informatizz. Durante

CANTIERE NAVALE ANSALDO DI SESTRI PONENTE (GENOVA) IN UNA FOTOGRAFIA DEL 1911












Pochi erano gli italiani che volevano combattere questa guerra per cui, a fronte delle storiche divisioni dei pacifisti e della sinistra, tanto si erano battuti gli interventisti e su cui si era profusa nelle "Radiose giornate di maggio" la retorica baroccheggiante ma per nulla inefficace di D'Annunzio: e così, fra polemiche e contraddizioni vistose, il 24 maggio 1915quasi restò senza contrapposizioni di piazza la grande esplosione di entusiasmo degli interventisti con cui fu segnata l'entrata in guerra e sul fiume Judrio, in Friuli, al confine italo-austriaco, laddove un soldato del re Vittorio Emanuele III sparò il primo colpo di fucile contro un miliziano dell'imperatore Francesco Giuseppe.
br> Su questi argomenti Lionello Bianchi ha scritto varie pagine riportando tra l'altro la seguente descrizione redatta, nell'inverno del 1915, del tenente Gualtiero Castellini che così la descrissee dal fronte: "Piove, piove, piove. Si diguazza nel fango, si è lordi di fango, si respira nebbia. Gli abiti sono sempre inzuppati; le tende, le baracche, le tane stillano acqua. Di notte si cammina sotto uno scroscio senza fine. Qualche volta la grandine ci flagella... La fatica che uccide e martirizza, rimarrà, fra le impressioni di Oslavia, la dominante; resistere al proprio posto vedendo nell'avvenire una nebbia più fitta di quella che ci separa dal nemico, resistere nella trincea avanzata sapendo che si è una sentinella perduta di fronte al nemico... resistere con una malinconia senza nome in questo fossato di fango aperto verso il cielo, che si chiama trincea... Ricordarsi di essere stato fino a ieri un uomo con un lavoro proprio, una famiglia propria, una responsabilità propria ed essere ora un numero nel fango, consapevole del proprio sudiciume che non si lava, della propria stanchezza che prostra, del proprio avvilimento che toglie l'intelligenza, questo è il martirio di Oslavia".
Il timore degli orrori bellici era un fatto che spesso la retorica di guerra cercò di vanificare ma che i fatti finirono spesso per confortare: 870.000 uomini disertarono, 160.000 furono i renitenti, 400.000 i processi di insubordinazione, 210.000 condanne, 15.000 condanne all'ergastolo, 4028 esecuzioni con "fucilazione alla schiena".
I morti alla fine furono 600.000, il quadruplo della 2a Guerra Mondiale: esercito operante 4.200.000 uomini, mobilitati 5.500.000.
Poca coesione, poca sentita partecipazione degli italiani, ma non proprio sovversiva, come si volle talora farla apparire, l'inadeguatezza dei materiali, carenti e scadenti, provocarono non solo le cifre sopra citate ma dal 1913 al 1918 costrinsero ad abbandonare il Paese ben 1.713.000 italiani onde rifugiarsi con tutti i mezzi nei paesi d'oltralpe o in America, visto anche che CADORNA (tardivamente surrogato dal marasciallo DIAZ) non operava per rendere meno sanguinosi gli enormi sacrifici dei bravi eroici, sfortunati soldati italiani, che non potevano per nessuna ragione al mondo operare una ritirata atteso proprio il fatto che il generalissimo Cadorna non perdonava.
La GUERRA farà anche cambiare subito il clima nelle FABBRICHE.
Si abolì il diritto di sciopero e negli stabilimenti prese vigore la disciplina del codice militare con ufficiali in divisa che vennero preposti al controllo, alle denunce, a condannare per direttissima e ad applicare le pene.
Gli orari di lavoro salirono a 70-75 ore settimanali, che avrebbero poi permessoo sia agli "imboscati" che ai "padroni" di conseguire lauti guadagni, ma anche ricevere per quattro anni il disprezzo di 4.200.000 reduci tornati dalla guerra e destinatai a trovare, contro le promesse della retorica interventista, non un lavoro ma quasi solo debiti . Già al primo anno di guerra l'Italia dovette peraltro far ricorso ad un prestito nazionale di un miliardo di lire, poi a un altro di 1.070.000.000 ed ottenendo quindi 1.250.000.000 in prestito dall'Inghilterra. A guerra "vinta" si sarebbero poi aggiunti gli spropositati conti degli aiuti americani, tramite gli inglesi, nell'ultima fase della guerra: deebiti per la cui estinzione sarebbero occorsi 62 anni, fino al 1984.
A Genova l'ANSALDO (colosso genovese della metallurgia) passerà da 4000 a 56.000 operai (ma anche altri STABILIMENTI GENOVESI avranno grande incremento): vedi al riguardo l'illuminante P. RUGAFIORI, Occupazione composizione all'Ansaldo, in G. Procacci (a cura di), Stato e classe operaia in Italia durante laseconda guerra mondiale, Milano, 1983, pp. 244-267).
La FIAT ( motori, carri, aerei, materiale bellico vario) ascenderà da 4.000 a 45.000 dipendenti.
Il clima di tutti i 600.000 OPERAI MILITARIZZATI diventò di terrore, visto che si comminarono nel periodo bellico 1.650.000 multe e 28.600 furono le condanne alla prigione.
La produzione balzò nei 4 anni dal nei 4 anni dal 5,6%, al 10,8%, al 21,6%, al 30,51%: contestualmente in un generale piano di informazione controllata gli OPERAI furono mascherati durante ed ancor dopo il conflitto quali IMBOSCATI agevolati dal socialismo e dalle organizzazioni sindacali a fronte dei quadri intermedi (generalmente destinati a ricoprire il ruolo in guerra della classe degli ufficiali) e soprattutto degli AGRICOLTORI sulle cui spalle gravò lo sforzo diretto al fronte e che un'interessata e reazionaria propaganda contrappose vieppiù, anche per la scarsa sensibilità del marxismo urbano alle aree rurali, alle paritetiche esigenze delle disagiate CLASSI OPERAIE.
Impressionante fu invece l'aumento del costo della vita: fissato a 100 nel 1913, era già salito a 365,8 nel 1919, poi con un drammatico balzo piombò al 624,4 nel 1920. Il 100% in un anno! L'oro era a 3,49 lire al grammo nel 1913, nel 1919 a 5,82, nel 1920 a 14,05 (240% in un anno).