SANREMO NEL '700: I TRAGICI BOMBARDAMENTI
LA CARESTIA E LA DRAMMATICA RIVOLUZIONE CONTRO GENOVA: LA DOLOROSA RESTAURAZIONE
SVILUPPO DELLA SANREMO "NUOVISSIMA"

Il nome di questa nota località della Riviera affonda nella notte dei tempi: la Chiesa Sancti Romuli e il suo nucleo fortificato (Castrum) vennero citati gia nel 962 quando il sito era possesso della Chiesa di Genova: la forma moderna, da scrivere piuttosto San Remo, riflette la pronuncia locale san romu di un San Romolo, il cui culto si connette alla tradizione del luogo in cui, verso il IV secolo, si rifugiò qui in eremitaggio, sin alla morte, tale santo, già vescovo di Genova.
In epoca feudale, contro i conti di Ventimiglia, Sanremo ebbe la protezione della Chiesa Genovese, finché nel 1297 l'arcivescovo Iacopo da Varazze cedette ogni diritto a Giorgio de Mari e Oberto Doria, che fecero di Sanremo un fortilizio ghibellino in opposizione a Monaco (tenuta dai Grimaldi) e a Mentone (soggetta alla famiglia dei Vento), che aderivano allo schieramento guelfo.

Durante la sua espansione sulla Liguria, la Repubblica di Genova acquistò infine dai Doria il controllo di quasi tutto il borgo di Sanremo, sì che da questo momento il Commissariato di Sanremo (con tal dicitura città e distretto entrarono nel Dominio genovese) seguì le vicende della Serenissima, dovendo in particolare subire (nel XVI secolo, quando la flotta genovese era troppo debole per opporre qualsiasi resistenza) incursioni di pirati turcheschi.
Nel 1625 SANREMO cadde per poco sotto i Savoia in guerra con Genova, mentre nel secolo dopo fu bombardata dagli inglesi in navigazione contro le truppe piemontesi ed austriache, alleate contro quelle anglo-francesi e spagnole, durante la guerra di successione al trono imperiale.
La squadra inglese del Rollengh, di 13 vascelli, aveva già assalito il porto di Savona (27-IX-1745) e cannoneggiata Genova anche se con risultati limitati.
Successivamente aggredì Finale ma anche in tal caso solo 4 bombe centrarono l'abitato.
Il I/ X giunse a SANREMO: gli abitanti per sottrarsi al BOMBARDAMENTO trattarono col nemico né attaccarono per primi pur disponendo di 30 cannoni.
Però la flotta aprì il fuoco affondando 3 vascelli e catturandone 5. In 2 notti sul Sanremo caddero 2.000 cannonate e, con 4 mortai, 400 bombe e 1.200 palle: 70 edifici andarono distrutti.
Per studiare questi eventi è molto utile la CARTA DELLA CITTA' (incisione di anonimo "Essai sur le démelez de la République de Genes e de l'Etat Imperial de Sanremo", Basile, 1755]
In essa si legge (trad., la numerazione antica, poco leggibile, è stata sostituita con una numerazione moderna e le didascalie son state tradotte:

A - DISTRUZIONE DEL "FORTE ANTICO" AVVENUTA NEL 1753.

1 - CATTEDRALE di S. SIRO.
2 - CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA.
3 - CONFRATERNITA DI S.GERMANO.
4 - CONFRATERNITA DELLA CONCEZIONE DELLA BEATA MARIA VERGINE.
5 - CHIESA E CONVENTO DEI PADRI CAPPUCCINI.
6 - CONVENTO DEI PADRI AGOSTINIANI
7 - CONVENTO DEI PADRI FRANCESCANI.
8 - COLLEGIO DEI GESUITI
9 - CASA E CHIESA DEI PADRI MISSIONARI
10 - CONVENTO DI S.FRANCESCO SAVERIO
11 - MONASTERO DELL'ANNUNCIAZIONE
12 - CONFRATERNITA DELLA BEATA MARIA VERGINE
13 - DELLA SANTISSIMA BEATA MARIA VERGINE DEI DOLORI, CONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA
14 - CONFRATERNITA DI S. BRIGIDA.
15 - CONFRATERNITA DI S.COSTANZO.
16 - CHIESA DI S. GIUSEPPE
17 - CHIESA OD ORATORIO DI S. MAURO
18 - CHIESA DI S. GAETANO.
19 - PALAZZO PUBBLICO DELLA CITTA'.
20 - OSPEDALE.
21 - PALAZZO BOREA
22 - PALAZZO DEL CONTE ROVERITI
23 - PALAZZO DE SARDI
24 - PALAZZO DEL CONTE SAPIA.
25 - PALAZZO DELLA FAMIGLIA GENOVESE DEGLI SPINOLA
A - INSEGNE DELLA CITTA' DI S.ROMOLO
B - INSEGNE DELLA CITTA' DI GENOVA E S.ROMOLO COME SI VEDEVANO CONGIUNTE NEI PALAZZI PUBBLICI PRIMA DEL 1746
C - PORTO DELLA CITTA' CHE PER LA SCARSA PROFONDITA', SPECIE AL SUO INGRESSO, IMPEDISCE CHE VI ENTRINO GRANDI NAVI, COSTRETTE AD ORMEGGIARE FUORI DEL PORTO STESSO, IN CUI POSSONO QUINDI ATTRACCARE LE NAVI DI MINORE TONNELLAGGIO.

A fronte della drammatica situazione di SANREMO (e nella CARTA paiono ravvedersi le distruzioni, o comunque la necessità di domolizioni, successive sia al BOMBARDAMENTO DELLA FLOTTA INGLESE che a quello della FLOTTA GENOVESE del comandante Pinelli impegnata nella riconquista della città in rivolta nel 1753) diverse famiglie agiate abbandonarono la non lontana VENTIMIGLIA, temendo un attacco e raggiunsero Monaco : i popolani di affidarono, con un triduo di preghiere, al patrono S. Secondo. Il marchese Doria predispose una difesa ma la flotta nemica, pur spuntata da capo S. Ampelio, volse la rotta ad oriente.

