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Nel RITRATTO una supposta figurazione di FRA DOLCINO TORNIELLI DA NOVARA che l'Alighieri citò nel c. XXVIII dell'Inferno tra i Seminator di scandalo e di scisma: Dolcino era in polemica con il clero romano ma anche con gli ordini mendicanti, francescani e domenicani, per i ricchi possedimenti "mentre noi" continuava" non abbiamo case né dobbiamo portare con noi i frutti delle questue, e per questo la nostra vita è migliore e definitiva medicina per tutti".
Fu influenzato dalla dottrina condannata (1215) come eretica di Amalrico di Bene.
Gli amalriciani credevano di vivere agli inizi di una nuova era o età dello Spirito Santo, dopo quelle del Padre e del Figlio, e credevano alle leggende sull'Imperatore degli ultimi giorni e sull'avvento e disfatta dell'Anticristo, i cui servi erano Papa e cardinali.
A fine lettera Dolcino scrisse: "Papa Bonifacio VIII e tutti i cardinali e i chierici saranno sterminati dalla spada divina di un nuovo imperatore e da nuovi re da lui creati, e così essi saranno uccisi ed eliminati da tutta la terra.
Il nuovo imperatore e quei nuovi re da lui nominati rimarranno fino alla venuta dell'Anticristo, il quale in quei giorni apparirà e regnerà
".
Le profezie dell'Apocalisse, reinterpretate da Dolcino, avevano previsto nel 1304 l'avvento di un papa buono dopo uno malvagio.
Tal papa buono sarebbe stato lui, non eletto dai cardinali (sterminati dal nuovo imperatore) ma da Dio stesso.
Per Dolcino nel 1305 il nuovo imperatore avrebbe poi fatto strage di tutti i chierici, monaci e monache, frati minori ed eremitani.
Tutto ciò gli sarebbe stato rivelato da Dio in persona, il quale lo avrebbe assicurato che alla fine di quel triennio tutti gli uomini dediti alle cose spirituali si sarebbero uniti agli "apostolici" e avrebbero ricevuto la grazia dello Spirito Santo.
La Chiesa sarebbe stata purificata dopo secoli di corruzione.
Dopo la lettera Dolcino fece perdere le sue tracce.
La sua presenza fu segnalata a Bologna e a Ferrara; da Firenze e da Bologna gli arrivarono sovvenzioni da famiglie del contado e adesioni di emarginati.
Nel 1303 Dolcino si trasferì in Trentino ove conobbe Margherita di Trento detta "la bella".
In tale anno Bonifacio VIII subì la più grave umiliazione mai subita da un pontefice da parte dell'autorità laica.
Il papa era in lotta con Filippo IV di Francia, che non tollerava l'ingerenza della Chiesa negli affari di stato e respingeva il principio di supremazia del papa sulle cose temporali sancito nella bolla Unam Sanctam del 1302.
Il sovrano, tramite Sciarra Colonna, fece arrestare il Papa che, sconvolto, morì l'11-X-1303.
Per molti eretici fu un segnale del momento della riscossa.
A capo della congregazione guidata da Dolcino stavano 100 membri, ma gli adepti erano più di 4000.
Ai primi del 1304, Dolcino giunse in Piemonte (Valsesia) con 3000 uomini.
Alcuni ghibellini gli mandarono sostegni: non era strano visto che al centro dell'ideologia dell'eresiarca stava Federico di Sicilia, erede degli Svevi, che quale "Imperatore" avrebbe dovuto eliminare papa e clero corrotto.
I dolciniani sostarono fra Gattinara, Serravalle e altri villaggi nella diocesi di Vercelli, spostandosi però in continuazione.
Entrarono poi nella diocesi di Novara, tra Campertogno, Varallo e Balma:
nel loro peregrinare, i dolciniani furono aiutati dalle popolazioni locali.
Dolcino, ormai localizzato, ritenne vano fuggire e si fermò coi suoi sul monte detto Parete Calva sopra i villaggi del novarese.
