informatizzaz. a cura di B. Durante

"IL CONCERTO" DA UN DIPINTO DI PIETRO LONGHI GIA' CUSTODITO NELL'ACCADEMIA DI VENEZIA













La MONODIA, risorta nel melodramma a nuova vita, s'affermò non solo nell'opera, ma anche in altre forme destinate al concerto (ossia non drammatiche, non sceniche): fra di esse la CANTATA, e l'ARIA (che prese anche il nome di CANZONE), da non confondere con l'aria dell'opera, essendo una composizione per lo più di piccole dimensioni e per una sola voce accompagnata da uno strumento.
La rinnovata fortuna del canto monodico non fece però scomparire la polifonia: ormai la tecnica musicale s'era arricchita dell'arte di scrivere a più melodie sovrapposte e non vi rinunziava certamente Perciò, accanto alla monodia accompagnata, la polifonia seguitò a vivere, ma senza raggiungere le altezze toccate nel Cinquecento.
Essa, scacciata dal campo profano, si rifugiò in quello sacro, dove però dovette accettare nuove forme ispirate al gusto dominante.
Accanto alle composizioni a cappella (cioè polifoniche per sole voci), i musicisti scrissero anche pagine nello stile monodico accompagnato o destinate a voci soliste e coro sostenuti dagli strumenti.
Ancora una volta Roma e Venezia furono all'avanguardia delle città italiane.
Ma la forma sacra caratteristica del Seicento fu l'ORATORIO.
La Chiesa di Roma, in seguito al sorgere della religione protestante, mirò a rinnovarsi e a rinsaldare la fede religiosa; come conseguenza di questo movimento, nacquero gli ORATORII, ossia quei luoghi ove si riunivano i fedeli per compiervi esercizi spirituali.
Ideatore di ciò fu San Filippo Neri (1515- 1595).
Negli oratorii si cantavano semplici composizioni, dette laudi, a una voce o a più voci, ma, in questo caso, nello stile omoritmico, sicché la melodia superiore spiccava sulle altre, cui spettava il compito di completamento armonico.
Le LAUDI da semplici espressioni di fede divennero forme più complesse.
Alcune contenevano la narrazione d'un fatto sacro; dalla narrazione si passò al dialogo e da questo alla personificazione del dialogo, così che si lasciò il CANTO IN CORO per il CANTO MONODICO : esattamente come era avvenuto per il ditirambo greco e per il melodramma.
Se, ad esempio, in una LAUDA era narrato un miracolo di Gesù, una voce raccontava il fatto sino al momento in cui dovevano essere pronunziate le parole di Cristo; a questo punto quella voce taceva, e una seconda, raffgurante il Salvatore, iniziava la sua parte, finita la quale, riprendeva la prima voce fino a quando non dovesse intervenire un'altra figura partecipante al fatto, e così di seguito; naturalmente, tutto ciò avveniva cantando.
La voce che narrava fu detta lo STORICO.
Le altre voci prendevano il nome dei vari personaggi; il coro interveniva in brani polifonici od omoritmici per rappresentare il popolo o per cantare brani meditativi sull'argomento.
Trasformata in questa maniera e accompagnata da strumenti, la lauda prese nome diORATORIO dal luogo in cui veniva eseguita.
Si trattava insomma di un'esecuzione SENZA SCENE, da CONCERTO, dalla quale si doveva seguire il fatto nel suo svolgimento ideale.
In verità, a Roma in un primo tempo questi spettacoli spirituali nel nuovo stile furono scenici.
Nel 1600 Emilio del Cavaliere, uno dei componenti la Camerata Fiorentina, vi faceva eseguire La rappresentazione di Anima e Corpo come se fosse un melodramma; ma poi Giacomo Carissimi (1605-1674) concepì l'ORATORIO nel modo sopra descritto, e così la sua forma fu definitivamente fissata. L'ORATORIO del Carissimi è su testo latino; più tardi, se ne composero anche su testo italiano.
Dopo il Carissimi, molti altri grandi compositori scrissero ORATORII.
Fra i paesi stranieri, la Germania ebbe un sommo musicista nel campo sacro: Enrico Schutz (1585-1672), che fu allievo di Giovanni Gabrieli e studiò lo stile monteverdiano. Egli scrisse anche opere teatrali, andate perdute.
Trattando degli STRUMENTI in uso nel Seicento è inevitabile menzionare il clavicembalo.
Il pianoforte, apparso all'inizio del Settecento, è stato preceduto da altri strumenti a corde a tastiera, nei quali la corda non era battuta dal martelletto, ma pizzicata da un becco di penna fissato a un bastoncino al termine del tasto e detto salterello.
