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CORTUSO (Cortusi, Cartusi), Giacomo Antonio [articolo di di Augusto De Ferrari in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)] Nacque a Padova nel 1513 da Matteo, nobile padovano, e da Orsolina da Leon. La famiglia, per aver appoggiato Venezia nella guerra con i Carraresi, godeva di particolari privilegi, fra cui l'esenzione dalle tasse. Il padre fu letterato di una certa fama al suo tempo. Poco si sa della formazione e degli studi del C.: laureatosi in medicina, non insegnò subito questa disciplina, perché in lui prevaleva l'interesse per le scienze naturali e per la botanica in particolare, studio nel quale praticamente fu autodidatta. Nel maggio del 1573 ebbe l'incarico, da parte dell'arcidiacono di Padova Bartolomeo di S. Croce, vicario del vescovo, di recarsi con altri noti personaggi in varie località del Padovano ad indagare sul censo del clero. Due anni dopo venne nominato, con G. B. Zabarella, provveditore della Sanità a Padova, in un periodo in cui infuriava la terribile peste bubbonica che imperversò per due anni in tutto il Veneto e causò la morte di 12.000 persone a Padova e di 50.000 a Venezia. Il C. dimostrò in questa circostanza molta energia e autorità: per salvare il bestiame del Vicentino e del Padovano egli si oppose al volere dei principi tedeschi e lo fece portare tutto dai monti nella pianura padana. Ma il suo impegno nella lotta contro la peste, in cui fu scarsamente aiutato dagli altri membri del Collegio medico (alcuni, pare, si dettero alla fuga), gli fece correre anche gravi rischi: contrasse egli stesso la peste, ma riuscì a guarire curandosi da solo; curò poi anche una figlia e una nipote, con infusi di varie erbe: le fece trasportare in campagna e le assistette personalmente, come continuò a fare anche per diversi cittadini padovani. Il 10 nov. 1590 il Senato veneto designò il C. a succedere a Melchiorre Guilandino nell'incarico di "ostensore dei semplici", cioè di guardiano e direttore dell'Orto botanico, fondato più di mezzo secolo prima e ritenuto il più antico del genere in Europa. Il C. giungeva a quell'incarico dopo l'Anguillara, il Falloppia, il Trevisan e il Guilandino, e, nonostante le cure richieste dal suo orto privato (il cui catalogo è fra i manoscritti di U. Aldrovandi), vi si dedicò totalmente. In effetti a lui si deve il notevole sviluppo che ebbe l'Orto sullo scorcio del Cinquecento; nel 1592 gli venne affiancato il botanico Giovanni Ortelio, ma il C. non volle quest'aiuto e chiese che costui venisse allontanato. Continuando i lavori già iniziati dal predecessore, nel 1590 fece cintare l'Orto con un muro circolare per evitare il pericolo di inondazioni da parte del Bacchiglione; due anni dopo fece apprestare e sistemare dal fiammingo Marco Manante una tubazione di piombo per la derivazione delle acque dalla macchina già posta dal Guilandino. Continua edassidua fu poi la sua attività per arricchire l'Orto di nuove specie, sicché pare che alla fine del secolo esso ne contasse più di duemila; tra l'altro il C. piantò il cedro del Libano, che dunque venne introdotto in Europa prima del sec. XVII: il C. ne parlò al Clusio in una lettera del 1568 e Pietro Pena ne riprodusse l'illustrazione nel 1576 (p. 448). Per acquisire nuove specie all'Orto il C. compì una serie di viaggi, in Italia, in Slovenia, in Siria, nelle isole dell'Egeo e in molte altre località; era del parere che il vegetale dev'essere studiato nell'area di crescita e nelle condizioni ambientali volute dalla natura, perciò ricercava i luoghi indicati dai testi antichi come habitat delle varie piante. Ma oltre ai frequenti viaggi, l'accrescimento dell'Orto fu dovuto alla corrispondenza scientifica del C. con i più importanti botanici dell'epoca, in Italia e fuori. Oltre che amico personale, fu infatti in relazione epistolare con l'Aldrovandi, il Clusio, il Mattioli, Giovanni e Gaspare Bauhin, Corrado Gesner, Pietro Pena, Mattia de Lobel, Ramberto Dodoens, Giovanni Brancion e molti altri. Ad essi comunicava le scoperte fatte ed inviava piante rare, ed essi a loro volta gli inviavano semi, piante, disegni, fossili ecc. Si sa ad esempio che il Gesner ricevette da lui diverse piante, tra cui la Hiericunthida;piante esotiche e rare ricevette l'Aldrovandi, con cui il C. fu amico anche dopo il 1569, anno a cui si ferma il carteggio pubblicato dal De Toni (sono lettere ricche di notizie sulle piante stesse, sulle loro origini, sul modo di coltivarle, con molte indicazioni di libri botanici, raccomandazioni di amici, cenni ai viaggi di studio oltre a problemi personali o