mie forze snerve, e smonte l’erudito impegno, son ben avvisato per non privare onninamente, e per ogni parte il Fondatore di quel grato decoro, che suol nel Padre ridondare dalla riputazione de’ suoi Figliuoli, far succinta, e compendiosa memoria al Mondo di que’ soli Personaggi, che a gloria dell’Istituto si distinsero col grado supremo del generalato nel Chiostro, e con qualche splendida Dignità nella Chiesa, e siccome io per compiacere all’altrui suggerimento ho intrapreso questo ubbidiente travaglio, spero, e mi prometto, che non dovrano riuscire discare queste MEMORIE, che andò or ora risvegliando, almeno a coloro, che volentieri si affacciano su gli altrui abbreviati ritratti per comunicarne o alla propria, o all’altrui imitazione i giovevoli documenti; farò quanto più posso, studioso, e sollecito per difendermi dagli Anacronismi, quali quanto più gravi sono in chi scrive Storie, tanto meno imputabili in chi raccoglie MEMORIE.
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D. AGOSTINO BARILI Cittadino di Bergamo, illustre per facoltà, e per sangue fu ammesso circa l’anno 1532 dal venerabile GIROLAMO MIANI nostro Santo Fondatore a partecipare del suo merito, e delle sue fatiche nella coltura degli Orfani, Orfanelle, e Poveri derelitti, nelle quali Opere pie applicando tutto il pensiero, e tutta la diligenza colla guida del MIANI Padre, ed Istitutore di sì grand’opere, si rendé singolarmente ammirevole in cotal esercizio di cristiana, e religiosa carità. Dopo il transito al Cielo di quel Martire dell’Amore così chiamato Il MIANI da san Pio V in una sua Bolla Martyr Charitatis, (qual transito seguì alli otto di Febbrajo del 1537.) fu Egli costituito Proposto generale a tutta la Compagnia de’ Servi de’ Poveri, (qual nome era dato alla Congregazione di Somasca priacché annoverata fosse tra gli Ordini Regolari dal mentovato Pontefice) e vi presedé in qualità di Capo, fino che da Dio ispirato professò tra Cherici Regolari Teatini, a’ quali fu quella unita per lo spazio più, o meno d’anni 8 per comando di Pietro Carafa Cardinale, e poi Papa PPAOLO IV. Proseguì nella Congregazione de’ Teatini col medesimo tenore di Santità, ed esercitò continuatamente fino alla morte quello spirito di edificazione, che gli avea comunicato il santissimo suo Maestro GIROLAMO MIANI. Paul. Greg. De Ferrar. in Vita Vener. Hieronym. Aemil.. apud Catanium Venet. 1676, Santinell. in ead. Vita apud Occhium Ven. 1740.
D. ANGELO MARCO GAMBARANA Pavese de’ Conti di Segale, nato nel 1498 chiamato universalmente la gloria, e l’ornamento della Città di Pavia, fu nel 1534 uno tra li primi Compagni del Beato Fondatore GIROLAMO MIANI, Segretaro delle di lui Penitenze, ed Orazioni; dacché li Cherici Regolari Somaschi per la sua opera furono ascritti tra Regolari da san Pio V fu il primo Professo, e primo Preposito Generale nel 1569 ebbe uso recitare le Ore Canoniche sempre genuflesso, celebrare ogni giorno ciò, che fugli concesso nel ultimo della sua vita, vegghiare intere notti nell’Orazione, e non prendere altro riposo, che sulle paglie: il Pontefice san PIO V nominollo, e lo elesse Vescovo di Pavia, ma Ei con sembiante acceso, e con isfogo di sdegnata umiltà scacciò da se, e mise in fuga il Nunzio di tal onore conferitogli: Certe femmine dette le Convertite, non perché fossero di mala fama, ma perché dismesse dalle pompe del Secolo unicamente servivano a Dio in istato Vedovile adunate in una Casa detta di San Gunifort volgarmente Caneva nuova, le raccolse collegialmente nel 1550 in un Monistero presso la Chiesa di Santa Maria Maddalena fabbricato nel 1547 dal pio Uomo Girolamo Pelizari a di lui istanza, e prieghi, quali Donne poi abbracciarono nell’anno 1553 l’Istituto di San Benedetto. A spese del medesimo Pelizari istituì un pio luogo per le Orfanelle dette di San Gregorio in Pavia. Morì nel anno 1573 di età d’anni 75 in Milano nel pio luogo di San Martino di una morte preziosa stando in Orazione compianta da San Carlo. Il di lui Cadavero trasferito in Pavia nel 1607 fu collocato nella Chiesa di San Maiolo nel muro intromedio tra la Porta anteriore di essa, e l’Altare di San Carlo. De eo Scipio Alban. Romuald, in sua Flavia Pap. Sac. Mazzuchel. in ejus Vita, quae asserv. In Arch. S. Petri Montiss. Mediol. Scrisse il GAMBARANA la Vita del suo, e nostro Fondatore GIROLAMO MIANI, e parimente la Storia della Beata Filistina Vergine, il di cui Corpo riposa in Pavia nella Chiesa di Santa Maria Maddalena.
D. ALESSANDRO BESOZZI Bergamasco ricco di fortune, nobile di sangue, ma più ricco, e più nobile per grado Sacerdotale fu uno tra primi, che il Beato GIROLAMO MIANI acquistò alla sua Congregazione Novello Operaio nella Vigna del Signore seguì l’orme del suo Venerabile Condottiero nella coltura delle opere pie a servizio de’ Poveri derelitti, ed Orfani abbandonati, rinonciato il pinguissimo suo Patrimonio, e tutto quanto avea a suo conto di splendido, e di onorifico sopra la Terra. Fece tanto profitto nella Scuola della Carità, e della Mortificazione, che fiorì sino all’ultima vecchiaia d’ogni Virtù, e chiuse gli suoi occhi nella Congregazione con lode di santità; prima di morire predisse l’ora, ed il giorno della sua morte, e gionto tal giorno, ed ora si pose in ginocchio, e in ginocchio morì: non si può meglio colorire il ritratto di questo Eroe del Divino Amore, né meglio dargli il risalto, che con ciò, che compendiosamente ne scrive il Crescenzio nel suo Anfiteatro Romano, alla prima parte al foglio 114, cioè: Il Venerabile Servo di Dio ALESSANDRO BESOZZI negli anni più teneri coltivò la Divozione, e fatto maggiore attese alle Virtù più sode: Fuggiva le Conversazioni delle Donne come ceppi della Castità, combattuta di continuo dalli Nemici delle nostre Anime, e per tenerli lontani si serviva delle Penitenze, e dicea, che chi troppo concede a’ sensi, presto gli averà ribelli, e che chi non raffrena le sue disordinate passioni sarà Servo di esse; armato dunque di sì soda perfezione il Servo di Dio, diè un calcio al Mondo, ed alle sue vanità; spogliatosi volontariamente delle ricchezze paterne si pose a seguire l’orme del Beato GIROLAMO MIANI Fondatore dell’Illustrissima Congregazione di Somasca, sotto la cui scorta divenne esempio di santità, e Sant’Uomo morì. Le gesta di questo gran Servo di Dio, dicesi essere state descritte da molti, fra quali dal Dottor Antoniogiorgio e da Giambattista Besozzi nel suo Libretto delle Annotazioni delle azioni degli Uomini illustri di casa Besozzi, come pure da Giangiacomo Besozzo nelle Storie memorabili di Casa Besozza nel Lib. I fogl. 9 Fin qui il Crescenzio. Item de eo meminit Bolland. Tom. 2 mense Februar, item, Ruger. In Decl. 36 pag. 320, item Archiv. Monfort. Sancti Petri Mediol. Item Turtura in Vit. Hieronym. Aemil. Lib. 2 cap. II.
D. GIAMBATTISTA BENAGLIA di Como entrò nella Congregazione di Somasca ammessovi nell’età d’anni 21 dal venerabile Gioanni Scotto terzo Generale di essa; da giovane incontrò vari infortuni, e soffrì mortali infermità, da queste guarito, e da quelli difeso con prodigio: sommamente applicossi alla mortificazione del suo corpo, ed alla santificazione del suo animo, condecorando con la sublimità delle Virtù la bassezza de’ suoi Natali. Fu gran Direttore delle Anime, e gran Maestro nella Mistica, Morale e Scolastica Teologia; ed in ognuna di queste facoltà divenne eccellente senza Dottore, ma non senza Miracolo. Colla direzione del Divin Spirito zelava con tanto fervore, e con tanto coraggio, che entro le Cse, sulle Vie, sulle Piazze affrontava li Osceni, i Traviati, li Scorretti con aspre riprensioni, e non servendo all’emenda la voce, colle minacce senza distinzione di persone, e di stato; attentissimo fu nella cura degli Orfani in Roma, in Venezia, in Milano, in Pavia; Ecclesiaste fervoroso trasse molti dal fango si sordide colpe colla promessa costante di nuova vita; era presso tutti di tanto credito, ed in tanta venerazione, che al solo vederlo si componevano alla maggiore modestia i Buoni, e lo sfuggivano i Dissoluti. Nella Città d’Alessandria della Paglia erano ne’ suoi tempi come a quartiero tutti i Vizi, ed i Viziosi, essendovi ora Proposto di quel nostro Collegio, e Paroco, ora Direttore del Seminario del Vescovo, si pose a combatterli con tal zelo, ed a schiantarli con tal fervore di predicazione, che fu universalmente detto il Flagello de’ Demoni, delle Streghe, de’ Sodomiti, delle Femmine cantoniere; Il Cardinale Vescovo Paravicino riconoscendolo Uomo eletto da Dio alla santificazione della sua Diocese, lo costituì suo Esaminatore e suo Penitenziero. Finalmente portatosi a Vicenza a fecondare di tantissimi esempli quella Città, ivi morì in età d’anni 63 nel1608 alli 22 di Marzo, avendo scritta la Storia della sua Vita egli medesimo con questo titolo: Vita del Padre Giambattista Benaglia scritta da se per comando del suo Superiore, quae M S. asserv. In Archivio Sancti Petri Montiss. Mediol, alla Immagine di lui v’è annesso quest’Elogio.
V. P. D. JOANNES BAPTISTA BENALEA
TAM DEO CHARUS
QUAM SIBI IPSE INVISUS
JUGI CORPORIS ABSTINENTIAE,
DIVINAE CONTEMPLATIONIS PABULUM
ADDIDIT, QUIPPE NOVIT, NON IN SOLO PANE
HOMINEM VIVERE,
ITA ABIIT E MUNDO, SED MUNDO, NON OBIIT,
QUI SOLI DEO SEMPER VIXIT.
D. FRANCESCO de’ Conti di SPAUR, VALLER ZAMBANA ecc.(uno della cui Gente nell’Anno 1696 li 7 di Marzo salì al Vescovado, e Principato di Trento chiamato MICHELE DI SPAUR ec.) fu religioso esempio di vangelica perfezione, e chiostrale morigeratezza: bastava vederlo per infiammarsi di Amore Celeste, salito al grado di Generale l’Anno 1571 ebbe per principale sua premura servir agli Orfanelli ne’ ministeri più vili, istruirli, curarli: uno di questi essendo da più mesi inchiodato nel leto per una putrida Cancrena in una gamba con un segno di Croce lo guarì dalla piaga tra lo spazio di giorni tre: A san PIO V cui era ben nota la di lui santità poiché l’ebbe fatto arbitro delle Pontificie sue grazie tanto per se, quanto per la sua Congregazione d’altro non supplicò, che di alcune Indulgenze per i suoi religiosi, che avessero recitate alcune prescritte giaculatorie. In Roma ove fu Preposto Locale in San Biaggio di Monte-Citorio con tutta divozione, e frequentemente facea il sacro giro delle sette Chiese: Nelle sue orazioni, e contemplazioni sensibilmente si è udito a parlare con Dio, e cogli Angeli, e sensibilmente rispondergli, era tanta la sua umiltà, ed abiezione di se, e mortificazione, che comunemente da Romani era chiamato: L’umile Servo di Dio. Cristoforo Madruzzi Eminentissimo per la Porpora, e per la grandezza delle sue gesta, pieno di stima per la Congregazione Somasca, e di venerazione per il Padre D. Francesco si adoprò in varie occasioni, renderlo onorato di Mitra, ma senza riuscita impedito dall’umiltà del rifiuto, a cui diede l’ultimo assalto, ma con pari fortuna, promovendolo al grado di Vescovo Suffraganeo nel suo sacro Principato di Trento. Nel terminare del 1600, o poco dopo martire di Penitenze, pasciuto quasi solamente di orazioni, arrichito del dono di Profezia da Roma passò al Cielo, il di cui Cadavero esposto, fu invaso da’ baci, da corone, da acclamazioni di Santo. Stella in Vita B. Hieronym. Aemil. Lib. 3, Ruger. In sua Epistol. Ad 2 Vol. Declam. Item ex Archiv. S. Petri Montiss. Mediol.
D. FEDERIGO PANIGAROLA Milanese riguardevole per Nascita, e per Dottrina, negligentate le ricchezze, gli onori, il fasto, si pose a seguire l’orme umili, e caritatevoli del nostro Santo Fondatore GIROLAMO MIANI nella cura de’ poveri, e nel servigio de’ miserelli abbandonati; ebbe la Prelatura del Protonotariato Appostolico in Roma; illustrò non meno colla sua persona, che colla luce delle sue santissime operazioni la Congregazione, e vi fu ascritto nel 1534, all’avvanzamento di cui s’affaticò molto, non tanto come uno de’ primi Compagni del venerabile GIROLAMO quanto dopo il di lui transito da questo basso Mondo, perché si proseguisse nella assistenza, ed educazione degli Orfani a lui come agli altri della Compagnia raccomandati: sicché facendo buon uso della grazia Divina, e de’ sentimenti partecipatigli dal Venerabile MIANI intorno alle opere pie da lui istituite possiamo dire, che gli atti virtuosi della sua vita a benefizio de’ Poverelli in vari luoghi del nostro Istituto. Finalmente onusto di meriti, e pieno dello spirito del Signore dipose nell’Eremo di Somasca la spoglia mortale con odore di santità dopo non molto al felice passaggio al Cielo del glorioso Fondatore e suo maestro GIROLAMO MIANI. Turtur. In Vita Hieronym. Aemil. Lib. 3 Santinel. in eadem Vita cap. 12.
D. LIONE CARPANI Milanese de’ Marchesi Carpani e per opulenza, e sangue chiarissimi, avendo in Merone picciola Terra della Pieve d’Incino discosta sei miglia da Como, riconosciuto cogli occhi propri quanto la fama avea rapportato alle sue orecchie delle eroiche virtù del nostro Fondatore MIANI, arresosi alla grazia, che lavorava a meraviglia nel di lui cuore, fatto un generoso rifiuto di quanto avea di grande nel Mondo gittossi a’ piedi del Venerabile GIROLAMO, lo supplicò ad ascriverlo alla sua Compagnia, nella quale ricevuto nel 1533 tanto profittò, che quasi quasi non si distinse la copia dall’originale nella pratica eroica di una carità indefessa verso mendichi, e fanciullini abbandonati. Fu carissimo a PAOLO IV, ed a PIO V: PAOLO IV gli offerì i più nobili impieghi nella Corte di Roma, e le Cariche più decorose, e PIO V lo destinò Prefetto della Cappella, che chiamano Sancta Sanctorum ove sendo Infermo fu visitato dal Santo Pontefice, e consolato nel suo decubito: Gli conferì l’Arcivescovado di Napoli, quale con uguale umiltà, che costanza ricusò. Al Precessore Papa PAOLO IV assisté nella sua ultima malatia, e con Sacerdotale diligenza lo coadiuvò all’eterno riposo. Pieno finalmente il CARPANI di pietà, e di religione sotto il Ponteficato di PIO V chiuse gli occhi alla luce in Roma con fama di santità. De eo Ferrar. In Vita B. Hieronym. Aemil. Cap. 20, Barell. Memor. Barnab. Pag. 20, item ex Manuscr. Archiv. Sancti Petri Montisfort.
D. PRIMO CONTI Milanese la di cui famiglia trasse origine da tre Nipoti, ex sorore, di Desiderio Re de’ Longobardi ANFORZIO, FUSIO, e CATTO; sopra ogni credere fu scienziatissimo, e nel suo Secolo senza paragone in tutta l’Italia come attesta il Moriggia de Nobil. Mediolanen. Nelle lingue le più singolari Greca, Ebraica, Caldea, Arabica fu peritissimo, e commendato sommamente da EMANUELE SA’ dottissimo Teologo, ed Ebraista tra Gesuiti: In più Chiostri de’ regolari fu prescielto loro Lettore di teologia, di Morale, di canonica, ed Interprete delle Divine Scritture: Nella Valtellina essendosi seminati vari errori da Dommatizanti fu spedito dal Vescovo di Como a ritrarre quel paese dalle folli opinioni, locché riuscì con trionfo della Fede, avendo convinti, ed addotti a detestare i loro falli nel sacro Tribunale degli Inquisitori, ben anco li Maestri stessi delle Eresie: Si ascrisse tra Compagni del nascente nostro Istituto dal venerabile GIROLAMO fondatore circa l’anno 1533 nell’eroica impresa delle opere pie degli Orfani, Orfanelle, e Convertite, e divenne un nobil equivoco della virtù, e zelo del MIANI alla perfezione, ed amplificazione dell’Istituto. Intervenne per ordine di PIO IV al celebre Concilio di Trento, e tenne il luogo del Vescovo di Padoa chiamato a Roma: e la conciliare deliberazione di torre dall’alto gli avelli de’ cadaveri, e sepellirli sul piano fu un sentimento di sua dottrinale perorazione: Più volte, ed in diversi tempi fu nominato Vescovo di distinte Diocesi dalla Papi PIO IV, e GREGORIO XIII, ma con quanta estimazione di lui gli erano conferte le Mitre, con altrettanta umiliazione di se le ricusò. Nulla produsse alla luce col Torchio, ma molto coll’operare, ond’ebbe a ripeter di lui Scipione Albani. Scribere renuit, quia quod scribendum erat, quotidianae operationis pagina monstravit Nulla ostante per la di lui diligente attenzione, e studio furono divulgate alcune opere di Marcantonio Maioraggi, anzi la più insigne di questo eruditissimo Oratore, cioè : Lucubrationes in partitiones oratoria Ciceronis furono per la prima volta stampate dal Conti a benefizio de’ Letterati, ed a decoro delle Lettere. Morì nel 1592 in età d’anni 93 con una ferma opinione di Santità. Vital in Theatr, Mediol. Pag. 28, Morig. Lib. 3 cap 13 de Nobil Mediol. Item lib. 4 cap. 23 Hist. Med.
D. GIOANNI SCOTTI Bresciano Uomo diletto a Dio, ed agli Uomini, zelantissimo Custode dell’Istituto nella cura degli Orfani, ed esemplarissimo Religioso nell’esercizio delle virtù, menò quasi tutti i suoi giorni in Cremona ne’ nostri Orfanotrofi alla educazione de’ fanciullini abbandonati, non ostante le doglianze della sua umiltà fu promosso due volte, cioè nel 1574, e nel 1585 al supremo Propostato dell’Ordine, in qual grado li ministeri più vili, gli esercizi più abietti, le occupazioni più faticose erano le sue; onde che Ei avesse la dignità di Generale, non da altro si sapea, che dal merito del possederla. Fu onorato da Grandi, da San Carlo nella sua Visita Appostolica per la Lombardia, dal Cardinale Nicolò Sfondrati vescovo di Cremona, che sovente visitollo infermo, tuttavia tra tali onorevolezze non perdé di vista giammai l’abbassamento di se, e la mortificazione di tutto se; la di lui Vita poté dirsi un continuato esercizio di carità assistendo ora a tutte le Scuole della Dottrina Cristiana in Cremona, ora componendo Litigi, ora accompagnando, e confortando Giustiziati, ora santificando Divoti, ed emendando Scorretti: Colpito da un Empio sul viso con una strepitosa guanciata, non solo cristianamente, e religiosamente la soffrì, ma colle mani. Piedi, e lingua s’adoprò presso de’ Maestrati, che perdonatagli l’ingiuria fosse dimesso senza gastigo: Acquistò alla Congregazione nel 1569 la Casa, e Chiesa di San Geroldo con Bolla di san PIO V. Fu parimenti in Cremona Fondatore della Sodalità di sant’Orsola, cui prescrisse santissime Leggi nell’anno 1565, e dal Monistero di Santa Barbara, e Santa Fortunata, attiguo ne’ primi suoi anni al Collegio di San Geroldo, ed ora altrove traslato, dopo molto tempo dalla morte della Venerabile Maddalena Guerrini Confondatrice. Le virtù del cuore gli trasparivan dagli occhi, dal volto, e dalla persona, servendo la sua presenza come di efficacissima declamazione contra i Viziosi a ridurgli alla Penitenza, e fu scritto, che una sola guardatura fissata un eretico lo inducesse alla Conversione. Visse Santo, e morì Santo, e la di lui Santità si rese più chiara nel di lui transito da Cremona al Cielo per il miracoloso, e spontaneo suono delle Campane, qual morte intesa dall’Eminentissimo Vescovo Sfondrati ebbe a compiangerla col suo Popolo, confessando espressamente: Se Dioecesis suae fulcimentum, Congregationem Somaschen. firmam columnam, splendidissimum vero lumen Cremonam in uno Scotto amisisse: De eo Pelleg. Merula in Sanctuar. Cremonen. Cap. 92, Turt., et Stella lib. 3 in Vita Hieron. Aemil.
D. GIAMBATTISTA FABRESCHI Barbarano discendente da Stirpe antichissima, e nobilissima in Roma, attinente per cognazione del Cardinale Francesco Cennini de Salamandris Senese, Uomo non tanto per la nobiltà del suo Stemma, che per i titoli delle sue virtù raguardevolissimo, s’acquistò gran nome per la grandezza delle sue gesta: Eletto Generale nel 1587 per tutto il tempo, che governò la Congregazione Somasca, presedere e giovare fu un atto solo: Entrò nel cuore del Cardinale Sfondrati Vescovo di Cremona, che assonto al Papato l’onorò con segni inusitati di stima, e favorì con argomenti contradistinti di speciale benivoglienza. Sudò in Cremona al vantaggio della Compagnia di S. Orsola, regolandola, e promovendola con ogni studio, e senza alcun risparmio di fatica: Li giorni della sua età non furono molto lunghi, ma molto pieni, e colle opere grandi fé grandi i giorni: Morì sessagenario in Roma nel Collegio di San Biaggio in Monte-Citorio l’anno 1616 li 17 Febbraio, e nel medesimo giorno in cui nacque, perché fosse lode di un solo, e medesimo giorno l’aver partorito un Uomo sì degno alla terra, ed al cielo. Ex Archiv. Monfort. S. Petri Mediol.