Sulla parete del monte i dolciniani costruirono rifugi e case e respinsero gli armati inviati dalle autorità. L'anonimo autore della Storia di fra' Dolcino eresiarca racconta che dalla Parete Calva gli uomini scendevano a valle per commettere crimini: Dolcino durante la predicazione in Valsesia aveva affermato che rubare, catturare uomini per averne il riscatto e commettere altri crimini del genere non era peccato, perché lui e i suoi seguaci erano più perfetti che qualsiasi altro uomo di chiesa ed era giusto che si difendessero dalla malvagia persecuzione.
Nell'inverno tra 1305 e1306, Dolcino inviò la sua III, ultima lettera annunciando la venuta dell'Anticristo e profetizzando che lui e i suoi seguaci sarebbero stati portati in Paradiso presso i patriarchi Enoch ed Elia sì da scampare alla furia dell'Anticristo.
Dopo di ciò lasciò il novarese e giunse, il 10-III-1306, nel vercellese, presso Trivero, fortificandosi sul monte Zebello che fu poi detto Rubello o Rebello in quanto sede di ribelli.
Cominciò una lunga resistenza: i ribelli più volte si ridussero a mangiare carne di topo, di cavallo, di cane, e fieno cotto col sego.
Poi il vescovo di Vercelli mandò un esercito di uomini scelti a presidiare i dolciniani.
Papa Clemente V, successore di Bonifacio VIII, il 7-IX-1306 inviò lettere a Ludovico di Savoia, agli inquisitori, ai domenicani e all'arcivescovo di Lombardia: "Abbiamo appreso, non senza grande amarezza, in che modo la nequizia di quel figlio di Satana di nome Dolcino si sia diffusa in Lombardia , al punto che costui, ergendosi contro la Santa Chiesa e la fede cattolica, abbandonata la via della salvezza, inabissatosi nell'errore, non solo precipita se stesso nella Gehenna, ma molti trascina con sé con le parole e con l'esempio e gli errori suoi hanno traviato, ahimé, molti uomini. Allo sterminio dei suoi errori, che l'Anticristo nemico del genere umano si sforza di diffondere in quei territori, bisogna far fronte rincuorando i fedele e allontanando dall'ovile le pecore infette, perché non appestino le sane". Queste lettere incitarono clero e nobiltà lombardo-piemontese a combattere l'"Anticristo" Dolcino per via di un'autentica Crociata.
Agli assediati, senza scampo, non giunsero più aiuti o rifornimenti.
Avvicinandosi la primavera, il 13 marzo (giovedì santo) 1307, il vescovo sferrò un decisivo attacco.
I vinti ribelli vennero uccisi a centinaia e gettati in un corso d'acqua che divenne rosso di sangue.
Fra Dolcino, Margherita "la bella" e il luogotenente Longino di Bergamo furono presi vivi nell'atto di fuggire per i monti sopra Trivero.
Vennero tradotti a Biella, ove il Papa inviò per loro una sentenza di morte.
Il I-VI- 1307, Margherita di Trento fu legata a una colonna, sulla riva del Cervo, nei pressi di Biella, e bruciata viva sotto gli occhi di Dolcino.
Poi vennero giustiziati Dolcino e Longino, il primo a Biella il secondo a Vercelli.
Posto su un carro con piedi e mani legate, ben in alto, in modo che tutti potessero vederlo, Dolcino venne fatto sfilare, mentre ancora lo si torturava, per le vie della città.
Quando fu messo al rogo era in fin di vita.
In punto di morte i carnefici lo invitarono al pentimento, ma con fermezza seppur con un filo di voce mormorò che entro 3 giorni sarebbe resuscitato. Quindi il fuoco lo avvolse e lo ridusse in cenere.
Dolcino divenne nei secoli seguenti un personaggio leggendario, tanto che i seguaci di Nietzsche lo esaltavano, quale incarnazione del superuomo che disprezza la mediocrità generale. Il 6-IV-1907 un giornale biellese, di ispirazione socialista, scriveva: "Il nome di fra Dolcino, di quell'anima eroica che, in tempi di pieno, barbarico dominio della Chiesa, ebbe il coraggio di insorgere contro la superstizione, il dispotismo e le nefandezze cattoliche e che come tutti i precursori del libero pensiero vissuti nei tempi tenebrosi del governo papale scontò con l'estremo supplizio il suo amor di libertà, nella rievocazione delle più sacre memorie, balza fuori a vita novella".