cultura barocca
[VEDI CLICCANDO QUI LA GRANDE CARTA, FACENDOLA SCORRERE PER VISUALIZZARLA DALLA SPIAGGIA DI LATTE A NERVIA]. Data la significanza del settore Ventimiglia Nervia per questo ed altri lavori dall'opera di Massimo Quaini, Sagep, 1983 si riprendono qui le dotazioni in uomini, mezzi e strutture delle postazioni numerate nella carta come N. 9 quindi N. 10 poi ancora N. 11 ed infine n. 12 = per un'informazione più completa visualizza cliccando qui integralmente carte e dotazioni concernenti i Commissariati di Sanità sia di Ventimiglia che di Bordighera e come essi fossero guardati da uomini arruolati per la Milizia Nazionale non stipendiata distinta in Militi Scelti e Militi Ordinari che spesso diedero prova, anche nei conflitti e nonostante il modesto armamento, a fronte di quello delle forze ufficiali e dell'esercito regolare (vedi qui un indice di armi nei millenni), prove di grande valore e decisamente superiore a quello dell'esercito vero e proprio, soprattutto delle truppe mercenarie svizzere e tedesche come in occasione delle guerre seicentesche contro il Piemonte Sabaudo e particolarmente in occasione dei conflitto del 1625 e del 1672 [la validità di queste truppe dette anche globalmente dei "militi villani" era già stata dimostrata ai tempi delle incursioni dei Turchi (vedi qui un elenco di armamenti terrestri e navali dei soldati dell'Impero Ottomano) impegnati nel cinquecentesco assedio della sabauda Nizza ma non restii a distaccare forze dalla propria armata impegnata in tale assedio (nel cui contesto, come in tutta la guerra tra Francesco I e Carlo V non mancò di tracce d'ambiguità il comportamento tenuto dall'ammiraglio genovese Andrea Doria) ad avvalersi della guida di rinnegati cristiani cioè di cristiani apostati passati all'Islam e dai nomi spesso particolari ed emblematici onde spingersi verso il Ponente di Liguria (vedine una settecentesca cartografia) allo scopo di investirlo militarmente per depredare e far schiavi (la carta antica è attiva e sono multimedializzate tutte le voci dei borghi evidenziati) sia per quanto concernette la difesa di Vallebona quanto quella di Taggia destinata a far editare nel 1639 ( per i tipi dello stampatore G. A. Magri di Pavia) da Stefano Rossi con lo pseudonimo di Nofaste Sorsi un poema in dialetto di Taggia dal titolo L'antico valore de gli huomini di Taggia]. Diverso, durante la guerra del 1625, fu per vari aspetti il comportamento dei "Militi Ordinari e Scelti" a Ventimiglia, restando pur sempre alta testimonianza di coraggio e bellicosità a fronte del nemico sabaudo = in tal anno di guerra solo i militi villani (appunto reclutati tra i solidi abitanti delle ville ma anche tra il ceto popolare intemelio) si opposero arditamente a Carlo Emanuele di Savoia e la loro ira insurrezionale si scatenò poi in una vera e drammatica rivolta cui aderì la popolazione non abbiente urbana e non, militarizzata e non contro i comandanti delle poche truppe di Genova (pronti a rapida fuga) e contro i Magnifici di Piazza disposti a una resa disonorevole di Ventimiglia e delle sue fortificazioni. Il Vescovo Gandolfo, per quanto apprendiamo da una Relazione presumibilmente di G. G. Lanteri qui proposta indubbiamente filonobiliare, pacificò gli animi inaspriti dei "villani" che s'erano riversati a centinaia nella città, depredando ogni cosa (grazie al Prelato e con l'aiuto della Spagna la Repubblica il 14 settembre, riprese Ventimiglia e ville (occupate dai "nemici") pacificandosi ufficialmente col Piemonte nel 1634): degli eventi esiste pure una contestuale Relazione del Vescovo Gandolfo (qui del pari riportata e commentata). Siffatta relazione del vescovo Gandolfo che venne consultata presumibilmente dal Lanteri fu trascritta entro una sua opera dal II Bibliotecario dell'Aprosiana Domenico Antonio Gandolfo come qui si legge = non fu certo una bella pagina di storia ventimigliese ma i militi villani e del popolo trascinando la restante popolazione in una rivolta antinobiliare ed antigenovese se da un lato testimoniarono la loro avversione ai ceti dominanti e in particolare alle forze di Genova, in fuga pur in una situazione oggettivamente difficilissima ma abbandonando, con una pronta ritirata, gli umili ed altri cittadini ad un rischioso destino provarono ineluttabilmente che l'istituzione della "Magnifica Comunità degli Otto Luoghi" con la separazione delle ville da Ventimiglia stava divenendo inevitabile e ad onor del vero non si può far a meno di rammentare come fossero proprio le guide storiche dei villani e popolani a rimanere al loro posto per ottenere da Agapito Negrone [Commissario genovese per la città di Ventimiglia] nel corso della sua premurosa fuga onde imbarcarsi, per Genova, su una galea, l'autorizzazione per la capitolazione della città, atto rogato su due piedi da un notaio delle Ville ed in fretta e furia controfirmato dal Negrone alle ore 24 del 19 maggio 1625) di modo che quanti rimasero a Ventimiglia poterono inviare, quasi subito cioè alle 0,30 del 20 maggio, due frati del Convento di S. Agostino dal Principe Sabaudo