vicende biografiche); e il Clusio afferma nel 1580 d'aver ricevuto dal C. molte piante, tra cui la Cortusa secca, e d'aver potuto verificarne le differenze rispetto alla Sanicula alpina, con cui egli stesso l'aveva confusa; nel 1592 afferma d'aver ricevuto un'altra pianta, a cui il C. aveva dato il nome di Myriophyllon Pelagium (la corrispondenza tra i due botanici è testimoniata dal 1566 al 1593). Oltre ai suddetti, l'altro corrispondente col quale gli scambi di materiale di studio furono più intensi fu il Mattioli, che in segno di omaggio diede il nome del C. ad una rara primulacea, fino ad allora ignota, dal fiore rosso o violaceo e dalle proprietà analgesiche e curative, soprattutto in caso di ferite. Il Mattioli volle chiamarla Cortusa (è la Cortusa Matthioli di Linneo, Auricula Ursi laciniata seu Cortusa Matthioli di Tournefort), dando per la prima volta ad una pianta il nome di un botanico. Il C. l'aveva raccolta in Valstagna e ne aveva descritto le caratteristiche, riprese anche nei versi di Castore Durante nel suo Herbario novoL'horto dei semplici di Padova , ove si vede la forma di tutta la pianta con le sue misure e indi i suoi partimenti, Venezia 1591, Francofurti 1608 (a cura di Johann Georg Schenk, col titolo Hortus Patavinus), che descrive millecentosessantotto vegetali e reca anche cinque tavole, ed un poco noto commento a Dioscoride dedicato al Mattioli: I discorsi nei sei libri della materia medicinale di Pedacio Dioscoride Anazarbeo, Vinetia 1568, in cui raffigura per la prima volta la Cortusa. Il suo merito maggiore resta legato, oltre alle specie vegetali da lui per primo descritte e analizzate (la Cortusa, il Doronico, il Satyrion Erythronium, l'Helianthus annuus ecc.), alle fortune dell'Orto botanico patavino ed al suo impegno - testimoniato dalle lettere - per la diffusione di simili istituzioni anche presso altre città: in effetti l'Orto di Padova fu il modello di quelli sorti in seguito a Roma, a Ferrara e altrove. Fonti e Bibl.: P. Pena - M. de Lobel, Nova stirpium adversaria, Antwerpiae 1576, pp. 64, 201, 290, 448;
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CLICCA QUI PER TORNARE AL LEMMA DI RICERCA C. Gesner, Epistolarum medicinalium libri III, Tiguri 1577, p. 113; C. Durante, Herbario novo, Romae 1585, pp. 150 s.; G..Bauhin, De plantis a divis sanctisve nomen habentibus, Basileae 1591, pp. 9, 17; C. A. de L'Écluse, Rariorum plantarum historia, Antwerpiae 1601, pp. 89, 179, 182, 186, 306 s., LXVII, XC, CXI, CCXXXVIII, CCL s.; I. F. Tomasini, Historia Gymnasii Patavinii Utini 1654, pp. 97, 305; P. Freher, Theatrum virorum erudit. clarorum, IV, Norimbergae 1688, p. 1292; J. P. Tournefort, Institutiones rei herbariae, I, Parisiis 1719, pp. 45 s., 121; A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino commentariorum libri sex, Lugduni Batavorum 1722, p. 94; B. Scardeone, Historiae de urbis Patavii antiquitate et claris civibus Patavinis libri tres, Lugduni Batavorum 1722, p. 294; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 334; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, p. 402; A. von Haller, Bibliotheca botanica, I, Tiguri 1771, p. 323; R. De Visiani, L'orto botan. di Padova nell'a. 1842 descritto e illustrato, Padova 1842, pp. 13 ss.; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, III, Napoli 1845, pp. 114 s.; G. A. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Lipsiae 1851, p. 69; B. D. Jackson, Guide to the liter. of botany , London 1881, p. 435; P. Amat di S. Filippo, Biografia dei viaggiatori ital., I, Roma 1882, p. 336; H. Baillon, Dict. de botanique, II, Paris 1886, p. 232; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, I, Venezia 1895, p. 57; II, ibid. 1901, p. 36; L. Legré, La botanique en Provence au XVI siècle, Marseille 1904, p. 58; L. Frati, Catal. dei manoscritti di U. Aldrovandi, Bologna 1907, pp. 111, 140, 144 s., 147, 155, 165, 178, 193; G. B. De Toni, Il carteggio degli ital. col botanico Carlo Clusio nella Bibl. Leidense, in Mem. d. R. Acc. di Modena, s. 3, X (1912), I, pp. 115, 121-24; L. Sabbatani, L'istituto di farmacologia dell'università di Padova, in Mem. e doc. per la storia dell'univ. di Padova , Padova 1922, pp. 401 s.; G. B. De Toni, Spigolature aldrovandiane. XIX. Il botanico padovano G. A. C. nelle sue relazioni con U. Aldrovandi e con altri naturalisti, in Monografie storiche sullo Studio di Padova, Venezia 1922, pp. 217-249; A. Mieli, Gli scienziati ital. dall'inizio del Medioevo ai giorni nostri I, 2, Roma 1923, pp. 449-52; P. Donazzolo, Viaggiatori veneti minori , in Mem. d. R. Soc. geogr. ital., XVI (1928), p. 170.