D. GUIDO detto IL VERCELLESE della cospicua famiglia de’ FERRERI, personaggio illustre per lo splendore del sangue, e più illustre per le cognizioni Umane, Canoniche, e Legali, avendo inteso le eroiche azioni del Venerabile GIROLAMO MIANI nostro Fondatore, stimolato dalla fama della di lui santità sparsa distintamente per tutta la Lombardia, vago di servire a DIO nella cura de’ poveri derelitti, di ascrisse alla di lui Compagnia detta de’ Servi de’ poveri la or Congregazione di Somasca, e travagliò parecchi anni al serviggio de’ miserelli nel caritatevole Istituto con fervore, e con costanza. Turtura Lib. 3 in Vita Hieronymi Aemiliani, Santinell. Capit. 14 in eadem Vita.
Nell’anno 1562 fu fatto Vescovo di Vercelli sotto il Ponteficato di PIO IV, e poi creato Cardinale dal medesimo Sommo Pontefice nell’anno 1565 col titolo di Santa EUFEMIA, ed ebbe il Cappello Cardinalizio per mano di San CARLO BORROMEO suo cugino e nipote di detto Papa. Sedé tra Padri in Trento correndo l’anno 1562 intervenne al Concilio Provinciale prima in Milano l’anno 1565, onorò le nozze delle Figlie di Massimiliano d’Austria con la sua presenza, ed accompagnolle a’ loro Mariti Duchi Italiani: Arricchì il Seminario di rendite con la unione di vari Benefici: transigé nelle radicate controversie tra il Vescovo, e Capitolo con iscambievole soddisfazione, e la sua transazione fu confermata dalla felice memoria di Papa GREGORIO XIII chiamò al governo degli Orfani nel pio luogo della Maddalena in Vercelli i Padri della sua Congregazione Somasca nell’anno 1569, che nell’anno addietro chiamavasi ancora Compagnia de’ Servi de’ poveri. Il detto pio luogo sin dall’anno 1543 fu fondato da Vincenzo, e Francesco Rosarini con autorità di Pietro Francesco Ferrero Vescovo Cardinale suo Precessore. Fondò a Padri gesuiti il Collegio, e donò loro i redditi, e Terre del Lachello. Stabilì 16 canonici Minori per le Salmodie della sua Cattedrale; stampò un Sommario di Decreti Conciliari, e Diocesani con altre Bolle Papali all’uso de’ Catechismi, finalmente portatosi a Roma, ivi morì l’anno 1585 e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ital. Sacr. Tom 4 Tabul. Vercell.
D. LUIGI MIGLIORINI Padoano celebratissimo Oratore del suo Secolo, e zelantissimo nel ministero Appostolico, era così ardente contra i Viziosi, che con libertà evangelica senza alcun rispetto a condizion di persona, servato il tenore prescritto da San Paolo nelle Lettere ad Titum affrontava i Peccatori colle grida, colle invettive, colle minaccie per lo ché in Genova nella Chiesa della Maddalena, avendo dopo lunga dissimulazione, e pazienza le dissonanti dicerie di alcuni Nobili, che lo disturbavano dal dire, e gli Uditori dall’ascoltare, sofferte; pieno di zelo, e di coraggio, gli riprese con una acre declamazione sopra il rispetto dovuto a’ templi, e sopra la riverenza violata a’ Tabernacoli, onde ebbe a patirne varie molestie, e l’esiglio, da cui però tosto richiamato proseguì con pari ardore la sua Predicazione: Proposto Generale acclamato nel 1590 fu egli il primo, che accozzò al buon governo della Congregazione Somasca le Costituzioni, e divulgolle colla Stampa, e di queste si è servita per qualche tempo la Congregazione sin che poi attese le circostanze de’ tempi, altre ne sorsero divulgate coll’assenso Appostolico. Nella sua Vecchiaia di molto avvanzata ritrovandosi infermo anche gravemente, mai tralasciò la recitazione dell’Uffizio, sempre assisté al Santo Sacrifizio, che proccurò continuamente si celebrasse nella sua Stanza; induggiando i Padri del Collegio corroborarlo colla Strema Unzione non ancor timorosi di perderlo, gli stimolò a conferirgliela dicendo loro: Dominus ad Ostium pulsat, ed in vero tosto, che fu unto spirò felicemente: di questo Servo del Signore come di un esempio di tenerissima pietà, e di amor verso Dio, ne fa menzione il Casalich nel suo Libro intitolato: Gli stimoli al s. Timor di Dio, item Archiv. S. Petri Monfort.
D. GEROLDO de GEROLDIS Bresciano professò l’Istituto della Congregazione nel 1581 fu questi Uomo riguardevolissimo per le sue religiose virtù, doti dell’animo, e preggi dell’intelletto; per lo zelo delle Anime si dié tutto all’opere di carità, e di pietà: intraprese lunghe Pellegrinazioni per tutta l’Italia, promovendo in ogni parte l’esercizio de’ Catechismi, aprendo Scuole in ogni luogo della Dottrina Cristiana insegnando, predicando, e catechizzando indefessamente nelle Chiese, nelle Piazze, e ovunque giungea, e scopriva il bisogno. Autore in diverse Città di Confraternite, e di Oratori, istruì i Secolari alle Meditazioni, alle volontarie macerazioni, e discipline, non tanto colle voci, che cogli esempi riempiendo ciascuno dell’amore verso la Virtù, e dell’odio contro del Vizio. Fu il suo Zelo così universale, così ardente, e così affaccendato, che comunemente era chiamato: L’appostolo dell’Italia. Papa PAOLO V cui fu riferita la diligenza, l’assiduità, il fervoroso ardore dell’Operaio Appostolico, che allora ritrovavasi in Roma nel Collegio di San Biaggio in Monte-Citorio, tutto applicato a’ Catechismi, ed alle spiegazioni de’ Sacri Misteri, chiamatolo a se, premesso un elogio delle sue Appostoliche fatiche pose in di lui mano, e balìa di sciogliersi dal giogo Chiostrale affine, che potesse con maggior libertà girare per l’Italia, e regolare le Scuole della Fede, catechizare fanciulli, ed erudire ignoranti, di che ringraziato avendo il Santo Padre, gli promise, che non avrebbe ommesso giammai, né tralasciato in verun tempo l’intrapreso Ministero, salva la sua Vocazione: Distintamente in Amelia, Amalfi, Giovenazzo, e nell’una, e l’altra Sicilia girando per le città, Villaggi, e Terre con altri de’ nostri, colle sue predicazioni, esempli, ammonizioni, rifformò i costumi, compose I Scostumati alla Divina Legge, e li santificò in guisa, che le Città, e Luoghi, ove Ei aveva evangelizzato non sembravano più radunanze d’Uomini, ma d’Angeli; quindi avvenne, che essendo a Lui state assegnate le Multe, e le condanne pecuniarie ex Maleficio per lo sostentamento di se, e de’ suoi divennuti esatti morigerati gli Abitatori de’ Luoghi dal loro santissimo Magistero, mancando i delitti, mancarono loro nello stesso tempo gli stabiliti sussidi; sicché avuta la venturosa disgrazia di penuriar d’alimento nella sterilità de’ peccati, portata dalle sue Vangeliche fatiche, e de’ suoi zelantissimi Cooperatori gli convenne partire per non morire famelico. Plura vid, in Archiv. Mediol. Sancti Petri in Monfort. Pieno di meriti passò al Cielo l’anno 1618 di età d’anni 57.
D. BERNARDINO CASTELLANO Bresciano peritissimo Canonista, e segnalato Casista, in tutti i luoghi ove religioso dimorò fu accreditatissimo, distintamente in Tortona, il di cui Vescovo Cesare Gambara lo costituì suo Vicario, e Visitatore di tutta la sua Diocese a reformare il Clero, e santificare il Secolo, infondendo in quello lo spirito di edificazione, in questo il zelo della propria salute: inerendo alle sacre incombenze, in Voghera pose in vedere osservanza alla mente di PIO V, di GREGORIO XIII, e del Sacro Concilio di Trento le Rubriche, e Riti Ecclesiastici maltrattati da’ Cherici, e dalla gente di Stola in que’ tempi, non saprebbesi dire se per malizia, o per ignoranza. Aprì Scuole a’ Catechismi, Oratori a’ Secolari, declamò sopra le irriverenze alle Chiese, perorò sopra la frequenza de’ Sacramenti, travagliò perché le Monache accettassero, e custodissero le Clausure decretate poch’anzi da’ padri in Trento, e comandate rigorosamente da Papi in Roma. Quanto operò in Voghera, altrettanto nelle altri parti di quella Diocese, ed in Tortona stessa, ove erudì le Monache all’uso del meditare, li Sacerdoti alla fuga delle Conversazioni, ed i Secolari all’intervento agli Uffizi Divini. Sparsa la fama decorosa di queste sue Appostoliche fatiche, CRISTIANA DUCHESSA di TORTONA nell’anno 1576 commise al Padre Bernardino, ed a’ suoi Religiosi unicamente la coltura della sua Famiglia, e de’ suoi Dimestici nelle Scienze, e quel, ch’erale più grato nella cristiana osservanza, correndo costantissima voce in quel tempo, che tra gli altri, li Religiosi di Somasca erano i più santi, i più esemplari, e più utili a quella Città: Dopo varie reggenze in diversi Collegi; ebbe la Prelatura Generale di tutta la Congregazione nell’anno 1577, nella quale dié documenti continui di Dottrina, di Prudenza, e di Regolare Osservanza, e con l’operazione, e con il discorso. Dominic. Blanc. In Opusc. ;. S. il Giardinetto pagg. 94, quod asservat. in Colleg. Sancti Petri Monfort. Mediol.
D. GIAMBATTISTA CONELLA . Savonese chiarissimo per la bontà della vita, e per le doti dell’intelletto, nell’adunanza, che fecero i Padri della Congregazione Somasca in Milano nell’Orfanotrofio di San Martino l’Anno 1569 per professare solennemente, Ei vi intervenne ancor Cherico col suo Voto approvativo, e successivamente fece anche esso i Voti religiosi in mano del Venerabile padre Angelo Marco Gambarana. Fu zelantissimo nella cura degli Orfani, invigilando sulla custodia dell’Istituto nelle Opere pie con tanta sollecitudine, ed ardore, che sarebbesi creduto risorto in lui l’eroico Istitutore di esse GIROLAMO MIANI. Fatto Generale nel 1581 fu ammirabile nella pietà, e nel zelo, che certamente chiunque più fornito del tenero amore verso Dio, e verso il Prossimo non avrebbe in lui desiderato di più: vegghiò indefessamente per conservare ne’ Sudditi il primo fervore dell’istituto, il non interrotto corso delle orazioni, la assistenza agli Infermi nelli Spedali: finalmente nell’anno ottantesimo secondo del detto Secolo ricevè i Voti solenni di quel santissimo Sacerdote Venerabile Evangelista Dorati Enciclopedia d’ogni virtù, di cui or ora faremo memoria. Ex pagel. In Archiv. Mediol. S. Petri Montisf D. VINCENZIO TROTTI delle primarie Famiglie di Pavia fu uno tra primi Professi nella Congregazione avendo fatti i Voti nell’Anno 1569, se alcun altro certamente Egli fu additissimo alla contemplazione: avendo gustato in Terra quanto fosse soave il Signore a chi l’ama, i suoi amori furono tutti in Cielo: eminentissimo nell’abbassamento di se, ornatissimo nel dono delle lagrime, formidabilissimo contro i Demoni, che l’hanno offeso spessissimo in mentre facea orazione; ebbe un amor tenerissimo verso l’Eucaristia, cui presente era tale il piacere, e la dolcezza interna, che concepiva, che scioglievasi tutto in lagrime spremute dal diletto nell’adorarla: crebbe a tal segno la fama della sua santità, che dimorando in Somasca nel Collegio di San Bartolommeo, andollo a ritrovare GREGORIO XIV, mentre era Cardinale Vescovo di Cremona, e per tre giorni ivi si fermò per gustare de’ sacri discorsi con esso lui. S. CARLO essendo il TROTTI infermo gravemente in Milano nel luogo pio di San Martino, andò a visitarlo, e sedendo al letto dell’umile Religioso dopo vari colloqui di spirito, gli domandò genuflesso la sua benedizione, dalla quale domanda soprafatto l’Infermo si disfece in lagrime di confusione, e supplicò il Santo Arcivescovo a compartirgli la sua Pastorale, da cui avrebbe ricevuto lena, e vigore pe‘l viaggio all’Eternità: ma riavutosi per volere di Dio partì dal servizio de’ nostri Orfani in Milano, ed andò alla cura de’ nostri altri in Pavia nel luogo pio detto ancor oggi la Colombina, ove pieno di meriti, ed anni riposò nel Signore nell’Anno 1580, il di cui Cadavero fu poi trasferito nella Chiesa di S. Maiolo di detta Città nell’anno 1607. De eo Boss. Ubi de Sancto Maiolo. Romuald. In sua Papia Sac. ,item Arch. Sancti Petri Montisf. Mediol.
D. EVANGELISTA DORATI nacque in Biadena del Cremonese l’Anno 1539 vestì l’abito della Congregazione Somasca nel 1581, e professò nel susseguente, Sogetto riguardevole per santità, e per l’esercizio delle virtù; tra quali si distinse la sua perpetua verginal Purità, che sensibilmente tramandava soavissimo odore a chi l’incontrava, non meno, che a chi lo pratticava. Fu sì geloso dell’onore di Dio, e della salute del Prossimo, che al riferire di Andrea Stella primo Compendiatore della di lui Vita dir solea: Se minori gloria in Coelis fore contentum dummodo nemo periret, omnesque ad Legem viverent. Eletto Proposito Generale della Congregazione nel 1593 fu specchio di singolar perfezione, alle visite, che facea per lo più a piedi recitando Salmi, ed Orazioni continuamente, si disponeva con meditazioni penitenze, e digiuni. Fu formidabile sopra i Demoni al bene degli invasati, dotato del dono di Profezia, scuopritor dell’altrui interno, rivelato avendo a molti le loro tentazioni, pensieri, passioni, e dati loro i rimedi. Niccolo Sfondrati Cardinale, e Vescovo di Cremona, li di cui Nipoti, e Seminario erano stati riempiuti dall’Uom di Dio di sante massime, e di una perfettissima cristiana educazione, poiché fu sublimato al Sommo Ponteficato col nome di GREGORIO XIV fe chiamare a Roma per mezzo del padre Proccuratore Generale Giambattista Fabreschi il suo amicissimo Padre Dorati, che ivi giunto fu alloggiato nel palazzo Papale accolto dal Pontefice con segni tenerissimi di onorevolezza, e di estimazione, quale poi presto tutta la Corte ben giustamente si guadagnò, resasi sensibile al ognuno la sua santità. Donna Agata Angelica Sfondrati Sorella del Papa, e Donna Sigismonda d’Este di lui Cognata non uscivano da Palazzo, che dopo quella del Papa, non ricevessero parimente la Benedizione del Padre Dorati, li di cui meriti, e singolare pietà crescendo vieppiù nella opinione del Santo Pontefice risoluto di fare la promozione de’ novelli Porporati segnò nel numero d’essi in primo luogo il Dorati, giudicando accrescer raggi alla Porpora, vestendone un Soggetto di tanto splendore: lo seppe l’umile Religioso, ed incontanente buttatosi a piedi Pontifici con lagrime, e con tutto lo sforzo dello spirito supplicollo a lasciarlo morire nella sua vocazione, onde a’ piè di una sua antica Immagine si dà a leggere la seguente Iscrizzione.
V. P D. EVANGELISTA AURATUS
CREMONENSIS,
VIRGINITATIS, PROPHETIAE,
MIRACULORUM DONIS
CONSPICUUS,
CARDINALIUM ALBO IN QUOD FUERAT
MISSUS
A GREGORIO XIV,
TOTO ANIMI CONATU, ET LACRIMIS
CURAVIT
UT ERADERETUR.
Dopo essersi predetta, ed in quanto al luogo, ed in quanto al tempo seguì la sua morte in Somasca assorto nella contemplazione de’ Divini Misteri l’Anno 1602 li24 di Giugno, ed il di lui: Cadavero per tre giorni spirò soavissimo odore, e celeste fragranza. Stella in Vita Hieronymi Aemil. Hypol Speranza in eius Vita, quae asserv. In Archiv. Sancti Petri Monfort. Mediol.
D. GIAMBATTISTA FORNASARIO Lodigiano già Decano nel Collegio de’ Dottori in Pavia, come fu Professore di Giurisprudenza nel Secolo, fu altresì delle Virtù morali nel Chiostro: avendo fatto balenare sugli occhi, ed alla mente d'ognuno la luce de’ suoi meriti, e delle sue esemplarissime operazioni ascese al grado di Generale dell’Ordine nel 1596 dopo avere coperte più cariche in qualità di Superiore in diversi Collegi della Congregazione, e Seminari di Venezia. Fe ergere da fondamenti la Chiesa di San Maiolo in Pavia, acquistò alla Religione la Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Secreta in Milano, oltre varie Grazie e Privilegi, de’ quali abbondano i nostri Chiostri impetrati da’ suoi raccorsi. Efficacissimo nel dire colla forza delle celebre sua facondia indusse con una sua eloquentissima perorazione fatta al Prencipe, e Senato di Venezia, che la Repubblica, non ostante le opposizioni, che s’attraversavano, concedesse due luoghi a’ Somaschi in Trevigi ciò, che seguì prosperosamente con pubblico solenne, e plausibile Decreto di quel serenissimo Principato: la celebrità del suo nome giunse in Roma con esso lui, ed avanti di lui: con questa fama conformata dalla sua presenza, e dalla sperienza del sue doti e di sapienza, e di facondia su onoratissimo da Porporati, e da Personaggi più decorosi di Roma; anzi in tal credito, e tale considerazione fu presso CLEMENTE VIII, che in segno di stima alle di lui virtù usò con esso lui, parlandogli, il titolo di Padre Reverendissimo, questo glorioso Pontefice fundò in Roma sopra Piazza Nicosia a’ PP. Somaschi quell’illustre Collegio nell’anno 1596, che dal suo nome chiamasi Clementino. Ex Archiv. Mediolan. Sancti Petri Monfort.
D. ANDREA TERZANO Comasco Uomo rigidissimo, e tenacissimo della regolare osservanza; istruì ne’ costumi ecclesiastici, e nel fervore Appostolico il Clero di Venezia, onde ebbe a dire il Cardinale Lorenzo Prioli allora Patriarca di quella Dominante: Absit, bene Deus, quod Seminarium nostrum unquam ab aliis, quam a Somaschis instituatur, cum tam copiosa ex eorum diligentia, exemplis, atque educatione optimorum morum redundaverit.
Fatto Proposto Generale nell’anno 1599 visitava i Collegi sempre a piedi, e giunto a Genova bagnato fino alla pelle, prima che in Collegio, entrò in Chiesa a render, secondo il costume, le grazie a Dio, e vi si trattenne per una buona mezz’ora in orazione, onde essendo inzuppato d’acqua da capo a piedi lasciò quel sito, ove fermossi ad orare, notabilmente allagato, con istupore di tutti, che conoscevano quanto ei fosse debole di forze, e maltrattato dalle sue infermità, per le quali nel 1601 rinunziò al Generalato prima d’averlo compiuto. Pochi anni dopo si ritirò in Vercelli al divoto governo degli Orfani, ove fece costrurre quella Chiesa di vaga struttura dedicata a SS. GIMBATTISTA, e MARIA MADDALENA, con limosine raccolte da alcune persone pie, e dal Serenissimo CARLO EMANUELE DUCA DI SAVOIA allora residente nel castello di Vercelli, e col sussidio sporto dal P. D. Alessandro Boccolo nella somma di dugento Ducatoni sborsati poco prima, che partisse da Italia per visitare Generale i Collegi della Franza; detta Chiesa fu poi solennemente consagrata da Monsignor Vescovo GIACOMO GORI’ A nell’Anno 1619 li 22 Luglio ad istanza del medesimo Padre Terzani, che finalmente carico d’anni, di meriti vi chiuse gli occhio con una esemplarissima morte consonante alla sua morigeratissima Vita. Ex pagel. In Archiv. Monfort. Sancti Petri Mediol ex authog. Dedication. eiusdem Ecclesiae asserv. In Archiv. Piae Dom. Vercelli.
D. ANDREA CONTARDI nobile Genovese fu ammesso alla Congregazione di Somasca nel 1585, in cui sostenne decorosamente le Catedre, e le Cariche, Professore di Sacra Teologia, e Predicatore: In Genova fu il fondatore di quel Collegio, ed in Tortona di quella Chiesa di Santa Maria Picciola, era sì tenero verso la Passione di GESU CRISTO, che celebrando nella Chiesa della Maddalena in Genova all’Altare del Crocefisso si distruggea apertamente in lagrime, anzi predicando ivi, particolarmente nel triduo de’ Baccanali i suoi Sermoni, e Discorsi non aveano altro soggetto, che il Martirio del Redentore. Il Cardinale Orazio Spinola Arcivescovo di Genova lo costituì suo gran Vicario in Spiritualibus, e Luogo-Tenente di sua nobilissima Arcidiocese per tutto quel tempo, che egli si trattenne in Ferrara in qualità di Legato: Il Vescovo di Tortona Maffeo Gambara medesimamente in altro tempo a simile dignità lo sublimò in una sua lunga assenza dalla Diocese accomandandogliene la reggenza, e la direzzione, dalla quale neppure un punto sì discostò quel Vescovo anco presente; onde venìa detto il CONTARDI l’occhio destro del Vescovo. In Tortona, ove per più anni fu Prefetto della Morale al Clero, istituì nella nostra Chiesa la Compagnia detta del Carmine in onor di MARIA, colla indizione di una pubblica Processione nel 1595 portato intorno per la Città il Simolacro Verginale, che poi nel 1601, fu riposto nel di lei Altare in detta Chiesa: da lì è derivata a’ Nostri la facoltà della Assoluzione Papale a benefizio degli Aggregati. Sendo stanziato in Genova si ritirava per qualche spazio di tempo prescritto dalla sua divozione sopra un Monte discosto 20 Miglia da quella Città detto di San GIOACHINO da una Cappelluccia ivi fatta da lui fabbricare in onore di tal Santo, a cui Egli portando una particolare venerazione fu il primo ad impetrarnegli dalla Sacra Congregazione de’ Riti la recitazione dell’Uffizio: Su questo Monte racchiuso, e solitario dava tutto lo sfogo alla pietà del suo cuore, ed agli affetti teneri della sua divozione; sa Iddio i di lui lunghi digiuni, le di lui discipline, le mortificazioni, noi sappiamo, che otto ore di ciascun giorno spendea in orazione, e tenerissima contemplazione. Ritornando poi alla Città, ed al Collegio era sì ilare, e sì festoso, che sembrava un Trionfante di ritorno dal campo; lo assaltavano sovente li Demoni per isviarlo dall’orazione con orrende figure, e tetre comparse, ma egli gli incontrava col valore della grazia, di cui era fornito, e li metteva in fuga col coraggio di una cristiana fiducia con cui gl’incontrava. Morì in Milano nella Casa professa circa l’Anno 1620, non tosto su udita la di lui morte in Genova, che la Curia Arcivescovile, il Senato, e tutta la Città su sorpresa da uno straordinario dolore avendolo ogni condizion di persone venerato per le di lui rade virtù, e singolar perfezione nella Luogotenenza del loro Cardinale Arcivescovo, sicché fu scritto al Padre D. Agostino Tortora Proposto Generale per la grazia di qualche di lui reliquia, per lo che fattosi rimetter tutto quanto spettava all’uso di questo Venerabile Servo di Dio consolò partitamente le richieste de’ supplicanti, e in Genova, ed in Tortona, ed altrove. Dominic. Blancus in suo Opusc. ms il Giardinetto asserv. In Archivio Monfort. Sancti Petri Mediolan.