Questi strumenti, basati tutti sullo stesso principio, Iebbero forme diverse; il "clavicembalo" era simile all'attuale pianoforte a coda, , cioè a un'arpa collocata orizzontalmente, mentre la "spinetta" era triangolare o trapezoidale e il virginale (così chiamato, sembra, in omaggio alla regina d'Inghilterra Elisabetta) aveva forma rettangolare.
Minore fortuna ebbe il "clavicordo", nel quale la corda era percossa da una linguetta di metallo detta tangente.
Dapprima non vi fu differenza fra la musica scritta per organo e quella per clavicembalo, ossia quanto era scritto per l'uno si poteva sonare anche sull'altro.
Si deve a Bernardo Pasquini (1637-1710) la distinzione di stile, a seconda che si trattasse di musica destinata all'organo o al cembalo.
Dopo di lui in Italia si coltivò soprattutto la musica per clavicembalo, fino a quando, nella seconda metà del Settecento, prevalse il pianoforte.
La produzione clavicembalistica risulta vivace, elegante, spiritosa, qua e là delicatamente sentimentale.
Ma un altro strumento s'affermò nel Seicento: il violino, che s'impose sopra tutti quelli ad arco, così che ben presto nacque una ricca produzione violinistica.
Fu adoperato dapprima in musiche d'insieme e in seguito anche come solista.
Per quanto riguarda l'organo basti ricordare un sommo esecutore e compositore di questo periodo: l'organista GEROLAMO FRESCOBALDI (1583-1643).
Nella sua produzione spiccano i Capricci e i Fiori musicali , pagine in cui la fantasia e il virtuosismo polifonico si rivelano eccezionali.
Il contrappunto, dal campo vocale passato anche in quello strumentale, raggiunge col Frescobaldi una vetta nella musica per organo e clavicembalo.
Egli fu pure un famoso improvvisatore, capace di creare all'improvviso sullo strumento interi brani musicali prendendo le mosse da uno spunto tematico, cioè da una melodia qualsiasi, anche brevissima, scelta per l'occasione.
Già nel Cinquecento s'era scritta musica d'insieme, ossia per più strumenti (ad arco e ad aria).
Nel Seicento vi si dedicarono molti musicisti; si svilupparono importanti forme, chiamate genericamente
CONCERTI o SINFONIE per indicare ch'erano destinate a gruppi strumentali.
In queste condizioni il linguaggio divenne sempre più adatto agli strumenti per i quali esse erano pensate, cioè scomparve a poco a poco il ricordo della musica vocale, dall'imitazione della quale la musica strumentale aveva preso le mosse, e si sfruttarono meglio le particolari caratteristiche d'ogni strumento.
Inoltre s'affermò l'idea di far sonare il complesso degli esecutori, ora insieme, ora a dialogo, come si usava anche nelle composizioni vocali fin dalle epoche antiche.
Tra le musiche strumentali si distinse gradatamente una forma detta SONATA, composta di più brani separati, ma idealmente uniti, come le diverse strofe d'una poesia oppure i capitoli d'un libro.
I diversi brani d'una SONATA si chiamarono tempi, perché ognuno aveva un tempo diverso.
Ad esempio uno era lento, un altro veloce, il terzo moderato e così di seguito.
Si distinsero due tipi di SONATE: DA CAMERA e DA CHIESA .
La prima si componeva di danze (erano preferite: la sarabanda , la siciliana , la passacaglia , la pavana , la ciaccona , a tempo lento; l' allemanda , il minuetto , il pass' a mezzo a tempo moderato, cioè meno lento; la gavotta , la bourrée , la corrente , la gagliarda , la giga , a tempo più o meno allegro).
A questo proposito non è inopportuno rilevare quanto la musica strumentale debba ai ritmi di danza, che nella SONATA DA CAMERA vengono idealizzati; ossia, il musicista imita il tempo e il ritmo caratteristici di questa o di quella danza al solo scopo però di fare dell'ar te.
La SONATA DA CAMERA nacque dall'abitudine, di far seguire sul liuto due danze di tempo diverso, una lenta e l'altra rapida.
La SONATA DA CHIESA era invece costituita da tempi lenti e allegri alternantisi, che nulla avevano in comune con le danze, ma venivano concepiti in uno stile severo.
Di solito erano quattro.
I complessi strumentali del Seicento furono assai diversi per numero e formazione; essi andavano da pochi esecutori (per lo più archi) a parecchi (molti archi e alcuni strumenti ad aria dei seguenti: fagotti, trombe, tromboni, oboi, timpani, organo; spesso v'era il clavicembalo).
Intanto il violino incominciava ad affermare le sue grandi possibilità, non solo nell'ambito di un complesso orchestrale, ma anche come strumento solista.