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Gerardo, fratello unico del Petrarca ( celebre la lettera delle Familiares, XVI, 2 I6 , X,3 che gli inviò il fratello Ad Gerardum, germanum suum monachum cartusiensem, de felicitate status illius et miseriis seculi cum exhortatione ad propositi perseverantiam= )e di Francesco più giovane, nacque probabilmente nel 1307, e gli sopravvisse. Fece con Francesco gli studi a Bologna, ma sembra con scarso profitto (cfr. Fam., XVII, I). Recatosi poi col fratello ad Avignone, ; anche lui amò una donna, e per lei scrisse versi che amici e conoscenti lessero e ammirarono. Ma quando ella mori, mutò vita e a poco a poco si confermò nell'idea di chiudersi in un monastero. Quando ciò avvenisse non sappiamo; ma poiché sul principio della prima citata lettera è detto: felix ... qui mundum tum maxime blandientem medio etatis flore sic spemere potuisti, e il mezzo dell'età dell'uomo si poneva sul trentacinquesimo anno (cfr. Psalm., 89, 10: dies amorum nostrorum septuaginta anni» e Dante, Convivio, IV, 23, 9lo punto sommo di quest'arco [della vita umana] ... è nel 35° anno, eInferno, , ), si può ragionevolmente supporre che, nato nel 1307, egli si facesse monaco intorno al 1342. A ogni modo, vesti l'abito nella Certosa di Montrieux, dove visse santamente. Narra il Petrarca (Familiares, XVI, 2) che, invasa la Certosa dalla peste nel 1348, mentre tutti gli altri monaci fuggivano spaventati egli solo non volle seguirli, per curare coloro che erano stati colti dal morbo; e che, morti questi, rimase solo con un cane a guardia del convento finché non tornarono quei suoi confratelli che ne erano fuggiti . Il Petrarca amò teneramente questo suo unico fratello, come appare dalle molte lettere che gli diresse, e nel suo testamento gli lasciò un legato. Poiché in questa lettera è detto: tu vero, si rite computo, in servitio lesu Cristi et in scola eius iam septimum annum siles, potremo datarla intorno al 1348.

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Matteo Villani (Firenze, 1283 – 1363) è stato uno storico e scrittore italiano.Continuatore della Nuova Cronica del fratello Giovanni, morto nel 1348 di peste, nacque a Firenze alla fine del XIII secolo. Le notizie sulla sua vita sono assai scarse: si sa che come il fratello fu associato ai Buonaccorsi, dei quali fu rappresentante a Napoli. Morì anch'egli in un'epidemia di peste, nel 1363. La sua opera, composta di undici libri, fu brevemente continuata dal figlio Filippo. Proprio la morte del fratello lo portò a continuare la Nuova Cronica, dove traspare il suo impegno a ricercare fonti e a documentarsi sui fatti. Di particolare importanza è la parte relativa alla peste del 1348, dove emerge, tra i luoghi comuni del genere, una riflessione esistenziale sulla vita. La peste nera: dati di una realtà, elementi di una interpretazione: Atti del XXX Convegno storico internazionale, Todi 10-13 ottobre 1993, Spoleto, Atti dei Convegni del Centro italiano di studi sul Basso Medioevo - Accademia Tudertina e del Centro di studi sulla spiritualità medievale, n.s. 7

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