D. GIAMBATTISTA ASERETO dell’Ordine Patrizio di Genova Fratello di GIROLAMO, che nell’anno 1607 alli 22 di Marzo fu Doge della Serenissima Repubblica Genovese, ascese al Propostato Generale della Congregazione Somasca nell’Anno 1601, e fu diligentissimo Imitatore del di lei Beato Fondatore GIROLAMO MIANI nella cura de’ poveri derelitti, quanto sollecito nel raccoglierli, altrettanto zelante nell’educarli. Assisté all’ultima malatia in Somasca del venerabile Padre EVANGELISTA DORATI e fu Testimonio oculare della di lui preziosa morte. Promosse ardentemente nella Chiesa di santo Stefano in Piacenza il culto di nostra Signora sotto il titolo della Misericordia. Fu Uomo di rarissime prerogative, e singolarissimi meriti nell’esercizio della virtù: Morì in Genova con opinione di santità, e dall’Urna ove fu inchiuso il suo cadavero spirò a que’, che gli cantavano l’Esequie fragrantissimo odore di Viole. Speranz. in Vita Vener. Evangel. Dorati fol. 30,3, quae m. s. asserv. in Archiv. Cremonen. D. Luciae
D. GUGLIELMO BRAMICELLI Milanese versatissimo nelle sacre Lettere in ampliare il divin culto studiosissimo, solea dire, che niuna cosa in Terra più grata potea avvenirgli, che di zelare per Dio: Direttore del Serenissimo DUCA di MANTOVA ancor giovanetto, procurò con ogni studio imbeverlo di massime cristiane, ritirarlo con ottimi consigli, ed esempi da que’ precipizi, che sono frequenti, e molto famigliari alla lubrica gioventù, e per eccitarlo all’amore delle cose celesti anco con qualche sensibil diletto tradusse dal Latino in metro Italiano tutti gli Inni, che si recitano in tutto il corso dell’Anno nell’Ore Canoniche, adornandoli di figure, e dichiarandoli con glosse, e quest’Opera dal Torchio gliela dedicò, acciò vago del metro riempisse di sollievo la mente, e di cristiana perfezione il cuore. Nel 1604 salì al grado di Generale, e la sua massima cura fu promovere la pietà nella Congregazione, ed infervorare la i costumi ad una esatta osservanza delle Leggi. Ex pagel. in Archiv. Monfort. D. Petri Mediol.
D. ANDREA STELLA Veneziano Teologo celebre, e famoso Predicatore avendo predicato alla presenza di CLEMENTE VIII, e nelli Pulpiti di San Pietro, e di san LORENZO, in Damaso in Roma, al Serenissimo di SAVOIA, al Serenissimo Senato di Venezia, ne’ Duomi di Milano, Brescia, Pavia, Ravenna, Ferrara, Genova, Cremona, Treviso, Vicenza, e Bergamo. Essendo in Vicenza Proposito del Collegio de’ SS. Filippo, e Giacomo lesse Teologia Morale nel Palazzo del Vescovo al Clero non senza gran nome, ed essendo ornato d’ogni scienza, ed erudizione era chiamato frequentemente Mostro di Dio. In detto Collegio nell’Anno 1603 per febbre maligna ridotto al termine della sua Vita era stato disperato da tutti i Medici, ricorse in quello stato deplorabile al Santo Fondatore GIROLAMO EMILIANI facendo Voto, che se gli otteneva da Dio la sanità avrebbe scritta la di lui Vita, ottenne la grazia, e soddisfece al Voto, ed Egli è quello, che tra gli altri abbia distesa una giusta Storia delle eroiche azioni del MINAI, nella quale ben anche diffusamente racconta la grazia ottenuta. Essendo stato Michele Prioli Vescovo di Vicenza destinato Visitatore Appostolico nella Dalmazia da CLEMENTE VII per suo Convisitatore, e Teologo prescielse il Padre Stella, che colla perizia della Canonica, e colla prudenza della condotta giovò di molto a quella Provincia, riformata con Leggi, e corroborata con santissime Ordinazioni; chiaro per le virtù, e ricchissimo d’ornamenti nel 1607 fu condecorato cola Prepositura Generale, quale illustrò con i raggi di quelle doti, che lo resero in tutti i tempi Venerabile nella opinione degli Uomini, morì in Venezia alla Terra, ma risplende Stella fissa nel Cielo. De eo Santinell. In Vita Hieronym, Aemil. Capit. 24 Turtur in ead. Vit
D. AGOSTINO FROSCONIO Milanese era talmente integer vitae, scelerisque purus, che venia detto l’ANGELO. Fu ascritto alla Congregazione Somasca l’anno 1587 li 18 del mese di Maggio. Coprì varie Cariche nella Religione di Proccuratore Generale in Roma nel 1622, di Visitatore in Franza nel 1634, ed in Italia nel 1635, ma la prima di tutte fu quella del Generalato, a cui salì nel 1610. Nel Collegio di Brescia operò molto, e vi fu Uomo di doppia edificazione: Il Seminario Vescovile di quella Città riguardevole per qualità, e per numero de’ Tonsurati fu totalmente commesso alla si lui vigilanza, ed educazione dal Vescovo di quel tempo Monsignore De Georgi. L’Accademia nostra di San Benedetto in Salò fiorì mirabilmente a suoi tempi e nelle Lettere, e nella Erudizione: Osservò l’Interdetto contro de’ Veneziani, e perché niuno celebrasse in quella sua Chiesa sforzato da Magistrati appianò tutti gli Altari. Fu affabile, grazioso, e per la soavità de’ costumi, e per la generosità dell’animo a tutti carissimo, per li meriti della virtù, che in lui veramente risplendé commendevolissima, fu ammesso alla cospicua Cittadinanza di Venezia con Privilegi, e Grazie, ove morì l’Anno 1637 con sommo rincrescimento di ognuno, e comecché tutti l’amavano, tutti il compiansero. Ex pagell. Archiv. D. Petri Monfort. Mediol.
D. MAURIZIO DE DOMIS Milanese celebre Oratore, evangelizò con abbondante frutto di spirito ne’ Pulpiti di Lodi, Salò, ed altre illustri Città, Professore di Sacra Teologia nelle Cattedre di Milano, e di Venezia, erudì nelle Sacre, e Scolastiche Dottrine più Uditori, distintamente ne’ Seminari Veneti, Patriarcale, e Ducale, quali smembrati dalla nostro educazione ci furono restituiti per la di lui opera, ed efficace sollerzia. Tre volte Proposto Generale della Congregazione Somasca, e della Cristiana Dottrina in Francia nel 1613, 1622, 1625 per un novennio governolla con applauso comune per la sua prudenza, e saviezza dimostrata nella condotta de’ suoi Reggimenti; compose nel suo Generalato, e divulgò tanto in Latino, quanto in Italiano un Libro di Costituzioni appartenenti a’ Nuovi della Congregazione tanto di prima, quanto di secondo Noviziato, e furono approvate da URBANO VIII. Promosse il culto della Vergine sotto il titolo di Loreto in Genova nella Chiesa della Maddalena, il culto de’ SS. Angeli fu da lui amplificato presso di Noi, e la venerazione della Eucaristia con prescritte Esposizioni in ogni settimana, e Quaresima nella Chiesa di San Maiolo in Pavia accresciuta, disappassionato a tutto ciò, che vi era caduco nel Mondo si spogliò di ciò, che avea in se di mortale nell’Anno sessagesimo di sua età in Milano nel pio luogo di san Martino correndo l’Anno 1636, di lui fan menzione con lode l’Ateneo Milanese, il Crescenzio nel suo Presidio Rom. Lib. 2.
D. ALESSANDRO BOCCOLO Cremonese versatissimo nella Teologia positiva, peritissimo de’ Sacri Canoni, e papali Costituzioni, fu Uomo di tal gravità, e di tal esteriore composizione di corpo, che chi lo vedea, o lo pratticava su erudiva alla modestia, e si accenda alla pietà; onde si ha per tradizione, che in Bologna certo giovane chiamato Antonio Martini incontratosi con il Padre BOCCOLO, tocco nel suo interno dalla di lui religiosa aggiustatezza di procedura, si innamorò della Congregazione Somasca, ed ascrittovi divenne un ottimo Sacerdote. Generale creato nel 1616 accettò l’incorporamento della Congregazione della Dottrina Cristiana in Franza con quella di Somasca, e da PAOLO V ne fu spedita, ed approvata l’unione per una sua Costituzione, che è in ordine l’ottava; onde d’allora in avvante fu il capo de’ Cherici Regolari Somaschi nomato Proposto Generale della Congregazione Somasca, e della Dottrina Cristiana in Franza. Dopo questa unione andò Generale a visitare i Collegi di Franza, e prima diede alla luce in Brescia nel 1618 un Compendio de’ nostri Privilegi, Grazie, Indulti con annotazioni fondate sulle Dottrine de’ Teologi, ed autorità de’ Dottori, il di cui titolo è tale: Compendium Privilegiorum et Congregationis Somaschae, et Dottrinae Christianae in Gallia. De eo Syllab. meus lit. A.
D. VITTORIO DELLIO Vicentino Sacerdote della Congregazione Somasca per la erudizione, e per la bontà singolare della sua vita ornatissimo, menò una vita, che fu un continuo esercizio di divozione, e di mortificazione: quando stracco dal peso continuato delle fatiche, e dal corso non interrotto de’ suoi spirituali esercizi si riducea a dormire, il suo letto erano o poche paglie, e nude tavole, e perché niuno si avedesse della sua afflittissima quiete, e del suo mortificato riposo, sul buon mattino rizzatosi aggiustava secondo il nostro uso il suo letto, componendolo con lenzuoli, matarazzi, e coperte, onde ognuno si persuadesse aver egli presi i suoi sonni con l'agiatezza, e comodità ordinaria nel letto. Per lui le notti erano brievi, avvegnacché sorgea dalle sue paglie, o dalle sue nude tavole assai prima del giorno, e genuflesso recitando Salmi di penitenza, ora si disciplinava con funi, ora si flagellava con catenelle fino all’effusione del sangue; non mangiò mai carni nel decorso intero della sua vita; non vestì, dimorando ne’ Verni di Lombardia le sue gambe di alcun coperto, contento delle sole scarpe nel piede, tre giorni in ogni settimana si nodriva di solo pane, ed acqua sola: Oltre la consueta meditazione, che tra Noi è d’obbligazione spendeane altre tre ore di ciascun giorno in orare, e nelle sue orazioni ora fu veduto a piangere, ora tremante, ora rapito. Tutti gli Autunni solea passarli nell’Eremo di Somasca, ove bene spesso tutta la notte, e tutto il giorno misurava colla continuazione delle meditazioni, orazioni, e penitenze: Furono tali le asprezze, che usava col suo corpo, e tali li patimenti, che volentieri incontrava per mortificarlo, che sovente lo ridussero agli ultimi languori, e mortali sfinimenti, onde il Padre Generale MAURIZIO DE DOMIS comandogliene con precetto formale la moderazione. Valsero molto gli suoi Esorcismi sopra i Demoni, ed in Pavia liberò una femmina ossessa tosto, che fugli presente. Finalmente stanziato in Salò più dalle mortificazioni della sua vita, che dalla violenza della sua infermità riposò nel Signore correndo l’Anno 1624 li 27 del mese di Ottobre in età d’anni 33. Ex pagel. Archiv. Sancti Petri Montisf. Mediol., la di lui Immagine è ornata della seguente Epigrafe:
P. D. VICTORIUS DELIUS VICENTINUS,
OMNES ASSECUTUS LEPORES
AD COELESTEM
SE CONTULIT PHILOSOPHIAM,
AN INGLORIUS
SANGUINE, ET LACRIMIS IRRIGAVERIT
LAUROS
DUBITATIS?
AGNOMEN, ET NOMEN AGNOSCITE:
IN UTROQUE SEMPER
V I C T O R I U S
D. ROCCO REDI Comasco entrato nella Religione di Somasca l’Anno 1577 fu zelantissimo custode in se colla prattica, e negli altri coll’esempio dell’osservanza dell’Istituto nella educazione de’ poveri derelitti, o sieno de’ fanciulli privi de’ Genitori. Fatto Vocale de’ generali Comizi per merito, lo rinonciò per umiltà, nella assistenza degli ammalati tutto occupato, più notti contavale senza dormire, nelle settimane erano più i giorni, che digiunava, e meno, che le discipline con cui si lacerava. Avea in uso ogni volta, che usciva dalla mensa raccogliersi in Coro a meditare per un mezzo d’ora, e similmente uscito dal Coro passare alla Camera a leggere Libri di spirito senza intermettersi se non obbligato a qualche obbedienza Chiostrale: Dotato di lume celeste conoscea i macchiati da colpa, e con istanze, e con prieghi, ed alcune volte con aspre riprensioni gl’induceva ad entrare nella Probatica della penitenza; stando Collegiale nel Sobborgo di Genova nella Casa di San Spirito, si fermava industriosamente su l’uscio di quella Chiesa, ed invitava chiunque entrava alla Confessione, e non permise giammai, che uscisser coloro inconfessi, quali imbrattati da colpe scoperti avea per superiore cognizione bisognosi del Sacramento. Era tanta, e tale la fervorosa brama, che Ei avea di veder rimessi in grazia del Signore i Peccatori, che nel giorno festivo di San FERANDO concorrendo ogni anno numeroso Popolo a detta Chiesa per farsi segnare, e benedire con la insigne Reliquia di quel Santo, che è un braccio ivi custodito, e venerato, ricusò sempre di segnare, e benedire veruno prima, che confessato si fosse, onde ascoltando pazientemente tutti, ed assolvendoli, con indefessa fatica li benediceva colla Reliquia adorata. Esorcista ammirevole, e fruttuoso fu perseguitato da’ Demoni con tal furore, che non contenti di mordere il suo zelo, le sue sant’opere, spesse volte l’hanno sensibilmente affrontato, e battuto. In Venezia sostenendo le parti della Chiesa, e della Autorità Pontificia a favore dell’Interdetto fulminato da PAOLO V contro della repubblica incontrò vari disagi, e fu con villanie posto tra ferri, se non che giunta all’orecchie del zelante Pontefice la fama della di lui santità, e fervore appostolico, aggiustate, e composte le cose, fu dal medesimo onorato, e graduato col decoroso posto di suo Penitenziero in quelle parti con ampia facoltà di rilassare, ed assolvere chiunque da qualsisia Sentenza, e Censura Ecclesiastica senza limitazione di luogo, di tempo, e di persone: Morendo, nell’atto stesso, che spirò, segnò col deto una Immagine del Crocefisso appesa alla sua Camera, e tosto spirato comparve in candida veste ad un Vecchio per nome Giambattista Pilceo, che non avea ancora intesa la di lui morte, ed interrogollo se volea qualche cosa dal Paradiso. Fu sepolto nella Chiesa di San Spirito in Genova l’Anno 1635. Archiv. Mediol. Sancti Petri Monfort.
D. AGOSTINO TORTORA Ferrarese fioritissimo in ogni genere di sapere, famosissimo Predicatore, profondissimo teologo; Nelle Catedrali di Brescia, di Vicenza, di Alessandria, promosse il culto degli Angeli Custodi, e particolarmente in Genova nel Collegio di santo Spirito nel Sobborgo, ove fece erigere un vago Oratorio, con la indizione di una pubblica Processione, e con la composizione dell’Uffizio al di loro onore. Predicando in Vicenza nella Quaresima si unì all’applauso la venerazione del suo Zelo Appostolico acclamato dagli stessi nostri malevoli,, che ascoltandolo ripeteano: Numquam audivimus Hominem talia loquentem. Ecclesiaste in Salò era onorato da Santo, toccandogli altri per divozione le Vesti, altri strappandogliene de’ pezzettini d’indosso per Reliquia, a cui l’umile Sacerdote dicea, e ridicea: Nolite me tangere, neque Vestes abscindere, quia Homo peccator sum. Fu eletto Proposto Generale de’ Somaschi, e della Dottrina Cristiana in Franza nel 1619, e scrisse, oltre un altro Opuscolo: De fiducia in Deum, la Storia in Lingua latina del venerabile Servo di Dio GIROLAMO MIANI con uno stile così elegante, e sentimentoso, che per certo non ha, che invidiare alla elocuzione de’ più antichi Oratori. Morì prima di compiere il suo generalato in Salò l’Anno 1621 nel mese di Novembre con fama di santità. Dominic. Blanc. In cit. Opusc. Vulgo Giardinetto, quod asservat. in Tabul. Monfort. Sancti Petri Mediolani.
D. PIETRO PAZMANI UNGARO DI VARADINO passati vari anni nella Compagnia di Gesù, vestì poi l’Abito de’ Somaschi per concessione di PAOLO V, indi senza l’interstizio di un’Anno per Pontifizio Indulto professò: Fu grande la festa, in cui si pose la Congregazione per l’acquisto di sì grande Uomo sottile Teologo, profondo Dommatico, ed eccellente Oratore; ma fu maggiore il cordoglio in vederselo tosto rapire, quando MATTIA AUGUSTO IMPERADORE per provvedere l’Ungaria di un valevole sostegno alla Fede Cattolica vacillante in quel Regno lo chiese al suddetto Pontefice per Arcivescovo di Strigonia. Fatto Arcivescovo operò molto col senno, e con la mano alla santificazione dell’Ungaria, ed alo stabilimento della Religione in quelle Provincie. URBANO VIII nell’Anno 1629 li 19 di Novembre lo vestì della Porpora Cardinalizia alle preghiere dell’IMPERADORE FERDINANDO Secondo, li gran Volumi dati alle Stampe eternano il suo nome, passò in Possonia a miglior vita nel 1637 li 19 del mese di Marzo, di età d’Anni 67. Crescentius in suo Praesid. Roman. Lib. 2 narrat. I num 24, item narrat. 2 num. 24 ubi memorat eius transitum ad Somaschos, de quo extat Auhog. in Arch. Proc. Gener. Romae.
D. PIETRO PORRO nobile COMASCO camminò le vie del Signore con passi di Gigante alla religiosa perfezione, per cui comprendere basta dire essere stato Novizio di quel gran Maestro di spirito il Venerabile Padre EVANGELISTA DORATI CREMONESE. Resse per più anni, cioè dal 1614 fino al 1627 il Collegio di san Geroldo in Cremona, alla Chiesa di cui fece molti vantaggi, ed al Collegio accrebbe molti proventi. Fu eletto Proposto generale nel 1628 ed a lui li Sacerdoti Sebbastiano Scoglia, e Stefano Agnesio dedicarono la Vita del venerabile GIROLAMO MIANI Fondatore scritta dal Padre Agostino Tortora, e fu ben giusto, che fosse vindice, e difensore delle di lui gloriose gesta chi era costituito nel di lui Istituto Vicario della sua autorità per la emulazione della virtù. Non compiè la triennale sua Prelatura morendo nel 1630, testimoniandoci per avventura la di lui morte l’ulteriore suo vivere in Terra, ingiurioso al merito della sua pietà, ed al premio dovuto alle sue vittorie in Cielo. Dopo il suo transito in veste bianca accompagnato da vari Religiosi somigliantemente coperti, e vestiti comparve al Venerabile Padre ROCCO REDI di Como memorabile per la santità della vita tra Noi, che gravemente infermo giacea nel letto, e dopo non brieve discorso con esso lui delle cose celesti disparve, lasciando il Redi sereno nel volto, e tutto giulivo nel Cuore. Fu sepolto nella Chiesa di santa Lucia in Cremona con decoroso Funerale. Vid. Att. Colleg. D. Luciae, et D. Geroldi.
D. TOMMASO MALLONO nobile Vicentino dal venerabile EVANGELISTA DORATI Proposto Generale, fu ammesso alla Religione Somasca nel 1593, poiché fu Lettore dell’Oratoria in Roma, di Filosofia in Pavia, di Teologia in Milano, propose dalla Catedra di Genova, ove insegnò la Sacra Scolastica, mille Teoremi teologici da discutersi, e propugnarsi in campo aperto per un triduo nella Chiesa della Maddalena col titolo: Mille Olypei pendent ex ea omnis armatura fortium. In vari Collegi, e li più cospicui sostenne la Carica del Preposto, e in Venezia, in Milano, in Vercelli, in Alessandria, ed in Lugano fu udito a predicare con grido. Consultore in più Sacre Congregazioni di Roma, fu fatto salire nel 1628 sulla sedia Vescovile di Sebenico da URBANO VIII, che fattolo esaminare alla sua presenza in ogni genere di Scienza uscì in questo encomio co’ Cardinali, e Prelati, che lo avevano esaminato: Utinam ubique tales Episcopos haberemus. Fu consagrato Vescovo nella Cappella Pontifizia dal Cardinale di Sant’Onofrio ANTONIO BARBERINI, e dopo sei mesi circa, cioè nel 1634 fu traslato dal medesimo Pontefice alla Chiesa di Belluno. Morì nell’anno 1649 li 11 del mese di Febbraio degnissimo di vita più lunga a benefizio de’ suoi Diecesani. Ughel. Ital. Sac.