RIVOLUZIONE POPOLARE E REPRESSIONE GENOVESE A SANREMO
Le carestie ed i conflitti impoverirono Genova che, per sollevare l'economia, impose tasse severe nel Dominio.
A Sanremo la popolazione esasperata [peraltro non erano mancate più antiche sollevazioni popolari contro Genova] scatenò un' INSURREZIONE ARMATA (1753) contro i soldati genovesi del Pinelli. Questa città, tra liti e pacificazioni, specie per ragioni economiche, aveva sopportato ma non amato il lungo dominio genovese.
Nel 1729, disordini e rivolte eran scoppiati contro la politica della Repubblica per i nuovi dazi e gabelle su sapone, acquavite, polvere da sparo, tabacco.
Nel 1753 le cose s'aggravarono per ragioni anche amministrative: Genova intendeva far di Coldirodi (detto La Colla) centro autonomo da San Remo causando danni economico-politici alla città.
I primi tumulti (stando all'unica e fondamentale ricostruzione degli eventi, quella di Nilo Calvini) scoppiarono alle 22,00 del 6-VI-1753 presso il Palazzo Pubblico: il Commissario Giuseppe Doria reggente Sanremo per parte della Repubblica già al suo arrivo (6-VII-1753) incaricò il cartografo-ingegnere di guerra Matteo Vinzoni di procedere alla posa dei cippi confinari tra Sanremo e Coldirodi: questi come da usanza nel Dominio genovese chiese la nomina di due deputati per sovrintendere alle sue rilevazioni.
Il Consiglio di Sanremo oppose l'eccezione che per far ciò era necessaria una seduta straordinaria del Parlamento: essendo però in corso una nuova riunione su richiesta del Commissario per esaminare l'eccezione diversi cittadini invasero la sala ove si teneva l'incontro chiedendo minacciosamente la ventilata seduta del Parlamento.
Sopraggiunsero diversi soldati ed uno di loro esplose un colpo d'archibugio che nessuno ferì ma innescò l'insurrezione.
La gran folla dunatasi ebbe la meglio dei soldati, che furono disarmati: nelle locali prigioni oltre ai miliziani finirono addirittura il Commissario Doria con tutta la famiglia e lo stesso Vinzoni, vieppiù sgradito per una contestazione risalente al 1729 (addirittura, per l'esarcebazione degli animi, gli fu intimato che se non avesse rimesso il suo incarico avrebbero i cittadini rivoltosi provveduto ad usare lui qual "cippo di confine", interrandolo ben ben al posto dei termini istituzioneli).
Il resto della popolazione, convocato col suono della campana maggiore della chiesa di San Siro, prese ad invocare l'adunanza del Parlamento con grida che potevano segnare un'aperta rivoluzione contro Genova: non solo "Viva San Romolo, che poteva segnare un inno al locale patriottismo, quanto soprattutto "Viva Savoia" che, dati i rapporti sempre tesi fra Genova e Piemonte poteva preludere ad un organizzato tradimento (col conseguente reato di "lesa maestà").
In effetti i Savoia, nemici istituzionali di Genova, erano sentiti da un popolo, che paventava la sicura e rapida ritorsione della Serenissima, un'ancora di salvezza: la folla, adunatasi nella chiesa di S. germano, optò quindi per l'inoltro di una petizione di soccorso ai Savoia e ne incaricò quali latori i capipopolo Lorenzo Anselmi, Antonio Palmari, Giovanni Sardi, Giorgio Musso assieme al notaio Tommaso Bracco (quale legale rappresentante della missione diplomatica) I cittadini guidati da G.B. Berta, spedirono, con una deputazione, al Re di Sardegna un documento in cui si riconosceva la sovranità sabauda sulla città. Per evitare incidenti di politica internazionale la risposta fu però fredda: Genova rafforzò quindi i presidi per evitare che la rivolta si estendesse.
A Ventimiglia si posero in allarme le guarnigioni di forte S. Paolo e dei Balzi Rossi.
Per domare la RIVOLTA in San Remo la Repubblica di Genova inviati 1000 soldati agli ordini di Agostino Pinelli.
Dopo un vano ultimatum, la flotta genovese, su cui stava il contingente, alla sera del 13 giugno, prese a bombardare la città, continuando il cannoneggiamento il giorno dopo per coprire lo sbarco di truppe, 2 miglia ad ovest dal centro in sito Pietralunga.
Il 15, dopo trattativa coi deputati cittadini, il Pinelli entrò in citta coi soldati: Genova punì i ribelli con interrogatori, processi, confische, torture e col sequestro dell'archivio comunale. Nei primi mesi del 1754 giunsero buone notizie per San Remo destinato a esser dichiarato FEUDO IMPERIALE; il Consiglio Imperiale di Vienna aveva promulgato (22-IV-1754) un Concluso che imponeva a Genova di ben trattare i Sanremesi, domandando ragione delle violenze perpetrate.
La Repubblica ottenne l'appoggio di Spagna e Francia ma per non acuire le tensioni internazionali, mitigò l'intransigenza contro la popolazione.
I Sanremesi, come altre genti del Dominio, non smisero di nutrire sogni di rivincita contro l'arrogante Capitale che con la violenza mal nascondeva l'inarrestabile decadenza: e del resto a SANREMO l'erezione del FORTE DI SANTA TECLA finì per costituire un prolungamento del regime poliziesco instaurato da Genova contro Sanremo, regime poliziesco destinato a cessare con gli eventi della Rivoluzione Francese e delle Campagne Napoleoniche che al contrario non sarebbero state in grado di tacitare l'ormai insanabile distacco della località ligure ponentina rispetto alla Capitale.
