B. D.

Un caso particolare nel territorio "delle Diano" è costituito dal LUCUS BORMANI (qui visualizzabile tramite un'enfatizzazione della CARTA PEUTINGERIANA dove è registrato come stazione stradale, cioè quale struttura insediativa preposta ai servizi pubblici e soprattutto al cambio di cavalli per funzionari e messi imperiali, oltre che alla loro rifocillazione) dove forse era aggregato un nucleo ligure preromano e dove si venerava una divinità locale che in epoca repubblicana o del primo Impero venne assimilata alla dea Diana, custode dei boschi e della caccia, che verisimilmente conservava affinità col dio ligure: un pò alla maniera di come accadde per l'alta val Nervia nel ventimigliese (territorio pignasco - sito termale di Lagu Pigu ) e di come sembra intuirsi dall'indagine toponomastica della val Bormida.
Secondo l'Alessio la divinità Bormanus o Bormana rimanderebbe a un idronimo, cioè a un nume delle fonti , che non esclude il significato sacro del Lucus o bosco entro i cui confini si sarebbe venerato il dio.
Forse in epoca romana il passaggio toponomastico dal femminile al maschile di Diana si ebbe per ragioni amministrative nella conformazione di un pagus Dianius analogo a quello ricordato dalla "Tavola alimentare di Velleia" (MOLLE, Storia di Oneglia, p. 30) anche se G. Rossi richiamò l'origine DIANO dal Dianum o tempio dedicato alla dea soprattutto.
Sulla base di un periodo del De Lingua latina di Varrone (IV, 19 "... Aventinum ... quod commune latinorum Dianae Templum sit constitutum"), sostenne che il borgo di DIANO ARENTINO , parte non secondaria del supposto pagus Dianius , abbia assunto tale nominazione per il dileguamento della V nella liquida R , fosse il colle che portava al tempio [sotto il profilo etimologico il nome del borgo o toponimo non è di facile lettura: la tradizione vuole che esso derivi da un latino Arentius da collegare ad un insediamento prediale romano di una gente di tale nome.
Secondo altra interpretazione la forma dialettale "a rente" rimanderebbe piuttosto alla forma verbale latina, al participio presente, "adherentem" nel senso di essere prossimo, risultare vicino, attaccato].
Dati certi sul borgo, sito nell'alta Valle del torrente S.Pietro quasi alle falde del Pizzo d'Evigno si recuperano tuttavia solo a partire dall'epoca medievale.
A DIANO S. PIETRO sarebbero emerse tracce concrete di un culto a Diana (su cui scrisse l'Airenti nel saggio "Sulla Stazione romana del LUCUS BORMANI ").
Il Gioffredo nella Storia delle Alpi Marittime, in "H.P.M., Scriptores", II, Torino 1887 p. 11 sostenne che la vicina località di CERVO prendeva nome dall'attributo di Diana quale protettrice dei cervi, come si apprende da Festo: "cervos intutela Dianae).
Questa fu certo, oltre le teorie più o meno valide, area complessa: in epoca romana divenne una Mansio fervente di traffici, si trovava secondo la cartografia imperiale a 15 miglia da Albingaunum, 16 da Costa Beleni (o Balenae) e da Albintimilium ed il Lamboglia, risolvendo antiche dispute, ne individuò tracce nel territorio di DIANO MARINA fra i reperti delle chiese di S. Nazario e S. Siro ("La scoperta dei primi avanzi del Lucus Bormani" in "R.I.I.", XII, 1957 p. 5).
Sotto la chiesa di S. Nazario, almeno sotto il primitivo impianto, si rinvennero alcune vasche romane, tracce di un grosso perimetro di "opus segnatum" a 50 metri ad occidente di tale edificio religioso ed ancora più a ponente i resti di un'abitazione romana; questo individuò il Lamboglia che anche suppose che l'antica chiesa poggiasse su un grande edificio imperiale romano.
Qui si rinvennero monete di Nerva, Agrippa, Massenzio e Nerone, purtroppo andate perdute, (Molle cit. p. 31) e nel 1730 alle falde della collina di S. Angelo si sarebbe trovata una colonna votiva ad Antonino Pio, in seguito dispersa come scrisse Agostino Bianchi nelle "Osservazioni sul clima, sul territorio, sulle acque della Liguria", I, Genova, 1916, p. 119.
Presso il SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELLA ROVERE, fra DIANO MARINA e S. BARTOLOMEO, si rinvenne materiale attestante un insediamento romano databile al II-III secolo d. Cristo come riconobbe N. Lamboglia (Restauri e saggi di scavo alla Madonna della Rovere in "R.I.I.", 1958; p. 130): la stazione romana faceva capo ad un APPRODO MARITTIMO sulla cui logistica permangono dubbi, ma il ritrovamento di anfore, dolia, relitti marini, di una nave romana naufragata, nel tratto di mare tra DIANO MARINA ed IMPERIA fanno meditare sulla realtà di un centro romano con le stesse caratteristiche di Costa Beleni , ad alta importanza economica, nodo marittimo e viario prossimo alla "Julia Augusta", circondato da un sistema longitudinale di ville e proprietà fondiarie con non casuali insediamenti verso l'interno.
Peraltro quasi certamente tutti i Liguri , in qualche maniera sono stati condizionati da intrusioni celtiche (galliche) : a questo verisimilmente si deve la genesi toponomastica della VAL BORMIDA .
L'idronimo, cioè il nome del fiume che caratterizza tale valle, pare legato al culto di Bormanus, o Bormo, il dio celto-ligure delle "acque calde e spumeggianti" venerato in un ambito geografico molto vasto che va dalla Francia al Portogallo: basti esaminare, per una comparazione critica abbastanza semplice, il caso ligure costiero del Lucus Bormani .
Le tribù liguri che abitarono il territorio furono probabilmente quelle dei Ligures Epanterii Montani, degli Statielli e degli Ingauni , le quali furono coinvolte nel 205 a.C. nelle guerre puniche.
Gli Epanteri Montani, insediatisi nell'entroterra savonese, dovettero sostenere l'urto delle forze del cartaginese Magone, reduce dal saccheggio di Genova, unite a quelle dei Ligures Alpini e Ingauni.
Allontanata la minaccia cartaginese, Roma volse lo sguardo verso le genti liguri: fiere e gelose della propria indipendenza, esse resistettero valorosamente alla conquista, ma furono costrette a piegarsi di fronte alla macchina bellica del nemico.
Nel 180 a.C. il console Lucio Emilio Paolo sconfisse gli Ingauni.
Poi, nel 173 a.C., Marco Popilio Lenate sottomise di nuovo i Liguri.
Nonostante le disfatte, il popolo ligure non si piegò e fu necessaria un'altra campagna, nel 163 a.C. da parte del console Sempronio Gracco, per debellarne definitivamente la resistenza.