D. LUIGI MARCELLO patrizio veneziano dalla Prepositura della Casa professa di Venezia fu assonto nell’anno 1635 da URBANO VIII al Vescovado di Sebenico, e per anni tredici maneggiò quel Sacro Pastorale con tutto l’applauso della sua Republica, e con insigne contentezza della Religione Cattolica. Corse nel 1647 un tempo molto molesto a’ Veneziani invasi da’ Turchi nella parti limitrofe della Dalmazia, Sebenico capitale della sua Diocese fu assediata così ferocemente, che non avea speranza di scampo, pieno di fede, di coraggio, e di fortezza il buon Pastore per onore di Dio, e difesa del suo Ovile con una Truppa de’ più zelanti, che lo seguirono, Duce, e Padre con doppia spada della pietà, e della fortezza inalberato il Crocefisso andò incontro agli Infedeli, li sbaragliò gli intimorì, li pose in fuga. Questo cristiano, e pastorale coraggio giunto al Trono di Innocenzo X in premio del suo valore lo trasferì alla Chiesa più pingue di Pola nell’Istria l’anno 1648 e vi sedé altri anni tredici, nel fine de’ quali portatosi in Roma, ad Limina, ivi nell’Anno 1661 li 17 del mese di Luglio lasciò la spoglia mortale in età d’anni 65 e su sepolto nella Chiesa di santa Maria detta sub marmoreo lapide, Mere. In suo Diction. Histor. Lit. A, che rapporta l’Epitafio posto al di lui Sepolcro vdlt.
D. O. M.
ALIYSIO MARCELLO E CONG. SOMASCA
AD EPISCOPAT. SIBENICENS.
DEINDE POLENSEM ASSUMPTO
VIRO FIDEI PROPAGANDAE
ARDORE, INNOCENTIA, ET FORTITUDINE
ANIMI PRAECLARISSIMO,
QUI AN. 1647 IN SIBENICENSI OBSIDIONE PASTORIS PARTES, ET DUCIS
PIE SIMUL, ET FORTITER EXPLEVIT,
ROMAE
DUM SACRA LIMINA VENERARETUR
EXTINCTO AN. SALUTIS 1661
AETATIS VERO 65
FRANCISCUS BARTIROMA
VICENTINUS
ARCHIDIACONUS POLENSIS,
EJUSQUE
VICARIUS GENERALIS
POSUIT.
D. DESIDERIO CORNALBA Lodigiano Sogetto di vastissima erudizione i di cui giorni si contarono sempre pieni di merito, e di studio, fu spedito dal Padre Generale Tortora, a Tortona per piantarvi i fondamenti di un nuovo Collegio, che con le sue industrie, collette, e limosine si ridusse alla perfezione: colla scala de’ meriti salì a’ posti onorifici nella Congregazione, e finalmente al più sublime di Proposto Generale di Somasca, e della Dottrina Cristiana in Franza per lo spazio di un sessennio dal 1632 in avvante, nella qual dignità come fu profittevole a se con l’uso della modestia, della innocenza, e della pietà, altrettanto agli altri con il consiglio, con l’esempio, e con la vigilanza. Ex adnotation. P. Semen. In Archiv. S. Petri Monfort. Mediol.
D. COSTANTINO DE ROSSI di Salamino in Cipro da’ primi anni entrato nella Congregazione gradatamente per mezzo di indefesse fatiche fu sommamente scienziato, di spirito Appostolico adorno, più. e più volte predicò nell’intero corso delle Quaresime, così acre ne’ vizi, che mai sedotto dalla prudenza della carne, e dalle umane ragioni, persisté sempre nello zelo di Dio, e nella coltura delle cristiane osservanze; l’anno antecedente al contaggio di Milano, che fu il 1630, salì il pulpito di quella Metropolitana nel Quaresimale digiuno, e vi predicò con tale facondia, e con tal garbo d’azione, che il cardinale Arcivescovo FEDERIGO BORROMEO ne concepì tanto diletto in udirlo, e tanta ammirazione che pubblicamente protestò di non avere giammai ascoltato un Oratore e più facondo, e più fervoroso e neppure un più erudito nelle Sacre Scritture, del Padre Costantino. Questo è quel gran Cardinale BORROMEO nipote di San Carlo, che fatta fabbricare la Biblioteca Ambrosiana ornandola di alcuni Fondatori Santi, tra questi diede luogo al Ritratto del Venerabile GIROLAMO MIANI col titolo di BEATO. L’onorevol fama pertanto del Padre Costantino divulgatasi per l’Italia arrivò alla Sede Apostolica, e nell’Anno 1634 fu creato Vescovo del Zante, e Cefalonia da URBANO VIII, e dopo cinque anni dal medesimo Pontefice fu traslato alla Chies apiù opulenta di Veglia. Crescent. in Praesid. Rom. Lib.2
D. FRANCESCO TONTOLO SIPONTINO Consultore, e Qualificatore dell’universale Sacra Inquisizione Romana, Censore de’ Libri nella Sacra Congregazione dell’Indice; Teologo fu nel sapere, e nella Dottrina a niuno secondo. URBANO VIII, riconoscendolo degno della Pontifizia liberalità lo fece ordinare Vescovo d’Ischia nel giorno 15 di Gennaio del 1638, e da questo grado confermò incontanente le Sinodali Costituzioni del suo Predecessore, con l’aggionta di molti, e nuovi provvedimenti. Governò quella Diocese per lo spazio di venticinque anni, e nel 1663 passò a miglior vita ritrovandosi in Napoli per un colpo d’appoplesia. Fu sepolto nella nostra Chiesa de’ SS. Demetrio e Bonifacio lasciando un’invidiabile ricordanza di se nel cuore d’ognuno. Ughell. Ital. Sacra.
D. PAOLO MARIA SPINOLA Nobile Genovese professò i voti solenni nella Religione sotto il 1636, riuscì Predicatore esimio, Professore de’ Sacri Canoni, Teologo eletto dal Cardinale DONGHI. Commessigli vari affari tra la Corte di Roma, e quella di Spagna vertenti, li ridusse alla prosperità con tale destrezza, e circospezione di maneggio, che non solo Roma ebbe ad ammirare la sua condotta, ma ben anco la Spagna a premiare la sua virtù, ed a commendare la sua grandezza. Se non che amplificandosi di giorno in giorno la fama delle sue riguardevoli prerogative, non volle neppure il Papa ALESSANDRO VII lasciar impremiato il merito di Sogetto così accreditato, lo elesse però Vescovo di Sagona, o sia d’Aleria in Corsica, e fu consagrato nel mese di Dicembre dell’Anno 1657, Sedé in quella Sedia Vescovile mesi otto, e morì in Genova nel mese d’Agosto del 1658, alla cui Immagine si legge apposta questa seguente Iscrizione:
P. D. PAULUS MARIA SPINULA GENUENSIS,
MORUM CANDORE VERIUS,
QUAM ORIS ANGELUS,
MATURITATE SUPRA AETATEM,
INNOCENTIA SUPRA FIDEM PRAEDITUS,
SAGONENSIS ECCLESIAE SEDEM OBTINUIT
SED FOELICITATIS, QUAM SPONDERAT
PASTORIS VIRTUS OVIBUS,
PRAEPOPERA MORS AERAM INTERCIDIT.
De eo meminit Laur. Longus in Nomenclatura Hierarchiae Ecclesiasticae pag. 26, item in Summ. Tabul. Theolog. Pag. 745 et ego in Sillab. Meo M:S: lit. P.
D. VITTORE CAPELLO nobile Veneziano dalla rarità de’ suoi talenti lodatissimo professò nell’Anno 1607 dal qual Anno fino al 1633 fu esercitato nelle Scuole Professore delle Scienze, e nelle Cariche Procuratore Generale, e Generale Vicario della Congregazione Somasca, riverberò in Roma agli occhi di Papa URBANO VIII la luce del di lui merito, e della di lui virtù, e tosto fu fatto Vescovo di Famagosta sul suddetto Anno 1633, indefesso nel serviggio della sua Chiesa, illustrato dalla vampe sempre ardenti della sua carità verso Dio, e verso i Poveri della Diocesi per conseguire la mercede delle sue esemplarissime operazioni volò al Cielo nel 1648 di età di Anni 60, alla di cui Immagine si legge la seguente Iscrizione:
D. O . M.
P. D. VICTOR CAPELLUS
PATRITIUS VENETUS,
MAGNIS INTER NOS, LABORIBUS,
ET HONORIBUS FUNCTUS,
EX PROCURATORE GENERALI
AD SALAMINIS ECCLESIAM
EPISCOPUS ASSUMITUR,
SUI SEMPER VICTOR
TANTI MENSURAM NOMINIS IMPLET.
D. GABRIELE BROCCHIO di Casale in Monferrato Fratello di quel divotissimo Uomo Padre D. BARTOLOMMEO, che anch’esso nella Congregazione visse da santo, e morì da santo, fu un angelo di purità, un martire di penitenze, e mortificazioni, e per l’abiezione di se medesimo il primogenito della umiltà. Tuttocché Superiore non v’avea e dentro, e fuori del chiostro cosa di più abietto, di più vile, di più umile, che Ei non bramasse di fare, e non facesse, lavare i vasi, purgare dalle immondezze gli Orfani, servire di garzone a’ Maestri di muro, impastare il pane co’ prestinari, rappezzare i dimestici, spazzare le officine, caricarsi di legna a servizio della cucina, era tutto in conto delle sue delizie, dopo più ore spese del giorno in contemplazioni, discipline, e lezioni di Spirito. Più volte a piene voci unite alle più strepitose del segnalato suo merito fu nominato alla dignità di Generale, ed altrettante volte la ricusò con singolare dispiacere degli elettori, e di quando in quando sforzato dalla ubbidienza a sottomettersi alla reggenza locale di qualche Collegio, o Luogo pio, non si può esprimere come indefessamente abbia travagliato sollerte agricoltore nella vigna del Signore. In Vercelli, ove si ritrovava Rettore de’ poveri orfanelli sostenne l’ultima sua malattia per cinquanta giorni di letto con tale pazienza, e serenità d’animo come se tra le delizie fosse stato agiato il suo corpo; avvicinandosi il tempo del suo passaggio al cielo, premonì gli astanti a ricordargli nelle sue agonie di MARIA, avendo nudrito sempre un tenerissimo amore verso di Lei, e finalmente ricchissimo di operazioni degnissime del Paradiso, chiuse i suoi giorni in quel luogo pio non senza odore di santità l’anno 1618. Suo fratello il Padre D. Bartolomeo, che risiedeva in Somasca, ritrovandosi in Coro con gli altri religiosi a meditare per un mezzo d’ora secondo l’uso, quasi risvegliato dal sonno con voce flebile, e dolente, battendo una mano con l’altra lor disse: Fili, orate Psalmum Deprofundis, Pater D. Gabriel Frater meus Vercellis, nunc, nunc mortuus est, commendemus eum Deo. Dopo tre giorni giunsero colà da Vercelli le lettere circolari d’avviso, e significavano esser morto in tal ora, che fu quella stessa, nella quale aveali anticipatamente preavvisati il Padre D. Bartolomeo della morte di suo Fratello. De eo Crescent. lib 2 Praesid. Rom. Archiv. Mediol. D. Petri Monfort.
D. GIACOMO CANEPA genovese professò l’Istituto di Somasca sin dall’anno 1585 addì 25 di novembre potea dirsi un cristiano Diogene spregiatore del mondo, avendo spreggiata ogni cosa del mondo. Fu senza fasto, sebbene non fu senza scienza. In Roma fu lettore di Filosofia, ed altrove Predicatore evangelizzando senza frasi, senza ornamenti, senza eleganza di stile il nudo Crocifisso Signore. Maestro de’ Novizi in Somasca ricordevole del conseglio vangelico, Vade, et recumbe in novissimo loco alla mensa sedea ne’ banchi de’ Novizi, e giammai in quelli de’ Sacerdoti, anzi Vocale, e Seniore adossossi il peso di leggere alle refezioni de’ Religiosi tanto alla sera, quanto al mezzodì; in verun tempo volle essere superiore, tuttocché fosse stimolato ad esserlo; i suoi viaggi erano confortati talvolta da pigro Asinello, di cui per lo più si serviva per il solo trasporto de’ suoi libri. Con singolar divozione celebrava all’altare, e con tanta veemenza d’affetto, e di venerazione, che sembrava estatico nel celebrare. Per dono speciale, e celeste scopriva l’interno de’ cuori, e rivelava a tutti i lor moti, i loro pensieri, le loro affezioni, quali avrebbono voluto affatto nascose. A lui erano carissime quelle vesti, che erano più lacere, si copriva di quelle, che altri già aveano dismesse, né mai in tutto il corso della sua vita vestinne una nuova. Macerava frequentemente il suo corpo con digiuni, cilici, e fatiche anche coloniche; prontissimo alla cura degli orfani, al servizio de’ poveri, godeva d’essere deriso, vilipeso, ed ingiuriato, e provocava contra se gl’insulti e le beffe con detti studiati da folle, e con atti, e gesti da scimonito. Non ebbe alcuna passione per i suoi congiunti, ripetendo frequentemente inglorium religioso esse si parentes amaret. Con tali, e somiglianti altri atti di mortificazione, di abbassamento, di cristiana perfezione depose la spoglia mortale in Somasca, e passò all’eterna felicità avendo riempiuta la Congregazione di santissima edificazione. Ex Archiv. Mediol. Sancti Petri Monfort
D. GIAMPIERO GARDONE della Riviera di Salò, nato l’anno 1575 ammesso che fu nella Congregazione fiorì in ogni genere di virtù, ma nell’umiltà, e nella penitenza fu ammirevole, quanto compassionevole verso il prossimo, altrettanto crudele contro se stesso, tormentandosi co’ cilici, e disciplinandosi con catene. Le notti passava sopra nudo terreno, o sopra paglie, li giorni in digiuni, ed orazioni ripetendo corpus meum rebellans castigo, et in servitium redigo. Assiduo nel confessare istruiva, e spingea all’acquisto della santità chi che sia con le orazioni, coll’esercizio delle opere pie, e con gli esempi, e sovente puniva in se i peccati, che ascoltava. Nell’anno 1625, di età d’anni 50 compì il corso di questa vita mortale alli 18 del mese di Dicembre in Milano, nel qual giorno la beatissima Vergine visibilmente gli apparve per tre volte a consolarlo nel suo transito, testificando nello stesso tempo la di lui purità di mente, e di corpo, e dandogli una ferma caparra della di lui eterna salute. Ex Archiv. D. Petri in Monfort. Mediol.
D. PAOLO CARRARA veneziano, alla cui gran lode basterebbe il solo suo nome, fu veramente un uomo singolare nella letteratura chiamato sovente or Enciclopedia delle scienze, or Divoratore de’ libri, or Diario della erudizione, fu in tal venerazione presso la Repubblica di Venezia, ed in tal credito, che nulla mancò fin che visse alla sua Congregazione dalla liberalità di quel Principe, e dalla generosità di que’ Patrizi, che emulavano nell’acclamarlo, e nel compiacerlo. Felicissima per certo rese la Congregazione, al cui bene impegnò ben anche le stesse sue ceneri dopo morte essendosi acquistata dalla Religione Somasca la Basilica di Santa Maria della Salute per pubblico decreto del Senato in Venezia a contemplazione dei di lui gran meriti, e per opera delle di lui industrie usate in mentre vivea. Nell’anno 1638 fu Proposto Generale dlela Congregazione Somasca e della Dottrina Cristiana in Franza, ed essendo stato alzato per altre due volte al medesimo grado, cioè nel 1650, e nel 1656 ha fatto provare per ben tre volte felice, e profittevole la sua reggenza a’ soggetti. Scrisse molto, operò molto, insegnò molto con una continuata prosperità di successi, onde fu detto, che pochi furon più saggi di lui, niuno più fortunato di lui, tra le altre sue composizioni ci assicura il Crescenzio nel suo Presid. Rom. Li 2 aver dati alla luce i Comentari in Tobiam Morì in Venezia circa l’anno 1664.
D. AMBROGIO VARESE milanese collegò in se sì fortemente le doti dell’ingegno, della destrezza, e della autorità, che era chiamato il Miracolo de’ Lombardi. Al tempo prescritto adunati i Comizi generali nel 1641, concordarono sì felicemente gl’Italiani, e Franzesi, che senza induggio lo acclamarono in Preposito Generale della Congregazione Somasca, e della Dottrina Cristiana in Franza. Fu sì prudente il suo Governo, così zelante la sua reggenza, che dopo sei anni, cioè nel 1647 fu per la seconda volta fatto salire al medesimo grado con pari acclamazione, ed applauso degli Elettori, se non che appena entrò nel supremo magistrato del Chiostro, che ne uscì rapitovi dalla morte con un colpo d’appoplesia insegnandoci, che sopra la terra è caduco ciò, che risplende, e che brevissime sono in noi le consolazioni. Vide pagell. In Archiv. Sancti Petri Monfort. Mediolani.
D. AGOSTINO SOCIO da Salò fu Proposto Generale della Congregazione di Somasca, e della Dottrina Cristiana in Franza nell’anno 1644. Nel suo generalato con Breve di Innocenzo X sotto l’anno 1646 si disciolse questa unione de’ Somaschi con li Dottrinari di Franza, all’istanza de’ Franzesi forse per suggerimento della loro naturale volubilità, forse per impulso di ambizione vedendosi esclusi costantemente dal generalato per il corso di lustri sei dall’unione seguita sotto Paolo V, l’anno 1616. Partirono concordemente i Franzesi da Italia, gl’Italiani da Franza, e ciascheduno si restituì al nazionale suo chiostro. Fu uomo compiacente, amante della pace; il di lui governo non fu molto tranquillo, non lasciò però d’essere intrepido nelle borasche, e tra le molestie nello dismembramento de’ Dottrinari non perdé giammai la tranquillità del suo animo raddoppiando il suo zelo nel promuovere le regolari osservanze del Coro, degli studi, e delle meditazioni nella nostra Congregazione.
D. GIACOMO ANTONIO VALTORTA milanese. Uomo così guardingo nel suo parlare, così circospetto nel suo risolvere, così regolato nel suo operare, che Figlio della prudenza medesima detto sarebbesi. Più fiate Proposto locale in san Pietro di Monforto in Milano ampliò quel collegio con doppia edificazione, non avendo permesso corresse un momento de’ suoi governi, che non fosse o beneficio alla morale, o vantaggioso alle facoltà, ripetendo frequentemente: Superior presit, et prosit. Di grado in grado salì al supremo della Congregazione, e fu Proposto Generale del 1648. Carica, ch’Ei esercitò con quanto merito nel conseguirla con altrettanto applauso nel sostenerla. Avvanzato d’anni morì in Milano nell’anno 1668 li 19 di Novembre.
D. AGOSTINO UBALDINO senese, la di cui nobiltà non fu inferiore alla chiarezza della sua mente. Professore in Roma delle Sacre Dottrine fu sottile all’applauso, ed erudito alla maraviglia; li Cardinali unendosi con le loro alle acclamazioni communi lo dichiararon più volte nelle pubbliche virtuose comparse degno di porpora con posarvi frequenti la loro beretta cardinalizia sul capo. Il Papa Innocenzo X facea leggi di pubblico regolamento le di lui private consultazioni, ed a lui mandava per il conseglio nelle cause, e controversie le più spinose, che si agitavano nel sacro foro. Lo pubblicò Arcivescovo d’Avignone nell’anno 1648 sebbene non salì su quella Sedia così decorosa morto pochi giorni dopo, dalla sua pubblicazione con sommo rincrescimento del santo Pontefice, che lo avea promosso. Crescent. in Praesid. Rom. Lib. 2 num. 24.
D. AGOSTINO GUAZZONI di famiglia illustre di Lodi, che al secolo chiamossi Baldassare, sogetto di gran merito, e di singolari qualità, negli affari accorto, e prosperoso, fu Ambasciadore della Corona di Spagna nelle rotture coll’Imperio presso il Serenissimo di Mantova. Nel ministero accoppiò sagacità, e sollerzia, fedeltà e destrezza, felicissimo ne’ successi, riuscendogli la speranza del cimento sempre inferiore alla gloria della riuscita, e quel, ch’è più notevole, fra l’orrore dell’armi, tra gli affari militari non iscolorì in un punto la chiarezza delle costumata sua vita, né alterò in verun modo il tenore della sua religiosa composizione. Per rammentare tutto in brieve soggiungo ciò, che sillabicamente ho trascritto da un manoscritto antico, che conservasi dal nobilissimo uomo D. Luigi Silva patrizio Lodigiano, e poeta eruditissimo: Balthassar Filius Jacobi Antonii Congregationis Regularis Somaschensis vocatus P. D. Augustinus, votis solemni professione Genuae susceptis, in Gallia Philosophiae, Romae Theologiae operam dedit: Brixiae deinde Rethoricam publice docuit, tum Papiae Philosophiam, Mediolani Theologiam cum praecellentis ingenii laude est interpretatus; Sancti Petri in Monforto Mediolani cum Praepositi titulo regimini destinatus. Comitiorum generalium electus est in Vocalem; deinde Cremonam missus insigni collegio Sanctae Luciae praeficitur, ubi inter primarios religionis moderatores adnumeratus est. In ea civitate, et integritatis et doctrinae singulari opinione collecta, sanctae Inquisitionis consultor renuntiatur. Vir omnium scientiarum genere insignis, multarum linguarum instructus, cuius agendi dexsteritate et virtutum fama ductus Marchio Aloisius Ranavidius Mediolani gubernator, dignum existimavit, quem pro catholica maiestate apud serenissimum Mantuae ducem oratorem destinaret.
Morì in Casale di Monferrato in età d’anni 63, nel sessantesimo nono del decimo sesto secolo, e fu sepolto nella catedrale sopra sontuoso catafalco allumato splendidamente, con concorso numeroso di Militari, di Nobili, e di Ecclesiastici, frapposto nella gran Messa un facondissimo Panegirico sopra le di lui lodi, e virtù, e con tal pompa furono cantate le Esequie, che maggiore per certo non sarebbero state, se al monarca delle Spagne, di cui era Ambasciatore celebrati si fossero i funerali. Ex regestis Defunct. Eccles. Cathedr. Casalensis sub an. 1669 in cui resta succintamente notato quanto segue:
REVERENDISSIMUS PATER
D. AUGUSTINUS GUAZZONUS
NOBILIS CIVIS LAUDENDIS,
SACERDOS RELIGIONIS COLLEGII SOMASCH.
PRAEFECTUS,
AC PRO REGIA MAJESTATE CATHOLICA
RESIDENS
IN HAC URBE CASALI,
QUI VIXIT
AD HISPANIORUM DESIDERIUM PARUM,
AD RES GESTAS SATIS,
AD BONORUM OPERUM MEMORIAM SEMPER,
ANNORUM 63
APOPLEXIAE MORBO CORREPTUS
TANDEM MORTEM OBIVIT
NONO KALENDAS FEBRUARII ANNO 1669,
CUJUS CADAVER INB CATHEDRALI
PIE, ET SPLENDIDE SEPULTUM EST,
IN CANONICORUM SEPULCRO.