Genova andava ormai definitivamente perdendo autorità morale su tutte le genti ponentine che apertamente ambivano al dominio di Piemonte o Francia [N.CALVINI, La Rivoluzione del 1753 a Sanremo, Sanremo, 1953, Parti I e II.].
Questo episodio è solo un esempio dell'allentamento di legami fra sudditi del Dominio: da Aquisgrana alla Rivoluzione Francese, la Riviera di Ponente avrebbe perduto molte relazioni storiche con Genova esponendosi all'espansionismo sabaudo e francese che, in poco più di un secolo, ne avrebbe determinata la spartizione (Nizzardo alla Francia, l'Imperiese al Regno d'Italia).
La Repubblica si era dissanguata: il suo ceto dirigente era in crisi e accusato di infamia ed incapacità.
Sulle pubbliche finanze gravavano le spese per anni di guerra d'indipendenza in Corsica (30 milioni di lire): Fra il 1748 e il 1752 la lotta politica si sarebbe poi concentrata senza esclusione di colpi sulla ripartizione dei danni e delle perdite belliche.
Il Banco di S. Giorgio, di quanto versato agli Austriaci (14 milioni versati) e al Governo (6 milioni) fu ben poco risarcito dalle sottoscrizioni volontarie delle casate nobili (solo 684.668 lire). Si fece ricorso al disarmo di alcune galee; la moneta di carta di S. Giorgio si quotava nel 1751 il 68% del valore nominale espresso in argento: venne reso ancor più severo il fisco, venne fatto un prestito forzoso a quanti pagavano oltre 25.000 lire d'imposta, (si riscosse 1.000.000) e si ristabilirono le gabelle sui consumi.

IL FONDAMENTALE PERIODO STORICO che corre dalla "Rivoluzione francese" all'"epoca di Napoleone" diede alla Liguria un nuovo assetto amministrativo e Sanremo fu annessa alla Francia ( 1805).
Dopo il Congresso di Vienna e la Restaurazione, la città fu assegnata al regno di Sardegna, essendo stata soppressa la Repubblica di Genova. Questo momento segnò la modernizzazione di Sanremo che si estese anche verso il mare dopo la realizzazione della Strada della Cornice (oggi Aurelia) ed ancor più, verso la II metà dell'ottocento, in rapporto alla realizzazione della LINEA FERROVIARIA GENOVA VENTIMIGLIA con l'edificazione di molte dignitose STAZIONI FERROVIARIE tra cui appunto quella di SANREMO.
Il borgo marinaro dalla metà dell'800 risentì poi di grande incremento demografico ed economico, agevolati dalla trionfante floricoltura (Sanremo era comunque stata la principale piazza ligure dell'agrumicoltura) e da una crescente rinomanza come stazione turistico-balneare, resa eclatante con la realizzazione, per una clientela internazionale, di alberghi di gran lusso, tra cui primeggiò a lungo l'HOTEL ROYAL, e quindi con l'edificazione (1905) del CASINO' MUNICIPALE (celebre casa da gioco ma anche ritrovo culturale) che allietò quella colonia di turisti, fra cui molti stranieri, che contribuirono a uno straordinario incremento urbanistico della città.
Questo fu reso ancora più sontuoso con la realizzazione di splendide ville che andarono ad affiancarsi o ad integraria le vechhie e grandi RESIDENZE SIGNORILI DEL PASSATO; un esempio di queste moderne sontuose abitazioni è offerto dalla VILLA NOBEL che l'inventore della dinamite e promotore dell' omonimo premio ALFREDO NOBEL si fece costruire per il suo soggiorno a SANREMO negli ultimi anni di vita.
Il confronto della vecchia cartografia settecentesca con le moderne MAPPE DELLA CITTA' permette di evidenziare lo sviluppo del complesso demico dove accanto alle residenze magnatizie di VIA VITTORIO EMANUELE (oggi "corso Matteotti" dove sorgeva il patrizio PALAZZO BOREA D'OLMO) presero ad esser realizzati nuovi complessi insediativi. Nel complesso di questo sviluppo un particolare significato ebbe poi l'erezione della CHIESA RUSSA edificata ai primi del XX secolo ad opera dei ricchi appartenenti alla colonia russa che in questa località balneare trascorreva le sua vacanze. La posizione di questa fabbrica risultò quindi splendida, con una vista straordinaria sul mare, sulla stazione ferroviaria e soprattutto sul tragitto della VIA DELLA CORNICE presto destinata a diventare uno fra i più prestigiosi LUNGOMARI TURISTICI del grande turismo mondiale.

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Il SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA COSTA sorge nell'area antica del centro di Sanremo, quella del nucleo medievale della PIGNA cui si accede abbandonando il moderno centro abitato della città turistica ed entrando nel caratteristico sistema dell'edilizia arroccata medievale cui s'accede peraltro attraverso una delle CARATTERISTICHE PORTE CHE SI APRIVANO SULLA CINTA MURARIA FORTIFICATA.
Secondo la tradizione il SANTUARIO risalirebbe al 1361 e sarebbe stato innalzato per ringraziare la Vergine della fine del dispotico dominio dei DORIA che in questo nucleo strategico e fortificato avrebbero tenuto un loro castello.
Così ogni anno, il 5 maggio, la popolazione avrebbe festeggiatola ricorrenza con una processione fino al santuraio, processione caratterizzata dall'uso di trascinare delle catene per via a simbolo della fine dell'odiata servitù.
Tuttavia -grazie alle ricerche degli studiosi tra cui G.Meriana autore di una straordinaria opera sui "Santuari della Liguria"- nullo di ciò si apprende dal I documento noto sul SANTUARIO che risale al 1474.
