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Dal FRONTESPIZIO, sopra riprodotto, si può scorrere tutto il testo pubblicato del REGOLAMENTO PER LO STABILIMENTO DI UN ASILO INFANTILE IN CARRU' NEL 1858.
Può sembrare relativo proporre simile documento ma non è così.
Renato Tisato e Vittorio Telmon, nella vastissima voce del DIZIONARIO ENCICLOPEDICO U.T.E.T., volume XVIII, pp.450-452, ampiamente trattano dell'aspetto didattico ed istituzionale degli ASILI INFANTILI o SCUOLE INFANTILI o GIARDINI D'INFANZIA od ancora CASE DEI BAMBINI al cui riguardo non omettono una puntigliosa ricostruzione storica.
Ad essi ed alla loro copiosa bibliografia si dovrà far approfondimento per doverosi, settoriali approfondimenti.
Tuttavia per giustificare la riproduzione del DOCUMENTO sopra proposto e nel contempo sancirne la valenza ai fini di un riconoscimento dello SVILUPPO SOCIALE per il tramite del rinnovato sistema della PUBBLICA ISTRUZIONE giova riproporre, con grande fedeltà testuale, quanto annotano nel loro contributo i due studiosi (Ibidem, p. 450, colonna II):
"In Italia il profeta della nuova istituzione educativa (SCUOLE MATERNE od ASILI INFANTILI cioè organismi per l'educazione di bambini dai 2-3 ai 6-7 anni sono realizzazione recente, del XIX secolo anche per il giudizio sostanzialmente decettivo storicamente dato sul BAMBINO: nell'antichità dopo Platone che nelle Leggi teorizzò una sorta di giardini d'infanzia per bambini d'ambo i sessi, ne parlò molto dopo solo Comenio ma nel contesto di una formazione casalinga gestita dalla madre seppur valendosi di un libro di didattica elementare) fu Ferrante Aporti, nella cui opera risultò avvertibile la doppia tematica (assistenziale e pedagogica) non sempre e mai compiutamente risolta in unità.
La preoccupazione di servirsi degli asili (il primo, del 1829, a Cremona, e a pagamento; il secondo, del 1831, gratuito ed anche per i bambini poveri) allo scopo di fornire le tecniche strumentali del leggere-scrivere-far di conto pure a coloro che, essendo costretti a lavorare già in tenera età, non avrebbero potuto frequentare le scuole elementari, fu presente specie nella seconda parte del Manuale d'educazione e d'ammaestramento per le scuole materne infantili, composta di una serie di lezioni preparate dal principio alla fine in forma domande e risposte fisse.
Nella scuola materna si cominciò ben presto a vedere (e esaltare oppure a biasimare) da un lato un momento della creazione di una universale scuola popolare, dall'altro un campo sperimentale dei metodi didattici nuovi e progressisti.
Mettendo in evidenza il secondo di questi motivi, il pedagogista americano C. W. Washburne osservò che l'enorme importanza assunta tra la fine del sec. XIX e la prima parte del XX dalla scuola materna come luogo di studio della psicologia dell' etè evolutiva e come laboratorio di esperienze pedagogiche, si spiegava con il fatto che, in quanto fenomeno del tutto nuovo, tale istituzione si era trovata libera dall'impaccio della tradizione e, in quanto prescolastica, aveva potuto prescindere dal raggiungimento di risultati spiccioli immediatamente utilizzabili.
Questo fatto giustificava, d'altra parte, perché la STORIA della diffusione della scuola materna fosse NON TRASCURABILE PARTE DELLA LOTTA PER L'AFFERMAZIONE DEGLI IDEALI LIBERALI, PRIMA, E DEMOCRATICI, poi.
In Italia, durante il periodo risorgimentale e postrisorgimentale, la coincidenza degli schieramenti fu chiaramente identificabile.
A favore si schierarono il gruppo del "Conciliatore", Gino Capponi, Enrico Mayer, Gioberti, Lambruschini, Giuseppe Sacchi; contro, i gesuiti, la destra della curia, i principi, e in particolare il re di Napoli e il duca di Modena.
Monaldo Leopardi padre di Giacomo e conservatore non meno della moglie Adelaide Antici osservò che "per insinuare nelle anime i principii e l'amore della giustizia bastano il catechismo e il curato".
Nonostante la tenace opposizione le nuove istituzioni lentamente si affermarono: dopo quelle di Cremona ne sorsero in Toscana, nel Lombardo-Veneto, negli Stati Sardi, a Parma e Piacenza e tutte di impostazione aportiana.
Verso la fine degli anni 1850 cominciò anche in Italia la diffusione del frobelismo.
Dapprima si trattò di studi, relazioni, conferenze, a opera soprattutto di Giuseppe Sacchi e del Rayneri.
Nel 1867 il sacerdote professore Carlo Uttini esperimentò con successo alcuni motivi del metodo frobeliano nella sua scuola infantile di Piacenza.
Nel 1859 si aprì a Venezia il primo vero giardino d' infanzia, opera del professore polacco Adolfo Pick e di Adele Levi della Vida.
Un altro giardino si inaugurò nello stesso anno a Verona per iniziativa dell'abate professore Michele Colomiatti.
Da questo momento la diffusione del frobelismo cominciò in tutto il paese, incoraggiata dal favorevole giudizio di insigni pedagogisti, fra i quali Pasquale Villari, Pietro Siciliani, Francesco Saverio De Dominicis, e dal fattivo interessamento di uomini politici quali Coppino, Boselli, lo stesso Villari.
Il ministro Coppino promosse, nel 1885, l'istituzione di giardini d'infanzia di tirocinio presso le scuole normali.
Boselli nel 1889, affermò il diritto-dovere dello stato di interessarsi delle istituzioni educative per l'infanzia.
Lo stesso Boselli e Vllari organizzarono conferenze e corsi di aggiornamento per insegnanti.
Il rilascio del diploma di abilitazione all'insegnamento giardini d'infanzia costituì il risultato di un corso di specializzazione da frequentarsi dopo l'ottenimento della licenza normale.
Due rilievi.
In primo luogo, nonostante il crescente favor non si giunse, nel periodo in esame, a leggi che sancirono l'obbligatorietà, né in rapporto alle pubbliche amministrazioni né in rapporto alle famiglie.
Secondariamente le scuole per l'infanzia soffrirono a cause delle condizioni in cui erano costrette a funzionare: povertà degli ambienti, sovraffollamento, penuria di di materiale didattico, tendenza a far scivolare nel grado prescolastico contenuti scolastici, scarsa preparazione delle maestre.
Da qui l'esigenza, sentita specialmente agli inizi del secolo, di radicali rinnovamenti, dei quali, in Italia, furono protagoniste Rosa e Carolina Agazzi e Maria Montessori.
Anche la denominazione Scuola materna è agazziana, mentre la Montessori preferì casa dei bambini.
Non si trattava di sottigliezze nominalistiche: dietro le diverse formule si celava la diversità del punto di vista fondamentale".