D. GIROLAMO GALLIANO pavese di nobil sangue, ma nobilissimo per la sua letteratura, nelle celebre Accademia degli Affidati a niuno secondo tanto in prosa, quanto in versi, da giovane fu interprete de’ Rettorici, poi de’ Filosofi, s’applicò allo studio de’ SS. Padri, e delle Sacre Scritture, e fu predicatore di alto zelo; andò comandato dalla Superiorità Ecclesiastica a’ Svizzeri per combattere, e sterminare vari errori, che tra loro s’erano disseminati, e con gli esempli della sua morigeratissima vita, e con l’efficacia della sua dottrinale concertazione li ridusse alla conversione, e gli stabilì nei Dommi della Cattolica Religione essendo stato onorato da Roma colle testimoniali di Difensore, e Propugnatore della Fede. Servì alla santa Inquisizione di Pavia per quaranta e più anni col grado di Consultore, ed ivi furono insigni le prove del suo zelo, e della sua dottrina. Per ben tre volte i Comizi generali, cioè nel 1653, 1659, 1668, lo costituirono Preposito di tutta la Congregazione, quale governò tenacissimo della regolare osservanza per nove anni interpollatamente indefesso nelle fatiche, e pronto alle operazioni, ed all’impegni. Nel secondo triennio del suo generalato, cioè nel 16661, su supplicato, senza suo piacere al Papa Alessandro VII, perché la Congregazione di Somasca si dividesse in Provincie, indi spettassero a ciascheduna di esse ordinatamente per un triennio le cariche di Preposito generale, di Vicario generale, e di Procuratore generale, e tanto s’ottenne sotto il detto anno li 23 di Dicembre, come consta dalle Prammatiche Papali, che hanno non poco variata la polizia del nostro Governo. L’ambizione in quei tempi, e la prepotenza de’ Lombardi diedero l’impulso a quella division di Provincie, ed a questa economica distribuzione delle suddette cariche con intera soddisfazione di chi ha la voce attiva per conferirle, e la passiva per ottenerle nell’anno 1637. Uomo ornato di meriti, di onori, di autorità lasciò in Pavia nella Chiesa di san Maiolo le spoglie mortali del suo corpo dopo averla arrichita di sacri arredi, ed il collegio di nobile amplificazione.
D. ALESSANDRO CRESCENZIO della gran famiglia Crescenzia romana, che ha per così dire in retaggio le Porpore, fin da giovanetto unì nell’animo suo l’esercizio della Pietà con quel delle Lettere, vestito l’abito di Somasca profittò tanto nella virtù, e nel merito, che fu Provinciale, onorato anche prima d’altri gradi nella Religione, indi promosso da Urbano VIII a più cattedre Vescovili succedevolmente nel Regno di Napoli, fu da Innocenzo X trasferito al Vescovato di Bitonto nell’anno 1653 alli 6 del mese di Ottobre, che governò fino all’anno 1668 entro qual tempo sedé Nunzio ordinario al Serenissimo Di Savoia, indi esercitò la carica di Inquisitore per qualche tempo in Napoli. Rassegnato il Vescovato di Bitonto in mano del Papa fu da Clemente X condecorato del Patriarcato di Alessandria nell’anno 1671 ali 10 del mese di Gennaio. Finalmente sublimato alla Prefettura della Camera Appostolica fu dal detto Pontefice Clemente X medesimamente poi ascritto, ed annoverato tra Cardinali nell’anno 1675 alli 27 del mese di maggio col titolo di santa Prisca. Presedé alle città di Loreto, e Recanate per un sessennio sino all’anno 1682 travagliando unitamente per il culto di Dio, e per l’avvantaggio di quelle Chiese. Restituitosi in Roma, dopo altri sei anni di vita mortale, cioè nell’anno 1688 con quella fama di santità con cui era vivuto Vescovo in Bitonto, morì Cardinale in Roma. Egli fu figliuolo di Giambattista Crescenzio, ed Anna de’ Massimi, e nipote del rinomatissimo Cardinale Pietro Paolo Crescenzio. De eo Ughel. Ital. Sacr.
D. PIETROFRANCESCO MOJA, milanese prestantissimo Oratore nella Congregazione somasca, nello impiego di Visitatore a niuno secondo, nel zelo della disciplina regolare a tutti primo. Fu Consultore nella Santa Inquisizione di Como, Lettore in Roma di teologia, immitò l’Aquila sua gentilizia penetrando senza pena gli arcani teologici, e fissando le pupille delle sua mente nel sole delle divine verità. Alessandro VII fu mecenate degli studi suoi, e delle sapientissime sue azioni, e l’onorò colla mitra di Telese in terra di lavoro l’anno 1659, cui avendo servito sollerte pastore fino all’anno 1675 partì di questa vita con tenerissimo affetto vero il suo gregge. Ughel Ital. Sacr.
D. GIROLAMO DE ROSSI romano dopo la divisione della Congregazione Somasca in Provincie, e dopo la distribuzione del generalato per torno, ordinata e prescritta da papa Alessandro VII, alli 23 del mese di Dicembre dell’anno 1661, fu creato primo Preposito Generale per la Provincia Romana nell’anno 1662, se non ebbe molto tranquillo il governo, attese le malcontentezze, che nascono d’ordinario dalle novità introdotte ne’ reggimenti, l’ebbe assai più glorioso, avendo da Romano incontrato le contrarietà, e da Romano sofferte, e da Romano superate, giacché agere et pati fortia Romanum est. Sin da giovanetto dié chiari segni di questa sua fortezza d’animo, perché chiamato alla Religione, seppe sprezzare le lusinghe e carezze dei genitori, e per rendersi Religioso non si licenziò da sua padre, ma si fuggì. Prima d’essere Generale fu ornato nella Congregazione di altri vari titoli, ed in ogn’una carica, che lodevolmente coprì, si fece conoscere esempio di pietà, e di edificazione, dotto egualmente che pio. Egli è quegli, che adunate tutte le Costituzioni Papali, Bolle, Indulti, Diplomi, e Privilegi Pontifici spettanti alla Congregazione di Somasca ristretti in pieno volume, accresciuto di Sommari, ed Indici, lo divulgò l’anno 1665 nelle stampe di Venezia. Morì in Pavia nell’anno 1670. De eo Mandos, in Biblioth. Rom. Tom 1.
D. BONIFAZIO ALBANI nobile Bergomate salì vari gradi d’onore nella Congregazione Procuratore Generale e Preposto Generale nell’anno 1665 e senza intervallo, sul fine del suo Generalato fu di Alessandro VII nominato Arcivescovo di Spalatro Primate della Dalmazia e Croazia, e consagrato sotto Clemente IX nel mese di Giugno dell’anno 1668, e per lo spazio d’anni dieci travagliò a profitto di quel gregge. Morì nell’anno 1678 lasciando nella memoria degli Uomini l’immagine degli suoi santissimi esempli, ala di cui ritratto si legge il seguente espressivo laconismo:
P. D. BONIFACIUIS ALBANI BERGOMAS
EX PRAEPOSITO GENERALI
ARCHIEPISCOPUS SPALATENSIS
CREATUR,
NIL DUBITANTE
PONTIFICE OPTIMO MAXIMO
QUIN ECCLESIAE DEI
DILIGENTIAM HABERET,
QUI LAUDABILITER ADEO, DOMUI SUAE
HOC EST
SUAE CONGREGATIONIS PRAEFUERAT.
Ughel. Ital. Sacr.
D. STEFANO SPINOLA [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata: vedi sotto le opere individuate dello Spinola]di un intelletto mostruoso, nella Biblioteca Aprosiana, vien scritto, che nella età di anni 12 avea corsi gli studi delle Scolastiche, e che si dilettava ben anco di Muse latine, et italiane, e che i suoi metri si leggono ancor oggi presso il Minozio in un opuscolo intitolato: Libidini dell’ingegno per testimonianza del Cinelli nella sua Biblioteca Volante. In Genova sua patria fu Lettore delle Morale Filosofia nella Università Grimalda; in Roma Qualificatore della santa Inquisizione, Consultore della sacra Congregazione dell’Indice, e nel Collegio de propaganda Fide Prefetto generale degli Studi. Proposito nel collegio di san Biaggio in Monte Citorio, ove ora vi è la gran Curia Innocenziana. Fu spedito da Alessandro VII in Franza Teologo del Cardinale Flavio Ghigi, che andò Nunzio e Legato straordinario a quella Corona; ritornato da Franza fu dal detto Pontefice ornato della mitra di Savona nell’anno 1664, alli 15 del mese di Dicembre. Il detto Flavio cardinale Ghigi, che fu uno degli suoi Esaminatori per Vescovado ebbe a dire al Papa esaminato che fu: Romanam Curiam ob Spinulae obsentiam detrimentum passuram. Resse quella Chiesa circa anni 18, e vi morì nell’anno 1682. Il Caramuele in Prodromo ad suam Dialexim de non certitudine tab. 3 num. 55 et 69 chiama lo Spinola Doctissimum, et eruditissimum: E parimenti in altro luogo p. 2 a.6 dice: Stephanus Spinola Savonensis Episcopus ex Congregatione de Somasca Virorum illustrium Matre, et Altrice assumptus, doctissimum Librum in Moralibus edidit, quem libenter, et utiliter legi. De eo etiam Oldoin in Athenao Ligustico, et Sopranis, in Syllab. suis.
D. FRANCESCO CAMILLO DE MARI genovese, esempio della regolar disciplina, ed esemplare di un Sacro Oratore, dall’insigne sua nascita, e dallo spettevole suo ingegno ebbe ripetuti impulsi alla virtù, ed alle opere grandi. Essendo Maestro di teologia in Roma, Papa Alessandro VII, nell’anno 1664 alli 23 del mese di Giugno lo fece Pastore nel Vescovato di Nebbio in Corsica, e vi sedé sett’anni spogliatosi di questa salma mortale nel mese di Luglio dell’anno 1671, alla cui Immagine si legge la seguente Epigrafe:
P. D. CAMILLUS DE MARI
GENUENSIS,
CLERICUS REGULARIS SOMASCUS
EXEMPLARI RELIGIOSAE DISCIPLINAE
OBSERVANTIA
SACRA ELOQUENTIA
SPECTABILIS,
PASTOR NEBBIENSIBUS
DATUS EST.
OVES CHRISTI PASTURUS VERBO,
RECTURUS EXEMPLO,
UTPOTE POTENS OPERE,
ET SERMONE.
D. FILIPPO SPINOLA dell’ordine patrizio di Genova, chiaro per la dottrina, ed erudizione fece la sua dimora per più anni in Napoli, ove non tanto a nostri, che a studiosi secolari insegnò le Filosofiche facoltà con applauso de’ Circoli, e soddisfazione de’ Mecenati. Vivea in quel tempo Giulio Spinola Arcivescovo di Laodicea, Nunzio Apostolico di quel Regno, a cui egli era carissimo, ed a cui dedicò nell’anno 1660 un suo libro di Filosofia Razionale. Passò poi a Roma nel Collegio Clementino, ove fu professore di Teologia, e Qualificatore nella santa universale Inquisizione Romana. Il di lui Padre l’eccellentissimo Filippo Spinola de’ Marchesi di Arquata, che circa quel tempo governava Vicario il Ducato di Mantova a nome di quel Duca Gonzaga si maneggiò con il Vescovo di quella Città allora Fra Masseo Vitali da Bergamo Minore Osservante, perché cedesse il Vescovato al p. Filippo suo figliuolo, locché ottenuto, e spedite a Roma sotto Clemente X le testimoniali della Rinunzia a favore di esso, s’ebbe avviso da Roma, che nel Collegio Clementino da una morte precipitosa, ed immatura era stato tolto di vita il Rinunziatario. La morte invidiosa in tal guisa fece due colpi, alla chiesa di Mantova rapì un erudito Pastore, ed alla Congregazione Somasca un dottissimo religioso. De hoc Viro meminit Sopranis de Script. Ligusticis.
D. GIANCARLO PALLAVICINO delle primarie famiglie di Genova sua patria fu Proposto generale della Congregazione Somasca nell’anno 1671 eletto con universale compiacimento della Religione per le sue rarissime prerogative; governolla da grande alla grande con molto decoro di se, e de’ suoi. Facile ad adirarsi, ma pronto a placarsi all’uso di quella Nazione. Calori effimeri non fecero giammai sudare né la di lui morigeratezza né l’altrui tolleranza. Uomo di grande spirito fu imbarazzato dalla sua Casa Pallavicina in affari di gran rilievo, e premurosi in Ispagna, ove condottosi si trattenne per qualche tempo da Generale; sebbene abbandonata l’Italia non perdé di vista la sua Congregazione, cui fu sempre presente al costume degli Angeli colla operazione. Uomo di gran Conseglio era assediato in Genova da frequenti personaggi di governo perché regolasse a modello de’ suoi giudizi le loro pubbliche e private deliberazioni. Morì in patria l’anno 1685, ed il suo sepolcro nella Chiesa della Maddalena fu ornato di applausi, e bagnato di lacrime.
Ex Lib. Act. Coll. Januen.
D. AGOSTINO DE ANGELIS [ [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata] nato in Angri nel Regno di Napoli, l’anno 1606 fu uomo di tal sapere, e di tale letteratura, che non ebbe a dirsi secondo a veruno nel suo secolo. Salì nella Congregazione Somasca a vari gradi di Provinciale, di Definitore, di Rettore nel Collegio Clementino di Roma, città che per trenta sette anni lo ammirò sulle Cattedre di Filosofia, di teologia, e quel, ch’è più Professore ordinario nella sua grande Università detta della Sapienza, in cui riportò i più splendidi encomi de’ Cardinali, e gli applausi de’ Regolari più scienziati. Consultore nella sacra Congregazione dell’Indice, ivi dié segni strepitosi della vastissima sua erudizione astronomica, Cronologica, Morale, canonica, Istorica, Dommatica, e Speculativa, quale resta autorizzata da voluminosi Libri dati alla luce in tutte le succennate materie. Tutti gli scrittori della sua età divisando d’uomini grandi hanno fatto menzione di questo grand’Uomo. Nell’anno 1667, nel sessagesimo degli anni suoi fu promosso al Vescovato di Ombriatico da Clemente IX, e dopo anni quattordici di cura pastorale morì nel mese di Aprile dell’anno 1681 di età d’anni 75. De eo inter caeteros Topp. In Biblioth Neapol. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. ANTONIO BALDO veneziano Teologo di prima sedia, e per la sottigliezza delle specolazioni, e per la estensione della erudizione congiungendo in tal guisa alla lode dell’umiltà quella della virtù e consumati più ani nelle scuole della Congregazione con invidiabile comendazione al suo nome, ritrovandosi Preposito in Padoa nel Collegio di Santa Croce, Clemente IX lo sublimò alla sedia Vescovile di Chiozza alle rive dell’Adriatico in cui sedé dieci anni circa essendo stato consagrato alli quindici del mese di Luglio dell’anno 1669, e diffonto alli otto del mese di Ottobre dell’anno 1679. Solennemente fece la Dedicazione della sua Cattedrale, ed ivi fé costruire un pulpito, che per la sua struttura, ed artifizio è una delle cose ragguardevoli e singolari in quella città, lo rese però più singolare, e riguardevole la di lui efficace, e pastorale facondia con cui frequentemente predicava al suo gregge, quale abbondantemente pascolò verbo et exemplo. Fu sepolto nella sua Chiesa presso l’altare di nostra Signora Assonta nel cielo. De eo Ughell. Ital. Sacr. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. ANTONIO BOTTI nobile genovese di vasta letteratura, ed eloquenza ornatissimo, si è fatto udire al decoro della Congregazione più e più volte non solo sulli pulpiti, ma ancora sulle cattedre, d’onde riportandone onore, ottenne vari gradi di onori tra nostri; sembrando ciò non ostante a Clemente X esser scarse al merito del degnissimo religioso le graduazioni del chiostro, lo graduò nella Chiesa e nell’anno 1670 alli 17 del mese di Novembre lo fece ordinare Vescovo di Minori nel regno di Napoli in età d’anni 52. Buon pastore invigilò sempre al pascolo del suo gregge, ricercando tutte le vie per giovare al suo Clero, ed al suo popolo; piamente splendido dipositò in Napoli tre milla Ducati nel banco detto della Santissima Nunziata con cui si sollevasse la povertà della sua Chiesa, da qual impiego ne ricava ancor oggi un pingue sollevamento il bisogno de’ poverelli. Governò quella Chiesa per lo spazio di anni 13 e di età di anni 65 nell’anno 1683 pieno di meriti passò al Cielo. De eo Ughell. Ital. Sacr. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. GIROLAMO DORIA delle più venerate famiglie di Genova professò nel 1648. Lettore di Sacra Teologia, e di una singolar pulitezza nel dire, celebre nelle cattedre, e ne’ rostri; ne’ maneggi destro, e prudente, e tale si fé conoscere alla corte di Roma, onde Clemente X nell’anno 1671, alli 16 del mese di Novembre lo innalzò in età di anni 39 al Vescovato di Nebbio in Corsica, quale per trent’anni continui amministrò con zelo pastorale, e con fervore ecclesiastico. Dopo questo tempo lo rassegnò liberamente in mano di Innocenzo XII, e restituitosi alla Patria, pochi anni appreso consumò questa vita mortale nel mese di Dicembre dell’anno 1703, e fu sepolto nella nostra Chiesa della Maddalena solennemente. Ughell. Ital. Sacr. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. STEFANO COSMI veneziano rinomatissimo storico, oratore, e scolastico, quale ce lo mostrano le opere date alle stampe di Orazioni, di Storia, e di Filosofia, fu Preposto Generale nel 1674, promosse nella Religione congiunti alla pietà gli studi, ed alle cariche gli studiosi della Religione. Per essergli caro, bastava essere scienziato. In Venezia ove nacque fu pubblico Oratore, nel qual posto fruttuosamente si maneggiò, perché li PP. Gesuiti fossero richiamati negli stati della Repubblica, daddove erano partiti nell’interdetto di Paolo V, ed in una delle sue Orazioni lodò poi la pietà, e la saggia deliberazione di quel Senato per averli rimessi. Fu parimente in quella città Censore de’ libri, e Conservatore della Bolla Clementina, cariche4 d’insigne riputazione in quella Repubblica, che usa conferirle ad uomini di primo credito. Innocenzo XI nell’anno 1678 lo sublimò all’Arcivescovado di Spalatro in età di anni 48, qual resse gloriosamente per la santità degli esempi, e zelantissime operazioni circa anni trenta, nel corso de’ quali fondò, e dotò il Seminario all’educazione de’ Chierici conforme il prescritto conciliare di Trento, sudando nella celebrazione de’ Sinodi, e nelle Visite di sua Diocese, e luoghi più incolti. Nell’anno 1695 si portò in Roma ad limina, ed ivi dipose in mano del suo amicissimo Cardinale Liandro Colloredo vari scritti da se distesi intorno al Sacerdozio, e lo Impero, Scritti, che ove si fossero dati alla luce riempirebbono di ammirazione, e d’erudizione la cosa pubblica delle Lettere. Questo gran Cardinale egualmente dotto, che santo avendo oltre l’amicizia tutta la stima di questo Arcivescovo per la pienezza del suo sapere, supplicò in detto anno al Papa Innocenzo XII di ritenerlo in Roma, perché, vestito di porpora avrebbono molto profittato le Sacre Congregazioni della sua mente; ma il Papa considerandolo troppo utile, e quasi necessario alla Dalmazia per arricchirne Roma, non volle impoverirne quella Provincia, onde restituitosi alla sua Sede in età d’anni circa sessantotto morì nell’anno 1707, lasciando in contrasegno dell’affetto suo costante verso la sua Congregazione con una riguardevole Legato alla Chiesa della salute in Venezia il suo cuore, ivi collocato, e conservato con particolare riverenza. Inter caeteros de eo meminit Nazar. nel Giornale de’ Letterati. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. GIROLAMO PRIOLI nobile veneziano in cui si presero scambievolmente la mano l’intellettuali, e morali virtù per adornarlo di meriti, fiorì tra gli applausi nella Congregazione, e risplendé tra le mitre nella Dalmazia. Clemente X l’onorò col carattere Vescovile di Lesina nell’anno 1676 ove giunto prese le dovute informazioni sopra la sua Chiesa, sovvenne tostamente a’ bisogni, bandì dalla Curia ogni ombra di sordido interesse, scielse una famiglia di esattissima disciplina, e rese se stesso un vivo esemplare d’ogni sorta di virtù. Parecchi anni la governò, e circa l’ottantesimo quarto del decimo sesto secolo volò chiarissimo di fama al cielo. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. LUIGI DE LEMENE nobile lodigiano, a cui lode basterebbe la Agnazione col sign. Conte Dottor Delemene divotissimo, e celebratissimo Poeta nella Lombardia, ma egli è stato un pianeta ricco della luce propria senza avere mai avuto la necessità di mendicarla da altrui. Nell’anno 1677 acciò più disusamente spandesse gl’influssi benefici alla Congregazione fu elevato alla Prelatura Generale di Somasca, e nella saviezza di sua condotta, e nella consistenza del suo savio governo si dié a conoscer in ogni aspetto per pianeta non errante, ma fisso nel zelo agli avvantaggi della Congregazione, unicamente mobile nel transito dalla terra al cielo. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. MAURIZIO BERTONI nobile torinese professò nell’anno 1656. Lettore di Sacra Teologia accrebbe i suoi preggi con l’esercizio annesso di Predicatore, nella sua meno matura età fu interprete de’ Rettorici nel Collegio Clementino di Roma, e ci persuadono aver avuto Egli un’ingegno prontissimo, ed una fioritissima facondia, le molte lucubrazioni uscite da torchi romani in mentre professava belle lettere nella cattedra oratoria di quel Collegio. Essendo egli nel quarantesimo di sua età, Innocenzo XI ad istanza di Madama reale madre di Vittorio Amedeo Duca di Savoia ancor minore, lo innalzò alla mitra di Fossano nell’anno 1678 li 28 del mese di Marzo, e sedé in quel Vescovado per lo spazio d’anni 22 passato a miglior vita nell’anno 1701. Lasciò al Collegio nostro di Fossano un’onorifico Legato, per contestare anco nella sua morte, alla Congregazione Somasca la sua figliale inalterata benivoglienza. De eo Justinian. de Script. Ligust. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. GINNESIO MALFANTI tra illustri cittadini di Genova fece i voti solenni l’anno 1629. Ecclesiaste acclamato, ed erudito, e per la varia letteratura lodatissimo: Oldoino nell’ateneo Ligustico asserisce aver egli sott’altro nome stampati vari volumi, cioè un Compendio di Filosofia, un’opera meteorologica, ed aver destinato alla luce una Parafrase in tres Libros Aristotelis de arte dicendi. Nell’anno 1680 salì alla dignità di generale, nel qual grado fu molto geloso della regolare osservanza, e molto accurato nella cultura delle Lettere. Nel collegio di Santo Spirito in Genova nel sobborgo, ove fu più volte Proposito, maggiore di un settuagenario lasciò la spoglia mortale l’anno ottantesimo settimo del decimo sesto secolo. Ex lib. act. eiusd. Coll. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. PIETRO ANTONIO BONFILIO genovese professò nella Congregazione Somasca l’anno 1635 cuius fortitudo et decor indumentum eius, dimostrato avendo la fortezza dell’animo suo nelle opere, ed il decoro nell’orazione. Alla vita attiva unì la contemplativa tutto vegghiando sulla salute de’ prossimi, e niente dormendo sovra la propria. La povertà, l’umiltà, e la purità furono in lui preggi distintissimi: non usava che vesti logore, e rappezzate, si esercitava ne’ ministeri dimestici li più vili, ed abietti, anzi schiffosi, conservossi vergine fino agli ultimi respiri. Vergine amò sovramodo la Vergine, non tralasciando giammai di recitare giornalmente la di Lei corona, e le di Lei laudi. Nelle pubbliche Meditazioni nel coro fu osservato talvolta sopraffatto nel viso per lo terrore, talvolta sereno per la contentezza, e talvolta così immobile, e sorpreso come fuori de’ sensi. In Roma, ove per anni 21 fu interprete dell’oratoria, parecchi anni Rettore del Collegio Clementino, e per un triennio Procuratore Generale; fu applaudita la sua letteratura, la sua prudenza, la sua pietà, per cui Innocenzo XI di santa memoria, che lo conoscea da Cardinale e da Papa facendo di lui menzione col Padre Procuratore generale di quel tempo con Pontificio Elogio lo nominò: Religioso d’ogni eccezione maggiore e sacerdote di segnalata bontà. Maestro de’ Novizi per molto tempo in Genova li riempié del suo fervore, dello spirito di mortificazione, della orazione, e della divozione. A Giambattista Solimano genovese suo novizio studente ridotto nell’anno 1667 all’estremo di sua vita da una febbre gagliardissima, e pestilenziale, tanto più pericolosa, quanto meno sensibile, spedito da medici, impetrò il Bonfilio la sanità, perché trattenutosi in orazione tutta quella notte che dovea esser l’ultima per il suo alunno, richiesto sul buon mattino da’ PP. Collegiali, se il novizio Solimano ancora vivesse, modestamente rispose: Infirmitas ista non est ad mortem, spero, che fra brieve guarrirà. Sopraggiunti i medici, esaminata l’arteria, l’asseriscono senza febbre, e con loro stupore sanato, attribuendosi tal istantanea guarigione al merito dell’orazione, e preghiere del suo divoto Maestro. Ne’ Comizi dell’anno 1680 era fermo sentimento de’ Vocali eleggerlo in Generale, e già si erano adunati per dichiararnelo con le voci; s’oppose egli con lagrime, e prieghi, genuflesso a’ piedi di tutti, protestando, che Ei non avrebbe finito di piangere, e di supplicare prima che non avessero rivolto il pensiero ad altro sogetto degno di tal elezione, onde fu uopo, che gli Elettori dispiacessero a se medesimi per non disgustare un Uomo, che accrescea i meriti della sua promozione, nell’atto stesso di ricusarla. Morì in Genova alli cinque del mese di Aprile dell’anno 1697 e fu sepolto con la dovuta riserba nella Chiesa della Maddalena quasi ottogenario essendo nato nel 1617. Ex regest. Defunct. eiusd. Eccl. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. GIAMBATTISTA SPINOLA genovese del fu Domenico, plausibile interprete dell’umana, e divina Filosofia nelle scuole, rendé egli più illustre la nobiltà del suo stemma cogli ornamenti delle sue virtuose operazioni, conservò diligentemente fino al sepolcro illibato il candore de’ suoi religiosi costumi, ed intatta la disciplina della sua regolare osservanza. La repubblica di Genova lo sublimò al grado onorifico di suo Teologo, posto a cui non soglionsi promovere, e ben con maturo giudizio, che sogetti li più cospicui, e li più celebri in ogni genere di scienza. Fatto in tal guisa pubblico Teologo per decreto di quell’augusto Senato, e Serenissimi Collegi, è sopra ogni credere qual fosse la efficacia del suo dire, ed il peso delle sue dottrine nello spiegare, e sciogliere qualunque più spinosa controversia occorrente in materia ecclesiastica, in que’ Eccellentissimi Maestrati, a’ quali era chiamato per intendere il di lui parere, e per consultare le loro deliberazioni. Fu ben anco Esaminatore sinodale dell’Arcivescovado, Consultore di quella santa Inquisizione, ne’ quali uffizi tuttoché sì decorosi mantenne continuamente nell’animo suo un basso sentimento di se medesimo senza fasto, senza orgoglio, e senza vanità. Le consultazioni, le allegazioni, i voti teologici in qualsiasi materia canonica, Dommatica, e Morale son vari usciti dal suo studio alle occorrenze e se fossero stati tutti raccolti avrebbono costituito un grosso volume ad eternare tra letterati il suo nome. Morì in Genova nell’anno 1668 li 19 di Gennaio con sommo rincrescimento di tutta la città credendo ciascuno di abbastanza lodarlo col solo nominarlo. Ex lib. act. Coll. Januensis. [si legge in questa cronistoria di personaggi dell'ordine somasco integralmente riportata]
D. GIAMBATTISTA FASSADONI triviggiano soggetto di singolare intelligenza, d’illibatissimi costumi, e disciplina nella Congregazione, fu fatto generale nell’anno 1683, si sarebbe potuto dire eletto con universale consentimento, se non vi fosse mancato il suo. Accettato il posto per ubbidienza, esiggé da tutti ubbidienza nel posto; nel giro del suo triennale governo il zelo prese la mano all’indulgenza, salva però sempre la prudenza e la rettitudine nel governare. Visse sempre mai tra gradi di onore nella Congregazione, ma sempre benefico a’ Collegi, ove abitò, tra questi a quel di Triviggi sua patria arricchito di sacri arredi, di argenti lavorati provveduti da lui ad uso di quella chiesa; a quel di Feltre ove morì, che fa vedere argentaria, pitture di riguardevole penello, e copiose supellettili tutti doni di sua larga beneficenza. Applicatosi finalmente a dar l’ultima mano agli interessi della sua eterna salute con la frequenza delle orazioni, con l’esercizio d’atti caritatevoli, e con la pratica delle più sublimi virtù nell’anno 1695 compié i suoi giorni caduchi con esemplarissima morte.