Da esso si apprende che la FAMIGLIA FABIANI DI SANREMO istituiva l'erezione in Sanremo di un< CAPPELLA ALLA VERGINE DELLA COSTA.
La vicenda dell'edificio attuale, che è del '600, ha però toni miracolistici che comunque ne mettono in qualche modo in collegamento le ragioni dell'erezione con quelle che determinarono l'edificazione del NOSTRA SIGNORA DI LAMPEDUSA A CASTELLARO.
La pianta della chiesa è a croce latina e la cupola risale al periodo compreso tra il 1770 ed 1l 1775 mentre risulta anteriore il sagrato in ciottoli bianchi e neri datato del 1651 (ed anche in questo caso -come si narra per il SANTUARIO DI N.S. DI LAMPEDUSA- la tradizione vuole che al lavoro delle maestranze abbiano contribuito i popolani di Sanremo prestando lavoro gratuitamente: ma qui la leggenda -a nostro parere- diventa in assoluto storia e certezza in quanto nel XVIII secolo molti lavori, da quelli pubblici -come la COSTRUZIONE DELLE TORRI CONTRO I TURCHESCHI- a quelli CIVILI DI ORDINE LOCALE a quelli di EDILIZIA RELIGIOSA avvenivano spesso con la tecnica della SEQUELLA o prestazione fiscale e/o gratuita di forza lavoro.
L'oggetto di particolare venerazione, la santa immagine della MADONNA DELLA COSTA COL BAMBINO IN BRACCIO (giudicata opera di Nicolò da Voltri) si può ammirare al centro della nicchia dietro l'altare circondata da una scultura lignea attribuita al Maragliano.
A prescindere dalle opere d'arte conservatevi il fascino del santuraio è legato agli ex voto che derivano dalla consuetudine inaugurata dal primo beneficiato, quel marinaio che ai primi del '600 depose, quale es voto per essersi salvato da un naufragio, uno scudo d'oro come "prima pietra" per la costruzione del Santuraio; purtroppo come annota G.Meriana -riprendendo quanto scrisse nel secolo scorso lo storico locale Grossi, sempre nel '600 essendo aumentati a dismisura gli ex voto per la fama di cui presto godette il santuario per "far spazio" alcuni sempli li avrebbero bruciati, distruggendo così un grande patrimonio di cultura povera e popolare.






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Si legge in un moderno repertorio storico che Nel 1635 le terziarie francescane Angela Bottini e le sorelle Catarina e Maria Anselmo, si propongono di erigere nella loro città un convento femminile assolutamente inedito per il Ponente Ligure, vale a dire una casa religiosa dell'Ordine delle Suore Turchine, che derivano tale loro nome dal colore dello scapolare.
Le tre donne entrano quindi nel Monastero di clausura dell'Annunziata a Genova, nella zona di Castelletto ed in un biennio circa riescono ad accumulare(in oblazioni e soprattutto con il munifico concorso del nobile Silvestro Grimaldi) una consistente somma (circa 4.000 lire di genovini) da destinarsi alla realizzazione dell'istituzione .
Le tre suore sanremasche vengono di fatto ascritte all'Ordine delle Suore Turchine nell'Ottobre del 1637 e finalmente il 7 maggio 1638 ottengono il consenso papale necessario alla fondazione del nuovo convento: il loro ritorno a Sanremo data quindi 26 marzo 1639 momento da cui si dedicano al disbrigo delle necessarie pratiche per la fondazione
.
Il Manoscritto Borea che, fra le diverse inesattezze che lo contraddistinguono, continua però a costituire un fonte diretta ed irrinunciabile per la storia di Sanremo nella sostanza ripropone questa vicenda ma con sostanziali distinguo che vale la pena di produrre.
L'iniziativa di realizzare il convento viene collocata nel 1636 e attribuita sì ad una Maria Anselma (ritenuta però di Saorgio) ma, senza citare le altre donne, si fa cenno, come si legge nella cronaca di tale anno alla collaborazione di un certo numero di Beghine: leggendo si notano altresì discordanze sulla scelta, piuttosto casuale, dell'Ordine del nuovo convento e di quella, piuttosto obbligata, della primigenia sede.
Sulla necessità di erigere una nuova CASA CONVENTUALE delle MONACHE TURCHINE (MONACHE CELESTINE) di Sanremo si legge quindi nella cronaca dell'anno 1639: invece dalla cronaca del 1640 si apprendono dati sulle pratiche burocratiche e notarili per l'acquisto della nuova sede.
Il nuovo grande Convento delle Turchine venne ufficialmente aperto il giorno dell'Ascensione del 14-V-1643 ed il 15 maggio del medesimo anno il vescovo ingauno Costa vi celebrò la prima Messa nel corso della quale vestirono l'abito della clausura le sanremesi Innocenza Maruffa e Paola Girolama Poggi.
La vita del convento fiorì tra l'apprezzamento pubblico sino a metà del XIX secolo quando esso venne soppresso, con la pubblica requisizione dell'immobile, in forza dei dettami delle leggi anticlericali dell'epoca (ancora nel manoscritto Borea si legge come quello delle Turchine, nel 1810 fu uno dei quattro CONVENTI DI RELIGIOSE che l'AMMINISTRAZIONE NAPOLEONICA nella sua RIORGANIZZAZIONE DEL CLERO non provvedette a SOPPRIMERE nel PONENTE DI LIGURIA).
Restituito alla fede il Convento delle Turchine fu ceduto, nel 1881, dal governo al Comune di Sanremo: le religiose che vi erano ospitate ottennero un'indennità di buonuscita ed in loro vece l'edificio accolse gli studenti e gli insegnanti del Regio Liceo Ginnasio intitolato all'astronomo Gian Domenico Cassini.