In talune musiche per questi complessi le parti di maggior rilievo vennero affidate ciascuna a un solo esecutore, mentre quelle meno difficili e impegnative furono lasciate alla restante massa: a questo modo di sonare si diede il nome di CONCERTO, parola già adoperata in senso generico ed ora invece impiegata per designare un modo particolare d'esecuzione.
Sorte uguale, del resto, a quella toccata anche al termine SONATA, che dapprima indicò semplicemente le musiche per strumenti in contrapposizione a quelle per voci, mentre poi venne a individuare un a tipica forma strumentale.
Molti furono gli autori italiani di musica strumentale d'insieme nel Seicento.
Si ricorda Ludovico Grossi da Viadana ( 1564-1627), monaco dell'ordine francescano, Giambattista Fontana (morto nel 1630), Biagio Marini (1597-1665), virtuoso del violino, Giovanni Legrenzi (1616-1690), maestro di cappella in San Marco a Venezia, Giambattista Vitali (1644-1692), maestro di cappella in Bologna, Tommaso Antonio Vitali (nato verso il 1665), della scuola bolognese, particolarmente ricca di notevoli musicisti, fra i quali ha grande rilievo Giuseppe Torelli (1651 - 1709 circa), che fece parte della cappella di San Petronio.
Il Torelli diede grande impulso alla musica strumentale d'insieme.
Egli trattò sovente le sue composizioni in forma di dialogo, cioè distribuendo le loro parti fra un gruppo di solisti e la massa degli esecutori.
Nasceva cosi il CONCERTO nel senso d'una particolare struttura musicale.
Quando i solisti erano più d'uno, il CONCERTO si diceva GROSSO e il gruppo dei solisti veniva chiamato il CONCERTINO, in opposizione ai momenti in cui suonava l'intero complesso, cioe ai TUTTI.
Se se invece un unico solista si trovava a dialogare con la massa, i1 CONCERTO era detto appunto CONCERTO SOLISTA o più semplicementeCONCERTO.
Più illustre di tutti i musicisti dell'epoca fu comunque ARCANGELO CORELLI (Fusignano 1653- Roma 1713) grande come esecutore, compositore e insegnante.
Dalla sua scuola di violino uscirono ottimi allievi, i quali a loro volta furono maestri di molti altri in Italia e all'estero, tramandando gli insegnamenti da lui appresi sì che il Corelli può dirsi il padre dell'arte violinistica.
Compose sei lavori di musica strumentale, fra i quali sono specialmente celebri l'opera quinta, contenente 12 SONATE (di cui sei DA CHIESA e sei DA CAMERA per violino solo accompagnato dal clavicembalo, nelle quali il violino s'afferma definitivamente come strumento solista, e l'opera sesta, comprendente dodici CONCERTI GROSSI, dove il CONCERTINO è formato da due violini e da un violoncello.
Le composizioni del Corelli, soprattutto l'opera quinta, sono ispirate, e scritte secondo le regole e i modi di un alto stile violinistico: il linguaggio adatto a questo strumento, che si distingue fra tutti per emotività e bellezza di suono, era così felicemente nato.
Tra gli altri paesi, soprattutto la Germania ebbe nel Seicento notevoli autori di musica strumentale.
Qui fu coltivata in particolar modo la musica organistica, che nei primi tempi risentì dello stile italiano, essendosi alcuni compositori tedeschi formati alla nostra scuola.
Crearono quindi invece uno stile proprio Dietrich Buxtehude ( 1637-1707) e Giovanni Pachelbel (1653-1706), ambedue grandi organisti e compositori, che spesso adoperarono nelle composizioni le melodie dei CORALI vale a dire dei canti della chiesa protestante.
Anche nel campo violinistico i tedeschi derivarono dagli italiani, che furono loro ospiti in gran numero.
In questo secolo i violinisti-compositori tedeschi tendono a dare sviluppo al virtuosismo, ossia alle difficoltà tecniche, come per rendersi padroni assoluti d'ogni risorsa dello strumento.
Vanno ricordati Francesco von Biber (1644-1704), Giovanni Walther (nato nel 1650) e Giovanni Westhoff (1656-1705).
Prima di loro anche lo Schutz aveva trattato la musica strumentale.
In Francia tra i compositori per organo e clavicembalo è importante Giovanni Titelouze (1563-1633).
Un grande clavicembalista fu poi Francesco Couperin (1668-1705) autore di finissimi quadretti per il suo strumento, in cui talora è raffigurato un carattere femminile tal'altra delineata una scenetta pastorale od ancora viene imitato il canto degli uccelli se non espresso un particolare stato d'animo.
Fu un poeta dei suoni dallo stile delicato e squisito del più puro tipo clavicembalistico.