D. PAOLO ANTONIO SORMANO nobile milanese professò nell’anno 1645 li 17 del mese di Settembre, corsa la carriera degli studi suoi, e del magistero all’uso dei nostri, si applicò al pulpito, e fu predicatore lodatissimo a’ suoi tempi per la sacra erudizione, e concetti scritturali. Sogetto di grande autorità nella Congregazione, e di pari fortuna essendo sempre stato creduto nel giudizio degli elettori ad ogni dignità del chiostro proporzionato il suo merito, perciò dopo essere stato più volte Preposito alla Casa professa di Milano, nell’anno 1680 fu Provinciale a tutta la Lombardia, e nell’anno 1686 Padre Generale a tutta la religione. Fu caro agli amici, e tutti procuravano d’essergli cari, perché pochissimi si ritrovarono scarsi di merito per conseguire le cariche sulle bilancie della sua protezzione. Nel corso de’ suoi governi niuno ebbe a dolersi del suo rigore condescendendo per certo impulso di naturale flessibilità a tutto, ed a tutti, quindi guadagnandosi le voci favorevoli d’ognuno salì per la seconda volta al Propositato Generale l’anno 1695, a cui invidiosa la morte rapì la vita insieme, e l’attuale comando due anni dopo alla di lui elezione l’ultima notte del mese di Luglio dell’anno 1697, ed il suo cadavero fu sepolto con pompa funebre in Santa Maria Secreta di Milano. Ex lib. Act. eiusdem Eccles.
D. FRANCESCO SANTINI per nascita nobile di Lucca, per merito cittadino di Genova, dall’esempio della sua vita, e dall’esercizio continuo della sua religiosa pietà, trasse somma venerazione presso ogni ordine di persone in Genova. Gran Maestro di spirito ne’ Confessionali, ed alle velate clausure, e di ammirabile consolazione a’ moribondi in tutte le ore più incomode, e moleste. Nel Collegio della Maddalena di Genova, se si riflette al grado vi fu Proposito, se all’affetto vi fu Padre, alla provincia di Roma fu Presidente, a tutta la Congregazione fu Generale nell’anno 1689 e la infervorò nel zelo di una esemplarissima edificazione. Operario degno della sua mercede passò a riceverla in cielo nell’anno 1697 li 19 del mese di Maggio ripetendo a’ Padri, che l’assistevano: Cupio dissolvi, et esse cum Christo. Fu udita la di lui morte con universal dolore de’ Genovesi nobili, cittadini, e plebei, compiangendo ciascuno per qualche suo particolare motivo la perdita luttuosa d’un uomo sì caro a Dio. Nella Chiesa della Maddalena di Genova, ove morì fu riposto il di lui cadavero con distinzione d’ossequio ben dovuto alla sua santissima vita. Ex Lib. Act. eiusdem eccles.
D. GIANGIROLAMO ZANCHI veneziano sogetto di grande estimazione, e di uguale4 autorità nella Congregazione, a cui fu Egli Padre, e Proposto Generale per due volte, eletto la prima nell’anno 1692, la seconda nell’anno 1701. In qualunque situazione siasi ritrovato in ognuna procurò sempre l’utile, e lo ingrandimento della cosa pubblica, ma al collegio della Salute in Venezia è stato perpetuo insigne benefattore; tra le altre memorie della sua generosa munificenza si distinguono le abitazioni in quel Collegio del Proposto Generale sontuose per l’edifizio, doviziose per gli arredi, ed acclamate per i protratti, e la libreria annessa, che oltre la preziosità de’ suoi libri è vaga per gli ornamenti, per gli intagli, e per le statue de’ Filosofi antichi, che la rendono singolare. Ne’ suoi governi fu universalmente affabile, e connivente, ma parzialmente affettuoso ascoltando talvolta nel promovere più le voci dell’amicizia, che della virtù, ciò, che oscurò alquanto la gloria de’ suoi grandi meriti. Visse quasi sedici lustri, ma poco al desiderio della Congregazione, che numerava con i momenti della di lui vita i vantaggi del di lui amore. Morì in Venezia l’anno 1718, e fu sepolto decorosamente nella Chiesa della Salute. Ex Libr. Act. eiusdem Ecclesiae.
D. GIAMBATTISTA GIZZI napoletano entrò nella Congregazione Somasca l’anno 1666. Uomo di singolare erudizione tanto profana, quanto sacra, ed Ecclesiastica, Oratore a’ suoi tempi rinomatissimo salì i pulpiti più famosi dell’Italia, sparse la divina parola nelle insigni collegiate delle Vigne in Genova, di san Petronio in Bologna, nella Steccata di Parma, nelle Metropolitane di Milano, di Firenze, di Pisa, di Napoli, di Ravenna, di Messina, di Palermo, nel Chiostro di Malta, e per quattro volte nelle basiliche di Roma, ed ivi nella Chiesa di San Lorenzo in Damaso, e poi fu condotto dalla sua fama sul pulpito Cesareo in Vienna, ed altrove, che sarebbe lungo riferire, dimodocché si può dire, che la predicazione fosse per lui il principale esercizio della sua vocazione; fuore delle incombenze portate dal suo stato religioso, e sacerdotale, le assidue sue applicazioni erano sulle opere de’ SS. Padri, su storici, e su de’ Concili. Fu consigliere ne’ Definitori, consultore dell’Indice in Roma, esaminatore ecclesiastico in Napoli, e Teologo del Cardinale Antonio Pignatelli Arcivescovo, che assonto al Romano Pontificato col nome di Innocenzo XII lo promosse in atto di sincera stima all’Arcivescovado di Ragusi da lui ricusato per la gravezza dell’età, e stanchezza delle sue forze. Morì in Napoli l’anno 1720, nel collegio Macedonio d’anni 88, lasciato avendo agli eruditi in vari volumi dati alla luce la memoria dell’Appostolico suo zelo, e fioritissima letteratura. Ex Lib. Act. eiusdem Colleg.
D. CARLO FRANCESCO ROVELLI nobile di Como entrò nella Congregazione Somasca l’anno 1661 nella pulitezza tanto interiore, quanto esteriore singolarissimo, venerabile per la pietà, riguardevole per la dottrina e maneggevole per l’affabilità. Nella università di Pavia ordinario Professore per più anni, ed in quella Inquisizione Consultore, aborrì in ogni tempo l’essere in grado, sublimato da Innocenzo XII alla dignità di Vescovo Suffraganeo di Velletri ad istanza dell’Eminentissimo Vescovo D’Ostia di quel tempo, rendute le grazie al Sommo Pontefice, ed all’Eminentissimo Cardinale ritornò da Roma, contentissimo del religioso suo stato, alla sue lettura in Pavia, e questa rassegnata ben anco al Padre D. Carlo Corte dopo qualche tempo, sogetto riguardevole de’ Nostri, si ritirò in Milano alla casa professa fractus multo membra labore, in cui morì pieno di meriti, e di estimazione l’anno 1729 li 23 del mese di Agosto in età d’anni 87 se non che le sue stampe lo tengono sempre vivo alla nostra memoria, ed alle acclamazioni della posterità.
Ex Lib. Act. eiusdem Colleg. Sanctae Mariae Secretae.
D. GIANFRANCESCO BEMBO delle famiglie Senatorie di Venezia, d’indole egualmente soave, che nobile, non curando le speranze ben fondate di quegli onori, che lo avrebbono sublimato nella sua Republica abbracciò l’umile istituto di Somasca, nella quale congiungendo alla singolare purità del costume le doti dell’animo, già Vocale, già Proposto del Collegio in Vicenza nel fiore della sua età, era destinato alla primarie cariche dell’Ordine, ma anticipatamente ad una maggiore su sublimato da Papa Innocenzo XII facendolo consagrar Vescovo di Belluno nell’anno 1694. Prese il possesso del suo Vescovado nella vigilia di san Pietro, sicché ponendo mano all’Apostolico officio nella festa del Principe degli Apostoli fece argomentare, che averebbe compiute tutte le parti di un ottimo Pastore. La prima sua cura fu la coltura del suo Seminario, avendo chiamati dalla Congregazione Somasca sogetti qualificati ad erudirlo nelle buone arti, ed a istruirlo nella Pietà, tra questi il celebre Padre D. Stefano Cupilli, che fu poi traslato dalla cattedre d’Arbe e Trau, all’Arcivescovado di Spalatro. Visitò più volte la sua Diocese, e nelle sue visite la maggiore delle sue premure era de’ Catechismi, del culto alle Chiese, della riverenza alle cose sacre. Con li suoi amorevoli uffizi, e con la forte cooperazione della sua autorità, fundarono li PP. Gesuiti in Belluno un collegio pell’ammaestramento della gioventù di quella città, e nello spirito e nelle lettere. Radunò il Sinodo nell’anno 1703 provisto di sante Leggi, e di canoniche Ordinazioni. Per la difesa de’ suoi diritti, per la immunità, e libertà ecclesiastica fu men felice degli suoi precessori se si considera la tranquillità del governo, ma assai più fortunato se si riguarda della riuscita il trionfo. Pieno di pastorale sollecitudine divotamente morì l’anno 1720 dopo aver seduto in quella Cattedra poco men di sei lustri. Ughell. in Ital. Sacr.
D. ANGELO SPINOLA de’ marchesi d’Arquata, uomo officioso, risoluto, ed animoso, animoso con avvedutezza, risoluto senza precipitanza, officioso senza affettazione, dopo serio dibattimento degli Elettori ne’ Comizi generali dell’anno 1698 in Genova fu posto nella sedia Generalizia, e resse la Congregazione con zelo, e con coraggio, e fu di tale aspetto il suo reggimento, che obbligò i nemici alla lode, ed al timore gli amici. Le parzialità, le dissimulazioni, le singolarità furono nomi esclusi dal suo vocabolario, nominato Generale a tutti, volle esser Generale di tutti. Piacque questo suo fare a’ zelanti, e nell’anno 1707 per la seconda volta fu acclamato per Capo dell’Ordine. Beneficò vari collegi con larga mano, e distintamente quello di Novi accrescendolo di fabbriche, di libraria, e di redditi, e facendovi ergere tutta a sue spese una bellissima Chiesa dedicata a san Giorgio, doviziosa per gli altari, e nobile per l’architettura, nella quale dopo aver compita l’età d’anni ottantasei fu sepolto decorosamente nell’anno 1718. Ex Lib. Act. eiusdem Ecclesiae.
D. STEFANO CUPILLI veneziano, sogetto caro alla Congregazione di Somasca per la sua esemplarità, e letteratura, dopo essere stato prescielto da vari Vescovi operario nelle loro vigne a travagliare nella coltura dello Spirito dall’Arcivescovo Cosmi in Spalatro, dal vescovo Bembo in Belluno fu promosso da Innocenzo XII al Vescovado d’Arbe, poi a quello di Trau nell’anno 1698, e da questo passò all’Arcivescovado di Spalatro nell’anno 1708 essendovi morto il succennato Cosmi sotto Papa Clemente XI, nel quale Arcivescovado essendovi seduto alcuni anni lasciò di vivere nell’anno 1720 con rincrescimento universale della Dalmazia. Ex Archiv. Ecclesiae Spalat.
D. FRANCESCO STRATA veneziano Sacerdote di merito nella Congregazione Somasca, governò in grado di Rettore il gran Seminario Patriarcale di Venezia in Burano con gran lode, e con invidiabile prosperità. Nell’età di 49 anni fu nominato Vescovo di Caorle dal Pontefice Innocenzo XII nell’anno 1698, ma non tosto ebbe l’avviso della sua promozione, ed elezione, che morì alli 8 del mese di Ottobre del medesimo anno, e fu sepolto nella Chiesa di san Cipriano in Burano di Venezia con questa epigrafe al suo sepolcro. Apud Ughell. in Ital. Sacr.
D. O. M.
P. D. FRANCISCUS STRATA
CLERICUS REGULARIS SOMASCUS
HUJUS SEMINARII RECTOR
ET EPISCOPUS ELECTUS CAPRULARUM
OBIJT ANNO 1698
AETATIS SUAE 49 OCTO IDUS OCTOBRIS.
D. GIAMBATTISTA CARACCIOLO del Sole napoletano de’ Conti di Sant’Agnolo nacque nell’anno 1645 professò nella Congregazione Somasca nell’anno 1662 fu fatto Vescovo di Calvi nel Regno l’anno 1703 da Clemente XI li 15 del mese di Gennaio, morì in Napoli addì 5 del mese di Novembre dell’anno 1714. Nella Congregazione fu adorno di vari titoli di Rettore, di Consigliere, di Provinciale, nel Vescovado zelantissimo promotore della disciplina ecclesiastica nel clero, e della pietà nel suo popolo, il di lui cadavero fu collocato nella Cappella del gran Siniscalco nella Chiesa di San Gioanni di Carbonara Juspatronato della sua illustre famiglia con la seguente iscrizione:
JOANNES BAPTISTA CARACCIOLUS E SOLE
EX COMITIBUS SANCTI ANGELI,
EPISCOPUS CALVENSIS
E CONGREGATIONE DE SOMASCA
MORTALE QUOD HABEBAT
MORIENDO DEPOSUIT,
DIE 5 NOVEMBRIS
AETATIS SUAE 69
REPARATAE VERO SALUTIS MDCCXIV.
Ex Ughell. Ital. Sacr.
D. OTTAVIO CUSANI nobile Milanese Teologo del Cardinale Dadda, matematico insigne, e nelle scolastiche Facoltà di una sottigliezza incomparabile, i di cui scritti si conservano presso noi con particolare gelosia, e de’ quali parlando Monsignore Agostino Spinola vescovo di Savona ebbe a dire, che i manoscritti del Cusani meritano ogni lode, ma che il Trattato de Actibus Humanis sorpassa ogni lode. Compiuta, ch’ebbe la triennale dimora in Roma col grado di Procuratore Generale fu eletto in Milano Generale di tutto l’Ordine nell’anno 1704, nel suo generalato applicossi al governo politico, ed economico della religione, e scrisse, e divulgò vari saggi provvedimenti, de’ quali ancor oggi si servono i Comizi, ed i raziocini. Tenne al dovere delle Leggi i Regitori, ed alle Leggi del dovere i Sogetti. Nella casa professa di Milano, ove morì l’anno 1727 in età d’anni settantadue, e cinquantasette di chiostro, accrebbe i redditi, e migliorò con vago oratorio le abitazioni generalizie, la di lui morte fu compianta dagli eruditi, e fu sepolto nel nostro sarcofago nella Chiesa di S. M. S. Ex Lib. Act. eiusdem Eccles.
D. AGOSTINO SPINOLA genovese de’ Marchesi d’Arquata, ne’ primi giorni del mese di Ottobre dell’anno 1693 vestì l’abito di Somasca, e tostamente da giovane diede saggi e del suo candore, e della sua mente, compiuti i suoi studi in Roma, senza intervallo prima di Filosofia, poi di teologia fu costituito Lettore: del collegio di san Giorgio in Novi Diocese di Tortona, della casa professa in Roma, indi di quel Collegio Clementino fu eletto Presidente, Rettore, e Preposito, e finalmente Vice procuratore generale nella Curia Romana. Avendo in qualunque di quest’impieghi fatta rimostranza della sua destrezza, prudenza, e rettitudine fu prescielto dal Cardinale Giuseppe Renato Imperiale per suo Teologo nella sua Legazione in Milano a Carlo III Re delle Spagne, che ritornava da Barcellona in Germania Imperatore eletto nell’anno 1711. Compiuta tal decorosa funzione restituitosi in Roma fu nell’anno 1716 li 30 del mese di Marzo ornato della mitra di Ajazzo in Corsica, da Clemente XI, dove dopo una faticosissima visita della Diocese celebrò nell’anno 1719 un famosissimo Sinodo ricolmo di santissime ordinazioni. Dalla Chiesa di Ajazzo passò Vescovo alla Chiesa di Savona sotto Innocenzo XIII l’anno 1722 li 22 del mese di Settembre nella quale essendo ancor oggidì inespugnabile difensore de’ sacri diritti superiore ad ogni speranza, e ad ogni timore qui in terra si è meritato il seguente Elogio in forma di Breve da Papa Benedetto XIII di santa memoria.