Le recenti necessità imposero un qualche, pur discutibile stravolgimento dell'edificio, con la realizzazione di un corpo avanzato sulla facciata a mezzogiorno e, nel II dopoguerra, con l' abbattimento del campanile e la costruzione dei piani superiori dell'edificio destinato a dar sede oltre che al Liceo "G.D. Cassini", anche alla Scuola Media "I. Calvino", all'Istituto Tecnico "C. Colombo", la sola scuola che attualmente è accorpata nell'antica casa monastica unitamente al locale IPSIA. (proprio per un'adeguazione alle esigenze di queste due grosse scuole la Cappella monastica venne tagliata orizzontalmente e divisa in due piani. Nel superiore trovarono sistemazione la palestra ed alcune aule dell'IPSIA mentre nell'inferiore l'area absidale fu occupata dalla Biblioteca dell'Istituto Colombo e l'ingresso della chiesa divenne la moderna aula docenti: dopo siffatte trasformazioni la lettura architettonica non risulta più agevole anche se resta abbastanza semplice individurarela pianta a croce greca, alcune nicchie nelle pareti laterali e le volte a crociera che caratterizzano il primo piano dell'istituto).





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BEGHINA - BEGHINE è un sostantivo femminile [sec. XIII; secondo la maggioranza -ma non l'esclusività- degli studiosi, dal francese béguine, rifacimento di bégard, che risalirebbe al fiammingo beggaert, monaco mendicante]. Sorte verso la fine del sec. XII nella diocesi di Liegi, e diffuse poi soprattutto nelle Fiandre, in Francia e in Germania (e molto più raramente in Italia ove semmai prevalse il fenomeno devozionale delle monache di casa) le beghine costituirono e tuttora costituiscono (per quanto la loro "comunità" sia passata attraverso varie sanzioni e condanne ecclesiastiche: tra cui celebre quella del Concilio di Vienne) comunità di donne che vivono in ritiro spirituale (quasi esclusivamente oramai in area nord-europea) ma senza avere l'obbligo dei voti, nei quartieri detti beghinaggi dove attendono al lavoro e alla preghiera, cercando di realizzare un ideale evangelico-ascetico di vita. Per estensione comunque il termine ha finito per indicare un tipo di donna che ostenta una religiosità puramente formale, bacchettona, bigotta.






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Nilo Calvini (Statuti comunali di Sanremo, Sanremo, 1983) ha sviluppato lo studio più esauriente sulle norme scritte destinate a regolamentare sia i rapporti amministrativi tra il Comune e i suoi residenti quanto a sancire le procedure sia penali che civili in materia di diritto.
A titolo proemiale è doveroso precisare che la base idologica e normativa degli STATUTI si identifica sostanzialmente con gli
STATUTI DEL I MAGGIO 1435
191 capitoli che finirono per riassumere e perfezionare una sequenza di norme, giuridiche ed amministrative, via via trascritte e registrate, per quanto è dato oggi sapere, in un succedersi di anni, dal 1143, al 1225, al 1283, al 1298, 1304, al 1334, al 1361.
Nel 1565 anche le NORME DEL 1435 vennero rivisitate per modificare alcuni capitoli ed evidentemente per adeguare la normativa giuridica della località all'introduzione di una rinnovata DISCIPLINA GIURIDICA DEL DOMINIO GENOVESE.
Come afferma il Calvini gli STATUTI DEL I MAGGIO 1435 costituiscono realmente la base istituzionale e statutaria della COMUNITA' DI SAN ROMOLO, un fondamento di norme e principi che mentre per certi versi sembra attendere l'apertura di nuove frontiera d'altro canto è ancora connesso con alcune emergenze del DIRITTO MEDIEVALE.








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[STATUTI UFFICIALI DEL 1435]
INDICE TEMATICO
-LE FESTE COMANDATE
-APERTURA DEI PUBBLICI UFFICI
-CARICHE PUBBLICHE : UFFICIALI, FUNZIONARI, DIPENDENTI
-AREA AMMINISTRATIVA DEL COMUNE : LA GIURISDIZIONE
-GIUSTIZIA CRIMINALE - GIUSTIZIA CIVILE
-NORME DI TIPO CAMPESTRE-RURALE E AGRICOLO-PASTORALE
-NORME PER REGOLAMENTAZIONE DEL MONDO DEL LAVORO, DELL'ARTIGIANATO E DELLA MARINERIA
-PENE PER CONTRAVVENZIONI AGLI STATUTI: PENE CORPORALI PUBBLICHE - SUPPLIZIO ESTREMO PER CATARSI PUBBLICA
-CONDANNE A MORTE - CONDANNE ALL'ESTREMO SUPPLIZIO
-NORME ECCEZIONALI - I PRIVILEGI







Oltre alle DOMENICHE negli STATUTI sono indicate le FESTIVITA' che era obbligatorio rispettare sia in campo religioso che civilistico.
Il numero delle FESTIVITA' ammontava circa a 50, per lo più decicate a SANTI: I mesi di aprile e maggio erano quelli con minor numero di FESTIVITA' (2) contrariamente ad agosto che era caratterizzato dalla maggior ricorrenza di GIORNI CONSACRATI (7 in origine, successivamente aumentati a 9 nel testo degli STATUTI DEL 1565).
Naturalmente gli UFFICI PUBBLICI (CURIA cui dovevano presenziare sempre le autorità) risultavano funzionanti ed attivi in relazione ai soli GIORNI NON FESTIVI.
Di conseguenza gli UFFICI risultavano aperti al pubblico tutti i giorni non festivi dalle ore 6 alle 9 e successivamente dalle 15 alle 18: alla vigilia delle FESTE MARIANE (4) e delle FESTE DEI SANTI in cui si doveva digiunare, era praticato l'ORARIO RIDOTTO: vale a dire che gli UFFICI restavano chiusi al pomeriggio.