a Bordighera al fine di ottenere un "passaporto" di maniera che, grazie a questo, potessero colà alle ore 3 recarsi tre Deputati, due di Città ed uno delle Ville con l'atto di capitolazione = destinati, comunque, ad attendere angosciati il succedersi degli eventi prima di apprendere che non sarebbe stato dato alcun saccheggio alla già provata città soltanto verso le ore 7, con l'assicurazione fatta al Vescovo intemelio dal Marchese Dogliani, recatosi a Ventimiglia, tra le ore 9 e 10 dello stesso giorno 20 maggio [dai qui digitalizzati Secoli Cristiani della Liguria in merito alla Diocesi di Ventimiglia si legga in merito alla figura del vescovo le conseguenze del suo operato atteso che il Governo di Genova ritenendo sleale il suo comportamento e quello dei suoi congiunti ordinò che fossero arrestati i Gandolfi fratelli del vescovo e trasportati nelle carceri della città, e posto uno di essi ai tormenti, senza trarne cosa veruna che valesse, brevemente ne uscirono = diplomaticamente poi il vescovo stesso da Monaco si portò nella sabauda Nizza e, attesa anche la volontà delle due potenze di giungere ad una pace, incontratosi variamente dal 5 al 14 luglio con il governatore della città sabauda, riuscì a stabilire i preliminari di pace:e tanto fu apprezzata dai piemontesi la sua abilità diplomatica che chiesero ed ottennero, entro gli articoli della pace, che il senato di Genova ascrivesse al libro dei nobili la famiglia dei Gandolfo di Porto Maurizio occorre però precisare che le esternazioni del Semeria a riguardo del vescovo Gandolfo non ebbero da Girolamo Rossi nella sua Storia della città di Ventimiglia (edita ad Oneglia, per gli Eredi Ghilini nel 1888, cap. XVI, da pag. 210 e cap. XVIII da pag. 235) identiche positive valutazioni: lo storico ventimigliese si sofferma a parlare della guerra del 1625 e della drammatica vicenda della presa di Ventimiglia, non negando un ruolo importante al Gandolfo ma neppure esaltandolo oltre misura: del Gandolfo dimostra di ammirare il coraggio nel proporsi alla folla inferocita sì da farne, con fatica, sbollire l'ira pur sottolineando come le angherie patite dai ceti dominanti locali avessero indubbiamento scatenata l'esplosiva ribellione di umili e residenti delle ville, per quanto moralmente dallo storico deprecata e, come la rabbia fosse stata sublimata, dall'intendimento popolare di viltà ed indifferenza dei comandanti genovesi resisi consapevoli di una difesa disperata della città nonostante la provata la combattività e il valore noto degli 800 "militi villani" venuti prontamente ad integrazione delle forze regolari, sì da indurli ad insorgere trascinando la popolazione civile (anche se parecchi per odio e sentitisi traditi dal rapido, e subito, messo in atto ritiro delle forze regolari di Genova già acclamate come importante rinforzo, sì da insorgere trascinando la popolazione civile (anche se parecchi approfittarono della protesta militare per sfogare la propria ira contro i Magnifici o nobili e magnati di città). Il Rossi in merito alla pace non menziona se non per il conseguimento di una pur importante tregua l'operato del Vescovo rammentato dal Semeria ma, per quanto personalmente palesi -a ragion del fiorire di Ventimiglia al pari di Oneglia divenuta possesso piemontese maggior simpatia per i Sabaudi che per Genova, preferisce sottolineare la riconquista genovese di Ventimiglia resa possibile dai soccorsi e dall'oro della Spagna e nemmeno manca di menzionare un episodio d'estremo valore a Porta Canarda d'un milite villano tal Antonio Viale capace da solo di respingere un tentativo guerresco dei ducali restii ad abbandonare la città = relativamente al Gandolfo giunge notevole, come apena sopra scritto, la considerazione del Rossi per l' impegno ad ottenere una tregua di quattro mesi, poi prolungata e presupposto della pace ma quando però lo storico ottocentesco nel XVIII capitolo il Rossi parla dei Vescovi del secolo XVII il suo tono verso il Gandolfo diviene più aspro: in effetti la trattazione di Girolamo Rossi inizia con le riflessioni sulla caccia alle streghe iniziata da pag. 235 e poi enfatizzata tramite la narrazione accurata ed accorata di un episodio avvenuto proprio sotto il vescovo Gandolfo vale a dire il terribile processo avverso Peirinetta Raibaudo di Castelar presso Mentone sin a riprendere (cosa che sorprende un poco in questo contesto del XVII capitolo piuttosto che in chiusa del XV) in misura critica e contro le affermazioni del Semeria il comportamento politico dello stesso Gandolfo durante la guerra del 1625, giudicando aver egli, per quanto ligure e suddito di Genova appoggiato con i suoi fratelli, Carlo Emanuele I di Savoia (che lo gratificò di un titolo nobiliare) tanto che il suo trasferimento caldeggiato ad opera dei piemontesi da Ventimiglia alla cattedra di Alba non sarebbe stato un premio ma piuttosto una precauzione dovuta ad un fautore onde tutelarlo dalle sevizie cui sarebbe andato incontro restando la sua sede in Ventimiglia].
Inf. di Bartolomeo Durante
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