BENEDICTUS PAPA XIII
Ven. Frater salutem, et Apostolicam benedictionem. Quo graviores pro ecclesiastica libertate aerumnas, et acerbitates excepisti, eo luculentius animi tui fortitudo pastoralis inclaruit, et Episcopalis sollicitudo, qua morum opponere pro Domo Dei strenue, et fideliter studuisti, caeteras generis, et virtutis tuae laude adaequavit. Nos autem qui pro Apostolicae servitutis officio sacrarum rerum cultum, Ministrorumque dignitatem tueri, et vindicare debemus, non solum merito Pontificiae laudationis praeconio vigilantiam tuam, animique constantiam Apostolicae providentiae subsidiis, sollicitudini tuae obsecondare, et adesse non praetermittimus. Ea itaque consilia suscepimus, quae de insigni Magistratuum pietate, ac Religione optatam fraternitati, Ecclesiaeque tuae tranquillitatem, operaeque nostrae successum pollicentur, neque ullam imposterum zelo, et prudentiae tuae opem nostrae auctoritatis esse defuturam pro certo habeas. Deus pro cuius honore nullas demicationes, et molestias reformidas digna tibi praemia largiatur, nobisque opportunas oblatas velit occasiones paternae in te, studiosaeque voluntatis declarandae, cuius interea pignus Apostolicam Benedictionem Fraternitati tuae peramanter impertimur. Dat. Romae apud Sanctum Petrum sul Anulo Piscatoris die 20 mensis Junii 1725 Pontificatus nostri anno secundo.
Ven. Fratri Augustino
Episcopo Savonensi.
E. Archiep. Emissenus.
D. GIAMBATTISTA DORIA patrizio genovese ascritto alla Congregazione Somasca l’anno 1669 vi professò l’anno seguente. Compiuto il corso degli studi suoi, fu applicato alle cattedre delle belle arti, poi di Filosofia, indi di Teologia, nelle quali si distinse con lodevoli funzioni, ed applaudite comparse. In vari tempi, ed in diversi collegi fu ora Proposito, ora Rettore, e nel Collegio Clementino di Roma celebratissimo per la sua prudenza, circospezione in circostanze assai spinose. Essendo vacata la sedia Abbaziale della insigne collegiata di San Matteo in Genova ornata di mitra, e pastorale, la nobil Gente Doria, che ne la lo Juspatronato, mossa dalle di lui rade prerogative lo nominò a tal Cattedra, e da Papa Clemente XI gliene furono spedite le Bolle nell’anno 1702. Visse in tal dignità fino all’anno 1702 compiendo alle parti di un ottimo pastore in tal Collegiata. Avvicinatosi il tempo del suo passaggio al cielo, nella ultima sua infermità si fece trasportare dalle Abbaziali abitazioni alle stanze del Collegio della Maddalena per morire tra suoi religiosi, ove in età d’anni 65 e poco più dipose ciò, che avea di mortale, e fu sepolto in detta Chiesa ponteficalmente celebrati da’ Nostri, e da suoi Canonici li dovuti funerali nel mese di Luglio del sudetto anno 1717. Ex Act. Lib. eiusdem Ecclesiae.
D. GIAMBATTISTA LODOVASIO napoletano fu professore eccellentissimo nelle scolastiche speculazioni, destinato alle locali reggenze molto giovò alli collegi di Napoli, per cui ebbe una parziale propensione confortata dalla sua autorità. Colà il collegio di san Demetrio fu ampliato con le sue industrie di fabbriche, e colla sua diligenza di redditi, e lo nobilitò con farvi ergere al fianco da’ fondamenti un tempio coll’impiego de’ suoi proventi. Sogetto ricco di preggi fu adornato di onori nella Congregazione, ora di Preposito, ora di Consigliere, ora di Procuratore Generale, e finalmente di Preposito Generale in tutto l’Ordine di Somasca l’anno 1717 il quale grado si fece considerare occupatissimo ne’ communi vantaggi procurati da lui col suo esempio, e con la sua autorità. Meritevole del cielo abbandonò la terra in età d’anni 75 nell’anno 1729 alli 10 del mese di Agosto, ed il di lui cadavero fu collocato in Napoli in quella medesima Chiesa, ch’egli avea fatta fabbricare con tanto zelo della sua pietà, e con non interrotte acclamazioni de’ suoi nazionali. Ex Lib. Act. eiusdem Colleg.
D. PIETROPAOLO CALORE veneziano prestantissimo nella sacra Letteratura, fu spesse fiate diputato direttore di Religiose ne’Monisteri più insigni di Venezia, Esaminatore ecclesiastico in quel Patriarcato. Presidente tra’ nostri di quella illustre veneziana Provincia. Tra gli altri suoi pregi risaltò tale la dolcezza, ingenuità, e facilità de’ costumi suoi, che chi lo conobbe ebbe la necessità di ammirarlo. Non avea ancora compiuta la sua provinciale reggenza nell’anno 1708, che si vide ornato di mitra da Clemente XI che lo promosse al Vescovado di Trau nella Dalmazia, se non che non lasciò, per quanto gli fu possibile pratticare nella sublimità Vescovile, le Regole della sua congregazione, e le osservanze compatibili col suo grado, onde poté ripetersi di lui ciò, che dal Cardinale Matteo Albanese fu scritto: Servabat in Palatio Instituta Claustri. Dopo alcuni anni di servitù pastorale a quel gregge a lui accollato, passò alla chiesa di Veglia più riguardevole, nella quale interessatissimo per lo profitto del popolo come lo era stato in quella di Trau dopo parecchi anni ottimo Pastore chiuse i suoi occhi l’anno 1718 avendoli sempre mai nel corso della sua pastorale sollecitudine tenuti aperti, e vegghianti sopra il suo gregge, osservatore diligente dei’ Sacri Canoni, e custode accurato delle Papali, e Conciliari Costituzioni nelle visite di sua Diocese, nella promozione de’ Beneficiati, e nella Consacrazione de’ Cherici. Ex Regest. Eccles. Vellien.
D. EVANGELISTA COMENDULLI cremonese professò li 20 del mese di Novembre dell’anno 1635. Sogetto riuscì nella Congregazione sceltissimo nelle belle arti, scienziatissimo nelle Scolastiche, e peritissimo ne’ Sacri Canoni. Terminati i corsi delle sue letterarie fatiche, ritiratosi dalle Cattedre alla Patria la rendè illustre con l’esercizio delle sue intellettuali, e morali virtù. Teologo de’ Vescovi, e consultore degli Inquisitori in Cremona, furono radi que’giorni, in cui non travagliasse nelle loro curie con la dottrina p ne’ loro tribunali con le consulte. Pieno di meriti fu per ben quattro volte chiamato al governo universale della Congregazione, e per altrettante lo ricusò, di cui fu degnissimo prima di ricusarlo, e ne sarebbe stato assai più degno poiché l’avesse accettato. Morì in età d’anni 84 alli 29 del mese di Aprile dell’anno 1700 in Cremona, e fu sepolto nella Chiesa di santa Lucia. Ex lib. Act. eiusdem Collegii.
D. GIAMMARIA CAPECELATRO de’ Duchi di Siano del Seggio capuano in Napoli, poiché s’ascrisse alla Milizia di Somasca nell’anno 1683 andò del pari con la sua pietà la sua scienza, onde fu costituito Professore di belle lettere, poi di Filosofia nelle nostre Atene or in Napoli, or in Roma; cresciuto nel merito, crebbe nel grado, e fu fatto Rettore nel collegio Macedonio di sua nazione, indi da Clemente XI Vescovo d’Ischia li 22 del mese di Febbraio dell’anno 1718, e prese il possesso del suo Vescovado li 28 del mese di Marzo del medesimo anno. Que’ virtuosi esempi, che avea dati alla sua Congregazione li ritrasse nella sua Diocese, ed onoratissimo morì l’anno 1739, e fu sepolto con rito ponteficale nella sua Cattedrale.
D. GIROLAMO SALVI romano, dal Collegio Clementino, passò al nostro Noviziato di Roma l’anno 1668, il quale compiuto dopo la professione proseguì il corso degli studi, e poi del magistero a tenore de’ nostri statuti, in seguito fu ammesso alla reggenze di alcuni collegi in Roma e nella Romagna, ed avendole sostenute con universale aggradimento fu innalzato al grado di Provinciale della Provincia Romana. Alla pietà congiunse la dottrina, che in iscorcio ristretta s’argomenta da un opuscolo dato alla luce col titolo: Flores philosophici stampato in Roma. Fu carissimo a Papa Clemente XI e lo promosse al Vescovado di Terracina nell’anno 1720, da cui egli si ritirò cagionando le sue abituali indisposizioni. Soffrì egli in età d’anni 60 e più, felicemente il taglio della pietra correndo l’anno 1706, e nell’anno 1723 lasciò di vivere in età d’anni settantasette nella casa professa di Roma.
D. GIACOMO VECELLIO veneziano sogetto di riguardevole letteratura, e di spettabile esemplarità, fu occupato in varie locali reggenze, nelle quali si rese cospicua la sua prudenza, e la sua discreta autorità; passò a Roma Procuratore Generale nell’anno 1707, indi scaduti li tre anni della sua Generale Procura fu creato nell’anno 1710 Proposto Generale di tutta la Congregazione. Non fu senza molestie il supremo suo magistrato, ma non fu senza lode, avendo date segnalate pruove di costanza, e di virtù, e verificato in se quel detto volgare: Magistratus Virum probat. Nel corso del suo generalato invigilò mediante premurosissimi, e zelantissimi editti sopra l’osservanza rigorosa del pubblico commune deposito, alla custodia della povertà religiosa, sopra la attenta composizione esteriore del corpo, e dell’abito alla edificazione del secolo, e sopra l’annuale ritiro ne’ santi spirituali esercizi, e cotidiane meditazioni alla conservazione dello spirito, e fervore chiostrale, con non pochi altri provvedimenti alla nudritura della pietà, e perfezion regolare. Fu sì caro a’ Grandi del chiostro cotal suo zelo, che nell’anno 1720 fu per la seconda volta rialzato al medesimo supremo grado di generale, quale sostenne con pari edificazione, e pochi anni dopo, cioè nell’anno 1724 chiuse divotamente i suoi occhi in Venezia con sommo dispiacere de’ buoni, e fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria della salute. Ex Lib. Act. eiusd. Colleg.
D. CARLOMARIA LODI nobile cremonese uomo di di sufficiente letteratura, ma di singolar previdenza, coperte in vari tempi diverse cariche nella Congregazione, come di Procuratore Generale, di Preposito, salì al grado supremo di Generale nell’anno del 1714: tra le altre doti fu mansueto, e generoso, eccitò i trasgressori alla morigeratezza del chiostro più col comportamento, che col gastigo, li Collegi, che erano incomodati dalla povertà, od aggravati da debiture sollevò sovente dalla penuria, e riparò dalla necessità con li proventi del Generalato. Ebbe un indole così compiacente, e così affabile, che si guadagnò in tutti i tempi il cuore de’ graduati con la sua riverente cortesia, e l’affetto de’ non graduati, con la sua cortese condescendenza. Fu impuntabile ne’ suoi governi, ne’ quali non cercò mai se stesso, ma solamente il comodo de’ governati, e la riputazione del pubblico, riuscendo di grande esempio a giovani, e di ammirazione a’ provetti. Ex Generale ben anche fu in una venerazione, e stima così distinta, che gli affari più premurosi si diferivano da ogni parte della Congregazione al suo giudizio, e sempre furono immuni dall’abbaglio, e dalla precipitanza le risoluzioni, che si prendeano a tenore de’ suoi consigli. La Congregazione Somasca se lo averebbe volentieri prescelto per capo fino alle ceneri ma ostandovi le prammatiche di Papa Alessandro VII dall’anno 1661, non tosto giungea, dopo il giro delle Provincie il tempo opportuno per riaverlo in grado di Generale, che il nominarlo, e l’eleggerlo era una cosa sola, e però ben due altre volte, cioè nell’anno 1723 e nell’anno 1732 fu promosso al Generalato, al qual grado sarebbe anche altre fiate salito, se la morte sorpresolo celebrante all’altare l’anno 1740 di sua età d’anni 72 circa con taglio improvviso non avesse recise le speranze della sua Congregazione. Fu sepolto nella Chiesa di Santa Lucia in Cremona; i di cui Accademici raunatisi in festa lugubre, con varie letterarie composizioni applaudirono alle virtù di sì degno Prelato, e posero in comparsa applaudita le prerogative distinte di questo loro amatissimo concittadino. Ex Act. Coll. Cremonen. D. Luciae.
D. GRISOLOMO BERTAZZOLI ferrarese grave nel discorrere, considerato nel consigliare, e pesato nel risolvere per savio giudizio della Sede apostolica annoverato nel ruolo de’ Vocali della Congregazione, attese le virtù di prudenza, destrezza, fedeltà, che in lui distintamente fiorivano, e dalle quali molto di onore, e di fama si prometteano i Padri del governo, lo costituirono Procuratore Generale in Roma ad esercitare quelle virtù stesse, che a tal posto lo aveano promosso; compiuto questo impiego con lode, anzi con somma soddisfazione d’ognuno fu creato nell’anno 1726 Proposto Generale di tutto l’Ordine, ed altra volta nell’anno 1735, in qual grado vieppiù s’ebbe a conoscere, e ad ammirare la sempre commendevole sua idoneità nello intraprendere, e perfezionare cose grandi, e degne di se. Per quasi due lustri di Rettoria nel Collegio Clementino de Urbe esperimentarono que’ nobili alunni la dolcezza del suo regolamento, e la saviezza della sua condotta in quel lungo suo reggimento, il quale tuttocchè cercasse più volte di dismettere, ritrovandosi maggiore di un sessagenario, gli fu vietato dalle preghiere di quel nobil Convitto, e dalle autorevoli persuasive dell’Eminentissimo Protettore del Collegio in quel tempo. Da giovane fu professore di Eloquenza nelle scuole de’ nostri Collegi in Bologna, e Ferrara, e quale fosse l’energia del suo scrivere, e la vaghezza del suo dire lo esprimono gli applausi continuati degli uditori, che intervennero alle sue letterarie funzioni, ed accademiche esercitazioni. Nell’anno 1726 del mese di Maggio, in cui principiò la sua generale reggenza, avendo già osservato, ch’era assai difficile la uniformità delle barbe de’ suoi Religiosi prescritta da Statuti nel capit. XI num. 9 del Lib. 3 abrogando tal legge coll’assenso Definitoriale, ne comandò il totale rasamento dal volto d’ognuno, per ischivare le dissonanze, e le diformità del nudrimento vario delle medesime. Non istette ozioso sulla coltura dello Spirito, e delle Lettere, fu amante dell’onesto, e del giusto, più indulgente, che rigido, sostenuto al vederlo, affabilissimo al trattarlo, in somma per tutti i titoli degnissimo d’ogni venerazione, e della universale benivoglienza. Ex Actis Colleg. Ferrar. Item ex Lib. Cap. Gen.
D. NICCOLO’ LOMELLINO patrizio genovese, che allo splendore della nascita accoppiò quello delle morali, e religiose virtù, ritrovandosi in Roma nel Collegio Clementino diputato da’ Superiori anch’esso tra gli altri allo ammaestramento di que’ nobili convittori, attese le plausibili informazioni sporte al Papa Benedetto XIII dal Cardinale Lercari allora Segretario di Stato, fu fatto Vescovo di Faenza nell’anno 1729. Ressa quella Chiesa per anni circa tredici amato dalla città, ed onorato dal clero. Fu carissimo a vari porporati, che colà intorno aveano limitrofe le loro Diocesi, e distintamente al Pontefice Benedetto XIV regnante allora arcivescovo di Bologna. La republica di Genova, a cui erano note le rade qualità di questo qualificato Soggetto, non aspettava, che la vacanza del suo arcivescovado per indi con ogni suo sforzo riempirne della di lui persona quella sua Cattedra Arcivescovile, ma delusa nelle sue speranze ebbe tostamente a compiangerlo rapito dalla morte in età anco immatura e a se, ed agli altri con universale rincrescimento. Fu sepolto nella sua Cattedrale con onorevole catafalco nel mese di Novembre dell’anno 1742.
D. GIACOMANTONIO ROSSI bergamasco dall’anno 1674 uno de’ Nostri. Tra le altre sue doti spiccò eminentemente la candidezza del suo costume, fu assiduo alla pulitezza della gioventù nelle belle arti da maestro in iscuola, ed alla santificazione del prossimo Confessore in Chiesa. L’affabilità dello spirito, e la officiosità del tratto germogli di quella umiltà, ch’ebbe sempre indivisa compagna, con cui sentiva altamente di tutti, e bassamente di se, lo resero caro a tutti, sicché fu promosso in vari tempi a vari gradi nella Congregazione, e finalmente al Propostato Generale della Religione nell’anno 1729, cui amministrò, e resse con tale dolcezza, e condescendenza, che rendé gratissima l’osservanza a sudditi, ,ed amabile la soggezione a’ graduati, arricchì la Chiesa nostra di San Leonardo in Bergamo di portici, di altari, e la sacristia di suppellettili, ed il collegio con grosse somme di danaro fu ampliato di fabbriche, ed accresciuto di redditi dalla sua divota benevolenza; il di lui vivere fu così religioso, il di lui conversare così esemplare, il di lui parlare così obbligante, che rapì in ogni tempo il cuore di tutti ad amarlo, a servirlo, a compiacerlo. Nell’anno ottantesimo di sua età, e poco più, vive indefesso ancor oggidì al servizio del Collegio di San Leonardo in Bergamo, ove è Proposito col grado unito di Assistente Generale.
D. GIAMBATTISTA LAGHI nobile veneziano decorato nella Congregazione con vari titoli onorifici pel merito della sua prudenza, e delle virtù sue religiose, e doti intellettuali, ritrovandosi in Roma Lettore della Morale fu da Papa Clemente XI nell’anno 1720 sublimato alla cattedra Arcivescovile di Spalatro Primate della Dalmazia, e Croazia, e sostenne quella mitra presso due lustri con sommo applauso, acclamato dal clero, e venerato dal popolo non senza singolare soddisfazione della Serenissima Repubblica di Venezia, ch’ebbe un gravissimo rincrescimento nel perderlo Pastore vigilante in quella provincia. Ughell. Ital. Sacr.
D. LUIGI SAVAGERI romano disinvolto nell’operare, efficace nel dire entrò nella Congregazione l’anno 1704 li 5 del mese di Ottobre, corsa la carriera degli studi suoi, e compiuto il corso del suo magistero alla forma de’ nuovi statuti, attesa la destrezza, ed energia palesata in varie incombenze, fu commessionato da personaggi di Roma a Dicasteri di Vienna, nella quale Imperial dominante avendo condotte a porto felicemente le commessioni, si restituì in Roma l’anno 1722, ove Superiore nella casa professa fu fatto Vescovo d’Azoto in partibus, ed assiememente Coadiutore del vescovo d’Alatri da Benedetto XIII nell’anno 1728. Sicché Vescovo Titolare, e Coadiutore governò col grado cumulativo di Proposito il nostro collegio de’ SS. Niccolò e Biaggio a’ Cesarini in Roma per indulto papale. Morto dopo qualche mese in Alatri il Vescovo Monsignor Guerra, di cui egli era Coadiutore, occupò quella sedia Vescovile da proprietario l’anno 1730, e vi regge ancor oggidì esemplarmente il suo gregge celebrati i Sinodi, e visitata la sua Diocese.
D. GIAMMARIA MARICONE illustre genovese commendatissimo nelle facoltà Teologiche, e Filosofiche, fu Professore in Milano di Sacra Dottrina a’ Nostri, indi portatosi a Vienna d’Austria per affari commessigli in quegli Aulici Tribunali, non molto dopo fu eletto Vescovo di Ippi in partibus correndo l’anno dalla sua religiosa Professione il ventesimo ottavo sotto il Pontificato di Benedetto XIII nell’anno 1729 consagrato Vescovo, avendo avute più facili, e pronte le occasioni di far conoscere a Carlo VI, Cesare gloriosissimo, e di eterna memoria la soavità de’ costumi suoi, la prudenza ne’ suoi maneggi, e la singolare destrezza delle sue operazioni, non gli fu arduo entrare nello spirito di sì Augusto Imperadore, onde si meritò cumulativamente gli applausi della Corte cesarea, e l’affetto delle Maestà Imperiali, non tralasciando egli ancor oggi colla moltiplicazione degli Atti virtuosi d’impinguare il patrimonio de’ segnalati suoi meriti, quali sono stati contradistinti dal mentovato Imperadore co’ premi, e riguardevoli benefici da lui ottenuti.
Ex Litt. Viennae Austriae datis.
D. PIETROPAOLO GOTTARDI veronese alla pulitezza delle Lettere ha unita sempre quella del suo esteriore portamento; uomo affabile, grazioso, e sincero, annoverato tra Vocali de’ Comizi Generali sedé frequentemente tra Padri Definitoriali, governò la Provincia Veneziana col grado di Provinciale, e fu poscia promosso alla Prepositura Generale nell’anno 1738. Da questo posto eminente avendo l’occhio attento su l’avvanzamento de’ sudditi nello spirito, non perdé di vista il suo avvantaggio nella Letteratura. Costituì Riformatori degli Studi nelle nostre Atene, che invigilassero sulle Dottrine de’ Professori, e sul profitto degli studenti col rigore degli esami; conchiuse finalmente nell’anno 1741 la triennale sua reggenza con molta lode di se, e con maggiore speranza d’ognuno di vederlo altra volta al medesimo grado in decoro della sua Congregazione innalzato. Ex Litt. Encycl. Missis.
D. COSTANTINO SERRA nobile genovese, educato nel Collegio Clementino di Roma da’ padri Somaschi, si prescelse nella elezione del proprio stato l’abito de’ suoi Direttori in quel nobile Convitto, e condotto in Genova al noviziato compiuto, che l’ebbe perfezionossi negli studi di Filosofia, e di teologia, indi passato al magistero Professore di lettere umane fu adorno di qualche titolo nella Congregazione nel corso degli anni suoi, ed a maggiori Soggetto di religiose virtù asceso sarebbe, se a più sublime grado non fosse stato promosso per grazia della Sede apostolica, avendolo Papa Clemente XII nell’anno 1737 li 17 del mese di Giugno sublimato al Vescovado di Noli nel Genovesato a Ponente, in cui divoto, e zelante pastore governa il suo gregge con somma tranquillità meritevole di lunga età al bene de’ suoi Diocesani.