La CHIUSURA vigeva anche durante il periodo compreso tra il 21 dicembre ed il I di gennaio, il giorno dell'Epifania, tutta la settimana precedente la Pasqua e quella successiva, il giorno della Pentecoste (compresi i tre giorni antecedenti ed i susseguenti), il sabato che anticipava la Quaresima ed ancora il giorno dell'Ascensione.
Parimenti si soprassedeva al lavoro della CURIA nel periodo della vendemmia, indicato per il periodo corrente fra l'8 settembre e l'8 di ottobre.
In vetta all'organigramma delle CARICHE COMUNALI stava quella del PODESTA' che, da quando il Comune entrò a far parte del DOMINIO, veniva eletto direttamente dalla SIGNORIA DI GENOVA: a costui spettavano estesi poteri espressi sostanzialmente nella formula del mero e misto imperio.
Affiancava poi il Podestà genovese il LOCALE PARLAMENTO che teneva le sue riunioni nella CHIESA DI SANTO STEFANO e che era costituito dai capifamiglia di età compresa fra i 17 ed i 70 anni.
Al CONSIGLIO COMUNALE toccavano quindi i poteri esecutivi e legislativi in materia locale e la sua durata era di 12 mesi.
Tra le altre figure dell'amministrazione erano elencati i CLAVIGERI (coloro che riscuotevano multe ed ammende a debitori insolventi), il MASSARO (che introitava le multe e le normali entrate comunali oltre a pagare per le spese comunali, custodire le misure, lo stemma comunale, le armi ed i mobili oltre a rendere di pubblica conoscenza il nome dei debitori).
Ai SINDACI spettava di far valere le ragioni del comune avvalendosi pure di uno SCRIVANO e di 4 BONI VIRI: questi ultimi dovevano anche procedere alla regolamentazione del traffico ed all'eventuale ripristino delle vie danneggiate.
I MESTRARI, in numero di due, erano poi incaricati di controllare i pesi e le misure, di vigilare su trasporto e commercio del legno, sulla legittimità delle licenze commerciali, sulla funzionalità delle strade pubbliche ed ancora di denunciare i bestemmiatori ed i giocatori d'azzardo oltre che i banditi: ad essi era concessa la facoltà di esigere immediatamente le multe comminate.
Tra i pubblici funzionari si dovevano altresì ascrivere gli ESTIMATORI (destinati a periziare beni mobili e immobili), i CAMPARI, i NUNZI ed ancora gli SCRIVANI preposti a redigere i documenti mentre al NOTAIO soltanto spettava la pubblicazione di un documento avente vigore di legge (come in tutte le altre NORME STATUTARIE la CORRUZIONE veniva duramente punita: in caso poi dell'accettazione non consentita di DONI i funzionari rei dovevano versare a titolo di ammenda una somma equivalente a sette volte il valore periziato del dono ricevuto).
I CAPITOLO degli STATUTI si curavano poi di segnalare l'area di competenza amministrativa, mirando ad indicare gli edifici di interesse pubblcio (le chiese di S. Stefano e di S. Siro, i ponti, l'ospedale, il palazzo del comune) come pure le norme da seguire nell'ipotesi di nuove edificazioni.
Era altresì dedicato opportuno spazio alla regolamentazione del commercio, alimentare e non, della viabilità ed alla tutela, mai facile invero, dell'igiene pubblica: una persona proveniente da altre contrade poteva vivere nella località se di buona fama ed era in grado di ottenere la cittadinanza dopo 5 anni di residenza onesta.
Indagando le NORME STATUTARIE si nota che esse, in maniera conforme alle antiche consuetudini, miravano altresì a regolare sia la GIUSTIZIA PENALE o CRIMINALE che quella CIVILE: da queste NORME STATUTARIE DEL 1435, invero come tali destinate a durare non molto ancora, era infatti ancora bandita quella distinzione tra CRIMINI LOCALI e CRIMINI DI IMPORTANZA NAZIONALE di cui si approprieranno invece le LEGGI CRIMINALI DELLA REPUBBLICA nel XVI secolo.
Dagli STATUTI si evincono le PROCEDURE seguite nel XV secolo nell'ambito delle azioni della giustizia che non escludeva il ricorso alla DELAZIONE.
Nei quattrocenteschi CAPITOLI STATUTARI DI SAN ROMOLO viene altresì analizzata la vita del TRIBUNALE mettendo in risalto per GIUSTIZIA e DIFESA la possibilità di discutere e presentare TESTIMONI: naturalmente ogni INQUISITO era REO salvo che non se ne dimostrasse l'innocenza.
L'essenza di questi procedimenti, al fine di conchiudere la DISCUSSIONE e pronunciare una SENTENZA, era sempre costituita dalla necessità di una CONFESSIONE: onde conseguirla non si escludeva, per quanto nei limiti di una precisa nomativa, l'applicazione della TORTURA.
La maggior parte delle PENE consisteva in AMMENDE pur se, nel caso che un CONDANNATO non fosse in grado di saldare un'AMMENDA od un DEBITO verso i CREDITORI o la PARTTE LESA, esso veniva INCARCERATO in attesa che potesse, per via di parenti o procuratori, pagare il dovuto.
Nelle CAUSE TRA PARENTI era consentito il ricorso agli ARBITRATI e dagli STATUTI era concesso il DIRITTO DI RAPPRESAGLIA quando si verificava il caso che un residente di Sam Romolo patisse danno od offesa da cittadino di altra località: alla base di questo stato di cose risiedevano limiti strutturali che spesso trasformavano la RAPPRESAGLIA in VIOLENZA ORGANIZZATA: ben presto gli accordi intercomunali non bastarono più a regolamentare questi tipi di rapporti e si dovette ricorrere ad una COMPLETA RIVISITAZIONE DEL DIRITTO, SOPRATTUTTO PENALE.
Negli STATUTI era poi riservato spazio ai GIOVANI: in particolare i MASCHI una volta superati i 15 anni giuravano la SEQUELLA e con tale atto di fede (sancito con la formula "...sull'anima del popolo di San Romolo...") si sottomettevano implicitamente in obbedienza al PODESTA' (e quindi a GENOVA), contestualmente entrando di fatto nel consesso degli adulti, destinati ad assumersi le civiche responsabilità.
In merito all'EREDITA' è da predisare che questa spettava ai FIGLI MASCHI toccando invece alle DONNE la restituzione della dote: gli ORFANI venivano quindi affidati ad un tutore (cosa che risultava estesa anche alle DONNE NUBILI minori dei 25 anni).
La società era fortemente MISOGINA e la in caso di ADULTERIO era la DONNA ad essere criminalizzata sin a perdere la DOTE (assegnatale per via di contratto) e ad essere anche CONDANNATA A MORTE seppur contestualmente al complice dell'adulterio.
Era peraltro estremamente sorvegliata la vita di una DONNA ONESTA e nel caso che questa restasse fuori di casa per oltre 15 giorni rischiava di essere ascritte al ruolo delle DONNE DI MALI COSTUMI.
Per la loro onnicomprensivita' gli STATUTI dovevano naturalmente affrontare varie tematiche fra cui la regolamentazione giuridica della VITA CAMPESTRE che costituiva l'essenza della realtà socio-economica del borgo.
In tempi di poco posteriori verranno introdotti degli appositi CAPITOLI E REGOLAMENTI ma nel XV secolo gli STATUTI GENERALI coimplicavano anche le NORME DI SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO RURALE: in queste norme statutarie per esempio si può leggere come si recitanserro gli ORTI contro i predatori, come l'ACCESSO fosse autorizzato soltanto al proprietario e congiunti e che l'USUCAPIONE risultasse prevista decorso il periodo di un DECENNIO nell'evenienza di un PROPRIETARIO PRESENTE o di un VENTENNIO occorrendo un PROPRIETARIO ASSENTE.
Altre normative erano riservate alla salvaguardia delle ACQUE e dei BEODI: era riservato altresì molto spazio alle norme concernenti le piante vitali per la civiltà agricola in particolare NOCI, CASTAGNI, FICHI, VITI, ULIVI, PALME ed AGRUMI
Ulteriori NORME erano poi scritte per vigilare sui PASCOLI, sull'ALLEVAMENTO, su PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEL GRANO, su MACELLAI, FORNAI e MUGNAI: trattandosi peraltro di un'epoca in cui gli ANIMALI non servivano solo per la ZOOTECNIA ma altresì per vari tipi di soccorso all'uomo era riservata una serie di cure giuridico-statutarie ad AQNIMALI SIMBOLO DELL'EPOCA MEDIEVALE quali MULI, ASINI e CAVALLI (stando agli STATUTI QUATTROCENTESCHI non esistevano vincoli peculiari a CACCIA (in particolare quella ai COLOMBI SELVATICI risultava regolata da uno specifico CAPITOLO) e PESCA.
Gli STATUTI contengono una serie di CAPITOLI mirati a governare il MONDO DEL LAVORO.
In effetti la PRODUZIONE ARTIGIANALE LOCALE nel XIV secolo non era significativa e conseguentemente non sono molte le professioni menzionate: troviamo riferimenti ai LAVORANTI DI CUOIO E PELLI, ai CIABATTINI (per cui era doverso realizzare i prodotti in conformità al modello indicato, avendo cura di applicarvi lo stemma comunale), i FABBRICANTI DI BOTTI E CERCHI DA BOTTE, i LAVORANTI DI LANA E CANAPA per indumenti, cordami ecc., i FALEGNAMI.
Sono più interessanti le registrazioni statutarie in merito ai COSTRUTTORI DI BARCHE.
Non si può in effetti menzionare una vera e propria ATTIVITA' CANTIERISTICA nel quattrocento: tuttavia ai RESIDENTI era consentito costruire, stando alle proprie esigenze, almeno una BARCA, purché mai eccedente la lunghezza di 12 metri (per fare ciò era consentito utilizzare il LEGNAME ricavato dalla COMUNAGLIA del pubblico bosco ma era proibito alienarsene tramite vendita od altro per il periodo di almeno un lustro).
L'ATTIVITA' MARINARA era di rilievo per l'economia locale e soprattutto in merito al ruolo di IMPRESE MERCANTILI E COMMERCIALI: non a caso in base agli obblighi giurati di SEQUELLA nel periodo di buona stagione, cioè tra il I giugno ed il I settembre, ogni residente risultava tenuto a fornire la propria forza lavoro gratuita, per una o due giornate, onde restaurare i danni periodicamente patiti dal locale MOLO.
Secondo i CAPITOLI degli STATUTI nel caso dei contratti di ACCOMENDA (frequente almeno al pari del contratto di NOLEGGIO) era necessario che sulle NAVI PIU' GRANDI operasse uno SCRIVANO (SCRIBA) il quale tenesse una precisa contabilità delle varie operazioni effettuate: la presenza dello SCRIBA non era richiesta sulle imbarcazioni di stazza minore su cui l'onere contabile spettava al capitano o PATRONE.
Una gran parte dei CRIMINI, soprattutto quelli CIVILI ma altresì buona parte dei PENALI, venivano colpiti da MULTE-AMMENDE E RIPARAZIONI.
Il FURTO di frutti e prodotti alimentari nelle ore di luce era sanzionato con MULTE di rilevanza progressiva: essendo comparsa l'aggravante della MALIZIA (tipica dei MANTICULARII) durante la notte era imposta la duplicazione delle multe oltre, come nel caso precedente, il RISARCIMENTO DEL DANNO.