D. GIAMBATTISTA RIVA delle più illustri famiglie di Lugano professò l’anno 1704 li 14 di maggio, giunto dopo il corso degli studi al magistero nelle nostre scuole, vi sudò parecchi anni nella coltura delle belle arti. La di lui virtù rendutasi a’ Padri del Governo più grata dalla dignità del sembiante, fu ammesso nel numero de’ Vocali, che tra noi sono gli unicamente capaci della maggiori cariche della Religione, quindi le gelose incombenze della Generale Procura furongli accollate in Roma, più volte il Propostato di san Maiolo in Pavia, nelle quali graduazioni avendo date pruove sensibili, ed evidenti, che nel promoverlo non si provedea un uomo di carica, ma la carica di un uomo, fu costituito Proposto Provinciale a tutta la Lombardia, e Piemonte, e risiedendo nel Collegio di san Maiolo in Pavia li Provveditori, e Conseglieri di quella città ben consapevoli della di lui prudenza, destrezza, e pesata facondia lo spedirono nell’anno 1737 a Vienna Imperiale a maneggiare in quella Corte gravissime Commessioni, le quali spedite con felicità, e soddisfazione di quel Regio Pubblico, nel suo ritorno a Pavia fu presentato con distinto contrasegno di gratitudine dalla medesima città, ed onorate le sue benemerenze colla iscrizione del suo nome al Libro de’ Cittadini. Ex Provinciale, ed ex Proposito passò senza intervallo al grado supremo di generale nell’anno 1741, e fu, si può dire, piuttosto acclamato al Generalato, che eletto. In questo grado quanta sia la diligente premura ancor oggi della regolar disciplina, e la studiosa cura del pubblico bene, ch’Egli ha, chiaramente si può argomentare dall’avere con molta fatica, e con molto profitto primieramente ristretto quanto era diffuso nel Tabulario della Procura Generale in Roma spettante alla Storia della Congregazione, ove voglia proseguirsi, o formarsi; secondariamente compilato, ed ordinato lo Archivio del Collegio di pavia così pubblico, come privato; in terzo luogo compendiati gli Atti de’ Definitori, e de’ Capitoli Generali, e smidollato con regolare alfabetto quanto contiensi nella a Noi proprie Costituzioni a comodo di chi comanda non meno, che di chi ubbidisce.
D. ALFONZO SOZI CARAFA della Diocese di Benevento dopo vari documenti dati a Roma del suo sapere, e della sua prudenza nel non breve Governo del Collegio Clementino, ed in qualità di Rettore, e di Maestro da Papa Benedetto XIV singolarmente applicato a promovere alle dignità della Chiesa i Valentuomini nella bontà della vita, e nella sublimità del sapere. Nel principio del mese di Luglio dell’anno 1743 è stato decorato di mitra nel Regno di Napoli, e fatto consagrar Vescovo della Diocese di Vico di Sorrento città in terra di lavoro chiamata Vicus Aequensis. Esaminato, che fu in Teologia positiva, o sia in materia di Controversie furono sì sode, e sì pronte le sue risposte, che il Sommo Pontefice finita l’esamina lo rese degno di sua commendazione, ed elogio. Si giudicherà ben giustamente felice quel clero, e quel popolo, cui è toccato in sorte un pastore di tanta diligenza nell’assisterlo, e di tanta carità nell’erudirlo alla conquista della sovrana felicità. Diar. Ordin. num. 4053 sotto li 20 di Luglio dell’anno 1743.
D. VINCENZO de’ CONTI GAMBARANI di PAVIA, tra primi Compagni del Beato Fondatore Girolamo Miani, dopo la cui morte si trattenne tutto il restante degli anni suoi in Bergamo, fu graduato nella santità, e nella Prefettura Generale degli orfani, ed orfanelle, in quella illustre città. La innocenza della sua vita, e la cristiana pietà de’ suoi costumi crebbe a tal segno, che presso que’ cittadini era venerato per un erose del cielo, ed adorato per un angelo su della terra, celebrandosi il chiaro suo patrocinio in vita per l’onore de’ suoi prodigi, e dopo morte per la grazia de’ suoi miracoli. Tra le altre cose memorabili ad autorizzare la di lui virtù si racconta, che avendo egli ravvisato non so chi nella Chiesa di S. Alessandro in Bergamo starsi genuflesso con un solo ginocchio, e con l’altro alzato udendo la santa Messa, attribuendolo a colpa della comune irriverenza ne’ Templi, cortesemente ammonillo di stare ginocchione compitamente alla presenza del gran Sacrificio, perché tanto conveniva di fare a’ Professori del cristianesimo: L’uomo avvertito, che ritrovavasi in tal positura, non per difetto di venerazione, ma per colpo d’infermità, battuto allo indietro il mantello con cui coprivasi, e palesato al divoto religioso il morbo, che gli renda inflessibile il ginocchio maltrattato da una molesta attrazione de’ nervi offesi, meritò la compassione del pietoso sacerdote, e la cura, perché stendendo questi in forma di Croce la mano sovra la parte attratta la segnò, ed in così fare lui disse: Fratello da ora innanzi assistendo alla santa Messa piegate pure, che è ben giusto, ancorché offeso questo ginocchio, che tale è la volontà del Signore; non tosto provò di piegarlo l’infermo, che incontanente lo ritrovò flessibile ad ogni naturale suo moto senza mai più sperimentare alcuna pena nella parte così graziosamente sanata. Per tali, ed altri somiglianti favori concessigli dalla mano onnipotente di Dio, crebbe di giorno in giorno maravigliosamente l’opinione della di lui santità, che giornalmente si rileva da varie coserelle di suo uso, che ancora oggidì servono di istromenti di maraviglie, e di grazie. Morì in Bergamo nell’anno 1561, nel mese di Luglio e fu sepolto nella prima chiesa de’ PP. Predicatori con solennità di Esequie, e concorso innumerabile di popolo; dalla qual Chiesa demolita per circospezion di governo dalla Republica di Venezia, fu il di lui corpo trasferto alla chiesa di S. Alessandro, mancando in que’ tempi al nostro pio Luogo la sepoltura, e nella traslazione fu ritrovato incorotto trammandando per ogni parte dell’urna soavissimo odore di paradiso il venerato cadavero; se non che per opera, e studio de’ Nostri passò in braccio della Congregazione nel corso de’ tempi sì caro, e prezioso deposito, e collocato indi in Somasca attiguo a quello del suo amato Fondatore, e Maestro Girolamo Miani. Turturae lib. 3 cap. 9 in Vita Beati Hieronymi Aemil. Crescent. lib. 2 Praesid. Rom.
D. BARTOLOMMEO BROCCHI casalasco fiorì tra Nostri nel primo secolo della Congregazione avendo professato nell’anno 1570 li 12 del mese di Luglio. Soggetto memorabile pel verginale candore, per la eroica umiltade, e pel fervore della sua carità; in Somasca avendo coll’assiduo esercizio delle virtù conseguito l’alto grado della perfezione era chiamato il Santo. Nel giro di trenta e più anni, che ivi dimorò furono que’ terrazzani liberi dalle tempeste, ed immuni dalle gragnuole, al primo tuono del cielo, al primo sospetto della procella buttavasi ginocchione a terra pregando, e tosto fugati i nembi ritornava la serenità. Fu egli il Fondatore di quel collegio e di quella Chiesa il Ristoratore tutto a spese di sua pietà, ed a conto de’ suoi prodigi. Spaccando un giorno bosco per servizio de’ suoi orfanelli, e poveri derelitti tagliatosi enormemente coll’acetta lo schinco di una gamba, quando i domestici si affliggevano per compassione, egli si rese sano per un miracolo, distesa la mano fece un segno di croce sulla sua piaga, e la piaga rimmarginata istantaneamente risanò. Ritrovandosi nel nostro coro di Somasca in orazione con tutta la sua famiglia essendovi superiore, all’impensata, e quasi destato dal sonno premonì ognuno ad alta voce, che suo fratello il Padre Gabriele in Vercelli era morto, e fecelo subito suffragare con un Deprofundis, e poi si intese da Vercelli, che veramente passato era a miglior vita in quel tempo appunto, che ei lo avea prenonciato in Somasca. Da questo villaggio finalmente chiamato a Milano per assistere a que’ miserellli nel pio luogo di san Martino dopo varie, e varie egregie azioni di religione, di zelo, e di abbassamento di tutto se transitò al cielo l’anno 1621 li 2 del mese di Novembre. Crescent. Lib 2 Praesid. Rom. Adnot. Chronolog. P. Semen in Archiv. Monfort. Sancti.Petri Mediol.
D. GIULIO CESARE VOLPINO napoletano di gran pulitezza nel dire, ma di maggiore nel fare, passò i confini del credibile il suo sapere, e la sua pietà, visse ne’ tempi di quel grande Pontefice Clemente VIII, che nodrendo un’alta stima di lui l’onorò col grado di suo Confessore, e di suo Teologo Esaminatore. Fu sì tenero il pio, e dotto religioso verso Maria, che in tutti gli suoi discorsi framischiava sempre qualche cosa di Lei portandola nel cuore, e nella lingua così teneramente, che gli ardevano in parlandone il viso, la fronte, e gli occhi, qual tenerezza, ardore, ed innamoramento fu sì caro, e grato alla Vergine, che talvolta gli si rese visibile contestandogliene la sua scambievole benevolenza, ed affetto. Morì nel collegio di San Biaggio in Roma circa l’anno 1612 pieno di meriti, ed acclamazioni senza dubio alcuno della sua santità.
Tab. S. Petri Montisf. Med.
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NOS D. CAROLUS MARIA LODI
CONGREGATIONIS DE SOMASCA PRAEP. GEN.
Cum uti nobis exponitur P. D. JACOBUS CEVASCHI Sancti Officii Consultor Alexandriae Librum, cui titolus SOMASCA GRADUATA ec. praelo subijciendum adornaverit, harum serie indulgemus, ut servatis servandis publici juris faciat, dummodo a PP. Nicolao Petricelli, et Joanne Crivelli luce dignus judicetur, et eorum censorio calculo approbetur. Dat. Venet. 3 Aprilis 1735 ex Domo nostra S.M.S.
D. CAROLUS MARIA LODI
Praep. Gen.
Ex mandato Reverendissimi Patris nostri Praepositi Generalis D. CAROLUS MARIAE LODI librum praenotatum SOMASCA GRADUATA ec. jucunda mente perlegimus tantumque abest, ut in eo quid fidei, et moribus dissonum offendatur, quin omnia consonare reperiantur, quapropter apprime dignum censemus, qui cudatur in praelo, ne Congregatio nostra, ea luce, quam pariturus est defraudetur. Dat. Venet. Die 23 Aprilis 1735 ex Collegio nostro S.M.S.
D. Nicolaus Petricelli Cler. Regul. Som.
D. Joannes Crivelli Cler. Regul. Som.


Spinola, Stefano , Pro solemni philosophiae moralis auspicio in noua vniuersitate Grimalda explicandae P.D. Stephani Spinulae congreg. Somaschae publici professoris praelectio, Genuae: Calenzani, Pietro Giovanni, 1650
Spinola, Stefano, De libera, et prudenti agibilium electione in moralibus Opusculum. Autore D. Stephano Spinula congregationis Somaschae, Genuae: Calenzano, Pier Giovanni, 1648
Savona , Decreta synodalia primae synodi dioecesanae, quam habuit anno 1667. Die 24. Aprilis. Illustrissimus, & reuerendissimus D. Stephanus Spinnla ..., Cunei: Strabella, Bartolomeo, 1680
Spinola, Stefano, Scholastica theologia auctore ... Stephano Spinula ... Prolegomena et tractatus de Deo uno. De visione. De scientia. De voluntate. De praedestinatione. De Trinitate. De angelis ... Cum quadruplici indice., Papiae : ex Typographia, & sumptibus Caroli Francisci Magrii ... , 1681., Stemma calcogr. episcopale sul front., Marca non controllata (Aquila bicefala : Me mea virtus alit) a c. 4G6v., Segn.: [pi greco] 4 a4 b6 A-4F4 G6., Precede il front. occhietto., Pubblicata solo la prima parte., Magri, Carlo Francesco
Spinola, Stefano, Nouissima philosophia summulas, logicam, et libros Physicorum, De coelo, De generatione, et corruptione, De metheoris, De anima, & Metaphysicorum complectens. Auctore D. Stephano Spinula congregationis Somaschae .., Genuae: Calenzano, Pier Giovanni, 1651
Spinola, Stefano, Nouissima philosophia, summulas, logicam et libros physicorum, de coelo, de generatione, et corruptione, de metheoris, de anima & metaphysicorum complectens. Auctore ...Stephano Spinula ..., Papiae: Magri, Carlo Francesco, 1678

Morandi, Giovanni , Ioannis Morandi Veronensis ... Cursus theologici tomus primus [- secundus]. Hoc est tractatus, & quaestiones in primam partem D. Thomae, in quibus eadem methodi facilitate, & breuitate, sicut in cursu philosophico eiusdem authoris, disputantur, quae spectant ad materiam de Deo vno, et trino, et de angelis, Venetiis: Ferretti, Ognibene, 1650-1655
Morandi, Giovanni , 2: Ioannes Morandi Veronensis ... Cursus theologici tomus secundus. Hoc est tractatus, & quaestiones in 2. et 3. partem D. Thomae. .., Venetiis: Hertz, Giovanni Giacomo, 1655


Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, 4: Disputationim philosophicarum tomus quartus, De ente trasnaturali, sive abstracto a materia. Authore Petro Hurtado de Mendoza, .., Tolosae: Boude, JeanBosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Petri Hurtado de Mendoza. Scholasticae, et morales disputationes. De tribus virtutibus theologicis. De fide volumen secundum [i.e. primum], Salmanticae: Taberniel, Jacinto, 1631
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Vniuersa philosophia a R.P. Petro Hurtado de Mendoza Vamaldesano e Societate Iesu .., Lugduni: Roville eredi, 1624
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Disputationes de uniuersa philosophia, authore, Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu; cum indicibus necessariis nouiter in meliorem formam redactis, tam disputationum et sectionum, quam materiarum, Ludguni: Pillehotte, AntoineCayne, Claude, 1617

Hurtado de Mendoza, Pedro<1578-1651>, Disputationum a summulis ad metaphysicam. A Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu. Ad illustrissimum Garsiam Pimentel: excellentissimorum comitum ac ducum Benauenti filium. Volumen primum Summulas & logicam continens, Tolosae: Boude, JeanBosc, Dominique, 1617
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Disputationes de Deo Homine, siue De incarnatione Filij Dei, auctore Reu. Patre Petro Hurtado de Mendoza Valmasedano, e Societate Iesu, .., Antuerpiae: Nuyts, Martin <3.>, anno 1634
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, 4: Disputationim philosophicarum tomus quartus, De ente trasnaturali, sive abstracto a materia. Authore Petro Hurtado de Mendoza, .., Tolosae: Boude, JeanBosc, Dominique, 1618
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Petri Hurtado de Mendoza. Scholasticae, et morales disputationes. De tribus virtutibus theologicis. De fide volumen secundum [i.e. primum], Salmanticae: Taberniel, Jacinto, 1631
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Vniuersa philosophia a R.P. Petro Hurtado de Mendoza Vamaldesano e Societate Iesu .., Lugduni: Roville eredi, 1624 Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Disputationes de uniuersa philosophia, authore, Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu; cum indicibus necessariis nouiter in meliorem formam redactis, tam disputationum et sectionum, quam materiarum, LudguniLudguni: Pillehotte, AntoineCayne, Claude, 1617
Hurtado de Mendoza, Pedro<1578-1651>, Disputationum a summulis ad metaphysicam. A Petro Hurtado de Mendoza, Valmasedano, Societatis Iesu. Ad illustrissimum Garsiam Pimentel: excellentissimorum comitum ac ducum Benauenti filium. Volumen primum Summulas & logicam continens, Tolosae: Boude, JeanBosc, Dominique, 1617
Hurtado de Mendoza, Pedro <1578-1651>, Disputationes de Deo Homine, siue De incarnatione Filij Dei, auctore Reu. Patre Petro Hurtado de Mendoza Valmasedano, e Societate Iesu, .., Antuerpiae: Nuyts, Martin <3.>, anno 1634


Sebastiano Corrado nacque ad Arceto da Giacomo e Caterina del Pireo. Il Tiraboschi ne fissa la data agli inizi del secolo XVI. Di questo celebre umanista si ignora ove fece i suoi primi studi e quando fu ordinato sacerdote e rettore della parrocchia di Arceto. Nel 1524 frequentò i corsi di lingua latina e greca tenuti a Venezia dall'Egnazio e dal Tilesio. Nel 1529 ritornò a Reggio. Nel 1540 gli anziani di questa città gli affidarono l'incarico di maestro di umanità nel ginnasio reggiano. La sua fama e la vasta eco del suo sapere gli procurarono l'elezione a lettore nello studio di Bologna. Rimase a Bologna fino all'anno 1553. Richiesto dai Riformatori dell'Università di Padova per sostituire il defunto e celebre professore Lazzaro Bonamici, accettò l'incarico e insegnò in questo ateneo fino alla morte, avvenuta il 18 agosto 1556. Molte sono le opere di questo famoso umanista. Qui se ne elencano quelle reperite nelle biblioteche italiane:
Valerius : Maximus, Valerii Maximi Dictorum, factorumq. memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati, & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epitomes decimi libri, & per C. Titum Probum; ac vita eiusdem Valerij Maximi. Index rerum, ac uerborum, Venetiis\Venezia: Griffio, Giovanni <1.>, 1575
Plato, Platonici dialogi sex nunc primum e Graeco in Latinum conuersi, Sebastiano Corrado interprete, Lugduni\Lione: Tournes, Jean de <1.>, 1550
Valerius : Maximus, Valerii Maximi, Dictorum factorumque memorabilium libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati & illustrati. Indice adiecto copiosissimo, Venetiis: Scoto, Girolamo, 1553
Corrado, Sebastiano , Sebastiani Corradi In M. T. Ciceronis epistolas ad Atticum. Scholia, nuper correcta, & aucta, Venetiis: Scoto, Girolamo, 1549
Valerius : Maximus, Valerii Maximi, Dictorum factorumque memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati & illustrati, Venetiis: Valvassori, Giovanni Andrea, 1547
Valerius : Maximus, Val. Max. Dictorum factorumque memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati et illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epitomes decimi libri, per C. T Probum ac uitam eiusdem Valerii Maximi. Praeterea uero & indicem copiosum propriorum nominum, ac rerum memoria dignarum, Venezia, Giovanni Griffi: Griffio, Giovanni <1.>, 1559
Valerius : Maximus, Valerii Maximi, Dictorum factorumq. memorabilium libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati & illustrati, Venetiis: Valvassori, Giovanni Andrea Imperatore, Bartolomeo, 1547
Corrado, Sebastiano , De officio doctoris et auditoris / Sebastiano Corrado ; a cura di Luciano Lanzi, Novara, 2003
Cicero, Marcus Tullius, Marci Tullii Ciceronis Epistolae familiares, ad optimorum exemplarium fidem recognitae, summaque diligentia castigatae. Cum Ascensii commentariis, ac aliorum doctissimorum virorum scholiis, ... Auctores autem, quorum enarrationes appositae sunt, in sequenti catalogo recensetur. Aulus Gellius. Alexander ab Alexandro. Coelius Rhodiginus ... et al. His accesserunt argumenta Christophori Hegendorphini, et Giberti Longolii lemmata. Annotationes praeterea Hieronymi Arlotti in obscuriores prim& explicantur , Brixiae: Britannico, Lodovico <1.>, 1550
Valerius : Maximus, Valerij Maximi Dictorum, factorumq. memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epitomes decimi libri, per C. Titum Probum; ac uitam eiusdem Valerij Maximi. Index rerum, ac uerborum, Venetijs: Griffio, Giovanni <1.>, 1564 Valerius : Maximus, Val. Max Dictorum factorumq. memorabilium libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epithomes decimi libri, per C. Titum Probum ac vitam eiusdem Valerii Maximi. Preterea vero & indicem copiosum prorpiorum nominum ac rerum memoria dignarum , Venetiis: Griffio, Giovanni <1.>, 1551
Platonici dialogi sex, nunc primum e Graeco in Latinum conuersi, Sebastiano Corrado interprete, Lugduni: Gryphius, Sebastien, 1543
Valerius : Maximus, Valerii Maximi Dictorum, factorumque memorabilium. Libri nouem, A Sebastiano Corrado emendati, & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epit omes decimi libri, & per C. Titum Probum; ac vitam eiusdem Valerij Maximi. Index rerum, ac verborum , Venetiis: Farri, Domenico, 1594
Valerius : Maximus, Valerii Maximi, Dictorum factorumque memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati & illustrati, Venetiis\Venezia: Valgrisi, Vincenzo, 1545
Valerii Maximi Dictorum, factorumque memorabilium. Libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati, & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epitomes decimi libri, & per C. Titum Probum; ac vitam eiusdem Valerij Maximi. Index rerum, ac verborum , Venetiis: Griffio, Giovanni <2.>, 1583
Valerius : Maximus, Valerii Maximi Dictorum, factorumque memorabilium. Libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epiomes decimi libri, & per C. Titum Probum; ac vitam eiusdem Valerij Maximi. Index rerum, ac verborum, Venetiis: Griffio, Giovanni <1.>, 1563
Valerius : Maximus, Valerii Maximi, Dictorum factorumq. memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati & illustrati, Venetiis: Valgrisi, Vincenzo, 1545
Masuccio : Salernitano, Le cinquanta nouelle di Massuccio Salernitano intitolate Il Nouellino. Nuouamente con somma diligentia reuiste corrette et stampate, Venezia: Sessa, Melchiorre <1.> eredi
Valerius : Maximus, Valerii Maximi dictorum factorumque memorabilium libri nouem, a Sebastiano Corrado emendati, & illustrati ..., Augustae Taurinorum: Tarino, Domenico, 1579
Valerius : Maximus, Valerij Maximi Dictorum, factorumque memorabilium. Libri nouem. A Sebastiano Corrado emendati, & illustrati. Quibus adiecimus fragmenta quaedam epitomes decimi decimi libri, & per C. Titum Probum; ac vitam eiusdem Valerij Maximi , Venetiis: Spineda, Lucio, 1601


Auria, Vincenzo <1625-1710>, Historia cronologica delli signori vicere di Sicilia, dal tempo che manco la personale assistenza de' serenissimi re di quella, cioe dall'anno 1409 sino al 1697 palermitano.., In Palermo: Coppola, Pietro, 1697
Auria, Vincenzo <1625-1710>, Dell'origine ed antichita di Cefalu citta piacentissima di Sicilia. Notitie historiche del signor dottor don Vincenzo Auria palermitano, In Palermo: Cirilli, 1656
Auria, Vincenzo <1625-1710>, La Sicilia inventrice o vero Le invenzioni lodevoli nate in Sicilia : opera del dottor Vincenzo Auria con li divertimenti geniali, osservazioni e giunte all'istessa di Antonino Mongitore, In Palermo, 1704 Auria, Vincenzo <1625-1710>, Il vero ed original ritratto di Christo signor nostro in croce : narratione historica dell'origine del santissimo crocifisso della maggiore e metropolitana chiesa di Palermo / composta dal dottor Vincenzo Auria , In Palermo, 1690