AMMENDE e MULTE erano parimenti contemplate per tuttu i violatori della proprietà, quali i ladri di agrumi, arance, palme, campi coltivati, bestiame, di miele se non addirittura delle arnie e degli sciami d'api: nell'evenienza che un LADRO non fosse in grado di soddisfare gli obblighi maturati con la sua CONDANNA era soggetto alla pena mutilante del TAGLIO DI UNA MANO.
I LADRI subivano pene connesse al tipo di furto.
Si procedeva alla FUSTIGAZIONE in caso avessero maltolto un bene del valore stimato sino a 10 lire genovini.
Qualora il REO DI FURTO avesse rubato valori per una somma stimata fra le 15 e le 50 lire veniva soggetto all'applicazione di un MARCHIO DI INFAMIA su una parte visibile del suo corpo.
Un LADRO RECIDIVO che avesse perpetrato un CRIMINE per un valore di maltolto stimato oltre le 25 lire poteva anche essere condannato al sSUPPLIZIO ESTREMO tramite IMPICCAGIONE LENTA.
Ricorrendo invece LITIGI e RISSE il FERITROE era obbligato a saldare un'ammenda oltre che al RISARCIMENTO della parte lesa.
Reati quali la RAPINA - RAPINE e l'OMICIDIO erano sanzionati con il SUPPLIZIO ESTREMO per via di IMPICCAGIONE: di frequente però le PENE ESTREME non venivano comminate preferendosi optare per la condanna alla FORESTAZIONE con il conseguente pignoramento dei beni del REO.
Alle PENE CORPORALI, nel DIRITTO INTERMEDIO, era peraltro demandato un compito AMMONITORIO E CATARTICO e proprio per siffatta motivazione esse avvennivano IN PUBBLICO sotto gli occhi di una folla, ora spaventata ora incattivita o solo curiosa.
Così chi non aveva saldato le multe comminategli era obbligato a PASSARE SOTTO LE FRUSTATE DEI CARNEFICI per le vie cittadine seguendo un tragitto minuziosamente preparato: cosa che verrà riproposta negli STATUTI CRIMINALI DI GENOVA E DOMINIO del 1556 in forza della formula di condanna "A CODA D'UNA BESTIA TRATTO.
Pure in pubblico si procedeva alla punizione di un ladro che avesse commesso furto con scasso (senza poi ammendarsi e risarcire) ed a cui si AMPUTAVA UN PIEDE: cosa poi replicata dagli STATUTI GENOVESI del 1556 con un'ANALOGA PUNIZIONE CORPORALE riguardante però l'AMPUTAZIONE DEL NASO.
Altre PUNIZIONI CORPORALI vigevano nei riguardi di LADRI DI API E/O MIELE quanto di STRANIERI che avessero rimosse le PIETRE (meglio PEDATE) di un GUADO: in entrambe le circostanze era sanzionata, in assenza di soddisfazione, l'AMPUTAZIONE DI UNA MANO O DI UN PIEDE (a scelta del REO).
In effetti, prescindendo dal tono roboante dei CAPITOLI STATUTARI, la PENA DI MORTE o come si diceva l'ESTREMO SUPPLIZIO non era comminata con facilità: colpiva sì i meno abbienti che non potevano riparare economicamente le loro vittime ma mediamente i ceti medi e soprattutto quelli elevati riuscivano ad evitarla tramite soddisfazioni varie o corrompendo i magistrati (cosa più frequente di quanto si possa pensare, sì che nelle sue LEGGI CRIMINALI la Repubblica dovrà poi inserire specifici CAPITOLI avverso i tentativi di corruzione e i funzionari lasciatisi corrompere).
Tuttavia non mancarono certo SENTENZE DI MORTE effettivamente eseguite: in genere non riuscivano ad evitale, come detto, gli UMILI (in occasione di OMICIDI e RAPINE) e le DONNE nel caso soprattutto che fossero state colte in flagrante ADULTERIO: una particolare attenzione era data da questi STATUTI (come avverrà entro gli ORDINAMENTI CRIMINALI DEL DOMINIO del 1556) ai CRIMINI DI MOLESTIA SESSUALE di modo che si poteva addivenire alla CONDANNA A MORTE di un individuo resosi COLPEVOLE DI STUPRO (STUPRATORE).
Non si deve però credere che quest'ultimo CAPITOLO, per cui un MASCHIO poteva esser giudizialmente privato della vita nel caso avesse VIOLENTATA una DONNA, costituisse una pagina positiva per le FEMMINE e di riguardo verso il loro sesso: si trattava soltanto di una preoccupazione istituzionale di quel BUON CITTADINO che era il PATRIARCA cui compito risultava quello di salvaguardare sempre e comunque la genuinità della FAMIGLIA, del legittimo CONCEPIMENTO e quindi del regolare procedere sia del FLUSSO DEMOGRAFICO quanto della vita dell'ISTITUZIONE STATALE.
Gli STATUTI DI SAN ROMOLO replicavano in definitiva i contenuti di molte altre norme simili e coeve: certamente avevano delle particolarità connesse alla zona e tra queste si possono menzionare le RISCOSSIONI DELLE DECIME A VANTAGGIO DEL TITOLARE DELLA CHIESA DI S. SIRO E DEL VESCOVO INGAUNO quanto la salvaguardia di una serie peculiare di PRIVILEGI nei riguardi della potente famiglia locale dei PREMARTINI ai cui componenti, a titolo di riconosciuta superiorità socio-economica, andava, singolarmente e con cadenza annua, una porzione delle multe introitate dal Comune (oltre a questo i PREMARTINI risultavano esentati dal pagamento di alcune GABELLE, potevano se in numero di DUE RICHIEDENTI far adunare il CONSIGLIO COMUNALE ed ancora avevano diritto a ricoprire sempre la CARICA di uno dei due annuali SINDACI).




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